The
Biggest Challenge
Promesse
di sangue
parte
prima
Kakashi
osservò con occhio attento i volti
attorno lui. Fu con una punta di ironico piacere che notò
come fossero tutti
particolarmente impegnati a mantenersi composti nelle proprie reazioni,
e
tuttavia incapaci di mascherare la loro sorpresa nell’udire
quelle parole.
“Sesto
Hokage…” a prendere la parola fu
l’anziano Homura, gli occhi intelligenti che brillavano
dietro le lenti degli
occhiali. “Ne siete sicuro?”
“Non
vedo perché tutta questa sorpresa,
mio caro Homura.” replicò pacifico
l’Hatake. “Sono ormai quindici anni che
detengo il ruolo di Hokage, e ritengo che possano bastare. E’
giunto il momento
che sia qualcun altro a guidare il nostro Villaggio in futuro, qualcuno
di più
giovane, capace e intraprendente di me.”
“Ma
sei convinto che sia la scelta giusta?”
a parlare stavolta fu Tsunade, le dita laccate di rosso che
ticchettavano
nervosamente sulla lucida superficie del tavolo. “Non capisco
perché tu voglia
lasciare ora. Siamo in pace da molti anni, e il tuo lavoro è
ottimo.”
Koharu
tossicchiò polemicamente, ma non
prese la parola. Il Sesto Hokage decise di ignorarla, preferendo
occuparsi dei
dubbi della Sannin.
“Ritengo
che ormai il Villaggio sia
entrato in una nuova fase della sua vita.”
dichiarò con voce pacata, la schiena
perfettamente appoggiata allo schienale. Sembrava stesse discorrendo
del tempo.
“All’epoca delle tue dimissioni Quinto, accettai il
posto perché capivo che
dovevamo ricostruire un intero Continente, un’opera che
andava al di là delle
tue forze.” Tsunade fece per ribattere, ma con un cenno della
mano lo shinobi
albino le chiese di lasciarlo terminare. “Konoha
all’epoca aveva bisogno di un
capo giovane, qualcuno che potesse guidare quell’opera di
ricostruzione ed
ammodernamento non più rimandabile. Ora i tempi sono
cambiati, io stesso sono cambiato,
e ritengo che una guida più energica e giovane della mia
possa permettere alla
Foglia di raggiungere gli obiettivi che ci prefisseremo.”
La
Senju non sembrava ancora convinto del
tutto.
“Le
sue preoccupazioni sono comprensibili,
Quinto Hokage.” esordì Shikamaru, gli occhi
socchiusi come se stesse dormendo.
“Ma ritengo che i tempi siano maturi. Il Sesto è
stata una guida forte e
carismatica in questi anni, ma credo anch’io che un cambio
possa portare
maggiori benefici al nostro Villaggio.”
In
quel momento, Koharu tossicchiò
nuovamente, attirando l’attenzione dei restanti membri.
“Avete
delle rimostranze a proposito di
questa decisione, Koharu-san?” chiese educatamente Shikamaru.
“Se
l’onorevole Sesto Hokage ha deciso di
dare le dimissioni, non posso certo fermarlo.”
esordì seccamente l’anziana
kunoichi. “Avrei tuttavia alcune domande da porre, dato che
sembrate tutti
evitare una questione fondamentale: chi sarà il successore
del Sesto? Avete già
un candidato?”
Tsunade
non riuscì a trattenere un sorrisetto
nell’udire quella domanda.
“Per
rispondere alla sua domanda, sì.
Abbiamo già un nome.” replicò con voce
monocorde il Nara. “L’eroe di guerra
Naruto Uzumaki.”
“Il
Jinchuuriki del Kyuubi…” mormorò
Homura. “Dunque avete davvero in mente di renderlo Hokage
della Foglia?”
“Non
comprendo tutta questa reticenza.”
osservò Kakashi. “Naruto ha dimostrato
più volte di avere le qualità per
diventare un ottimo leader e capo.”
L’anziano
consigliere fece per ribattere,
ma venne bloccato da Koharu.
“E
come facciamo a sapere che Naruto
Uzumaki ha il sostegno dei clan della Foglia?” chiese con
tono sospettoso.
“Che
razza di domanda!” esclamò Tsunade,
il sorrisetto di scherno sempre presente sulle labbra carnose.
“Nessuna persona
sana di mente potrebbe trovare Naruto non idoneo alla carica di Hokage,
non
dopo che ha salvato l’intero Continente.”
“Essere
un grande combattente non è
l’unica caratteristica necessaria per un Hokage.”
replicò la kunoichi più
anziana. “Mi sorprendo che proprio lei, Quinto, sostenga una
simile tesi,
quando a suo tempo fu preferita a Jiraiya come successore del Terzo per
le
stesse motivazioni.”
“Questa
polemica è inutile.” dichiarò
improvvisamente Shikamaru, bloccando sul nascere la ripicca furiosa
della
Senju. “L’appoggio dei clan a Naruto è
così palese e ovvio che sarebbe inutile
pretenderlo, e non penso che abbiate voglia di andare da ogni capoclan
del
Villaggio a porgergli questa domanda, Koharu.”
“Sono
felice che abbiate riportato la
questione sui corretti binari.” replicò la
kunoichi. Con un gesto secco, mise
sul tavolo tre rotoli, chiusi da sigilli ufficiali. “Eppure,
ho qui tre lettere
provenienti dai capi dei clan Senju, Shimura e Sarutobi, i quali
ritengono il
Jinchuuriki Uzumaki inadatto al ruolo di Hokage, e propongono un nome
alternativo.”
“Ora
basta!” Tsunade si alzò di scatto, le
iridi ribollenti di ira. Sembrava sul punto di saltare addosso ai due
Consiglieri Anziani. “Per quanto ancora questo Villaggio
dovrà subire le vostre
sporche trame?! Quanto oro avete versato nelle casse dei clan, per
ottenere
simili lettere di raccomandazione?! La vostra epoca è morta,
eppure continuate
ad avvelenarci tutti!”
