talento
Il
talento della Strega
Avevano davvero deciso di dare una
possibilità al circolo delle conoscenze.
Crowley ancora si chiedeva come fosse
stato trascinato in quel disastro annunciato in partenza, ma
sospettava che la risposta fosse insita solo nel fatto che glielo
avesse chiesto Aziraphale.
«Sarà bellissimo, vedrai, caro»
L'angelo continuava a ripeterglielo da
ore e il demone l'avrebbe strozzato molto volentieri di fronte a
tutti i clienti della libreria. Che erano pochi, ma l'idea di avere
testimoni gli dava comunque soddisfazione.
«È solo un pranzo, niente di più»
Crowley gli rifece il verso prima di
sprofondare ancora di più contro la poltrona. Per quanto ne sapeva,
quello non era solo un pranzo: era una condanna.
«Devo ricordarti che la ragazza
americana mi ha investito?» berciò quando furono tornati soli.
«Questo è un modo molto fantasioso di
vedere la dinamica dell'incidente, mio caro»
Aziraphale gli rivolse un sorriso
indulgente dall'alto in basso prima di sedersi a sua volta.
La bocca del demone si spalancò con
incredulità, ma decise di non ribattere.
«Si porta dietro pure quell'idiota del
fidanzato?» chiese invece, sospirando il disappunto.
«Crowley! Non lo conosci nemmeno!».
Questo era vero, ma al rosso erano bastati un paio di sguardi per
capire che quello lì non fosse il ragazzo più sveglio di Londra.
Shadwell sceglieva proprio male i suoi collaboratori, prima o poi
qualcuno avrebbe dovuto dirglielo.
«E comunque immagino di sì» rispose
infine l'angelo.
Il demone reclinò la testa
all'indietro, borbottando ingiurie.
«Hai detto che eri contento»
Il tono di Aziraphale gli ferì le
orecchie tanto da fargli rialzare la testa per fissare l'angelo
attraverso le lenti. «Ho detto che avrei provato»
«Semantica» fece il biondo
eloquente.
Crowley sorrise suo malgrado. «Un
corno. Tu hai mai fatto una cosa del genere?»
Aziraphale parve sbalordito.
«Interagire con gli umani? Letteralmente dall'inizio»
Il demone fece una smorfia impaziente.
«Per farci amicizia, dico. Conversazioni e chiacchiere e pranzi
e...» mosse le mani nell'aria per aiutarsi nello sforzo di ricordare
altre particolarità dell'amicizia umana, «... auguri a Natale, di
compleanno, di morte... Quello che è, hai capito. L'hai
mai fatto? Perché io no»
Aziraphale scosse
il capo a sua volta. «Mi sono iscritto ad un club, una volta, ma non
credo che fossimo amici... E comunque non è detto che dobbiamo per
forza essere intimi con Anathema e Newton, caro. È solo un pranzo»
Crowley
approfittò degli occhiali scuri ancora sul naso per osservare
indisturbato l'espressione dell'altro: non era propriamente
arrabbiato, ma di sicuro il suo atteggiamento un po' lo stava
infastidendo. E questo il demone non voleva che accadesse,
soprattutto non per un motivo futile come quello. D'altronde, dopo il
pasto sarebbero stati di nuovo solo loro, senza umani d'intralcio e
senza seccature: più che accettabile.
Il demone tamburellò con le dita sul
bracciolo della poltrona prima di issarsi in piedi e porgere una mano
all'angelo.
«Forza, usciamo»
«Adesso?». Aziraphale lanciò uno
sguardo al vecchio orologio. «L'appuntamento è solo tra un paio
d'ore»
Crowley si schiarì la gola. «Non ti
sto chiedendo di uscire per l'appuntamento con loro, angelo».
Giudicò il resto particolarmente evidente da non essere
specificato. Il sorriso del biondo gli diede conferma di ciò e lo
costrinse a deglutire a vuoto per poi trattenere il fiato quando la
mano di Aziraphale si chiuse intorno alla sua.
«Un club, hai detto?» domandò per
non concentrarsi sul calore che sentì sugli zigomi. «Di che tipo?»
