CAPITOLO
8: Come pezzi su una scacchiera
Stavolta,
Cobblepot non si era presentato col suo Mercedes nero, ma con una
elegante
limousine, sempre coi vetri specchiati. A Surge ricordava tanto quelle
da cui
vedeva uscire i gangster nei film che guardava da piccolo. Mai avrebbe
pensato
di ritrovarsi su una di quelle vetture, con uno di quei gangster. Ma
supponeva
che ormai tutto potesse succedere.
L’interno
era uno spazio a quattro posti, con una vetrina che li separava dalla
cabina
del guidatore. I sedili erano foderati in pelle, e c’era il
porta bevande,
proprio come nei film. Cobblepot aveva posato il suo ombrello sul
sedile vuoto
accanto a sé, e aveva invitato l’altro a salire.
Surge aveva scoperto, con una
certa sorpresa, di non avere motivi per rifiutare. In fondo, cosa aveva
da
perdere?
Surge
puzzava come la spazzatura nella quale era finito, ma questo non
sembrava
importare troppo al suo ospite. Il Pinguino guardava fuori dal
finestrino
oscurato, guardava la città che passava loro di fianco.
Poi
disse: - Sai, Surge, tu e io non siamo poi così diversi.
-
Ah no? – rispose quello, brusco.
Cobblepot
posò il suo sguardo su di lui, un ghigno che si apriva sotto
al naso adunco. –
Naturalmente. Noi non condividiamo lo stesso sistema di valori della
gente in
quel ridicolo Parco. Noi abbiamo capito che il Duel Monsters
è potere, e che il
potere non opera sempre con mezzi leali.
Surge
incrociò le braccia sul petto. Dove voleva andare a parare?
Il
biondo aveva ancora una sua dignità, e rifiutava di
identificarsi in un
criminale di bassa lega come il Pinguino. Eppure, una parte minuscola
della sua
coscienza gli suggeriva che, molto in fondo, quel che diceva
l’altro non era
del tutto privo di fondamento.
-
Sai, ho capito che tu non avevi nulla da spartire con quelli
là la prima volta
che mi sono presentato – continuò
l’uomo. – Tu eri arrogante, indisposto, ti
astenevi dal mischiarti con loro. Ti ho osservato, Surge, e il tempo
non ha
fatto altro che confermare la mia teoria.
-
La teoria secondo cui anch’io mi metterò a girare
con un ombrello d’estate? Ma
non farmi ridere – disse sprezzante il giovane. Cobblepot
rispose a sua volta
con una risatina che gli fece gelare il sangue.
-
Se solo sapessi quanto facilmente potrei sbarazzarmi di te –
e nel dirlo
afferrò l’ombrello così in fretta che
Surge non se ne rese conto finché non se
lo ritrovò alla gola, la punta affilata che premeva contro
la carne abbronzata.
– Non faresti tanto lo stronzetto.
Cercò
di farsi più indietro, ma i sedili non offrivano altro
spazio. Sentì una leggera
punta di dolore quando l’ombrello lacerò la carne
e un rivolo di sangue gli
corrette giù per il collo. Digrignò i denti: - E
che cazzo sei venuto a fare
stasera, allora?
Cobblepot
lo studiò un po’, prima di riporre
l’ombrello con un’altra risatina. Surge si
massaggiò il collo, preoccupato più per le
infezioni che poteva prendersi che
per il sangue in sé, con tutto quello che
quell’ombrello toccava.
-
Te l’ho detto. – Cobblepot ripose
l’ombrello e giunse le mani. Sembrava ancora
più grasso, ora che i suoi abiti erano tutti schiacciati.
– C’è una persona che
voglio presentarti.
-
Organizzi appuntamenti galanti, ora?
-
Fai poco lo spiritoso, ragazzino – lo ammonì
l’altro, perdendo il suo sorriso.
– Io potrei essere l’ultima speranza per salvarti
il culo. E anche tu.
Surge
aggrottò la fronte. – Di che diavolo parli?
-
Vedi, io lavoro per persone di una certa importanza – gli
spiegò con orgoglio
Cobblepot. – Uomini di cui tremeresti al solo sentirne il
nome. E avendo una
loro immagine da mantenere, be’, non sono molto tolleranti
con chi li delude.
Io avevo il compito di appropriami del Parco dei Duelli, ma quel
fottuto
ragazzino, Alan, me l’ha impedito.
Strinse
il pugno grassoccio, e fece sbiancare le nocche. – So
perfettamente che se dovessi
tornare a mani vuote, sarebbe per l’ultima volta. Tu sei,
diciamo, il mio lasciapassare
per potere avere ancora qualche giorno di vita.
Surge
parlò tra i denti. – Mpf, sei senza vergogna.
-
Certamente! – esclamò l’altro.
– Però voglio che tu guardi al lato positivo
della mia azione. Funziona in entrambi i sensi, lo sai?
-
Ah sì? – Surge aveva i suoi dubbi.
-
Certo. Ora che sei stato battuto da Lance e ti è stato
proibito mettere di
nuovo piede al Parco dei Duelli, cosa credi che farai, eh?
Surge
fece un ringhio stizzito, ma nulla di più. Can che abbaia
non morde, dopotutto.
E il Pinguino lo sapeva fin troppo bene. Il suo ghigno si
allargò. – Come ti ho
detto, lavoro per persone potenti. Persone di una certa influenza. E a
loro
sono sicuro che farebbe comodo uno come te. Dopotutto, sei un tipo
senza
scrupoli, no?
Su
quello, Surge non aveva niente da ridire.
-
Loro potrebbero offrirti protezione, accoglienza. E rimetterti in
carreggiata.
-
Non ho bisogno di rimettermi in carreggiata –
protestò Surge, ma mentiva.
-
Certo, come no – gli fece il verso Cobblepot. –
Mettiamo in chiaro una cosa: io
non sono il buon samaritano. Voglio solo pararmi il culo, e tu puoi
aiutarmi
nella cosa. E, guarda caso, questo potrebbe fruttare anche a te. Ti sto
offrendo un’occasione come non te ne ricapiteranno nella tua
fottuta esistenza.
Quindi vediamo di non prenderci per il culo.
Surge
tacque. Odiava dover dare ragione a quell’essere spregevole,
e odiava ancora di
più doversi identificare in lui, perché quello
avrebbe significato che anche lui
era un essere spregevole. E
Surge non si riteneva tale. Lui era un campione. O almeno, era quello
che
avrebbe voluto essere.