“Tsunade-hime!”
a parlare fu il Sesto
Hokage. “La prego di mantenere un tono corretto, o
sarò costretto a chiederle
di andarsene.”
Il
Quinto Hokage si risedette con stizza,
sotto lo sguardo soddisfatto di Koharu.
“Se
ovviamente i clan non sono d’accordo
con la nostra scelta, dovremo ascoltarli.”
proseguì Shikamaru, la voce ora però
meno tranquilla di prima. “Quale sarebbe il nome da loro
proposto?”
I
due Consiglieri Anziani si guardarono
per un istante negli occhi. Era palese che avevano atteso a lungo quel
momento,
e volevano assaporarlo.
“Konohamaru
Sarutobi.”
Con
un rumore stridulo, Tsunade rovesciò
la propria sedia, uscendo a grandi passi dalla Sala del Consiglio,
sotto lo
sguardo trionfante di Koharu. Il tutto mentre Kakashi indurì
i lineamenti del
proprio volto, prevedendo una tempesta all’orizzonte.
“E’
una stronzata!”
Kabera
alzò distrattamente la testa dal
proprio lavoro, osservando con occhio pigro la propria coinquilina
sputacchiare
insulti con voce ringhiosa ad un esasperato Shikamaru. Per un istante
sembrò
mostrare un vago interesse alla questione, ma poi decise che stillare
linfa di
bruco reale fosse molto più appassionante.
Hanabi
in quel momento però, aveva altro
per la testa che gli intrugli dell’amica.
“Si
può sapere cosa diavolo state
combinando?!” proseguì con la sua invettiva
rabbiosa, le iridi perlacee che
brillavano furiose. “Come avete potuto avallare una decisione
così folle? Vi
siete bevuti il cervello?!”
Lo
shinobi delle ombre emise uno sbuffo di
fumo dalle labbra, ma la sua espressione annoiata non cambiò
minimamente,
benché fosse chiaro che l’ultima cosa che voleva
era sentirsi vomitare insulti
dalla Jonin.
“La
situazione è questa, e difficilmente
cambierà.” dichiarò con voce monocorde,
aspirando una boccata di fumo. “Naruto
e Konohamaru saranno entrambi convocati dal Consiglio del Villaggio, i
quali
comunicheranno loro le condizioni.”
“Di
quali condizioni stai parlando?”
Hanabi prese a muoversi avanti e indietro per il salotto del suo
appartamento,
incapace di restare ferma, guadagnandosi un sospiro esasperato da parte
del
Nara.
“Generalmente,
affinché qualcuno possa
ricevere la carica di Hokage, non basta il consenso del Consiglio,
serve
l’appoggio dei clan.” gli occhi intelligenti dello
shinobi si piantarono in
quelli della Hyuga, bloccandola. “Tutti i clan.”
“E
vuoi dirmi che Naruto, dopo tutto
quello che ha fatto, non ha il pieno appoggio dei clan?”
domandò con tono
incredulo la kunoichi.
“A
quanto pare no.” Shikamaru sospirò
nuovamente, mentre Hanabi riprese a camminare come una fiera in gabbia.
“E in
casi come questi, esiste una sola soluzione.”
“Un
duello eccitante, per il ninja
esultante…” canticchiò Kabera,
sezionando con fare allegro un viscido bruco
giallastro. Le sue parole furono recepite da parte della coinquilina
con la
violenza di un maglio.
“Dovranno
battersi?” chiese, bloccandosi
nuovamente.
Shikamaru
si grattò la testa, masticando
con amarezza il mozzicone stretto tra le labbra. Improvvisamente,
sentiva il
bisogno spasmodico di dormire, per risvegliarsi a faccenda conclusa.
“Sì,
dovranno battersi.” dichiarò infine.
“A meno che, ovviamente, uno dei due non rinunci al duello,
lasciando così
all’altro il titolo di Hokage.”
Hanabi
si sentì morire nell’udire quelle
parole. L’unica speranza che si evitasse quel duello era che
uno dei due
rinunciasse al sogno della loro vita, l’unica cosa che aveva
loro permesso di
superare così tanti ostacoli? Onestamente, la kunoichi
trovava più facile che
il sole cominciasse a sorgere da occidente.
“Siamo
nella merda.” borbottò, lo stomaco
improvvisamente attorcigliato da qualcosa di gelido, molto simile a
paura.
Shimakaru
non poté che concordare.
“E
di quella che puzza, per di più…”
Himawari
guardò, con fare perplesso, ciò
che stava combinando il suo fratellone. Inclinando la testolina,
coperta da
soffici capelli neri, la piccola Uzumaki scrutò la figura
del fratello che, con
fare eccitato, si muoveva trafelato per la sua stanza.
“Dove
si trova…” borbottò Boruto,
spostando freneticamente gli oggetti, dando vita casualmente ad un
magnifico
esempio di disordine ordinato. “Eppure era qui, ne sono
sicuro...”
Improvvisamente,
le sue ricerche ebbero
successo.
“Evviva!”
con un urlo di gioia, l’Uzumaki
sollevò al cielo una fila di shuriken lucenti, lo sguardo
ricolmo di
soddisfazione.
“Hai
trovato quello che cercavi,
fratellone?” mormorò Himawari, ficcandosi il
pollice in bocca.
“Certo,
mia cara Hima!” esclamò Boruto.
“Adesso ti mostro come si comporta un vero ninja!”
E
con un gesto improvviso lanciò uno
shuriken contro la porta. Con suo sommo orrore però, la
porta in quell’istante
si aprì, mostrando il volto di suo padre che veniva
minacciosamente sfiorato
dallo shuriken appuntito.
“Hima!
E’ ora della meren…” nello stesso
istante in cui vide la sua vita attentata, Naruto osservò
due cose, una buona e
una cattiva. La buona era che aveva finalmente capito chi gli aveva
rubato gli
shuriken, la cattiva era che era stato proprio colui che aveva sperato
non lo
facesse.
“Boruto…”
il ragazzino si fece piccolo,
mentre osservava le iridi chiare del padre stringersi minacciosamente.
Ops…
“Boruto!