«L'Hundred Guineas club di Portland
Place» rivelò l'angelo con un certo orgoglio. «Ballavamo la
gavotte»
Crowley si voltò piano, la bocca
spalancata. «Tu balli?! La gavotte, per giunta. Ma è terribile»
Aziraphale gli scoccò l'occhiata più
risentita che il demone gli avesse visto fare da quando gli aveva
chiesto di uccidere l'Anticristo. «Per tua informazione, sono
bravissimo»
«Non metto in dubbio questo,» mentì
pacificatore – gli angeli non ballavano, lui ne era più che sicuro
–, «ma il gusto della danza. Se lo chiedi a me, è stata una vera
benedizione liberarsene»
«Nessuno direbbe mai una cosa del
genere, Crowley!» esclamò l'angelo.
«Non credo proprio: nessuno
ammetterebbe mai di averla ballata» ribatté l'altro, facendo per
abbassare la maniglia. Si bloccò giusto per aggiungere: «Beh, anche
perché nessuno potrebbe ricordarsela: sei l'unica anima viva che si
può vantare di saper ballare la gavotte»
Aprì la porta e spinse Aziraphale
fuori dalla libreria prima che potesse decidere di trattenerlo per
mostrargli qualche strampalato passo di danza.
«Molto meglio la disco dance»
«Opinabile, mio caro. Davvero
opinabile»
-
«Quella non
è un'automobile»
Crowley fissò del tutto schifato il
triciclo celeste con tettuccio che si fermava nei pressi di Trafalgar
Square. Sicuramente il giorno dell'Apocalisse-mai-avvenuta non
l'aveva visto perché altrimenti quel coso gli si sarebbe
impresso nella memoria come il suo peggior incubo.
Aziraphale non trattenne il sorriso. «È
particolare»
Particolare era una eufemismo. Il
demone strinse le pupille e si chinò appena per leggere un'etichetta
che sicuramente non era presente nel modello originale.
«Ma... Ma... C'è scritto Dick
Turpin?»
«Crowley»
Il rosso gli scoccò un'occhiata bieca
al di là delle lenti: per tutto il tempo passato al parco il demone
aveva dimenticato il suono del suo nome pronunciato da Aziraphale a
mo' di rimprovero. Improvvisamente ricordò di non gradirlo: infilò
le mani in tasca più che risentito.
«Certo con quella non potresti andare
a novanta miglia orarie in centro. Dico bene, caro?»
Quello fu così inaspettato che Crowley
fu disposto a mettere da parte il rancore: guardò con profonda
ammirazione il biondo che aveva accanto, incredulo. «È... sarcasmo,
questo, angelo?» si informò provocante. In risposta ricevette solo
uno sguardo compiaciuto, ma fu abbastanza da fargli credere di avere
una pessima influenza su Aziraphale.
Fu l'angelo a fare le cortesie del caso
quando si unirono ai giovani, mentre Crowley si limitò ad annuire
quando fu il suo turno di salutare. Colse subito l'occhiataccia di
Anathema, ma decise saggiamente di ignorarla: vi erano alte
probabilità che l'avesse solo immaginata.
Optarono per un ristorante giapponese,
a rischio e pericolo di Newt che, a detta sua, non l'aveva mai
provato: era bastata una rassicurazione della fidanzata per far
cedere l'ultimo briciolo di indecisione.
I convenevoli davanti al menu vennero
sbrigati in capo a cinque minuti di chiacchiere sul tempo, sul clima
e su Atlantide mentre le ordinazioni venivano fatte. Aziraphale
avanzò al demone la proposta di dividere le pietanze, probabilmente
per salvare le apparenze: a Crowley interessava solo la carta dei
vini, ma fu rapido nel rilevare che i due umani avevano ricordi
manomessi dell'Apocalisse-che-non-fu1, e perciò non
sarebbe stato adeguato da parte sua non mangiare nulla: li avevano
pur sempre invitati e non aveva intenzione di sorbirsi una ramanzina
da Aziraphale una volta tornati a casa sul suo scarso senso di
responsabilità verso gli umani e le loro usanze. Accettò la
proposta dell'angelo e non poté fare a meno di cogliere uno strano
sguardo d'intesa tra Anathema e il tonto con gli occhiali. Non capì
e preferì tenere per sé la curiosità.
Per un'ora abbondante tutto procedette
per il meglio, tanto che il demone si sentì sciocco per aver temuto
chissà quale disastro da quell'incontro. La sensazione svanì quando
la ragazza americana buttò lì con estrema semplicità
un'informazione che fece andare di traverso il sake a Crowley.