-
La vita non ti regala niente, lo sappiamo –
proseguì Cobblepot, aprendo il
palmo della mano. – Quando ero piccolo, mio padre
è morto per una polmonite a
seguito di un temporale. Così, mia madre è
diventata iper protettiva nei miei
confronti, costringendomi a portarmi sempre dietro l’ombrello.
Lo
impugnò e prese ad accarezzarlo, come se fosse vivo. Quella
scena mise a Surge
una strana ed irrazionale paura. Mentre parlava, Cobblepot fissava
l’ombrello,
messo per lungo sulle sue ginocchia, e ora la sua voce si era
addolcita. Era
come se lo cullasse.
-
Mia madre aveva paura che facessi la fine di mio padre. Era una
rompicoglioni,
ma mentirei se dicessi che non mi voleva bene. Il problema, anzi, era
che me ne
voleva troppo. A volte, le madri non sanno che la misura del loro amore
può
essere eccessiva, e non è vero che l’amore
è sempre una cosa buona. Specie
quando diventa motivo di scherno.
Soppesò
l’ombrello. – A scuola c’era un
coglionazzo che si faceva beffe di me. Ricordo
ancora il suo nome: Randall Holmes. Il classico tipo che piaceva alle
ragazze e
che mi fotteva i soldi della merenda. Diceva che mi piacevano gli
uccelli, lo
diceva a tutti, ed era vero. Ma non quelli che pensi tu.
Per
quanto potesse sembrare strano, in quel momento a Surge non era venuta
affatto
voglia di scherzare. Né da chiedersi dove volesse andare a
parare il Pinguino
con quel recap della sua vita.
-
Mia madre aveva un negozio di animali. Sono cresciuto in mezzo al tanfo
e ai loro
peli. Ma ricordo soprattutto gli uccelli. Mia madre vendeva pappagalli,
canarini… e pinguini. Quegli uccelli così strani
mi hanno attirato fin da
subito. Ma sono anche stati la mia rovina. Colpa di un branco di
ragazzini
idioti che non sanno distinguere fra uccelli e uccelli.
Strinse
il pugno, poi si infilò la mano dentro al soprabito.
– E’ stato per caso, un
giorno, mentre tornavo da scuola dopo l’ennesima batosta, che
sono passato
davanti a un’edicola. E lì li ho visti, dei
pacchetti di carte da gioco.
Estrasse
il suo deck, compatto nella sua mano grassoccia. Lo guardò
come si guarda al
tesoro più prezioso che ci sia. – Ho investito i
miei pochi risparmi in quelle
carte da gioco. Non appena ho capito che cos’era il Duel
Monsters, e cosa
sarebbe potuto diventare, ho visto l’occasione che avevo per
rifarmi. Non solo
agli occhi di chi mi sbeffeggiava, ma anche agli occhi delle ragazze
che non mi
avevano mai considerato.
Si
toccò il naso adunco. – Cominciai a lavorare per i
vicini. Tagliavo il prato,
portavo a spasso il cane, cose del genere. E ogni mio centesimo
l’ho investito
nella creazione di questo deck.
-
C’era un barbone, dietro la scuola, il vecchio Sam
O’Conner. Puzzava come una fogna
aperta e aveva l’alito che sapeva di birra scadente, con i
denti marci che
sembravano canditi. Non era proprio un bel vedersi, ma una cosa la
sapeva fare:
era bravo a duellare. Così, quando ebbi finito di farmi il
deck, cominciai a
investire i miei risparmi in altro modo. Lui mi insegnava a duellare, e
io gli
davo i soldi per comprarsi la birra e qualche tramezzino. Dopo qualche
mese, ho
sfidato quel dannato Randall Holmes a duello, e l’ho battuto
davanti a tutta la
scuola.
La
soddisfazione si impossessò della sua voce a quel ricordo.
Surge si ritrovò
malinconicamente a pensare che, forse, arrivati a una certa
età, i ricordi erano
tutto ciò che si aveva per essere felici.
-
Ma quell’umiliazione non era ancora sufficiente. Doveva
pagare per tutto ciò
che mi aveva fatto, per tutte le cattiverie che aveva perpetrato. E
siccome il
vecchio Sam non mi aveva insegnato solo a duellare, ma anche qualche
trucchetto
della vita da strada, gli ho sfregiato il volto con la punta del mio
ombrello.
Mimò
il gesto in quello spazio ristretto, e Surge ebbe un sussulto
repentino. Cobblepot
ridacchiò.
-
Una lezione per sempre. Quell’evento mi ha garantito potere e
rispetto. Improvvisamente,
tutti mi venivano dietro. Tutti volevano uscire con me, tutti volevano
essere
al mio seguito. Ma nessuno osava sfidarmi a duello. Quella fama
così tanto
repentinamente acquisita, era anche divenuta la mia nuova condanna.
-
Le gioie date dal mio potere a scuola sono state esigue, ma comunque
soddisfacenti. Al ballo di fine anno, ho pagato Patricia McCornwell, la
ragazza
più carina della scuola, per venirci con me. La ragazza
più carina con lo
schifoso Pinguino. E poi l’ho scopata nel parcheggio della
scuola. Il tutto per
un quantitativo di dollari con cui, all’epoca, ci compravi un
deck come questo.
E
lo sollevò. – Sì, il mio deck ha il
valore di una trombata con Patricia
McCornwell.
Ghignò.
– Finita la scuola, sono entrato nel vero business. Quando
volevano pignolarci
il negozio, me lo sono ricomprato sfidando a duello il compratore, e ho
cominciato
il mio contrabbando di carte contraffate al porto. E da allora, la mia
scalata
al potere è proseguita senza intoppi.
Poi
il suo sguardo si rabbuiò. – Finché non
ho conosciuto l’uomo alle cui
dipendenze sto ora.
La
macchina si fermò di colpo, e Surge venne sbalzato
leggermente in avanti. Fece
una smorfia mentre ricadeva con la schiena contro il sedile.
-
Perché mi hai raccontato tutto questo, Cobblepot?
Cos’è, mi hai scambiato per
un confessionale?
L’altro
rise di gusto a quel paragone. – Non farmi ridere –
gli disse poi,
ricordandogli qual’era il suo posto e la differenza di
posizioni tra loro. –
Ora che conosci la mia storia, pensi davvero che ti lascerei andare? Se
stasera
vado all’inferno, ti trascino con me.