Quante volte ti ho detto di non
toccare le mie armi?! In presenza di tua sorella, per di
più!”
Naruto
camminava nervosamente per il salotto,
osservando con la coda dell’occhio il suo primogenito. Fu con
profonda
irritazione che lo vide lanciargli un’occhiata storta, quasi
fosse lui quello
che aveva torto, come se attentare alla vita di Himawari fosse cosa
buona e
giusta.
“Volevo
solo allenarmi un po’…”
borbottò
il ragazzino, fissando scontroso il padre. “Non ci vedo nulla
di male.”
“Nulla
di male? Hai sei anni! Cosa pensi,
che siano giocattoli questi?! Che lanciare shuriken sia solo un
divertimento?!
Ti rendi conto che avresti potuto fare del male a tua sorella,
ferirla?!”
“Non
ho mirato a lei, miravo al bersaglio
sulla porta!” replicò piccato Boruto.
“Sei
un bambino, Boruto! Avresti potuto
sbagliare, inciampare, farti del male da solo!”
“Non
sono così imbranato!” rispose con
tono sfrontato il piccolo Uzumaki. “E se tu mi allenassi,
invece di lavorare
sempre, di sicuro non dovrei prenderti le armi di nascosto!”
Naruto
si bloccò di colpo, lo sguardo
torvo puntato sul figlio. Sentì improvvisamente qualcosa di
acido scorrergli
nelle vene, qualcosa di simile a rabbia. Suo figlio che lo accusava di
fregarsene del benessere della sua famiglia era troppo. Per un istante,
fu
tentato di schiaffeggiarlo.
“Hai
usato delle armi pericolose in
presenza di tua sorella, una bambina di appena tre anni,
Boruto!” notò che i
lineamenti del primogenito imbronciarsi ulteriormente, e la cosa non
gli
piacque. “Devi smetterla di comportarti come un
irresponsabile, chiaro?”
“Non
sono stupido, piantala con le lavate
di capo.” borbottò Boruto, gli occhi rivolti verso
il pavimento.
“Allora
dimostramelo!” con un sospiro,
Naruto si passò la protesi sul volto, chiedendosi quante
altre volte avrebbe
dovuto fare la parte del padre severo. Lui amava i suoi figli,
perché Boruto
sembrava non volerlo capire?
“Finiamola
qui.” dichiarò con voce meno
alterata. “Voglio però che rifletti attentamente
su ciò che hai fatto. Sei un
bambino intelligente, e proprio per questo so che capirai
ciò che ti ho detto.”
“Va
bene va bene…” con una scrollata di
spalle, Boruto se ne tornò di sopra, sbattendosi alle spalle
la porta di
camera. Fu solo allora che il Jinchuuriki si sedette con un sospiro in
poltrona, chiedendosi perché diamine il suo giorno libero
doveva passarlo a
litigare con suo figlio.
Stupido
idiota… rifletté
amaramente, passandosi la protesi tra i capelli. Non
sono portato a fare il padre.
Erano
trascorsi tre anni da quando aveva
finalmente messo una pietra sopra alla faccenda di Himawari, dando vita
ad un
periodo di tempo meravigliosamente tranquillo e noioso. Naruto
all’inizio era
sembrato quasi spaventato dall’idea di non avere nessuna
preoccupazione mortale
tra le mani, ma lentamente, quasi senza accorgersene, aveva cominciato
ad
abituarsi a quella sensazione, alla possibilità di vivere
una vita normale,
assieme alle persone che amava. L’unico suo cruccio era
Boruto. Crescendo, il
piccolo Uzumaki era diventato sempre più irrequieto,
rendendo impossibile per
Naruto tenerlo a bada con appena un giorno libero a settimana.
E’
come me… quando lo vedo guardarmi storto, mi sembra di
rivedermi alla sua età. Naruto
si era
promesso mille volte di non far passare ai suoi figli il suo stesso
dolore, ma
in qualche modo Boruto sembrava sempre cercare lo scontro. Lavate di
capo e
sgridate sembravano sortire l’effetto contrario su di lui,
aumentandone la
disubbidienza. Che cosa volesse dimostrare, o cosa cercasse di fare con
quell’atteggiamento era un mistero per il Jinchuuriki, anche
se una vocina
nella sua testa cominciava a ripetergli insistentemente la stessa frase
ogni
volta che rimuginava sulla questione.
Vuole
attirare la mia attenzione. Teme di non essere degno di suo padre.
Scosse
la testa, rigettando quell’ipotesi
con forza. Trovava difficile pensare che Boruto si sentisse inadeguato
in sua
presenza, considerando che non gli aveva mai fatto pesare il cognome
che
portava. Rendere i propri figli degli stupidi rampolli con il petto
gonfio era
il suo ultimo desiderio.
E’
ancora piccolo, crescendo sono sicuro che maturerà. Trovava
decisamente più rassicurante quest’idea, che
Boruto fosse ancora troppo piccolo
per comprendere quale fosse l’atteggiamento corretto da
mantenere. Collimava
con le sue idee in merito, e riusciva a tranquillizzarlo. Per una volta
in vita
sua, Naruto non voleva pensare al peggio.
In
quell’istante, il campanello suonò.
Silenzio.
Non un silenzio pacifico, ma
denso e disagiante, capace di attaccarsi alla pelle come la
più infida delle
colle.
Naruto
si risedette lentamente in
poltrona, gli occhi cerulei piantati sul pavimento, vuoti e privi di
volontà.
Ancora
non riusciva a crederci.
Non
possono essere così folli.
“Ne
sei sicuro?” domandò.
Davanti
a lui, Shikamaru scosse la testa,
rassegnato.
“Sì.”
mormorò, tirando fuori la fiaschetta
ed ingollandone un sorso. “Le regole sono queste, e neppure
Kakashi ha il
potere di modificarle.”
L’Uzumaki
strinse le mani con tanta forza
da conficcarsi le unghie nella carne. L’idea di dover
affrontare suo fratello
minore per raggiungere il suo sogno era qualcosa di mostruoso, un
incubo che
gli si era materializzato davanti con la rapidità di un
fulmine. Come poteva
farlo? Come avrebbe potuto indossare la cappa di Hokage con le mani
sporche del
sangue di Konohamaru? Era follia pura, un rigurgito del loro passato
maledetto
che non si rassegnava a scomparire.