«Io vedo le aure»
Gli occhi del demone scattarono verso
Aziraphale. Le lenti coprirono la sua tacita domanda, ma era più che
certo che l'angelo avesse colto perfettamente l'allarme. Dal sorriso
impacciato del biondo, l'altro capì che nemmeno lui ne era a
conoscenza.
«Ah, adorabile!» esclamò Aziraphale
con il tono di chi non sa se sia bello o meno quello che ha appena
sentito ma deve risultare cordiale.
No, non era bello per niente. Crowley
aveva un'immagine molto fumosa di cosa fosse un'aura, ma l'idea di
avere un campo d'energia intorno a sé che poteva essere visto dalla
strega che indossava abiti andati fuori moda già negli anni Settanta era
qualcosa di profondamente spiacevole. Era un demone, poi. Che diavolo
di forma o di colore aveva l'aura di una creatura dell'Inferno? Nella
mente gli si figurò la sua immagine circondata da un'informe nube
nera, tetra e poco invitante, qualcosa da cui fuggire, di cui avere
paura e raccapriccio. Si sentì mancare il respiro di cui non aveva
bisogno e realizzò di non voler avere alcuna conferma di
quell'ipotesi.
«E...» riprese Aziraphale. Da come
gli tremolava la voce Crowley immaginò che fosse attraversato più o
meno dalle sue analoghe preoccupazioni, anche se quasi del tutto
ingiustificate: lui era un angelo, cosa aveva da temere? Lui era al
sicuro: una nuvola di luce e candida purezza. «Come funziona?»
«Per l'amor di D-» inveì il
demone tra i denti, fermandosi all'ultimo. Solo l'angelo parve averlo
sentito: si voltò impercettibilmente verso di lui, ma non disse
niente. Sotto il tavolo, però, avvenne la conversazione silenziosa
che non potevano scambiarsi con gli occhi: il ginocchio di Aziraphale
premette leggermente contro quello di Crowley, ovviamente troppo
vicino perché il demone fosse seduto in maniera rigorosamente
composta. Il rosso restituì il gesto, anche se non seppe immaginare
cosa si fossero detti di preciso. Voleva essere una rassicurazione?
Aziraphale gli aveva comunicato di stare tranquillo, di non
preoccuparsi perché quella era la ragazza che avrebbe dovuto
rovesciare l'Apocalisse e di certo non sarebbe rimasta scandalizzata
dalla loro vera natura, sempre ammesso che l'avesse dedotta? Era un
invito a lasciarla continuare per amor di curiosità? Quello era più
probabile: Crowley poteva letteralmente vedere l'angelo fremere, gli
occhi grandi e profondi pronti a raccogliere ogni singola stilla di
conoscenza in più sulle arti magiche di Anathema.
Il demone deglutì a vuoto e prese un
bel respiro: la domanda posta era stata piuttosto generica, un
quesito quasi doveroso per amor di eleganza. Con un po' di fortuna
sarebbe bastata una risposta altrettanto ampia per porre fine alla
questione. In ogni caso, si ripromise che avrebbe massacrato l'intera
gamba di Aziraphale sotto la tovaglia se solo si fosse azzardato ad
andare sullo specifico o, peggio, su una dimostrazione.
Ogni suo pensiero venne interrotto
dalla giovane.
«Devo concentrarmi per vederle»
spiegò Anathema, una punta di orgoglio evidente nella voce. «Non
sempre ci riesco, è un'arte a volte lacunosa, ma tutti hanno un'aura
e ad ognuna corrisponde un colore diverso. Diciamo che varia in base
al tipo di energia che quella persona emana al momento»
Ci fu una pausa che Crowley si azzardò
a prendere come la conclusione del discorso. Si concesse di rilassare
il petto e di suggerire un cessato allarme con il ginocchio ad
Aziraphale, ma la tregua durò poco: evidentemente quello e
Atlantide erano gli argomenti preferiti della strega e l'unico modo
per farla stare zitta era entrare prepotentemente nella conversazione
con un'alternativa totalmente diversa. Nessuno dei due, però, fu
abbastanza pronto.
«Quel giorno, a Tadfield, ne ho viste
di molto oscure... demoniache»
Gli occhi vispi di Anathema saltarono
da Aziraphale a Crowley con intensità. Il demone sentì un brivido
che dalla nuca si propagava per tutta la schiena fino a trasformarsi
in una scarica di rabbioso panico quando l'angelo gli sfiorò il
ginocchio. il rosso ritirò la gamba istantaneamente e non si accorse
di aver voltato la testa verso Aziraphale, né di aver aggrottato la
fronte: furono gesti totalmente istintivi, dettati dall'improvviso
sdegno.