Quell’eventualità
raggelò il biondo, che aveva per un attimo dimenticato con
chi aveva a che
fare. Il criminale glielo lesse negli occhi, e ne fu soddisfatto. Da
fuori, aprirono
le portiere.
-
Coraggio, Surge – lo esortò. – Stanotte
potrebbe iniziare la tua nuova vita. E
anche la mia.
Scesero,
e si ritrovarono immersi in una cappa d’afa. Erano nel centro
di una qualche
città, e molto lontano dal mare, a giudicare
dall’umidità che infestava quella
zona. Il sudore incollava i vestiti al corpo. Surge si
guardò intorno: il cielo
non era che uno spicchio scuro in mezzo alle cime di innumerevoli
grattacieli..
Non riconosceva affatto quel posto.
-
Dove siamo? – chiese repentinamente al Pinguino.
Quello
era sceso dalla macchina, e si accompagnava al suo ombrello appuntito
come al
solito. Ora che sapeva che aveva sfregiato la faccia di qualcuno, forse
anche
più di qualcuno, con quello, lo guardava sotto
un’altra luce. Dopotutto, lui
era sempre il criminale che aveva tormentato il Parco dei Duelli fino
all’altro
ieri. Magari se qualcuno di loro lo avesse sfidato e avesse perso, si
sarebbe
ritrovato il viso sfigurato come Randall Holmes. Aveva fatto bene a
farsi gli
affari suoi.
Quello
lo guardò sistemandosi la tuba in testa. – Sei
molto lontano da casa, ragazzo –
gli rispose. Poi volse lo sguardo, e quando Surge lo seguì
si ritrovò a
spalancare la bocca.
Davanti
a loro, si stagliava contro il cielo notturno un imponente edificio,
talmente
imponente da svettare persino sopra gli altri. Impossibile calcolare
quanti
piani avesse, ed erano tutti in vetro, il che comportava che fossero
difficili
da scaldare d’inverno e impossibili da raffreddare
d’estate. Era quasi del
tutto immerso nel buio, eccezion fatta per una luce che brillava molto
in alto,
quasi a far compagnia alle stelle. Una scritta campeggiava, enorme,
sulle vetrate:
DEVON
SpA
-
La Devon? – fece Surge, incredulo. – Questa
è la Devon SpA? Vuol dire che siamo
a…
-
Saffron City – finì per lui il Pinguino.
– Come ti ho detto, sei parecchio
lontano da casa, stasera.
Si
sistemò di nuovo il cappello, poi disse ai suoi uomini.
– Voi aspettateci qui.
Conto di far ritorno.
A
quelle parole, Surge non trattenne un groppo alla gola. Cobblepot si
avviò
verso l’edificio. Dopo pochi istanti di incertezza, Surge si
risolse a
seguirlo. Quale altra scelta aveva? Ormai era in ballo.
L’atrio
era illuminato, come la finestra all’ultimo piano. Le porte a
vetro erano a
scorrimento, e si aprirono quando Cobblepot passò un badge
su un display lì
accanto. Il goffo uomo lo precedette, mentre Surge si guardava intorno,
alquanto ammirato. Dopotutto, uno come lui non avrebbe mai pensato di
ritrovarsi in un posto come la sede della Devon. Chiunque giocasse a
Duel
Monsters conosceva la Devon.
Ai
suoi albori, la Devon era una società mineraria. Ricavava
pietre dalle cave e
limature di ferro dalla sabbia. Tuttavia, dopo aver trovato,
letteralmente, una
miniera d’oro, aveva investito in azioni e aveva decuplicato
il proprio
patrimonio. E così, capendo che aria aveva cominciato a
tirare negli anni,
aveva volto la propria attenzione all’attrattiva principale:
il Duel Monsters.
Oggi, la Devon si occupava di tutto ciò che riguardava il
mondo dei duelli, ed
era la diretta rivale della Kaiba Corporation, che deteneva ancora il
monopolio, anche grazie alla fama del suo presidente, Seto Kaiba.
Ma
Giovanni Devon, proprietario dell’azienda di famiglia, non
era di certo da
meno. Era lui, da diversi anni a quella parte, a organizzare tornei di
Duel
Monsters che avevano risonanza a livello mondiale, e che permettevano a
quelli
che prima erano dei semplici sconosciuti di raggiungere un successo
inimmaginabile. E naturalmente, la cosa aveva attirato
l’attenzione della Kaiba
Corp. La fusione tra le due compagnie sembrava ormai essere alle porte.
L’atrio
in cui si trovavano i due era un ampio spazio dal soffitto alto, il
pavimento
piastrellato di blu, con molteplici divanetti e tavolini bassi con dei
pouf
gialli e blu. Al centro c’erano due fontane in perenne
funzione. Quando ci
passarono vicino, gli zampillii colpirono Surge in faccia e lasciarono
qualche
goccia più scura sul nero della canotta.
Ai
lati erano disposti dei vasi con delle piante verdi lunghe e alte, che
Surge
non sapeva distinguere perché non ci capiva un cazzo di
piante e non gliene era
neanche mai fregato. Su una delle pareti c’era
un’enorme cornice che conteneva
la sigla:
DEVON
SpA
“Tutto
ciò di cui avrete bisogno,
lo
troverete da noi”
Era
uno slogan accattivante.
Si
diressero verso la parete in fondo, che aveva tre ascensori. Scelsero
quello di
mezzo. Cobblepot passò di nuovo il suo badge, e poi si
accese una luce verde.
Quando le porte si aprirono, Surge avvertì una certa
tensione e un movimento
nella zona dell’inguine. Non ci poteva credere.
Cobblepot
passò per la terza volta quella sera il badge su una fessura
posta accanto al
display dell’ascensore. Chissà se lì
anche la macchinetta del caffè funzionava
col badge.
Quando
la luce verde di conferma si fu accesa, il Pinguino digitò
un numero sulla tastierina:
cinquantaquattro. Andavano al cinquantaquattresimo piano. Quel posto
aveva più
di cinquantaquattro piani. Roba da vertigini.
L’ascensore
cominciò la sua salita. Fu allora che sulle labbra di Surge
affiorò un sorriso
a metà tra il nervoso e il divertito, la fronte madida di
sudore alla luce dei
led della cabina.
-
Porca troia… - mormorò. – Sono alla
Devon.
