Crossover
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Autore: UlquiorraSegundaEtapa    16/09/2019    4 recensioni
Dal capitolo 4:
"Il ragazzo dovette fare i conti con una verità che era stata ovvia per lui in passato, ma che ora cominciava ad apparirgli stranamente scomoda: tutti duellavano. Era come fumare, arrivi al liceo e tutti fumano. Ecco, alla loro età tutti duellavano. Erano la generazione dei duellanti. Alan si sentiva come un pesce fuor d'acqua. Peggio.
Si sentiva come un uomo che aveva fatto voto di castità ad Amsterdam"
La storia di Alan, dei suoi amici e della lotta con i suoi demoni, immaginari e reali. In un mondo dominato dal Duel Monsters, diventato sport nazionale, non c'è pace per chi vuole ritirarsi dalla scena. Il passato torna sempre a bussare alla porta, e quando lo fa non ammette rifiuti.
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 8: Come pezzi su una scacchiera
 
 
Stavolta, Cobblepot non si era presentato col suo Mercedes nero, ma con una elegante limousine, sempre coi vetri specchiati. A Surge ricordava tanto quelle da cui vedeva uscire i gangster nei film che guardava da piccolo. Mai avrebbe pensato di ritrovarsi su una di quelle vetture, con uno di quei gangster. Ma supponeva che ormai tutto potesse succedere.
L’interno era uno spazio a quattro posti, con una vetrina che li separava dalla cabina del guidatore. I sedili erano foderati in pelle, e c’era il porta bevande, proprio come nei film. Cobblepot aveva posato il suo ombrello sul sedile vuoto accanto a sé, e aveva invitato l’altro a salire. Surge aveva scoperto, con una certa sorpresa, di non avere motivi per rifiutare. In fondo, cosa aveva da perdere?
Surge puzzava come la spazzatura nella quale era finito, ma questo non sembrava importare troppo al suo ospite. Il Pinguino guardava fuori dal finestrino oscurato, guardava la città che passava loro di fianco.
Poi disse: - Sai, Surge, tu e io non siamo poi così diversi.
- Ah no? – rispose quello, brusco.
Cobblepot posò il suo sguardo su di lui, un ghigno che si apriva sotto al naso adunco. – Naturalmente. Noi non condividiamo lo stesso sistema di valori della gente in quel ridicolo Parco. Noi abbiamo capito che il Duel Monsters è potere, e che il potere non opera sempre con mezzi leali.
Surge incrociò le braccia sul petto. Dove voleva andare a parare?
Il biondo aveva ancora una sua dignità, e rifiutava di identificarsi in un criminale di bassa lega come il Pinguino. Eppure, una parte minuscola della sua coscienza gli suggeriva che, molto in fondo, quel che diceva l’altro non era del tutto privo di fondamento.
- Sai, ho capito che tu non avevi nulla da spartire con quelli là la prima volta che mi sono presentato – continuò l’uomo. – Tu eri arrogante, indisposto, ti astenevi dal mischiarti con loro. Ti ho osservato, Surge, e il tempo non ha fatto altro che confermare la mia teoria.
- La teoria secondo cui anch’io mi metterò a girare con un ombrello d’estate? Ma non farmi ridere – disse sprezzante il giovane. Cobblepot rispose a sua volta con una risatina che gli fece gelare il sangue.
- Se solo sapessi quanto facilmente potrei sbarazzarmi di te – e nel dirlo afferrò l’ombrello così in fretta che Surge non se ne rese conto finché non se lo ritrovò alla gola, la punta affilata che premeva contro la carne abbronzata. – Non faresti tanto lo stronzetto.
Cercò di farsi più indietro, ma i sedili non offrivano altro spazio. Sentì una leggera punta di dolore quando l’ombrello lacerò la carne e un rivolo di sangue gli corrette giù per il collo. Digrignò i denti: - E che cazzo sei venuto a fare stasera, allora?
Cobblepot lo studiò un po’, prima di riporre l’ombrello con un’altra risatina. Surge si massaggiò il collo, preoccupato più per le infezioni che poteva prendersi che per il sangue in sé, con tutto quello che quell’ombrello toccava.
- Te l’ho detto. – Cobblepot ripose l’ombrello e giunse le mani. Sembrava ancora più grasso, ora che i suoi abiti erano tutti schiacciati. – C’è una persona che voglio presentarti.
- Organizzi appuntamenti galanti, ora?
- Fai poco lo spiritoso, ragazzino – lo ammonì l’altro, perdendo il suo sorriso. – Io potrei essere l’ultima speranza per salvarti il culo. E anche tu.
Surge aggrottò la fronte. – Di che diavolo parli?
- Vedi, io lavoro per persone di una certa importanza – gli spiegò con orgoglio Cobblepot. – Uomini di cui tremeresti al solo sentirne il nome. E avendo una loro immagine da mantenere, be’, non sono molto tolleranti con chi li delude. Io avevo il compito di appropriami del Parco dei Duelli, ma quel fottuto ragazzino, Alan, me l’ha impedito.
Strinse il pugno grassoccio, e fece sbiancare le nocche. – So perfettamente che se dovessi tornare a mani vuote, sarebbe per l’ultima volta. Tu sei, diciamo, il mio lasciapassare per potere avere ancora qualche giorno di vita.
Surge parlò tra i denti. – Mpf, sei senza vergogna.
- Certamente! – esclamò l’altro. – Però voglio che tu guardi al lato positivo della mia azione. Funziona in entrambi i sensi, lo sai?
- Ah sì? – Surge aveva i suoi dubbi.
- Certo. Ora che sei stato battuto da Lance e ti è stato proibito mettere di nuovo piede al Parco dei Duelli, cosa credi che farai, eh?
Surge fece un ringhio stizzito, ma nulla di più. Can che abbaia non morde, dopotutto. E il Pinguino lo sapeva fin troppo bene. Il suo ghigno si allargò. – Come ti ho detto, lavoro per persone potenti. Persone di una certa influenza. E a loro sono sicuro che farebbe comodo uno come te. Dopotutto, sei un tipo senza scrupoli, no?
Su quello, Surge non aveva niente da ridire.