Perché?
Sangue
scuro prese a gocciolargli dalla mano sana, la rabbia e
l’amarezza che
prendevano possesso di lui. Perché
devo
combattere anche lui?
In
quel momento sentì di odiare gli dei.
Come potevano esistere divinità così crudeli al
mondo? Non era loro bastato il
sangue versato? Davvero non erano sazi di morte?
“Sono
stati loro.” mormorò a voce bassa.
“I consiglieri anziani… dico bene?”
Shikamaru
non rispose, osservando con
sguardo scontroso la propria fiaschetta ormai vuota.
“Non
possono che essere stati loro.”
proseguì il Jinchuuriki, lo sguardo sempre rivolto al
pavimento. “Mi odiano.”
Questa
volta il Nara fu costretto a
rispondere.
“Può
essere.” ammise a malincuore,
sedendosi sul divano, grattandosi la nuca con fare svogliato.
“Ma a quanto pare
non sono gli unici. Da soli il loro malessere non conta nulla, ma con
l’appoggio dei Senju…”
“Non
provare a difenderli, Shika!”
borbottò lo shinobi biondo. “Sono anni che sognano
di vedermi morto, da quando
ho salvato il Villaggio durante il Quarto Conflitto, non desiderano
altro.”
Alzò gli occhi, puntandoli su quelli scuri
dell’amico. “Ma non avrei mai
pensato che sarebbero giunti a questo… mettermi contro mio
fratello.”
“Non
è detto che Konohamaru accetti.”
replicò
lo shinobi delle ombre. “Può darsi che
rifiuti… in quel caso, nessuno potrebbe
dire più nulla contro di te.”
Naruto
scosse la testa. Conosceva da anni
Konohamaru, e sapeva cosa sarebbe accaduto.
“Lui
combatterà.” lo dichiarò con un tono
di voce smorto, quasi privo di energia. “Non è
tipo da tirarsi indietro, non
quando si tratta del suo sogno.”
Shikamaru
non replicò, desiderando
ardentemente che la sua fiaschetta non fosse vuota per poterci annegare
dentro
l’amarezza di quella frase.
Sapeva
che era vera.
Konohamaru
avrebbe combattuto contro
Naruto.
Fino
alla morte.
Il
sole brillava dolcemente tra le fronde
degli alberi, illuminando con un caleidoscopio di luci diverse il
sottobosco.
L’aria era satura del canto degli uccelli, mischiati al
fruscio delle foglie,
mosse da una gentile brezza primaverile, mentre nel cielo soffici
nuvole
bianche si rincorrevano pigramente.
Emna
si muoveva lentamente, quasi restio a
rompere la pace della foresta. Con fare solenne, il re dei primati si
spostava
di ramo in ramo, gli occhi dorati fissi su una lontana collina, che
svettava
sulla foresta come una brulla altura, scevra dagli alberi, le cui rocce
brillavano come diamanti sotto il caldo sole primaverile.
Una
volta giunto alla base di
quest’ultima, la scimmia prese a scalare, saggiando
attentamente con i piedi il
percorso lungo le infide lastre di ardesia che ricoprivano il terreno.
Ci mise
molto più del previsto a raggiungere la cima, ma una volta
lì, i suoi occhi si
soffermarono sulla figura di una persona seduta a gambe incrociate.
Konohamaru…
Da
quando aveva saputo di essere stato
candidato per la successione del Sesto Hokage, Konohamaru si era
rifugiato
nella foresta di Shinseina, la foresta ancestrale delle scimmie.
Lì, il giovane
Sarutobi passava le giornate seduto in cima a quella piccola collina
circondata
dagli alberi, insensibile allo scorrere del tempo. Emna comprendeva
ciò che
turbava l’amico, ma sapeva che il tempo
dell’indecisione stava per terminare, e
che molto presto lo shinobi avrebbe dovuto prendere una scelta
definitiva:
ritirarsi dalla competizione, o affrontare colui che era come un
fratello per
lui.
“Emna.”
la voce del Sarutobi era roca,
quasi non fosse stata usata per troppo tempo. “Cosa sei
venuto a fare quassù?”
La
scimmia raggiunse l’amico, sedendosi a
gambe incrociate al suo fianco, gli occhi dorati persi nel mare verde
che li
circondava.
“Desideravo
godermi un po’ di aria.”
borbottò. “A volte la foresta risulta pesante pure
per uno come me.”
“Bugiardo.”
Konohamaru lanciò un’occhiata
obliqua all’amico, quasi fosse deluso che tergiversasse sulla
questione. “Sei
venuto a sapere cosa voglio fare, dico bene?”
“Sei
un uomo, Konohamaru.” replicò il re
dei primati. “Non spetta a me dirti cosa devi fare.”
“Già…”
lo shinobi tornò a fissare
l’orizzonte. “Non spetta a te.”
Per
lunghi minuti l’unico rumore fu
portato dal vento fresco. Emna non mise fretta all’amico,
né lo incalzo. Conosceva
bene Konohamaru, e sapeva anche quale sarebbe stata la decisione che
alla fine
avrebbe preso. Ciò che davvero premeva al sovrano delle
scimmie era di
comprendere come mai ci stesse mettendo così tanto tempo.
“Ho
paura.”
Quella
frase cadde tra di loro lentamente,
viscosa, come colla troppo densa. Emna tornò a fissare lo
shinobi, osservando
come dietro la maschera di impassibilità che si sforzava di
tenere, Konohamaru
fosse davvero spaventato.
“Per
tutta la vita ho sognato di poter
indossare la cappa di Hokage.” il Sarutobi faceva fatica a
trovare le parole,
quasi gli si fosse annodata la lingua. “Da bambino vedevo mio
nonno, e sognavo
di poter diventare come lui un giorno: potente, rispettato,
saggio…” scoppiò a
ridere, una risata amara, priva di gioia. Non poteva essere
più distante da
quella visione.