Accanto
a lui, le mani entrambe poggiate sull’ombrello, Cobblepot
commentò: - E’ presto
per esserne entusiasti. Potrebbe essere l’ultima cosa che
vedrai.
Preso
da una strana eccitazione, Surge gli rispose: - Chi se ne importa. Il
solo
fatto di essere qui… cazzo, me l’ha fatto venire
duro.
Abbassò
gli occhi sul rigonfiamento dei suoi pantaloni. Cobblepot gli
lanciò
un’occhiata per poi fare una smorfia disgustata. –
Se non altro, ora so che sei
abbastanza malato.
Si
tolse il monocolo e lo pulì contro il cappotto. –
Cerca di fartela passare. Se
mi presento davanti al capo con un ragazzino col durello,
sarà difficile
convincerlo che hai un deck in tasca.
A
Surge si accese una lampadina – sì, ogni tanto
succedeva: e se, visto il luogo
in cui erano, il suo capo fosse stato nientemeno che Giovanni Devon?
Possibile?
Il
pensiero di apprestarsi a incontrare Giovanni Devon gli faceva un
effetto molto
singolare. La cosa, stranamente, non faceva che invigorire la sua
erezione. Ora
sì che le parole di
Cobblepot avevano senso: aveva detto che le persone per cui lavorava
erano
molto influenti; e Giovanni Devon era decisamente
uno influente.
-
Hai qualche idea? – gli domandò il biondo,
mantenendo il sorriso nervoso.
-
Potrei darti un’ombrellata sull’uccello –
propose allegramente Cobblepot.
-
Oppure?
Il
malavitoso ghignò, il monocolo che riflesse per un attimo la
luce. – Pensa a
tua nonna.
Quando
Alan ebbe finito di raccontare, Lance si lasciò ricadere
sullo sgabello. Rischiò
di finire per terra, ma riuscì ad appoggiarsi ai bordi e a
mantenersi in
qualche modo saldo. Saldo non era
esattamente l’aggettivo che avrebbe utilizzato, ma in quel
momento altri non
gliene venivano.
In
testa aveva un caos da capogiro. Dopo attimi in cui il silenzio la fece
da
padrone, il rosso riuscì nuovamente a guardare Alan. Gli
sembravano passati
vent’anni da che erano lì. Si sentiva invecchiato
e non sapeva il perché. Forse
perché, adesso, lui portava parte del peso di quella
confessione. Era in
qualche modo complice dell’altro.
-
Il mio parere su di te non è cambiato dopo quanto mi hai
detto stasera – riuscì
a dirgli. Si sentiva la voce impastata.
Alan
gli sorrise nella penombra della stanza. – No, non
è vero.
La
sua risposta lo spiazzò. – Te lo leggo negli
occhi. Conosco bene il sentimento
che trasmettono. Quella pallida, malriuscita imitazione della
pietà. Non puoi
avere compassione per me. E la pietà non è
ciò che mi serve.
Si
rimise lentamente sdraiato, guardando quel soffitto ora un
po’ meno
sconosciuto.
-
Ho visto troppe volte quell’emozione. È per questo
che me ne sono andato da
casa, e sono venuto qui. Pensavo di essere abbastanza lontano.
L’ho pensato a
lungo.
Chiuse
per un attimo gli occhi. – Io ti ho privato del tuo sogno. Ti
ho privato della
possibilità di superare tuo nonno, di rifargli un nome,
sconfiggendo chi l’ha
battuto. Perché non importa quello che dirai o che farai.
Non importa quali
circostanze potranno mai capitare. Non mi vedrai duellare ancora. E
adesso,
incredibile ma vero, non ho più bisogno di spiegarti il
perché.
Poi
tacque. Neanche Lance riuscì a dire qualcosa. Gli venne in
mente, in quel momento,
che era in un ritardo tremendo e che la sua ragazza, probabilmente, lo
avrebbe
fatto a pezzi. Ma era possibile sentirsi più a pezzi di
così? Non ne era
sicuro.
Alla
fine si alzò. Guardò Alan, che aveva gli occhi
chiusi, e non sapeva se dormisse
o meno. Il petto si alzava e si abbassava tranquillamente. Gli diede
un’occhiata: Alan non era minuto, ma non era neanche ben
piazzato; era un
ragazzo nella media, alquanto bello, e con una personalità
intrigante.
Si
chiese come potesse un corpo così piccolo sopportare una
tale sofferenza.
Ma
c’è forse una scelta?
Alla
fine, riuscì a promettergli: - Non racconterò a
nessuno quello che mi hai confessato.
Si
portò una mano sul cuore. – Lo giuro.
Alan
fece un debole sorriso, privo di allegria. – Te ne sono grato.
E
quello chiuse la loro conversazione. Lance lo lasciò
riposare, e uscì
dall’ospedale guardando per terra. Si controllava i piedi
come se non avesse
mai saputo di averli.
Quando
fu fuori, e il vento caldo lo investì, sentì il
suo cellulare vibrare. La sua ragazza,
sicuramente. Non aveva scuse, e non poteva dire la verità.
Alzò
gli occhi alle stelle, che ricambiarono indifferenti. Pensò
che la vita, a
volte, sapeva essere davvero crudele.
Quando
le porte dell’ascensore si aprirono con il classico
scampanellio, Surge si teneva
il cavallo dei pantaloni ed era piegato in avanti.
-
Ti avevo detto di pensare a tua nonna. – Con compostezza,
nonostante la sua
stazza, Cobblepot se ne uscì dall’ascensore. Surge
fece più fatica.
Tuttavia
la terapia d’urto aveva funzionato, e ora la situazione nei
pantaloni si era afflosciata.
Si era fatto venire un’erezione per essersi trovato alla
Devon SpA. Aveva
veramente raggiunto il punto di non ritorno.
La
reception del cinquantaquattresimo piano era arredata con poltroncine
da
design. Dietro ad essa sedeva una segretaria con gli occhiali e i fulvi
capelli
rossi, legati in una coda bloccata da un fermaglio dalla forma che
Surge non
riusciva a identificare. I suoi occhi erano di un azzurro ghiaccio, lo
stesso
colore dello smalto sulle sue unghie, che sembravano coperte di brina.
Indossava un elegante tailleur nero smanicato sopra a una gonna viola,
e aveva
al polso destro uno spesso bracciale dorato. Non appena arrivarono da
lei, lo
sguardo del giovane cadde sulla sua scollatura Quanti anni poteva
avere?