- Loro potrebbero offrirti protezione, accoglienza. E rimetterti in carreggiata.
- Non ho bisogno di rimettermi in carreggiata – protestò Surge, ma mentiva.
- Certo, come no – gli fece il verso Cobblepot. – Mettiamo in chiaro una cosa: io non sono il buon samaritano. Voglio solo pararmi il culo, e tu puoi aiutarmi nella cosa. E, guarda caso, questo potrebbe fruttare anche a te. Ti sto offrendo un’occasione come non te ne ricapiteranno nella tua fottuta esistenza. Quindi vediamo di non prenderci per il culo.
Surge tacque. Odiava dover dare ragione a quell’essere spregevole, e odiava ancora di più doversi identificare in lui, perché quello avrebbe significato che anche lui era un essere spregevole. E Surge non si riteneva tale. Lui era un campione. O almeno, era quello che avrebbe voluto essere.
- La vita non ti regala niente, lo sappiamo – proseguì Cobblepot, aprendo il palmo della mano. – Quando ero piccolo, mio padre è morto per una polmonite a seguito di un temporale. Così, mia madre è diventata iper protettiva nei miei confronti, costringendomi a portarmi sempre dietro l’ombrello.
Lo impugnò e prese ad accarezzarlo, come se fosse vivo. Quella scena mise a Surge una strana ed irrazionale paura. Mentre parlava, Cobblepot fissava l’ombrello, messo per lungo sulle sue ginocchia, e ora la sua voce si era addolcita. Era come se lo cullasse.
- Mia madre aveva paura che facessi la fine di mio padre. Era una rompicoglioni, ma mentirei se dicessi che non mi voleva bene. Il problema, anzi, era che me ne voleva troppo. A volte, le madri non sanno che la misura del loro amore può essere eccessiva, e non è vero che l’amore è sempre una cosa buona. Specie quando diventa motivo di scherno.
Soppesò l’ombrello. – A scuola c’era un coglionazzo che si faceva beffe di me. Ricordo ancora il suo nome: Randall Holmes. Il classico tipo che piaceva alle ragazze e che mi fotteva i soldi della merenda. Diceva che mi piacevano gli uccelli, lo diceva a tutti, ed era vero. Ma non quelli che pensi tu.
Per quanto potesse sembrare strano, in quel momento a Surge non era venuta affatto voglia di scherzare. Né da chiedersi dove volesse andare a parare il Pinguino con quel recap della sua vita.
- Mia madre aveva un negozio di animali. Sono cresciuto in mezzo al tanfo e ai loro peli. Ma ricordo soprattutto gli uccelli. Mia madre vendeva pappagalli, canarini… e pinguini. Quegli uccelli così strani mi hanno attirato fin da subito. Ma sono anche stati la mia rovina. Colpa di un branco di ragazzini idioti che non sanno distinguere fra uccelli e uccelli.
Strinse il pugno, poi si infilò la mano dentro al soprabito. – E’ stato per caso, un giorno, mentre tornavo da scuola dopo l’ennesima batosta, che sono passato davanti a un’edicola. E lì li ho visti, dei pacchetti di carte da gioco.
Estrasse il suo deck, compatto nella sua mano grassoccia. Lo guardò come si guarda al tesoro più prezioso che ci sia. – Ho investito i miei pochi risparmi in quelle carte da gioco. Non appena ho capito che cos’era il Duel Monsters, e cosa sarebbe potuto diventare, ho visto l’occasione che avevo per rifarmi. Non solo agli occhi di chi mi sbeffeggiava, ma anche agli occhi delle ragazze che non mi avevano mai considerato.
Si toccò il naso adunco. – Cominciai a lavorare per i vicini. Tagliavo il prato, portavo a spasso il cane, cose del genere. E ogni mio centesimo l’ho investito nella creazione di questo deck.
- C’era un barbone, dietro la scuola, il vecchio Sam O’Conner. Puzzava come una fogna aperta e aveva l’alito che sapeva di birra scadente, con i denti marci che sembravano canditi. Non era proprio un bel vedersi, ma una cosa la sapeva fare: era bravo a duellare. Così, quando ebbi finito di farmi il deck, cominciai a investire i miei risparmi in altro modo. Lui mi insegnava a duellare, e io gli davo i soldi per comprarsi la birra e qualche tramezzino. Dopo qualche mese, ho sfidato quel dannato Randall Holmes a duello, e l’ho battuto davanti a tutta la scuola.
La soddisfazione si impossessò della sua voce a quel ricordo. Surge si ritrovò malinconicamente a pensare che, forse, arrivati a una certa età, i ricordi erano tutto ciò che si aveva per essere felici.
- Ma quell’umiliazione non era ancora sufficiente. Doveva pagare per tutto ciò che mi aveva fatto, per tutte le cattiverie che aveva perpetrato. E siccome il vecchio Sam non mi aveva insegnato solo a duellare, ma anche qualche trucchetto della vita da strada, gli ho sfregiato il volto con la punta del mio ombrello.
Mimò il gesto in quello spazio ristretto, e Surge ebbe un sussulto repentino. Cobblepot ridacchiò.
- Una lezione per sempre. Quell’evento mi ha garantito potere e rispetto. Improvvisamente, tutti mi venivano dietro. Tutti volevano uscire con me, tutti volevano essere al mio seguito. Ma nessuno osava sfidarmi a duello. Quella fama così tanto repentinamente acquisita, era anche divenuta la mia nuova condanna.
- Le gioie date dal mio potere a scuola sono state esigue, ma comunque soddisfacenti. Al ballo di fine anno, ho pagato Patricia McCornwell, la ragazza più carina della scuola, per venirci con me. La ragazza più carina con lo schifoso Pinguino. E poi l’ho scopata nel parcheggio della scuola. Il tutto per un quantitativo di dollari con cui, all’epoca, ci compravi un deck come questo.
E lo sollevò. – Sì, il mio deck ha il valore di una trombata con Patricia McCornwell.
Ghignò. – Finita la scuola, sono entrato nel vero business. Quando volevano pignolarci il negozio, me lo sono ricomprato sfidando a duello il compratore, e ho cominciato il mio contrabbando di carte contraffate al porto. E da allora, la mia scalata al potere è proseguita senza intoppi.