“Konohamaru.”
Enma parlò lentamente, quasi
stesse cercando le parole giuste. “Non sei costretto a
combattere. Se ti
ritirerai, nessuno oserà accusarti di essere un
vigliacco.”
Il
Jonin non rispose. Vigliaccheria? Era
quello che lo frenava dal ritirarsi? La paura di essere chiamato
codardo? Di
non potersi più guardare allo specchio? Era davvero quello
che lo spingeva ad
accettare quel folle duello?
Non
ho paura di quella parola… abbassò
lo
sguardo, fissandosi i palmi delle mani. Erano mani segnate, mani di un
guerriero, ma Konohamaru non ci vide questo. Ci vide un liquido viscoso
e denso
colargli sopra, un liquido vermiglio che lo riportò indietro
nel tempo, al
momento in cui era morta una parte di lui.
Udon…
Lo
poteva sentire, quasi fosse materiale.
Il peso che portava sulle spalle. Quando Udon si era messo tra lui e la
morte
l’aveva fatto per un motivo per preciso: per proteggere il
suo sogno. Udon era
morto convinto che fosse lui la scelta migliore per il futuro del loro
Villaggio, un futuro dove i ninja non sarebbero stati costretti a
seppellire i
loro amici e parenti, dove i figli non sarebbero cresciuti soli.
Amico
mio. Il
dolore di
quella scomparsa non era mai sparito del tutto, e lo senti sotto la
pelle,
ricordandogli come ogni respiro che compiva era un dono di Udon.
“Non
ho paura di morire.” dichiarò infine,
vedendo le tenebre del dubbio dissolversi come nebbia mattutina nella
sua
mente. “Ho paura di non poter mantenere una
promessa.”
“Un
giorno io diventerò un grandissimo
Hokage!”
“Smettila,
Konohamaru.” borbottò Moegi,
agitando le trecce nello scuotere la testa. “Tanto
è impossibile che diventi
più forte del Terzo. Lui è davvero il numero
uno.”
“Invece
io diventerò più forte di tutti!
Anche di mio nonno!”
“Io
credo che possa farcela.” Konohamaru
si girò di scatto, osservando Udon tirare su con il naso,
quasi in imbarazzo
per aver partecipato alla discussione. “Io ho fiducia in te,
amico. Se dici che
diventerai più forte del Terzo, allora lo farai.”
“Udon!
Non dargli corda nelle sue follie!”
Un
sorriso si aprì sul volto del giovane
Sarutobi. In quel momento, per lui non esisteva niente, se non le
parole
d’incoraggiamento del suo migliore amico.
Fece
un profondo respiro, tentando di buttare
fuori tutta la negatività degli ultimi giorni. Il pensiero
di Udon era ancora
lì, dentro di lui, che sanguinava con
l’intensità di sempre. Un dolore con cui
aveva imparato a convivere, ma che non sarebbe mai scomparso.
Devo
farlo. Si
batté le mani
sulle cosce, scacciando via così tutte le paure e le
indecisioni.
Per
lui.
Sorrise,
un sorriso amaro ma pieno di
determinazione.
Diventerò
Hokage anche per te, Udon.
E’
una promessa.
Non
sentì nulla, né paura o altro, quando
varcò la soglia della sala delle riunioni. Aveva riflettuto
anche troppo su
quella scelta, ed ormai non poteva più tirarsi indietro.
Avrebbe combattuto
fino alla morte per il suo sogno, andando oltre anche
quell’ostacolo.
Nella
sala erano già presenti l’Hokage con
i suoi consiglieri. Konohamaru poteva vedere sul volto di loro
espressioni
contrastanti, simbolo di ciò che provavano. Non
approfondì la questione, non
gli interessava. Era lì solo per una cosa ed una sola.
Sorrise
quando lo sentì arrivare.
Naruto
entrò con passo pesante, quasi
stanco. Il volto dell’Uzumaki in quegli istanti sembrava
trasparire più anni di
quanti ne avesse in realtà, quasi che
quell’ennesima lotta lo stesse consumando
dentro. Tuttavia, le iridi chiare erano colme di fredda e cieca
determinazione,
mentre si affiancava al Sarutobi in attesa.
Kakashi
fissò per lunghi istanti i due
shinobi, i quali emanavano reazioni contrastanti. Ribollente e pronto
all’azione Konohamaru, freddo e determinato Naruto.
Socchiuse
gli occhi, notando
improvvisamente quanto Konohamaru avesse ereditato dal suo amico Asuma.
Poteva
quasi vederlo, giovane e smanioso di metterti in mostra, alla ricerca
di
liberarsi dell’ombra ingombrante del Terzo Hokage.
La
storia adora tornare sui propri passi.
“Naruto
Uzumaki… Konohamaru Sarutobi.”
esordì infine, sollevando le spalle e dando alla propria
voce un timbro
ufficiale. “Siete stati convocati innanzi a questo consiglio
per un motivo.”
Tsunade
prese a battere nervosamente sul
tavolo laccato, il tutto mentre gli occhi di Koharu brillavano di
trionfo.
“Entrambi
siete stati scelti per il titolo
di Hokage.” proseguì il Sesto.
“Tuttavia, solo uno di voi potrà ambire a questo
nobile e gravoso incarico.” i freddi occhi
dell’Hatake si spostarono sul più
giovane dei due. “Intendi tu rinunciare alla tua candidatura,
Konohamaru
Sarutobi?”
“No.”
rispose seccamente lo shinobi moro.
“E
tu… Naruto?” la voce di Kakashi sembrò
ammorbidirsi per un istante nel nominare il suo vecchio allievo.
“Intendi
ritirare la tua candidatura?”
Naruto
non rispose subito. Il suo sguardo,
da freddo e duro, si sciolse, mentre un sorriso amaro gli
increspò le labbra.
“Non
pensavo che sarebbe finita così.”
esordì lanciando un’occhiata al fratello adottivo.
“Ho sempre creduto che
saresti diventato Hokage dopo di me… Konohamaru.”