Massimo una quarantina, giudicò il biondo, e comunque li
portava molto bene. Si
vedeva.
Ed
ecco che il rischio erezione si ripresentava tosto. La segretaria
sedeva sotto
una riproduzione della Notte Stellata
di Van Gogh. Il pavimento era coperto da un folto tappeto color
ostrica. Il
climatizzatore rendeva quell’ambiente fresco e piacevole.
Surge si sentiva
refrigerato.
La
segretaria alzò gli occhi su di loro, un sorriso privo di
felicità. – A buon
rendere, Oswald – salutò l’altro. Surge
non aveva mai sentito il nome di
battesimo del Pinguino; saperlo faceva tutto un altro effetto.
Quello
si tolse la tuba e se la portò al petto, protendendosi poi
nella parodia di un
inchino. – Buonasera, Lorelei.
-
Il signor Devon ti attende. – Dava del tu, una cosa che
nessuna segretaria
avrebbe mai fatto. O quella non era una vera segretaria, o aveva appeso
la
maschera da segretaria per indossare chissà quale altra.
Come se avesse captato
i suoi pensieri, la rossa spostò lo sguardo su di lui.
Inarcò un sopracciglio
con un fare estremamente elegante.
-
Chi sarebbe il biondino che ti porti appresso?
Cobblepot
si volse un attimo a guardare Surge, come se si fosse accorto solo
allora della
sua presenza, e poi tornò a rivolgersi all’altra.
– Qualcuno che voglio
presentare al capo. Penso che gli farebbe molto piacere conoscerlo.
La
donna, che l’altro aveva chiamato Lorelei, si alzò
in piedi. La sua gonna aveva
uno spacco laterale dalla quale usciva la gamba più bella
che il ragazzo avesse
mai visto. La serata si prospettava eccitante, anche se forse non nel
modo in
cui poi si sarebbe aspettato.
-
Questa non è un’agenzia di incontri – lo
rimproverò con tono. – E il capo non
ha bisogno di un appuntamento.
-
Perché ci sei tu, no? – ridacchiò il
Pinguino, meritandosi un’occhiataccia da
parte dell’altra. – Tranquilla. Sono convinto
che gli piacerà.
Lorelei
corrugò la fronte, ma non disse nulla. In tutto questo, non
aveva affatto calcolato
il biondo. Lui, per conto suo, aveva le mani in tasca e pareva molto
concentrato sui suoi piedi; in realtà, era interessato allo
spacco laterale
della donna.
Quest’ultima
li precedette lungo il corridoio. Cobblepot fece un cenno a Surge, e
poi si
misero al suo seguito. Mentre avanzavano, il Pinguino parlò
sottovoce al suo
nuovo “protetto”: - Ora, quando saremo in quella
stanza, lascia parlare per me.
Non farti venire in mente di aprire quella bocca se non te lo dico io,
o non te
lo dice qualcuno. Sempre che tu ci tenga a tornartene a casa, stanotte.
Surge
giudicò che quella notte rischiava di diventare fin troppo
lunga, talmente
lunga da essere interminabile, perciò per una volta diede
retta al suo buon
senso e si limitò ad annuire. Cobblepot parve soddisfatto.
Surge vide che aveva
la presa salda sull’ombrello, talmente tanto che le nocche
erano bianche.
Giudicò che era quello il suo modo per mostrare la paura.
Era molto composto,
eppure traspariva in quel momento il suo attaccamento alla vita e il
timore di
perderla.
E
Surge? Che dire di lui?
La
tensione aumentava a mano a mano che ci si avvicinava alla porta in
fondo al corridoio.
L’aria era carica di elettricità. Se tendeva
l’orecchio, poteva ascoltare dei
borbottii concitati dietro la porta chiusa. Quasi sicuramente, Giovanni
si
trovava là dietro. E non sembrava felice.
Lorelei
spalancò loro le porte, poggiandovi sopra le dita con le
unghie di brina. E da
quel momento, la vita di Surge non fu mai più la stessa.
Entrarono
in una stanza abbastanza grande da disorientarlo. In fondo spiccava una
scrivania con un’impressionante lastra nera di Lucite. Tutto
intorno erano
sistemati divanetti confortevoli in pelle nera, e scaffali a vista con
gli
sportelli in vetro. Vicino alla scrivania c’era una dispensa
in mogano piena di
liquori: Martini, Jack Daniels, Sheridan, ma anche marche che lui non
conosceva
– lui beveva soltanto Heineken e uno strano mix di Southern
Comfort e Seven-Up.
La
stanza era animata da un’accesa discussione: in piedi, al
centro, c’erano due ragazzi
che dovevano avere più o meno l’età di
Surge; uno di loro aveva i capelli verdi
a caschetto e un ciuffo sparato in aria come un’antenna.
Indossava una camicia
cachi sulla quale si vedevano aloni di sudore, e puntava il dito contro
l’altro.
-
Io mi rifiuto di lavorare con questo stronzo!
Lo
stronzo in questione aveva le mani in tasca e indossava una polo blu.
Sembrava
molto sicuro di sé, e si passò una mano fra i
capelli sparati, un braccialetto
d’oro che brillò al polso. Era impossibile non
sapere chi fossero quei due, se
si bazzicava nel Duel Monsters. Erano i due che avevano da poco
disputato la
finale del campionato regionale: Aaron Underwood e Gary Oak, il
campione.
-
Questo dovrei dirlo io, casomai – precisò Gary con
una risata. – Da quando accettate
anche i perdenti? Pensavo che la Devon puntasse solo al meglio.
E
così dicendo, con sommo disprezzo di Aaron, che stringeva i
pugni e digrignava
i denti come aveva fatto sul palco durante la finale, Gary si rivolse
all’uomo
intento a contemplare la città dormiente dalle vetrate.
Fu
allora che Surge lo notò per la prima volta ,eppure sarebbe
dovuta essere la
prima cosa che l’occhio dovesse catturare appena entrati in
quella stanza. La
sua presenza era così… be’, presente.
Non aveva altri termini per definirla. Dava loro le spalle, intento a
contemplare Saffron City, che da lì sembrava un conglomerato
di torri di ossidiana
avvolte nel buio.
E
lui ne era il re.
Aveva
le mani intrecciate alla base della schiena, in perfetta posizione
eretta. Indossava
una di quelle giacche lunghe smanicate, un trend che Seto Kaiba e altri
come
lui avevano reso famoso, la moda della beat generation di Duel
Monsters. I suoi
capelli erano del colore del mare di notte, uno strano e inquietante
blu, e
quando si volse, i suoi occhi ambrati, come quelli di un gatto, non si
posarono
su uno dei due, ma direttamente su Surge.