Poi il suo sguardo si rabbuiò. – Finché non ho conosciuto l’uomo alle cui dipendenze sto ora.
La macchina si fermò di colpo, e Surge venne sbalzato leggermente in avanti. Fece una smorfia mentre ricadeva con la schiena contro il sedile.
- Perché mi hai raccontato tutto questo, Cobblepot? Cos’è, mi hai scambiato per un confessionale?
L’altro rise di gusto a quel paragone. – Non farmi ridere – gli disse poi, ricordandogli qual’era il suo posto e la differenza di posizioni tra loro. – Ora che conosci la mia storia, pensi davvero che ti lascerei andare? Se stasera vado all’inferno, ti trascino con me.
Quell’eventualità raggelò il biondo, che aveva per un attimo dimenticato con chi aveva a che fare. Il criminale glielo lesse negli occhi, e ne fu soddisfatto. Da fuori, aprirono le portiere.
- Coraggio, Surge – lo esortò. – Stanotte potrebbe iniziare la tua nuova vita. E anche la mia.
Scesero, e si ritrovarono immersi in una cappa d’afa. Erano nel centro di una qualche città, e molto lontano dal mare, a giudicare dall’umidità che infestava quella zona. Il sudore incollava i vestiti al corpo. Surge si guardò intorno: il cielo non era che uno spicchio scuro in mezzo alle cime di innumerevoli grattacieli.. Non riconosceva affatto quel posto.
- Dove siamo? – chiese repentinamente al Pinguino.
Quello era sceso dalla macchina, e si accompagnava al suo ombrello appuntito come al solito. Ora che sapeva che aveva sfregiato la faccia di qualcuno, forse anche più di qualcuno, con quello, lo guardava sotto un’altra luce. Dopotutto, lui era sempre il criminale che aveva tormentato il Parco dei Duelli fino all’altro ieri. Magari se qualcuno di loro lo avesse sfidato e avesse perso, si sarebbe ritrovato il viso sfigurato come Randall Holmes. Aveva fatto bene a farsi gli affari suoi.
Quello lo guardò sistemandosi la tuba in testa. – Sei molto lontano da casa, ragazzo – gli rispose. Poi volse lo sguardo, e quando Surge lo seguì si ritrovò a spalancare la bocca.
Davanti a loro, si stagliava contro il cielo notturno un imponente edificio, talmente imponente da svettare persino sopra gli altri. Impossibile calcolare quanti piani avesse, ed erano tutti in vetro, il che comportava che fossero difficili da scaldare d’inverno e impossibili da raffreddare d’estate. Era quasi del tutto immerso nel buio, eccezion fatta per una luce che brillava molto in alto, quasi a far compagnia alle stelle. Una scritta campeggiava, enorme, sulle vetrate:
 
DEVON SpA
 
- La Devon? – fece Surge, incredulo. – Questa è la Devon SpA? Vuol dire che siamo a…
- Saffron City – finì per lui il Pinguino. – Come ti ho detto, sei parecchio lontano da casa, stasera.
Si sistemò di nuovo il cappello, poi disse ai suoi uomini. – Voi aspettateci qui. Conto di far ritorno.
A quelle parole, Surge non trattenne un groppo alla gola. Cobblepot si avviò verso l’edificio. Dopo pochi istanti di incertezza, Surge si risolse a seguirlo. Quale altra scelta aveva? Ormai era in ballo.
L’atrio era illuminato, come la finestra all’ultimo piano. Le porte a vetro erano a scorrimento, e si aprirono quando Cobblepot passò un badge su un display lì accanto. Il goffo uomo lo precedette, mentre Surge si guardava intorno, alquanto ammirato. Dopotutto, uno come lui non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in un posto come la sede della Devon. Chiunque giocasse a Duel Monsters conosceva la Devon.
Ai suoi albori, la Devon era una società mineraria. Ricavava pietre dalle cave e limature di ferro dalla sabbia. Tuttavia, dopo aver trovato, letteralmente, una miniera d’oro, aveva investito in azioni e aveva decuplicato il proprio patrimonio. E così, capendo che aria aveva cominciato a tirare negli anni, aveva volto la propria attenzione all’attrattiva principale: il Duel Monsters. Oggi, la Devon si occupava di tutto ciò che riguardava il mondo dei duelli, ed era la diretta rivale della Kaiba Corporation, che deteneva ancora il monopolio, anche grazie alla fama del suo presidente, Seto Kaiba.
Ma Giovanni Devon, proprietario dell’azienda di famiglia, non era di certo da meno. Era lui, da diversi anni a quella parte, a organizzare tornei di Duel Monsters che avevano risonanza a livello mondiale, e che permettevano a quelli che prima erano dei semplici sconosciuti di raggiungere un successo inimmaginabile. E naturalmente, la cosa aveva attirato l’attenzione della Kaiba Corp. La fusione tra le due compagnie sembrava ormai essere alle porte.
L’atrio in cui si trovavano i due era un ampio spazio dal soffitto alto, il pavimento piastrellato di blu, con molteplici divanetti e tavolini bassi con dei pouf gialli e blu. Al centro c’erano due fontane in perenne funzione. Quando ci passarono vicino, gli zampillii colpirono Surge in faccia e lasciarono qualche goccia più scura sul nero della canotta.
Ai lati erano disposti dei vasi con delle piante verdi lunghe e alte, che Surge non sapeva distinguere perché non ci capiva un cazzo di piante e non gliene era neanche mai fregato. Su una delle pareti c’era un’enorme cornice che conteneva la sigla:
 
DEVON SpA
“Tutto ciò di cui avrete bisogno,
lo troverete da noi”
 
Era uno slogan accattivante.
Si diressero verso la parete in fondo, che aveva tre ascensori. Scelsero quello di mezzo. Cobblepot passò di nuovo il suo badge, e poi si accese una luce verde. Quando le porte si aprirono, Surge avvertì una certa tensione e un movimento nella zona dell’inguine. Non ci poteva credere.
Cobblepot passò per la terza volta quella sera il badge su una fessura posta accanto al display dell’ascensore. Chissà se lì anche la macchinetta del caffè funzionava col badge.