Konohamaru
non rispose, ma per un istante
sembrò a disagio.
“Come
desideri.” con un sospiro, l’Uzumaki
ritornò freddo e duro con lo sguardo, mentre annunciava che
non aveva
intenzione di ritirare la propria candidatura.
“Capisco.”
Kakashi fece un profondo
respiro. Per la prima volta dopo anni, sentì nuovamente il
senso di colpa
graffiargli l’anima e lo spirito. Non desiderava quel
combattimento, ma non
aveva idea di come fare per impedirlo.
“Dunque
è deciso che tra tre giorni,
all’alba, vi scontriate in una località che vi
sarà mostrata solo il giorno del
combattimento.” Shikamaru fece un profondo respiro, soffiando
fuori fumo
grigiastro dalle labbra, un’espressione contrariata sul
volto. “Una volta
giunti a destinazione, potrete iniziare a combattere.” gli
occhi intelligenti
dell’Hokage brillarono sinistramente. “Potrete
usare qualsiasi tattica, nessuna
regola, nessun limite di tempo. Vince chi costringe
l’avversario ad arrendersi…
o lo uccide.”
I
due shinobi annuirono.
“Allora
andate… e buona fortuna ad
entrambi.”
Prima
di uscire, una mano dura come
l’acciaio lo afferrò per la collottola,
sbattendolo contro il muro.
“Cosa
dia…”
“Si
può sapere cosa vuoi fare, moccioso?!”
a sibilargli a pochi centimetri dal volto era Tsunade, livida in volto.
“Hai la
più vaga idea di cosa stai facendo?!”
Konohamaru
tentò di liberarsi, ma la presa
della Senju era inscalfibile.
“La
cosa non la riguarda.” osservò,
scornato dal non riuscire a liberarsi. “Il tempo in cui
poteva dirmi cosa fare
è finito da un pezzo.”
“Stupido!
Ti stanno usando come una
marionetta!” le iridi smeraldine del Quinto Hokage sembravano
in procinto di
incenerire il giovane shinobi. “Credi davvero di stare
realizzando il tuo
sogno? E’ così che vuoi diventare Hokage? Con la
cappa sporca del sangue di
Naruto?!”
“Lei
è come mio nonno!” replicò il
Sarutobi, riuscendo infine a liberarsi. “Pensate tutti di
sapere quale sia la
strada migliore per me! Ma sono io, io soltanto che la
decido!” le iridi scure
brillavano al pari di quelle di Tsunade. “Ho già
le mani sporche di sangue, e
non mi importa se dovrò sporcarle di nuovo.”
Le
labbra della kunoichi si torsero in una
smorfia di disprezzo.
“I
morti non pretendono nulla, Konohamaru.
Prima lo capirai, meglio sarà per te e per i tuoi
cari.”
“Sono
già tutti morti.” ora la voce dello
shinobi divenne velenosa. “Morti per questo
Villaggio… che differenza fa se uso
la mia vita per realizzare il mio sogno, invece che darla a Konoha?
Cambierebbe
davvero qualcosa?”
Lo
schiaffo risuonò violento. Sorpreso, il
moro cadde al suolo. Si rialzò subito, rimanendo sconvolto
nel vedere gli occhi
di Tsunade diventare lucidi.
“Il
solo fatto che parli così prova che
non sei degno di quel titolo!” esclamò la Senju.
“Cosa credi che sia per te
tutto questo?! Un gioco? La vita per te è solo un oggetto da
sacrificare per la
tua ambizione?! Hai mai pensato ai tuoi amici? A tutto ciò
che ti resta ancora
di caro in questo posto?! Saresti pronto a gettare tutti loro nel
dolore solo
per un capriccio?!”
Konohamaru
non rispose. Sentì dentro di sé
qualcosa di simile a rimorso, ma lo seppellì sotto tutto
ciò che aveva
costruito in quei giorni dentro di sé. La sua determinazione
non sarebbe
crollata per così poco.
“Volevo
bene a tuo nonno.” proseguì con
tono più calmo la kunoichi. “Ed è solo
per il rispetto che provavo per lui che
non ti spacco la faccia.” ora anche il suo sguardo era
tornato freddo. “Vai a
morire, se così desideri. Ma sappi che non combatterai per
Udon… ma solo per la
tua ambizione.”
Se
ne andò. I suoi passi suonarono duri e
secchi lungo i corridori dell’edificio, rimbombando nella
testa dello shinobi
come tanti aghi. Non l’avrebbe mai ammesso, ma la parte
più profonda del suo
inconscio era turbata.
Hinata
non era solita intromettersi nelle
decisioni del marito riguardo al lavoro. Con gli anni aveva imparato a
fidarsi
di lui, a capire come l’istinto dell’Uzumaki, per
quanto a volte grezzo,
raramente sbagliava.
Ma
ora, dopo tre anni meravigliosamente
monotoni e privi di conflitti, quella scelta proprio non la capiva. O
meglio,
comprendeva le ragioni che stavano dietro, ma si rifiutava di accettare
l’idea
che non esistesse altra soluzione a quel duello all’ultimo
sangue.
La
sera prima del duello, Naruto aveva
cercato di comportarsi come sempre, non volendo preoccupare la sua
famiglia. A
cena scherzò con Himawari, diede un paio di buffetti per
provocare Boruto per
gioco, e strinse più volte la mano alla moglie, quasi quella
fosse una normale
serata di fine aprile. Hinata però notò
più volte come il sorriso del marito
raramente sfiorava gli occhi, e più di una volta avrebbe
giurato di vederlo
colto da un lieve tremore, quasi si aspettasse che il duello
cominciasse da un
momento all’altro.
Fu
solo quando i bambini stavano dormendo,
che vide Naruto uscire di casa con passo lento, sedendosi in veranda
con un
sospiro.
“A
cosa pensi?” mormorò una volta
raggiunto con un lieve fruscio.
L’Uzumaki
alzò la testa, le iridi chiare
che si specchiavano nelle stelle fredde e pallide.
“Che
questa potrebbe la mia ultima notte
da vivo.” osservò infine.