Il
biondo ne provò un’attrazione fatale, un pensiero
di cui si sarebbe sempre vergognato.
Ma in quel momento, sentì che fosse impossibile non farsi
attrarre da lui. Si
era aspettato di trovare Giovanni Devon, invece in quella stanza
c’era un
ragazzo che doveva essere appena più grande di lui, dai
lineamenti delicati ma
al contempo decisi, il taglio degli occhi come quello di un predatore,
e
un’aura irresistibile di potere che lo attorniava. Sembrava
brillare di luce
propria.
-
Dipende da cosa intendi per “meglio” –
rispose a Gary quel misterioso ragazzo,
ma senza staccare gli occhi da Surge. Il biondo si sentiva come
paralizzato sul
posto. Fu allora che tutti i presenti si accorsero di lui
-
E tu chi dovresti essere? – domandò con poco garbo
Gary, mentre quello dai
capelli blu lo oltrepassava. Mentre gli veniva incontro, oltre ad
essere
impossibilitato a muoversi, Surge notò anche che aveva uno
strano pendente al
collo, una pietra romboidale che mandava riflessi di luce sinistra.
Sembrava
ossidiana
-
Buonasera, capo – si presentò umilmente il
Pinguino, togliendosi nuovamente il
cappello. Fece un cenno di saluto anche ai due, poi poggiò
una mano sulla
spalla di Surge, che sussultò, ma senza staccare gli occhi
dall’altro.
-
Posso avere il piacere di presentarle questo giovane? Si chiama Surge,
l’ho
recuperato da quella feccia del Parco dei Duelli.
Il
ragazzo dai capelli blu si pose di fronte a loro. Aveva un buon
profumo, acqua
di colonia probabilmente. Era inebriante. Surge sentiva che cominciava
a
girargli la testa.
-
Surge – ripeté, come assaporando quelle parole.
– Dal Parco dei Duelli.
Fece
un sorriso affilato come una lama. – Sei venuto in
rappresentanza dei tuoi amici?
– domandò.
Il
biondo si riebbe e guardò di lato con disprezzo, - Pff,
amici? Io non ho amici!
Lo
disse come se ne andasse fiero. Questo suscitò un verso di
approvazione
nell’altro.
Cobblepot
si introdusse di nuovo nella discussione; gli aveva detto di badare a
quel che
diceva e a come lo diceva. – Le chiedo perdono se mi sono
permesso di portarlo
qui. Ho pensato che ci avrebbe fatto comodo qualcuno che potesse
raccontarci
tutto su quei maledetti che stanno intralciando i nostri piani.
Gli
occhi dell’altro brillarono di una luce sinistra mentre gli
angoli della bocca
si sollevavano leggermente. – E hai pensato bene –
ammise.
Dietro
di loro, Lorelei fece una leggera smorfia con la bocca.
-
Parco dei Duelli? – domandò a quel punto Aaron.
– E cosa sarebbe?
-
Soltanto un piccolo pezzo di terreno al quale sarei interessato
– commentò il
ragazzo dai capelli blu. Poi si rivolse a Surge: - E così,
saresti davvero
disposto a tradire i tuoi compagni per l’uomo che ho mandato
a distruggerli?
E
così dicendo, lanciò un’occhiata di
sfuggita a Cobblepot. Quello non si era
rilassato neanche un po’, nonostante l’altro si
fosse trovato d’accordo con
lui.
-
Non ho compagni così come non ho amici –
ribadì Surge. A quel punto, il ragazzo
dai capelli blu scoppiò in una sonora risata, cosa che fece
sgranare gli occhi
sia al Pinguino che a Lorelei. Evidentemente non ci erano abituati.
-
Mi piace questo qui! – ammise poi quello dai capelli blu,
guardando Cobblepot.
– Oswald, hai la pelle dura, eh? O quantomeno sai come
venderla.
Quello
emise un gorgoglio dal fondo della gola. Dunque era scampato pericolo?
Conservando
quello strano, e a tratti inquietante sorriso, il ragazzo tese la mano:
- E’ un
piacere averti con noi, Surge. Io sono Zachary, Zachary Devon.
A
quel nome, Surge sgranò gli occhi e sentì la gola
seccarsi.
Quello
che gli tendeva la mano era niente meno che il figlio di Giovanni
Devon, il
prossimo presidente della compagnia. Se solo Surge avesse avuto qualche
nozione
base di economia, avrebbe saputo che tipo di persona era davvero quella
che
aveva davanti. Arriva per chiunque la notte, il momento della giornata
in cui
tutti si tolgono dai piedi e tu rimani solo con i tuoi demoni. Quel
momento in
cui, anche dopo il coito più acceso con la bella ragazza che
hai abbordato al
bar o col ragazzo con cui ti frequenti da mesi, ti stendi e prima di
dormire
guardi il vuoto, e pensi a tutto quello che hai fatto e ti domandi che
conseguenze potrebbe mai avere.
Quando
Zachary Devon fissava il vuoto, la notte, prima di dormire, non vedeva
assolutamente
niente. E la sua testa era sgombera da ogni tipo di pensiero o rumore
di fondo.
Non c’erano demoni ad attendere Zachary negli angoli bui
della stanza, nel
freddo delle notti d’inverno, sotto le braci ormai spente.
Non c’erano perché lui
era i suoi demoni.
Per
lui, ogni cosa aveva un prezzo, tutto era valutabile in azioni. Quando
sedeva
al proprio laptop, Zachary non faceva certo come in quei dannati film
americani
che tanto odiava, dove si battevano tasti a caso su uno schermo nero
sul quale
uscivano combinazioni di lettere e numeri in verde, e dove il mouse non
esisteva. Lui non faceva funzionare programmi suonando la tastiera come
un
pianoforte, e non lavorava su siti oscuri che andavano avanti anche
quando ti
fermavi per bere un caffè. Quando era a lavorare alla sua
scrivania, sul laptop
di Zachary c’erano sempre aperti un foglio di Excel con il
rendiconto delle
loro azioni costantemente aggiornato, assieme all’elenco
degli ordinativi, e
una maschera di Acces ridotta a icona subito a fianco sulla barra degli
strumenti, vicino all’icona del browser, delle cartelle,
dello store, del
blocco note, di Word e One Note. Non aveva bisogno di Spotify; sia lode
all’America per il Muzak.