Non aveva bisogno della pietà dell'angelo, non in quel
momento. Le parole di Anathema erano state scelte con cura, Crowley
poteva percepirlo senza alcuna difficoltà, e probabilmente la stessa
ammissione di poter vedere quei campi di energia, così spassionata
all'apparenza, poteva essere stata il frutto di un'accurata
strategia. Non era con Aziraphale che la ragazza aveva un problema,
ma con lui. Lui era il problema, il demone Crowley, la sua
stessa essenza.
L'angelo non aveva alcun diritto di
riservargli gesti compassionevoli, soprattutto non quando davanti ai
loro occhi vi era la concreta possibilità di mettere l'accento sulle
differenze che li avevano divisi per seimila anni: sarebbero bastate
poche parole affilate per porre fine alla loro fazione e per far
sanguinare di nuovo cicatrici troppo fresche.
«Dici i terroristi?». La voce di Newt
si intromise nei suoi pensieri velenosi con straniante prepotenza.
Fissò lo sguardo sul ragazzo mentre con la coda dell'occhio
intravedeva Aziraphale voltarsi verso di lui a cercare un contatto.
Si costrinse a ignorarlo.
Anathema rivolse un sorriso comprensivo
al fidanzato. «Proprio loro» confermò, scambiando uno sguardo
particolare con l'angelo e il demone. Questi alzò un sopracciglio:
nemmeno i suoi ricordi di quel giorno erano limpidi, l'Anticristo
aveva fatto le cose per bene, ma era piuttosto sicuro di essersi
perso quella parte della faccenda.
«I quattro terroristi,
intendi?» fornì Aziraphale, pacifico, mentre svolgeva la casuale
operazione di intingere nella salsa di soia una polpettina di riso e
pesce.
Anathema sorrise di rimando, affabile,
complice. La chiave, capì d'improvviso Crowley, era nel
numero: i Cavalieri. Anche terroristi gli fu più chiaro: Newt non
era minimamente sospettoso, continuava a masticare e ad annuire come
se Anathema non avesse appena detto qualcosa di completamente falso.
Il demone si sentì un poco sollevato perché uno scettico al tavolo
imponeva alla ragazza di non fare allusioni troppo specifiche, ma
d'altra parte nessuno avrebbe impedito alla giovane di fare le sue
considerazioni in maniera più subdola.
Il fatto che la donna avesse
acconsentito al numero quattro garantiva che il demone non fosse
incluso nella lista delle aure oscure. Che la sua avesse una
gradazione di nero meno intensa di quella dei Cavalieri
dell'Apocalisse? Si domandò stizzito come avrebbe fatto la mora a
comunicarglielo entro la fine del pranzo. Considerò vagamente l'idea
di fermare il tempo e chiederglielo direttamente, tanto per porre
fine a quella pagliacciata – era palese che Anathema volesse
accusarlo di qualcosa, o non avrebbe continuato a fissarlo per interi
secondi con quegli occhi così severi e duri –, ma la sua linea di
pensiero fu interrotta dal familiare timbro perentorio dell'angelo.
«Crowley»
Si voltò astioso verso Aziraphale che
inforcava un nigiri tra le bacchette per avvicinarlo al demone.
Crowley fu seriamente tentato di non accogliere quel cibo, ma scelse
prima di far scivolare appena gli occhiali sul naso per spiare
l'espressione dell'altro senza filtri scuri. L'angelo aveva lo
sguardo fiero, la mascella dura e niente nel suo comportamento
metteva in conto un rifiuto del demone. Quello era l'atteggiamento
che il biondo gli riservava quando doveva metterlo davanti
all'evidenza di aver fatto un errore di valutazione, o quando
semplicemente diceva o faceva cose che l'altro riteneva alquanto
sconvenienti. Funzionava più di qualsiasi rimprovero a parole e
anche in quel momento ebbe l'effetto di farlo riflettere.