Quando la luce verde di conferma si fu accesa, il Pinguino digitò un numero sulla tastierina: cinquantaquattro. Andavano al cinquantaquattresimo piano. Quel posto aveva più di cinquantaquattro piani. Roba da vertigini.
L’ascensore cominciò la sua salita. Fu allora che sulle labbra di Surge affiorò un sorriso a metà tra il nervoso e il divertito, la fronte madida di sudore alla luce dei led della cabina.
- Porca troia… - mormorò. – Sono alla Devon.
Accanto a lui, le mani entrambe poggiate sull’ombrello, Cobblepot commentò: - E’ presto per esserne entusiasti. Potrebbe essere l’ultima cosa che vedrai.
Preso da una strana eccitazione, Surge gli rispose: - Chi se ne importa. Il solo fatto di essere qui… cazzo, me l’ha fatto venire duro.
Abbassò gli occhi sul rigonfiamento dei suoi pantaloni. Cobblepot gli lanciò un’occhiata per poi fare una smorfia disgustata. – Se non altro, ora so che sei abbastanza malato.
Si tolse il monocolo e lo pulì contro il cappotto. – Cerca di fartela passare. Se mi presento davanti al capo con un ragazzino col durello, sarà difficile convincerlo che hai un deck in tasca.
A Surge si accese una lampadina – sì, ogni tanto succedeva: e se, visto il luogo in cui erano, il suo capo fosse stato nientemeno che Giovanni Devon? Possibile?
Il pensiero di apprestarsi a incontrare Giovanni Devon gli faceva un effetto molto singolare. La cosa, stranamente, non faceva che invigorire la sua erezione.  Ora sì che le parole di Cobblepot avevano senso: aveva detto che le persone per cui lavorava erano molto influenti; e Giovanni Devon era decisamente uno influente.
- Hai qualche idea? – gli domandò il biondo, mantenendo il sorriso nervoso.
- Potrei darti un’ombrellata sull’uccello – propose allegramente Cobblepot.
- Oppure?
Il malavitoso ghignò, il monocolo che riflesse per un attimo la luce. – Pensa a tua nonna.
 
Quando Alan ebbe finito di raccontare, Lance si lasciò ricadere sullo sgabello. Rischiò di finire per terra, ma riuscì ad appoggiarsi ai bordi e a mantenersi in qualche modo saldo. Saldo non era esattamente l’aggettivo che avrebbe utilizzato, ma in quel momento altri non gliene venivano.
In testa aveva un caos da capogiro. Dopo attimi in cui il silenzio la fece da padrone, il rosso riuscì nuovamente a guardare Alan. Gli sembravano passati vent’anni da che erano lì. Si sentiva invecchiato e non sapeva il perché. Forse perché, adesso, lui portava parte del peso di quella confessione. Era in qualche modo complice dell’altro.
- Il mio parere su di te non è cambiato dopo quanto mi hai detto stasera – riuscì a dirgli. Si sentiva la voce impastata.
Alan gli sorrise nella penombra della stanza. – No, non è vero.
La sua risposta lo spiazzò. – Te lo leggo negli occhi. Conosco bene il sentimento che trasmettono. Quella pallida, malriuscita imitazione della pietà. Non puoi avere compassione per me. E la pietà non è ciò che mi serve.
Si rimise lentamente sdraiato, guardando quel soffitto ora un po’ meno sconosciuto.
- Ho visto troppe volte quell’emozione. È per questo che me ne sono andato da casa, e sono venuto qui. Pensavo di essere abbastanza lontano. L’ho pensato a lungo.
Chiuse per un attimo gli occhi. – Io ti ho privato del tuo sogno. Ti ho privato della possibilità di superare tuo nonno, di rifargli un nome, sconfiggendo chi l’ha battuto. Perché non importa quello che dirai o che farai. Non importa quali circostanze potranno mai capitare. Non mi vedrai duellare ancora. E adesso, incredibile ma vero, non ho più bisogno di spiegarti il perché.
Poi tacque. Neanche Lance riuscì a dire qualcosa. Gli venne in mente, in quel momento, che era in un ritardo tremendo e che la sua ragazza, probabilmente, lo avrebbe fatto a pezzi. Ma era possibile sentirsi più a pezzi di così? Non ne era sicuro.
Alla fine si alzò. Guardò Alan, che aveva gli occhi chiusi, e non sapeva se dormisse o meno. Il petto si alzava e si abbassava tranquillamente. Gli diede un’occhiata: Alan non era minuto, ma non era neanche ben piazzato; era un ragazzo nella media, alquanto bello, e con una personalità intrigante.
Si chiese come potesse un corpo così piccolo sopportare una tale sofferenza.
Ma c’è forse una scelta?
Alla fine, riuscì a promettergli: - Non racconterò a nessuno quello che mi hai confessato.
Si portò una mano sul cuore. – Lo giuro.
Alan fece un debole sorriso, privo di allegria. – Te ne sono grato.
E quello chiuse la loro conversazione. Lance lo lasciò riposare, e uscì dall’ospedale guardando per terra. Si controllava i piedi come se non avesse mai saputo di averli.
Quando fu fuori, e il vento caldo lo investì, sentì il suo cellulare vibrare. La sua ragazza, sicuramente. Non aveva scuse, e non poteva dire la verità.
Alzò gli occhi alle stelle, che ricambiarono indifferenti. Pensò che la vita, a volte, sapeva essere davvero crudele.
 
Quando le porte dell’ascensore si aprirono con il classico scampanellio, Surge si teneva il cavallo dei pantaloni ed era piegato in avanti.
- Ti avevo detto di pensare a tua nonna. – Con compostezza, nonostante la sua stazza, Cobblepot se ne uscì dall’ascensore. Surge fece più fatica.
Tuttavia la terapia d’urto aveva funzionato, e ora la situazione nei pantaloni si era afflosciata. Si era fatto venire un’erezione per essersi trovato alla Devon SpA. Aveva veramente raggiunto il punto di non ritorno.