Oh,
e lui il mouse lo usava eccome.
Se
Surge si fosse informato un poco, avrebbe saputo che la bevanda che gli
piaceva
tanto, la Southern Comfort più Seven-Up, stava venendo
esportata nei paesi
orientali, dove non c’era mai stata. E di chi era il merito?
Di Zachary Devon.
La Devon commerciava in molteplici settori, non solo nel campo del Duel
Monsters, anche se quello era senza dubbio il più
redditizio. Ogni cosa poteva
fare da sponsor, perciò comprare la Southern Comfort
più Seven-Up garantiva uno
striscione in più sulla sede dell’Altopiano
Vittoria, e la felicità di papà
Giovanni. Quando Zachary dava l’assenso all’esporto
in Cina e Giappone della
bevanda, dava anche il suo assenso alla deforestazione per costruire le
nuove
fabbriche. E cosa gli importava se il polmone del pianeta andava a
fuoco?
Nulla,
perché tutti devono morire e perché è
così che gira l’economia. Non esiste codice
morale che regga di fronte alla fredda logica matematica. E la fredda
logica di
Zachary era ciò che gli aveva garantito il successo a soli
ventun’anni, assieme
a un’educazione perfetta, a un completo autocontrollo e a una
mente capace di
elaborare in breve tempo gli schemi più complessi.
Dopotutto, la laurea ad
Harvard non l’aveva presa in undici mesi per meritocrazia.
Inconsapevole
di buona parte di queste cose, Surge allungò una mano
tremante, e ricambiò la
stretta. L’altro aveva una presa salda, da lanciatore di
baseball.
-
Sei stato furbo, Oswald – disse poi Zachary, lasciando andare
la mano di Surge.
– Sapevi che se fossi tornato a mani vuote non te
l’avrei fatta passare liscia.
Cobblepot
strinse con forza sia ombrello che tuba. – Vi ho servito
fedelmente per anni –
disse, come in sua giustificazione. – Merito una seconda
possibilità.
-
E l’avrai – lo rassicurò Zachary. Poi
tornò a guardare Surge: - Una volta che
il tuo nuovo “amico” ci avrà raccontato
tutto quello che sa sul Parco dei
Duelli, e soprattutto sul ragazzino che ti ha così
facilmente umiliato.
Gary
e Aaron si scambiarono un’occhiata a quelle parole. Cobblepot
scoprì i denti e
sputò fuori il suo disprezzo: - Quel dannato Alan!
A
quel nome, gli occhi di Gary si illuminarono, e abbandonò il
tono da
spocchioso. – Alan? Hai detto Alan?
Tutti
i presenti concentrarono la loro attenzione su di lui. Ora anche
Zachary sembrava
intrigato.
-
Lo conosci? – gli domandò.
-
Se è chi penso che sia – fece Gary, afferrandosi
la polo al centro e
stringendo, come se volesse strapparsi il cuore – mi
meraviglio che non lo
conosciate anche voi.
Zachary
incrociò le braccia. – E’ molto
difficile sorprendermi – lo avvertì.
Gary
fece una risatina. – Ah sì? Buon per te.
Lorelei
e Cobblepot sussultarono. Nessuno poteva dare del tu al capo, nessuno.
Ma
quello rimase impassibile. Gary avvertì un certo disagio a
quel silenzio di
risposta, ma proseguì. – Il suo nome è
Alan Kalos – rivelò. – Un tempo eravamo
amici.
Gareggiavamo per le finali del campionato regionale di due anni fa. Ma
avevo
sentito che non duellava più…
Si
strinse nelle spalle.
-
Alan Kalos? – Dopo averlo ripetuto, un lampo si accese negli
occhi di Zachary,
che sembrò ricordare. Andò verso la scrivania, e
lo sentirono dire: - Ma certo.
Il campionato di due anni fa. Quel
campionato.
Si
sedette, e invitò gli altri a fare lo stesso, indicando loro
i divanetti. –
Molto bene – osservò. – Lorelei, penso
sia ora di aprire quella bottiglia di
scotch invecchiato.
-
Dice sul serio, signore? – domandò quella, con il
rossore sulle guance.
-
Oh, certo – confermò lui con un sorrisino.
– Questa sarà una serata
interessante.
Giunse
le mani, mentre la rossa si avviava all’armadietto dei
liquori. Il suo sguardo d’ambra
si posò sui presenti uno ad uno.
-
Gary Oak, il tre volte campione regionale. – Quello sedeva
con un braccio
pendente dal divanetto e le gambe accavallate.
-
Aaron Underwood, il secondo qualificato. – Il verde si
mordeva un’unghia,
nervoso.
-
E infine… - il suo sguardo scivolò lentamente,
come se avesse melassa negli
occhi. – Il nostro ultimo arrivato, Surge del Parco dei
Duelli.
Quello
sedeva nervoso come non mai. Il sorriso di compiacimento di Zachary si
allargò.
– Ottimo, davvero ottimo.
Si
rilassò appoggiandosi allo schienale della sua poltroncina,
e poggiò le mani
sulle gambe. – Credo sia arrivata l’ora di
spiegarvi perché vi ho convocati
qui, a quest’ora della notte. Siete stati molto gentili a
fare tutti quei
chilometri per me.
Nessuno
parlò. Lorelei riempì loro cinque bicchieri, uno
anche per Cobblepot. Zachary
la invitò ad aggiungerne un altro per lei, cosa che fece con
il rossore che
diventava quasi purpureo.
Il
figlio di Giovanni prese il bicchiere e lo tenne sollevato. –
Vi assicuro che
se collaborerete con noi, la Devon sarà felice di soddisfare
ogni vostra
esigenza. Fama…
Guardò
Lance. – Rivalsa…
I
suoi occhi si puntarono su Aaron. – E potere. Oltre ogni
immaginazione.
E
stavolta guardò Surge. Quello era rapito da ogni singola
parola. Non si
domandava neanche più come ci fosse finito lì,
come fosse iniziata quella sera.
Lance che lo lanciava dal tetto dell’ospedale sembrava un
lontano ricordo.
Contava solo l’attimo presente, e il fatto che ne facesse
parte. Era abbastanza
per non pensare a un cazzo di niente e lasciarsi andare. Perdere il
controllo
non faceva male.