Notò Crowley, infatti, che il volto
dell'angelo non era atteggiato a una maschera di pietà o di
rammarico: Aziraphale, così eretto sulla sedia, così deciso nei
movimenti e così impositivo con quella palla di riso appiccicoso
emanava determinazione e anche un pizzico di astio che di primo
acchito il demone non comprese. Era lui ad avere tutte la
scusanti del caso per essere arrabbiato, non l'angelo, ma qualcosa
cominciò a cedere nel petto del rosso.
Crowley si azzardò a spingere il
ginocchio nella direzione in cui avrebbe dovuto trovarsi quello
dell'altro e sussultò appena quando lo sfiorò esattamente dove
l'aveva lasciato quando si era scostato bruscamente, quando l'aveva
rifiutato. Aziraphale al contatto gonfiò il petto in un respiro
esasperato e strinse le labbra con aria saccente prima di annuire
piano.
Il demone
sentì una fitta allo
stomaco, un misto di vergogna e entusiasmo che lo lasciò basito
e
commosso allo stesso tempo. Nelle iridi dell'angelo leggeva ora
chiaramente la rassicurazione e il coinvolgimento di Anathema negli
eventi dell'Apocalisse non c'entrava affatto: Crowley non aveva niente
da temere perché lì con lui c'era e c'era sempre stato
Aziraphale che non
aveva intenzione di abbandonarlo, non più, nemmeno adesso che il
rischio di essere di nuovo un angelo e un demone, nemici giurati, si
faceva evidente.
La realizzazione lo fece tremare: si sentì uno sciocco per non
averlo capito dall'inizio e si sentì profondamente colpevole nei
confronti del biondo. Certo, lo slancio dell'angelo non lo salvava
dal terrore di quello che sarebbe uscito fuori dalla conversazione
con Anathema, ma almeno gli dava la sicurezza di non doverlo
affrontare da solo.
Crowley
espirò dal naso: quello era tutto così nuovo per loro due
che si era lasciato prendere dall'arroganza e aveva rischiato di ferire
seriamente Aziraphale. Sperò che accettare di
prendere il cibo che gli veniva offerto fosse sufficiente a rimediare,
almeno in parte, al danno fatto; quando giunse l'occhiata
amorevole dell'angelo al di sopra delle posate si limitò a
premere più forte il ginocchio
contro quello dell'altro, rilassando appena le spalle.
«Quindi siete una coppia»
Anathema tossì per nascondere il palese calcio che colpì Newt in una zona imprecisata della
gamba, Aziraphale rimase con le bacchette a mezz'aria e Crowley
ingollò il boccone senza nemmeno masticarlo. Il demone si accorse
che quella non era stata una domanda, ma un'affermazione e, a
giudicare dalla faccia sconvolta dell'angelo, anch'egli ne era
consapevole. Il rosso fu costretto a rendersi conto anche del fatto
che Anathema, pur avendo rimproverato il ragazzo, stava sorridendo al
loro silenzio. Silenzio troppo lungo perché potesse seguire una
qualunque risposta credibile.
«Vado in bagno» annunciò Newt,
imbarazzato, alzandosi subito dopo.
Quando se ne fu andato, Anathema
riprese a parlare con un sorriso estremamente sagace.
«So cosa siete2»
Crowley sbuffò senza ritegno: tra
questo e la sua relazione con Aziraphale non aveva idea di quale
argomento fosse il più terrificante.
«Oh» fece Aziraphale, poggiando le
bacchette. Guardò il demone prima di accennare: «Bene...?»
La strega prese un bel respiro prima di
fissare gli occhi scuri sul rosso un secondo di troppo. «Suppongo
di sì»
Il ginocchio di Aziraphale spinse
contro quello di Crowley, ma non ricevette risposta - il rosso fu però
abbastanza saggio da non sfuggire all'angelo. Incrociò le braccia al
petto e il gesto non passò inosservato alla giovane donna.
«Adam Young si fida di voi» rivelò,
ma nella sua voce vi era dello scetticismo.
Aziraphale, comunque, le sorrise
intenerito e Crowley non poté fare a meno di alzare gli occhi al
cielo: avevano di fronte una strega che avrebbe potuto affatturarli e
il suo unico alleato si perdeva in delicatezze verso i bambini?
«Le vostre aure sono particolari, se
volete saperlo» continuò Anathema, di nuovo orgogliosa delle sue
abilità.
«No, grazie» la bloccò Crowley
brusco e derisorio. Ancora una volta il ginocchio di Aziraphale fece
pressione contro il suo, sgarbato, ma come prima non ricevette
reazioni.