La reception del cinquantaquattresimo piano era arredata con poltroncine da design. Dietro ad essa sedeva una segretaria con gli occhiali e i fulvi capelli rossi, legati in una coda bloccata da un fermaglio dalla forma che Surge non riusciva a identificare. I suoi occhi erano di un azzurro ghiaccio, lo stesso colore dello smalto sulle sue unghie, che sembravano coperte di brina. Indossava un elegante tailleur nero smanicato sopra a una gonna viola, e aveva al polso destro uno spesso bracciale dorato. Non appena arrivarono da lei, lo sguardo del giovane cadde sulla sua scollatura Quanti anni poteva avere? Massimo una quarantina, giudicò il biondo, e comunque li portava molto bene. Si vedeva.
Ed ecco che il rischio erezione si ripresentava tosto. La segretaria sedeva sotto una riproduzione della Notte Stellata di Van Gogh. Il pavimento era coperto da un folto tappeto color ostrica. Il climatizzatore rendeva quell’ambiente fresco e piacevole. Surge si sentiva refrigerato.
La segretaria alzò gli occhi su di loro, un sorriso privo di felicità. – A buon rendere, Oswald – salutò l’altro. Surge non aveva mai sentito il nome di battesimo del Pinguino; saperlo faceva tutto un altro effetto.
Quello si tolse la tuba e se la portò al petto, protendendosi poi nella parodia di un inchino. – Buonasera, Lorelei.
- Il signor Devon ti attende. – Dava del tu, una cosa che nessuna segretaria avrebbe mai fatto. O quella non era una vera segretaria, o aveva appeso la maschera da segretaria per indossare chissà quale altra. Come se avesse captato i suoi pensieri, la rossa spostò lo sguardo su di lui. Inarcò un sopracciglio con un fare estremamente elegante.
- Chi sarebbe il biondino che ti porti appresso?
Cobblepot si volse un attimo a guardare Surge, come se si fosse accorto solo allora della sua presenza, e poi tornò a rivolgersi all’altra. – Qualcuno che voglio presentare al capo. Penso che gli farebbe molto piacere conoscerlo.
La donna, che l’altro aveva chiamato Lorelei, si alzò in piedi. La sua gonna aveva uno spacco laterale dalla quale usciva la gamba più bella che il ragazzo avesse mai visto. La serata si prospettava eccitante, anche se forse non nel modo in cui poi si sarebbe aspettato.
- Questa non è un’agenzia di incontri – lo rimproverò con tono. – E il capo non ha bisogno di un appuntamento.
- Perché ci sei tu, no? – ridacchiò il Pinguino, meritandosi un’occhiataccia da parte dell’altra. – Tranquilla. Sono convinto che gli piacerà.
Lorelei corrugò la fronte, ma non disse nulla. In tutto questo, non aveva affatto calcolato il biondo. Lui, per conto suo, aveva le mani in tasca e pareva molto concentrato sui suoi piedi; in realtà, era interessato allo spacco laterale della donna.
Quest’ultima li precedette lungo il corridoio. Cobblepot fece un cenno a Surge, e poi si misero al suo seguito. Mentre avanzavano, il Pinguino parlò sottovoce al suo nuovo “protetto”: - Ora, quando saremo in quella stanza, lascia parlare per me. Non farti venire in mente di aprire quella bocca se non te lo dico io, o non te lo dice qualcuno. Sempre che tu ci tenga a tornartene a casa, stanotte.
Surge giudicò che quella notte rischiava di diventare fin troppo lunga, talmente lunga da essere interminabile, perciò per una volta diede retta al suo buon senso e si limitò ad annuire. Cobblepot parve soddisfatto. Surge vide che aveva la presa salda sull’ombrello, talmente tanto che le nocche erano bianche. Giudicò che era quello il suo modo per mostrare la paura. Era molto composto, eppure traspariva in quel momento il suo attaccamento alla vita e il timore di perderla.
E Surge? Che dire di lui?
La tensione aumentava a mano a mano che ci si avvicinava alla porta in fondo al corridoio. L’aria era carica di elettricità. Se tendeva l’orecchio, poteva ascoltare dei borbottii concitati dietro la porta chiusa. Quasi sicuramente, Giovanni si trovava là dietro. E non sembrava felice.
Lorelei spalancò loro le porte, poggiandovi sopra le dita con le unghie di brina. E da quel momento, la vita di Surge non fu mai più la stessa.
Entrarono in una stanza abbastanza grande da disorientarlo. In fondo spiccava una scrivania con un’impressionante lastra nera di Lucite. Tutto intorno erano sistemati divanetti confortevoli in pelle nera, e scaffali a vista con gli sportelli in vetro. Vicino alla scrivania c’era una dispensa in mogano piena di liquori: Martini, Jack Daniels, Sheridan, ma anche marche che lui non conosceva – lui beveva soltanto Heineken e uno strano mix di Southern Comfort e Seven-Up.
La stanza era animata da un’accesa discussione: in piedi, al centro, c’erano due ragazzi che dovevano avere più o meno l’età di Surge; uno di loro aveva i capelli verdi a caschetto e un ciuffo sparato in aria come un’antenna. Indossava una camicia cachi sulla quale si vedevano aloni di sudore, e puntava il dito contro l’altro.
- Io mi rifiuto di lavorare con questo stronzo!
Lo stronzo in questione aveva le mani in tasca e indossava una polo blu. Sembrava molto sicuro di sé, e si passò una mano fra i capelli sparati, un braccialetto d’oro che brillò al polso. Era impossibile non sapere chi fossero quei due, se si bazzicava nel Duel Monsters. Erano i due che avevano da poco disputato la finale del campionato regionale: Aaron Underwood e Gary Oak, il campione.
- Questo dovrei dirlo io, casomai – precisò Gary con una risata. – Da quando accettate anche i perdenti? Pensavo che la Devon puntasse solo al meglio.
E così dicendo, con sommo disprezzo di Aaron, che stringeva i pugni e digrignava i denti come aveva fatto sul palco durante la finale, Gary si rivolse all’uomo intento a contemplare la città dormiente dalle vetrate.
Fu allora che Surge lo notò per la prima volta ,eppure sarebbe dovuta essere la prima cosa che l’occhio dovesse catturare appena entrati in quella stanza. La sua presenza era così… be’, presente. Non aveva altri termini per definirla. Dava loro le spalle, intento a contemplare Saffron City, che da lì sembrava un conglomerato di torri di ossidiana avvolte nel buio.