“Non
dirlo neanche per scherzo.” replicò
la Hyuga, sentendo il cuore subito strizzato in una morsa di ghiaccio.
“Non
sono cose da dire, specie da chi ha superato mille
avversità.”
“Nessuno
sa come un duello può finire, per
quanto squilibrato possa essere.” lo shinobi
sospirò, tornando a fissare il
vialetto curato. “Mi ero giurato che non avrei mai
più combattuto contro un mio
caro… non dopo Sasuke… non dopo
Himawari…”
Hinata
gli strinse la mano, portandosela
al viso. Per quel tormento non esistevano parole capaci di alleviarlo.
Tutto
quello che poteva fare era rimanere al suo fianco, facendogli capire
che aveva
fiducia in lui e che niente avrebbe mai cambiato quel fatto. Naruto
sembrò capirlo,
sorridendole dolcemente, scostandole una ciocca di capelli corvini dal
volto.
Sono
fortunato a poterti stare accanto,
Hina-chan.
Nessuno
dei due parlò più per quella sera.
Rimasero seduti a fissare le stelle fino a quando la notte non
diventò vecchia,
assaporando quei momenti di pace prima della tempesta.
Moegi
fece un profondo respiro, alla
ricerca di ogni oncia di pazienza che le fosse rimasta in corpo. In
quegli
istanti, Konohamaru stava riuscendo a prosciugargliela con fastidiosa
velocità.
“Per
l’ultima volta, Konohamaru…”
esordì
la kunoichi, ma il Sarutobi la bloccò sul nascere.
“Risparmia
il fiato, Moegi.” dichiarò con
voce ferma. “Ho preso una decisione, e non tornerò
indietro per niente al
mondo.”
“Certo,
perché questa storia mi puzza di
stronzata lontano un miglio?” la kunoichi strinse le labbra
fino a formare una
linea sottile. “Tu non devi dimostrare un cazzo a nessuno,
possibile che non lo
capisci?”
Si
trovavano nel salotto di lui, spoglio e
spartano, seduti su un divano troppo vecchio per risultare comodo.
Konohamaru
teneva gli occhi fissi su un televisore che sparava notiziari insulsi
da più di
un’ora. Nessuno aveva accennato al duello del giorno
seguente. Kakashi si era
premurato che rimanesse segreto, per evitare folle di curiosi e crisi
diplomatiche con gli altri Villaggi.
“Perché
non mi vuoi ascoltare?” vedendo
l’amico rimanere apatico, Moegi sbuffò.
“Ogni fottuta volta che ti sei messo
nella merda, io ti ho aiutato, te lo ricordi almeno questo? Ogni
singola
volta.” si sistemò meglio, facendo cigolare le
molle arrugginite sotto di lei.
“Ma domani, quando sarai con il culo per terra, non
potrò farlo, lo capisci?”
“E
chi ti dice che finirò a terra?”
“Cazzo,
Konohamaru! Cresci una buona
volta!” la kunoichi si passò le mani tra i
capelli, sentendo improvviso il
desiderio di pestare a sangue l’amico. “Non sei
più un ragazzino, quindi
dovresti arrivarci da solo. Lui… lui ha affrontato cose che
neanche nei tuoi
sogni più oscuri puoi immaginare. E… ha un
fottuto demone dentro di sé! Può incenerirti
con uno schiocco di dita, e tutto quello che potrai fare
sarà la figura del
coglione.”
Il
Sarutobi si alzò di scatto, quasi fosse
stato attraversato dalla corrente elettrica. Si voltò verso
l’amica con il
volto pallido, le iridi scure che brillavano di rabbia.
“Tu
non sai niente di me!” ringhiò, il
viso ad un centimetro da quello di lei. “Mentre tu ti
dilettavi ad allenare
marmocchi, io mi sono spaccato le ossa! Mi sono allenato ogni giorno,
ogni
singolo, fottuto giorno, da quando Udon è morto, il tutto
mentre Naruto
ammuffiva dentro un ufficio!”
“Quindi
è questo il tuo piano? Sperare che
in tutti questi anni, Naruto si sia ammosciato? Cazzo, fai prima a
piantarti un
kunai in gola, soffriresti meno.”
“Tu
sei come tutti gli altri. Siete
convinti che Naruto sia invincibile solo per ciò che ha
fatto in passato. Ma
Naruto non è imbattibile, rifletti! Anche nel suo
più grande trionfo è uscito
menomato, perdendo il braccio destro.”
“Ma
l’ha perso contro Sasuke Uchiha! Credi
davvero di essere a quel livello?!” Anche Moegi si
alzò, per nulla intimorita
dall’atteggiamento dell’amico. “Sei
davvero più stupido di quanto pensassi. Ti
butti a capofitto in un’impresa suicida solo per…
cosa?! Per dimostrare che hai
il cazzo? Per fare un favore a chi è sottoterra da
anni?”
“Chiudi
la bocca…”
“Lo
farei se tu fossi disposto ad aprire
gli occhi!” la kunoichi alzò la voce, in preda
alla rabbia. “Udon è morto! I
tuoi genitori sono morti! Tuo nonno, tuo zio… ogni singolo
membro della tua
famiglia marcisce sotto una tomba! E tu come pensi di ripagare questo?
Con un
duello all’ultimo sangue, stupido e insensato?!”
“TI
HO DETTO DI CHIUDERE LA BOCCA!”
Nel
salotto scese un silenzio denso, quasi
solido, rotto solo dal ronzio del televisore in un angolo. Moegi
sgranò gli
occhi, quasi incredula di cosa fosse diventato Konohamaru. Del suo
amico ormai
non era rimasto più nulla, lo capì
dai suoi occhi gelidi, sepolto sotto
quintali di cieca determinazione.
“E
Hanabi?” le parole le uscirono fioche,
quasi un sussurro. “Lei cosa dice? Anche a lei urli di stare
zitta?”
Il
Sarutobi rimase in silenzio, lo sguardo
improvvisamente perso in ricordi troppo recenti perché non
ferissero. Ricordava
bene la reazione di Hanabi quando le aveva detto del duello.