L'americana lo guardò penetrante, le
sopracciglia alzate. «Hai paura di saperlo?»
Il demone rise come un serpente,
cercando di nascondere il turbamento. «Nah! Non mi interessa. Ne
abbiamo parlato anche abbastanza, per i miei gusti» mentì.
Poté chiaramente vedere il guizzo
negli occhi della ragazza e il suo sorriso non gli piacque affatto.
Era il ghigno delicato della conferma e Crowley, nonostante gli
occhiali, nonostante la bugia a difenderlo, si sentì esposto: la mora conosceva i
sentimenti del demone, con ogni probabilità li poteva letteralmente
vedere e sapeva che Crowley le aveva detto il falso.
«Giusto» concesse però Anathema, il
sorriso ancora stampato in faccia e gli occhi nocciola pungenti sulle
lenti scure del diavolo. Crowley si chiese il perché di quella
complicità improvvisa, soprattutto dopo tutte le occhiate omicide
che gli aveva rivolto dall'inizio del pranzo, ma decise di non voler
indagare: in fondo tutto ciò di cui aveva bisogno era il suo
silenzio sull'argomento e l'aveva ottenuto.
Fu solo quando Aziraphale si intromise
nella conversazione che capì di essersi indebitamente imposto sull'angelo.
«Come sta Adam?» chiese in fretta il
biondo e il demone seppe benissimo perché: gli stava facendo un
favore. Il tono stanco con cui l'aveva detto trasudava la delusione
di non essere entrato in possesso di quelle informazioni, ma a causa
del suo egoismo stava cambiando discorso. Per la seconda volta in un
solo pasto Crowley avvertì la spiacevole sensazione di essere stato
ingiusto nei confronti di Aziraphale e l'angelo non lo meritava mai,
soprattutto non quando il suo unico cruccio era stato alleviare la
sofferenza del demone.
Sibilò tra i denti e si decise a
rispondere per l'ennesima volta al tocco sotto al tavolo, trovando che fosse molto più
facile chiedere scusa così che a parole. Si permise di intensificare
la pressione appena vide Aziraphale sorridere ancor prima di sentire
la risposta della strega.
«Oh, molto bene» rispose Anathema, un
sorriso dolce a incresparle le labbra. «Abbiamo un po' tutti le idee
confuse su di lui, ma sentiamo di poterci fidare del suo
giudizio. È un po' strano, non trovi? Ha solo undici anni, in fondo»
«Perché devi fidarti di un undicenne
per venire qui con noi, infatti?» sbottò Crowley senza preavviso:
la giovane l'aveva graziato, sì, ma per questo il demone non sentiva
di doverle alcun trattamento particolare.
Anathema lo fulminò con lo sguardo.
«Per voi sarà normale avere a che fare con il soprannaturale, ma
per me no, non a questi livelli. Le streghe non sono angeli e demoni»
«Ma se eri destinata a sventare
l'Apocalisse!»
«Conoscere gli eventi che si
verificheranno e trovarcisi in mezzo sono due cose molto diverse»
Crowley fece una smorfia per deriderla,
ma poté facilmente intuire la verità nelle parole della ragazza.
«Non hai paura di noi, dunque?»
domandò Aziraphale, sporgendosi sul tavolo e abbassando la voce.
«No» assicurò la giovane,
diplomatica. «Mi fido di Adam, come ho detto, e...» fece una
piccola pausa per esibire un altro dei suoi sorrisi letali, «...
sono anche abbastanza sicura di potermi difendere»
Angelo e demone si scambiarono uno
sguardo terribile: le fiamme dell'Inferno erano del tutto fuori dalla
portata di Anathema, ma l'acqua santa poteva essere trovata
letteralmente in ogni dannata chiesa. Crowley stava forse rischiando
la sua stessa esistenza per aver accettato di pranzare in compagnia
di quei due squinternati? In che razza di follia si era imbarcato?
La mora sembrò intuire il problema,
perché strabuzzò gli occhi e si abbassò sul tavolo a sua volta,
imitando l'angelo. «Non intendo uccidervi» precisò, ma Crowley non
si sentì per niente rassicurato. «Ho solo preso qualche
precauzione... Un ferro di cavallo, un rosario, una candela... cose
così3. Ma se devo essere sincera, confido di non dover
ricorrere a questi metodi»
Il ritorno di Newt interruppe la
conversazione e catalizzò completamente l'attenzione della donna su
di lui.