Afferrò
il bicchiere, e si alzò per brindare. Guardò
Zachary negli occhi, e quello ricambiò
con un sorriso a labbra chiuse.
-
Possiamo cominciare – dichiarò. – Siete
qui per… ohh. Surge? Hai un deck in
testa, o per caso sei felice di essere qui stasera?
ANGOLO
DELL’AUTORE
Hola,
popolo di EFP!
Che
dire? Pare proprio che io vi abbia
leggermente mentito: vi aspettavate l’incredibile rivelazione
sul misterioso
passato di Alan, eh? E invece no!
Come
disse Marshall D. Teach non troppo
tempo fa in One Piece: “Troppo presto, ragazzino, troppo
presto”. È giusto
tenervi ancora un po’ sulle spine. Questo non
diventerà una specie di meme, una
sorta di “Aspettando Godot”. Vi assicuro che faremo
chiarezza sul passato del
nostro Alan, su Lucius e su cosa l’ha spinto ad abbandonare
il Duel Monsters. E
anche prima di quanto immaginiate. Ma rivelarlo in questo capitolo
sarebbe
stato prematuro, e anti climatico. Perché credetemi: quando
finalmente lo
scoprirete, sarà speciale. Mi piace pensare che
sarà uno dei ricordi indelebili
di questa storia.
Nel
frattempo, possiamo anche
divertirci un po’: scrivetemi pure un messaggio privato, se
vi va, nel quale vi
mandate le vostre ipotesi su cosa potrebbe aver spinto Alan a ritirarsi
dalla
scena. Meglio non farlo nelle recensioni, gli altri potrebbero
ispirarsi,
qualcuno potrebbe addirittura arrivarci. Però se volete
scrivetemi in privato,
anche solo due righe. Io non vi dirò se avete ragione o
torto, ma quando quel
momento arriverà – e ripeto, arriverà
prima di quanto possiate immaginare, ma
non posso dirvi quando – io potrò riprendere quei
messaggi, e vedere chi magari
ci ha beccato, e chi ci è andato più vicino.
Sarei
molto curioso!
Nel
frattempo, questo capitolo come
avete potuto vedere è stato diverso dagli altri.
È stata un’immersione nel lato
oscuro della forza, se così possiamo dire. Abbiamo
finalmente guardato negli
occhi colui che muove i fili, il capo del Pinguino e, in ultima
istanza, il
principale antagonista della prima parte di questa fan fiction: Zachary
Devon,
figlio di Giovanni.
Vi
avevo detto che è in arrivo una
tempesta, e sarà proprio Zachary a portarla.
Cos’avrà in mente, servendosi di
gente come Gary, Aaron e persino di Surge ora? Una cosa è
certa: è un genio, è
senza scrupoli, e, ve lo assicuro, è anche fortissimo. E i
nostri amici avranno
la sfortuna di scoprirlo molto presto. Perché quando Zachary
deciderà di fare
la sua mossa e di scendere in campo di persona – come fanno
tutti i buoni antagonisti,
del resto – nessuno sarà in grado di fargli
fronte. E il nostro Alan, ce la
farà?
Ma
è presto per scoprirlo. Certo è che
se Alan è l’eroe del Parco dei Duelli, e Zachary
quello che vuole vederlo
distrutto, i due sono inevitabilmente destinati a incontrarsi. E noi
non
vediamo l’ora che questo accada, no?
La
posta in gioco comincia a farsi
alta, molto alta. Ma mentre noi progettiamo in vista del futuro, anche
il
passato può sorprenderci: il primo capitolo di questa fan
fiction ha superato
le 100 visite! Io non so davvero come ringraziarvi. Mi riempie il cuore
di gioia
vedere il supporto che state dando a questa storia. Spero di continuare
così, e
di non deludervi; e se mai dovesse accadere, di tornare alla ribalta
cento
volte più forte.
In
questo capitolo non abbiamo avuto
duelli, e ogni tanto va bene anche così. In compenso, ci
sono un sacco di
riferimenti e di cose da spiegare. Cominciamo da Saffron City e dalla
Devon
Spa: nel mondo di Pokemon, queste due cose non sono collegate. Saffron
City è
Aranciopoli, nella regione di Kanto, ed è sede della Silph
SPA, non della
Devon, che si trova invece a Ferrugipoli, ad Hoenn. Tuttavia, siccome
mi
piaceva l’idea che fosse un’azienda a conduzione
familiare, e il nome Giovanni
Silph non mi garbava affatto, ho preferito mischiare le due cose.
L’aspetto
estetico della Devon è invece ispirato a quello della Silph,
così come il suo
ruolo – nei giochi di prima generazione, la Silph
è infatti occupata dal team
Rocket, e all’ultimo piano c’è Giovanni
in persona. Qui abbiamo trovato suo
figlio, Zachary, che per design è ispirato
all’omonimo pg affrontabile di Yu gi
oh: Duel Links. Gli occhi ambrati sono un mio tocco personale.
La
storia della Devon l’ho chiaramente
riadattata io, così come quella di Cobblepot, anche se molti
elementi sono
presi dalla sua biografia originale. Non conosco però il
nome della ragazza che
lui ha portato al ballo, così me lo sono inventato sul
momento.
Lorelei
è la prima dei Superquattro di
Kanto, invece. Per finire, devo ringraziare moltissimo, per la parte
sulla
descrizione della Devon e sull’operato di Zachary due fattori
diversi:
-
il libro di Stephen King “Uscita per
l’inferno”; mi sono ispirato a un suo passo per la
descrizione degli uffici
interni. Il Re è magistrale come sempre.
-
i miei amici con cui ho passato due
giornate meravigliose questo giovedì e venerdì.
Sentendoli parlare di economia
e di come certe volte bisogna mettere a tacere il proprio senso morale,
ho approfittato
per disegnare un minuscolo scenario della realtà economica
che, purtroppo, pare
si trovi davvero ai piani alti.
Spero
che abbiate gradito davvero. E siccome
mi sono dilungato già abbastanza, direi che possiamo
rivederci la prossima
settimana!
Nel
prossimo capitolo: “Miss Parco dei
Duelli”
Un
simpatico
concorso di bellezza per i nostri amici del Parco diventa
l’occasione per una
ragazza di provare a tutti il suo animo da guerriera. Orgoglio e
bellezza si
sfidano in una battaglia mortale per il riconoscimento del proprio
ruolo. Non perdetevelo!
Ciao
ciao da UlquiorraSegundaEtapa!!
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