“Ti
farai ammazzare, Saru! E io non potrò
impedirlo… morirai solo per mantenere la promessa fatta ad
un morto!”
Lui
non è un morto… lui è Udon, cazzo!
Il
suo sguardo tornò freddo, sepolto sotto
tutto ciò che aveva deciso di portare a compimento, anche a
costo della sua
morte.
“Lasciami.”
Si
voltò, facendole intendere che per lui
quella conversazione era finita. Che il dolore che si portava dentro da
troppi
anni non poteva essere celato ancora. Udon era morto, lui aveva giurato
che
sarebbe diventato Hokage, e avrebbe portato a termine quel giuramento.
Anche
a costo di uccidere, anche a costo
di morire.
Moegi
fece un profondo respiro, tentando
di trattenersi. Sentiva le lacrime premere per uscire, ma non voleva
dargli
anche questa soddisfazione.
“Hai
provato a seppellire il tuo senso di
colpa per anni dietro questa promessa infame.” una lacrima le
sfuggì, ma lei la
asciugò con un gesto stizzito. “Vai a morire
allora, idiota.”
Se
ne andò, sbattendosi la porta alle
spalle, lasciandolo solo.
Solo
con il fantasma di Udon.
Udon…
Perché
nessuno capiva? Perché nessuno di
loro riusciva a comprendere ciò che lo spingeva ad accettare
quella sfida? Non
era la lotta per il potere ad interessargli, non gliene fregava nulla
di essere
manipolato, non se ciò gli avrebbe permesso di ottenere
ciò che voleva.
Ma
allora perché?
Perché
nessuno di loro ha visto il proprio
migliore amico morire tra le sue braccia. Nessuno di loro lo ha visto
morire
come un cane solo per salvarti la vita. A nessuno frega un cazzo di
Udon ormai,
gli interessa solo andare avanti con le loro vite di merda.
Strinse
i pugni fino a sanguinarsi i
palmi. Si accovacciò per terra, gli occhi chiusi, mentre una
rabbia fredda lo
consumava dentro, un pozzo senza fondo dove affondare senza speranza di
riemergere.
Udon
non doveva morire.
Ed
era solo colpa sua se era morto.
Quella
promessa non l’avrebbe riportato
indietro, ma mantenerla avrebbe significato mantenere viva la sua
memoria.
Avrebbe mostrato al mondo che Udon non era ancora morto, che viveva in
lui, e
che l’avrebbe aiutato a diventare l’Hokage
più forte di tutti.
Naruto…
aprì
gli occhi, il respiro di nuovo
calmo. Domani combatteremo.
E
sarò io a vincere!
Naruto
scrutò il cielo limpido sopra di
lui. Era una giornata calda ed afosa, con solo poche nubi sfilacciate
che
solcavano pigre il cielo. Gli agenti atmosferici non
l’avrebbero ostacolato per
quel duello.
Le
iridi chiare dell’Uzumaki si
abbassarono, scrutando ciò che lo circondava. Si trovava in
un’ampia
depressione rocciosa, ricca di macigni di ogni forma e dimensione,
spesso
striati di venatura rossastre. Nessun arbusto, nessun possibile
nascondiglio,
nessuna fonte d’acqua. Un terreno aspro e aperto, dove le
arti ninja sarebbero
state assai poco utili.
Sorrise,
aspirando una boccata d’aria
calda. Comprendeva perché Kakashi avesse scelto un simile
campo di battaglia:
neanche l’Hokage voleva allungare troppo quel duello. Sarebbe
stato uno scontro
aperto, privo di trucchetti o imbrogli. Nel complesso, assai poco da
ninja.
Sentì
arrivare Konohamaru con un frusciò.
Il suo sorriso aumentò, diventando amaro, nel constatare
come il Sarutobi
paresse perfettamente calmo e posato. Sembrava davvero sicuro di
sé.
“Alla
fine hai ottenuto ciò che volevi.”
esordì l’Uzumaki, la voce calma e fredda.
“Mi auguro che accetterai anche tutte
le conseguenze.”
Konohamaru
inclinò la testa verso
sinistra, le iridi scure incredibilmente fredde e cariche di
determinazione.
Naruto lo riconobbe subito per quello che era: lo sguardo di un uomo
pronto ad
uccidere.
Siamo
arrivati a questo… fratello?
Era
una follia, lo capiva fin troppo bene.
Una follia che si ripeteva con agghiacciante ciclicità:
Madara e Hashirama,
Jiraiya e Orochimaru, Kakashi e Obito, lui e Sasuke… ed ora
Konohamaru.
Sembrava che Konoha stessa si divertisse a mettere gli amici
l’uno contro l’altro,
ma lui non sentiva altro che stanchezza e rabbia per quella situazione.
“Mi
sono allenato a lungo, Fratello.”
replicò lentamente il Jonin più giovane.
“Mi sono preparato per anni a questo
momento, e ho già un piano in mente per
sconfiggerti.” strinse i pugni,
irrigidendo le spalle. Era pronto a scattare. “Oggi perderai
tu.”
Anche
Naruto irrigidì ogni muscolo, pronto
a scattare.
Era
pronto.
“Mostrami.”
Si
mossero all’unisono, due meccanismi di
morte perfettamente sincronizzati. Il colpo del pugno destro di
Konohamaru si
infranse con violenza contro il gomito sinistro di Naruto, i loro
sguardi
freddi che si scrutavano con gelida collera.
Il
duello per il titolo di Hokage era
cominciato.
CONTINUA
Note
dell’Autore:
Ehm…
salve! Dopo mesi di assenza (dovuti
ad impegni extra tipo lavoro, studio, ecc), ritorno finalmente su
questa
raccolta, con la seria idea di concluderla. Qui infatti inizia
l’ultimo filone
narrativo che ho in mente per questa storia, dove avverrà un
po’ di tutto.
Spero che possa piacervi, e intanto vi lascio questo capitolo. Come
sempre
ricordo che qualsiasi recensione (positiva o negativa) è ben
accetta, così come
consigli o suggerimenti.
Un
saluto!
Giambo
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