E lui ne era il re.
Aveva le mani intrecciate alla base della schiena, in perfetta posizione eretta. Indossava una di quelle giacche lunghe smanicate, un trend che Seto Kaiba e altri come lui avevano reso famoso, la moda della beat generation di Duel Monsters. I suoi capelli erano del colore del mare di notte, uno strano e inquietante blu, e quando si volse, i suoi occhi ambrati, come quelli di un gatto, non si posarono su uno dei due, ma direttamente su Surge.
Il biondo ne provò un’attrazione fatale, un pensiero di cui si sarebbe sempre vergognato. Ma in quel momento, sentì che fosse impossibile non farsi attrarre da lui. Si era aspettato di trovare Giovanni Devon, invece in quella stanza c’era un ragazzo che doveva essere appena più grande di lui, dai lineamenti delicati ma al contempo decisi, il taglio degli occhi come quello di un predatore, e un’aura irresistibile di potere che lo attorniava. Sembrava brillare di luce propria.
- Dipende da cosa intendi per “meglio” – rispose a Gary quel misterioso ragazzo, ma senza staccare gli occhi da Surge. Il biondo si sentiva come paralizzato sul posto. Fu allora che tutti i presenti si accorsero di lui
- E tu chi dovresti essere? – domandò con poco garbo Gary, mentre quello dai capelli blu lo oltrepassava. Mentre gli veniva incontro, oltre ad essere impossibilitato a muoversi, Surge notò anche che aveva uno strano pendente al collo, una pietra romboidale che mandava riflessi di luce sinistra. Sembrava ossidiana
- Buonasera, capo – si presentò umilmente il Pinguino, togliendosi nuovamente il cappello. Fece un cenno di saluto anche ai due, poi poggiò una mano sulla spalla di Surge, che sussultò, ma senza staccare gli occhi dall’altro.
- Posso avere il piacere di presentarle questo giovane? Si chiama Surge, l’ho recuperato da quella feccia del Parco dei Duelli.
Il ragazzo dai capelli blu si pose di fronte a loro. Aveva un buon profumo, acqua di colonia probabilmente. Era inebriante. Surge sentiva che cominciava a girargli la testa.
- Surge – ripeté, come assaporando quelle parole. – Dal Parco dei Duelli.
Fece un sorriso affilato come una lama. – Sei venuto in rappresentanza dei tuoi amici? – domandò.
Il biondo si riebbe e guardò di lato con disprezzo, - Pff, amici? Io non ho amici!
Lo disse come se ne andasse fiero. Questo suscitò un verso di approvazione nell’altro.
Cobblepot si introdusse di nuovo nella discussione; gli aveva detto di badare a quel che diceva e a come lo diceva. – Le chiedo perdono se mi sono permesso di portarlo qui. Ho pensato che ci avrebbe fatto comodo qualcuno che potesse raccontarci tutto su quei maledetti che stanno intralciando i nostri piani.
Gli occhi dell’altro brillarono di una luce sinistra mentre gli angoli della bocca si sollevavano leggermente. – E hai pensato bene – ammise.
Dietro di loro, Lorelei fece una leggera smorfia con la bocca.
- Parco dei Duelli? – domandò a quel punto Aaron. – E cosa sarebbe?
- Soltanto un piccolo pezzo di terreno al quale sarei interessato – commentò il ragazzo dai capelli blu. Poi si rivolse a Surge: - E così, saresti davvero disposto a tradire i tuoi compagni per l’uomo che ho mandato a distruggerli?
E così dicendo, lanciò un’occhiata di sfuggita a Cobblepot. Quello non si era rilassato neanche un po’, nonostante l’altro si fosse trovato d’accordo con lui.
- Non ho compagni così come non ho amici – ribadì Surge. A quel punto, il ragazzo dai capelli blu scoppiò in una sonora risata, cosa che fece sgranare gli occhi sia al Pinguino che a Lorelei. Evidentemente non ci erano abituati.
- Mi piace questo qui! – ammise poi quello dai capelli blu, guardando Cobblepot. – Oswald, hai la pelle dura, eh? O quantomeno sai come venderla.
Quello emise un gorgoglio dal fondo della gola. Dunque era scampato pericolo?
Conservando quello strano, e a tratti inquietante sorriso, il ragazzo tese la mano: - E’ un piacere averti con noi, Surge. Io sono Zachary, Zachary Devon.
A quel nome, Surge sgranò gli occhi e sentì la gola seccarsi.
Quello che gli tendeva la mano era niente meno che il figlio di Giovanni Devon, il prossimo presidente della compagnia. Se solo Surge avesse avuto qualche nozione base di economia, avrebbe saputo che tipo di persona era davvero quella che aveva davanti. Arriva per chiunque la notte, il momento della giornata in cui tutti si tolgono dai piedi e tu rimani solo con i tuoi demoni. Quel momento in cui, anche dopo il coito più acceso con la bella ragazza che hai abbordato al bar o col ragazzo con cui ti frequenti da mesi, ti stendi e prima di dormire guardi il vuoto, e pensi a tutto quello che hai fatto e ti domandi che conseguenze potrebbe mai avere.
Quando Zachary Devon fissava il vuoto, la notte, prima di dormire, non vedeva assolutamente niente. E la sua testa era sgombera da ogni tipo di pensiero o rumore di fondo. Non c’erano demoni ad attendere Zachary negli angoli bui della stanza, nel freddo delle notti d’inverno, sotto le braci ormai spente. Non c’erano perché lui era i suoi demoni.
Per lui, ogni cosa aveva un prezzo, tutto era valutabile in azioni. Quando sedeva al proprio laptop, Zachary non faceva certo come in quei dannati film americani che tanto odiava, dove si battevano tasti a caso su uno schermo nero sul quale uscivano combinazioni di lettere e numeri in verde, e dove il mouse non esisteva. Lui non faceva funzionare programmi suonando la tastiera come un pianoforte, e non lavorava su siti oscuri che andavano avanti anche quando ti fermavi per bere un caffè. Quando era a lavorare alla sua scrivania, sul laptop di Zachary c’erano sempre aperti un foglio di Excel con il rendiconto delle loro azioni costantemente aggiornato, assieme all’elenco degli ordinativi, e una maschera di Acces ridotta a icona subito a fianco sulla barra degli strumenti, vicino all’icona del browser, delle cartelle, dello store, del blocco note, di Word e One Note. Non aveva bisogno di Spotify; sia lode all’America per il Muzak.
Oh, e lui il mouse lo usava eccome.
Se Surge si fosse informato un poco, avrebbe saputo che la bevanda che gli piaceva tanto, la Southern Comfort più Seven-Up, stava venendo esportata nei paesi orientali, dove non c’era mai stata. E di chi era il merito? Di Zachary Devon. La Devon commerciava in molteplici settori, non solo nel campo del Duel Monsters, anche se quello era senza dubbio il più redditizio. Ogni cosa poteva fare da sponsor, perciò comprare la Southern Comfort più Seven-Up garantiva uno striscione in più sulla sede dell’Altopiano Vittoria, e la felicità di papà Giovanni. Quando Zachary dava l’assenso all’esporto in Cina e Giappone della bevanda, dava anche il suo assenso alla deforestazione per costruire le nuove fabbriche. E cosa gli importava se il polmone del pianeta andava a fuoco?
Nulla, perché tutti devono morire e perché è così che gira l’economia. Non esiste codice morale che regga di fronte alla fredda logica matematica. E la fredda logica di Zachary era ciò che gli aveva garantito il successo a soli ventun’anni, assieme a un’educazione perfetta, a un completo autocontrollo e a una mente capace di elaborare in breve tempo gli schemi più complessi. Dopotutto, la laurea ad Harvard non l’aveva presa in undici mesi per meritocrazia.
Inconsapevole di buona parte di queste cose, Surge allungò una mano tremante, e ricambiò la stretta. L’altro aveva una presa salda, da lanciatore di baseball.
- Sei stato furbo, Oswald – disse poi Zachary, lasciando andare la mano di Surge. – Sapevi che se fossi tornato a mani vuote non te l’avrei fatta passare liscia.
Cobblepot strinse con forza sia ombrello che tuba. – Vi ho servito fedelmente per anni – disse, come in sua giustificazione. – Merito una seconda possibilità.
- E l’avrai – lo rassicurò Zachary. Poi tornò a guardare Surge: - Una volta che il tuo nuovo “amico” ci avrà raccontato tutto quello che sa sul Parco dei Duelli, e soprattutto sul ragazzino che ti ha così facilmente umiliato.
Gary e Aaron si scambiarono un’occhiata a quelle parole. Cobblepot scoprì i denti e sputò fuori il suo disprezzo: - Quel dannato Alan!
A quel nome, gli occhi di Gary si illuminarono, e abbandonò il tono da spocchioso. – Alan? Hai detto Alan?
Tutti i presenti concentrarono la loro attenzione su di lui. Ora anche Zachary sembrava intrigato.
- Lo conosci? – gli domandò.
- Se è chi penso che sia – fece Gary, afferrandosi la polo al centro e stringendo, come se volesse strapparsi il cuore – mi meraviglio che non lo conosciate anche voi.
Zachary incrociò le braccia. – E’ molto difficile sorprendermi – lo avvertì.
Gary fece una risatina. – Ah sì? Buon per te.
Lorelei e Cobblepot sussultarono. Nessuno poteva dare del tu al capo, nessuno.
Ma quello rimase impassibile. Gary avvertì un certo disagio a quel silenzio di risposta, ma proseguì. – Il suo nome è Alan Kalos – rivelò. – Un tempo eravamo amici. Gareggiavamo per le finali del campionato regionale di due anni fa. Ma avevo sentito che non duellava più…
Si strinse nelle spalle.
- Alan Kalos? – Dopo averlo ripetuto, un lampo si accese negli occhi di Zachary, che sembrò ricordare. Andò verso la scrivania, e lo sentirono dire: - Ma certo. Il campionato di due anni fa. Quel campionato.
Si sedette, e invitò gli altri a fare lo stesso, indicando loro i divanetti. – Molto bene – osservò. – Lorelei, penso sia ora di aprire quella bottiglia di scotch invecchiato.
- Dice sul serio, signore? – domandò quella, con il rossore sulle guance.
- Oh, certo – confermò lui con un sorrisino. – Questa sarà una serata interessante.
Giunse le mani, mentre la rossa si avviava all’armadietto dei liquori. Il suo sguardo d’ambra si posò sui presenti uno ad uno.
- Gary Oak, il tre volte campione regionale. – Quello sedeva con un braccio pendente dal divanetto e le gambe accavallate.
- Aaron Underwood, il secondo qualificato. – Il verde si mordeva un’unghia, nervoso.
- E infine… - il suo sguardo scivolò lentamente, come se avesse melassa negli occhi. – Il nostro ultimo arrivato, Surge del Parco dei Duelli.
Quello sedeva nervoso come non mai. Il sorriso di compiacimento di Zachary si allargò. – Ottimo, davvero ottimo.
Si rilassò appoggiandosi allo schienale della sua poltroncina, e poggiò le mani sulle gambe. – Credo sia arrivata l’ora di spiegarvi perché vi ho convocati qui, a quest’ora della notte. Siete stati molto gentili a fare tutti quei chilometri per me.
Nessuno parlò. Lorelei riempì loro cinque bicchieri, uno anche per Cobblepot. Zachary la invitò ad aggiungerne un altro per lei, cosa che fece con il rossore che diventava quasi purpureo.
Il figlio di Giovanni prese il bicchiere e lo tenne sollevato. – Vi assicuro che se collaborerete con noi, la Devon sarà felice di soddisfare ogni vostra esigenza. Fama…
Guardò Lance. – Rivalsa…
I suoi occhi si puntarono su Aaron. – E potere. Oltre ogni immaginazione.
E stavolta guardò Surge. Quello era rapito da ogni singola parola. Non si domandava neanche più come ci fosse finito lì, come fosse iniziata quella sera. Lance che lo lanciava dal tetto dell’ospedale sembrava un lontano ricordo. Contava solo l’attimo presente, e il fatto che ne facesse parte. Era abbastanza per non pensare a un cazzo di niente e lasciarsi andare. Perdere il controllo non faceva male.
Afferrò il bicchiere, e si alzò per brindare. Guardò Zachary negli occhi, e quello ricambiò con un sorriso a labbra chiuse.
- Possiamo cominciare – dichiarò. – Siete qui per… ohh. Surge? Hai un deck in testa, o per caso sei felice di essere qui stasera?
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Hola, popolo di EFP!
Che dire? Pare proprio che io vi abbia leggermente mentito: vi aspettavate l’incredibile rivelazione sul misterioso passato di Alan, eh? E invece no!
Come disse Marshall D. Teach non troppo tempo fa in One Piece: “Troppo presto, ragazzino, troppo presto”. È giusto tenervi ancora un po’ sulle spine. Questo non diventerà una specie di meme, una sorta di “Aspettando Godot”. Vi assicuro che faremo chiarezza sul passato del nostro Alan, su Lucius e su cosa l’ha spinto ad abbandonare il Duel Monsters. E anche prima di quanto immaginiate. Ma rivelarlo in questo capitolo sarebbe stato prematuro, e anti climatico. Perché credetemi: quando finalmente lo scoprirete, sarà speciale. Mi piace pensare che sarà uno dei ricordi indelebili di questa storia.
Nel frattempo, possiamo anche divertirci un po’: scrivetemi pure un messaggio privato, se vi va, nel quale vi mandate le vostre ipotesi su cosa potrebbe aver spinto Alan a ritirarsi dalla scena. Meglio non farlo nelle recensioni, gli altri potrebbero ispirarsi, qualcuno potrebbe addirittura arrivarci. Però se volete scrivetemi in privato, anche solo due righe. Io non vi dirò se avete ragione o torto, ma quando quel momento arriverà – e ripeto, arriverà prima di quanto possiate immaginare, ma non posso dirvi quando – io potrò riprendere quei messaggi, e vedere chi magari ci ha beccato, e chi ci è andato più vicino.
Sarei molto curioso!
Nel frattempo, questo capitolo come avete potuto vedere è stato diverso dagli altri. È stata un’immersione nel lato oscuro della forza, se così possiamo dire. Abbiamo finalmente guardato negli occhi colui che muove i fili, il capo del Pinguino e, in ultima istanza, il principale antagonista della prima parte di questa fan fiction: Zachary Devon, figlio di Giovanni.
Vi avevo detto che è in arrivo una tempesta, e sarà proprio Zachary a portarla. Cos’avrà in mente, servendosi di gente come Gary, Aaron e persino di Surge ora? Una cosa è certa: è un genio, è senza scrupoli, e, ve lo assicuro, è anche fortissimo. E i nostri amici avranno la sfortuna di scoprirlo molto presto. Perché quando Zachary deciderà di fare la sua mossa e di scendere in campo di persona – come fanno tutti i buoni antagonisti, del resto – nessuno sarà in grado di fargli fronte. E il nostro Alan, ce la farà?
Ma è presto per scoprirlo. Certo è che se Alan è l’eroe del Parco dei Duelli, e Zachary quello che vuole vederlo distrutto, i due sono inevitabilmente destinati a incontrarsi. E noi non vediamo l’ora che questo accada, no?
La posta in gioco comincia a farsi alta, molto alta. Ma mentre noi progettiamo in vista del futuro, anche il passato può sorprenderci: il primo capitolo di questa fan fiction ha superato le 100 visite! Io non so davvero come ringraziarvi. Mi riempie il cuore di gioia vedere il supporto che state dando a questa storia. Spero di continuare così, e di non deludervi; e se mai dovesse accadere, di tornare alla ribalta cento volte più forte.
In questo capitolo non abbiamo avuto duelli, e ogni tanto va bene anche così. In compenso, ci sono un sacco di riferimenti e di cose da spiegare. Cominciamo da Saffron City e dalla Devon Spa: nel mondo di Pokemon, queste due cose non sono collegate. Saffron City è Aranciopoli, nella regione di Kanto, ed è sede della Silph SPA, non della Devon, che si trova invece a Ferrugipoli, ad Hoenn. Tuttavia, siccome mi piaceva l’idea che fosse un’azienda a conduzione familiare, e il nome Giovanni Silph non mi garbava affatto, ho preferito mischiare le due cose. L’aspetto estetico della Devon è invece ispirato a quello della Silph, così come il suo ruolo – nei giochi di prima generazione, la Silph è infatti occupata dal team Rocket, e all’ultimo piano c’è Giovanni in persona. Qui abbiamo trovato suo figlio, Zachary, che per design è ispirato all’omonimo pg affrontabile di Yu gi oh: Duel Links. Gli occhi ambrati sono un mio tocco personale.
La storia della Devon l’ho chiaramente riadattata io, così come quella di Cobblepot, anche se molti elementi sono presi dalla sua biografia originale. Non conosco però il nome della ragazza che lui ha portato al ballo, così me lo sono inventato sul momento.
Lorelei è la prima dei Superquattro di Kanto, invece. Per finire, devo ringraziare moltissimo, per la parte sulla descrizione della Devon e sull’operato di Zachary due fattori diversi:
- il libro di Stephen King “Uscita per l’inferno”; mi sono ispirato a un suo passo per la descrizione degli uffici interni. Il Re è magistrale come sempre.
- i miei amici con cui ho passato due giornate meravigliose questo giovedì e venerdì. Sentendoli parlare di economia e di come certe volte bisogna mettere a tacere il proprio senso morale, ho approfittato per disegnare un minuscolo scenario della realtà economica che, purtroppo, pare si trovi davvero ai piani alti.
Spero che abbiate gradito davvero. E siccome mi sono dilungato già abbastanza, direi che possiamo rivederci la prossima settimana!
 
Nel prossimo capitolo: “Miss Parco dei Duelli”
Un simpatico concorso di bellezza per i nostri amici del Parco diventa l’occasione per una ragazza di provare a tutti il suo animo da guerriera. Orgoglio e bellezza si sfidano in una battaglia mortale per il riconoscimento del proprio ruolo. Non perdetevelo!
 
Ciao ciao da UlquiorraSegundaEtapa!!
  
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