«Senti qualcosa di strano?» chiese
Aziraphale a mezza voce, sfruttando il momento di distrazione degli
altri due.
«Niente» ribatté Crowley quasi senza
muovere le labbra. L'angelo rilasciò un sospiro di sollievo e
sorrise bonariamente derisorio nei confronti della giovane. Dal canto
suo, Crowley la rivalutò: doveva ammettere di averla considerata più
sprovveduta di così. Non era colpa sua se i metodi umani fatti in
casa non fossero proprio il massimo per sconfiggere i demoni, ma almeno
aveva preso le sue misure e aveva dimostrato di essere consapevole
del potenziale pericolo in cui si era cacciata. Certo, rivelare i
suoi metodi era stata una mossa ingenua, ma in fondo era lì con loro
e non sembrava intenzionata a fuggire via né ad attaccarli.
Il pranzo proseguì senza intoppi e con
molta più collaborazione da parte del disastro ambulante che la
ragazza si era scelta come fidanzato. Probabilmente era colpa del
sake. In ogni caso, Crowley era contento di non dover parlare troppo.
Gli piaceva di più ascoltare gli altri con i loro aneddoti e le loro
buffe congetture piuttosto che partecipare attivamente. Ciò che
preferiva, però, era vedere Aziraphale animato dalla curiosità ogni
volta che uno dei due invitati diceva qualcosa di nuovo. Ascoltare le
sue domande e le sue piccole innocenti bugie per tenere il loro
segreto al sicuro da Newt era subdolamente divertente. E poi c'era il
contatto sotto il tavolo, la loro conversazione segreta senza fine: a
Crowley bastava sentire le loro ginocchia premute insieme per non
sentirsi fuori posto.
-
Quando abbandonarono la tavola era
ormai tardo pomeriggio.
«Vi ringrazio tanto per essere venuti»
fornì Aziraphale una volta usciti dal ristorante.
«È stato un piacere» ribatté
Anathema, sincera, con Newt che annuiva dietro di lei. La ragazza
protese la destra verso l'angelo per poi offrirla a Crowley, che la
guardò con un sopracciglio alzato, sorpreso: aveva i gadget
anti-demone in borsa e poi faceva la prima mossa per stringergli la
mano?Tuttavia non fece storie e ricambiò il gesto con un mezzo
sorriso di circostanza.
«Potremmo rifarlo» propose Newt poco
dopo. «Al cottage, magari. C'è un bel giardino. Potremmo mangiare
lì»
Anathema sorrise il suo assenso e li
guardò speranzosa, una punta di astio sempre in serbo per Crowley.
«Sarebbe bellissimo!» esultò
Aziraphale, estorcendo un sì anche al rosso con il semplice uso del
suo sguardo più tenero.
Di fronte a quegli occhi blu il demone
si sentì di nuovo pervadere dalla certezza di aver fatto più di un
torto all'angelo in una sola giornata. Gli dispiaceva, soprattutto, di aver messo
un freno alla curiosità di Aziraphale. Era un controsenso: lui, il
vecchio serpente che aveva tentato Eva con la promessa della sapienza, che impediva al suo angelo di conoscere qualcosa di
diverso dall'ordinario. Assurdo, semplicemente assurdo! Ne andava
della sua dignità di demone.
Scoprì che sarebbe stato quasi disposto a sentire
quello che aveva da dire Anathema pur di accontentare Aziraphale, ma Newton rimaneva un problema
grosso ed evidente: era allampanato, ma stupido no, non troppo,
almeno.
Se l'angelo e la strega fossero rimasti soli, però...
E va bene, pensò il demone,
prima di dire ad alta voce: «Vado ad avviare il motore». Schioccò
le dita e improvvisamente anche a Newt quella parve una splendida
idea da imitare: salutò e si avviò verso il suo sgangherato
autoveicolo.
«Perché l'hai fatto?» gli chiese
Anathema, il volto corrucciato dall'ignoranza.
Crowley la ignorò per rivolgersi al
biondo con fare burbero. «Hai dieci minuti, angelo, non di più.
Sfruttali bene»
«Oh, Crowley!»
Il demone si chiese stupidamente in
quanti modi Aziraphale fosse in grado di pronunciare il suo nome per
cogliere sempre nel segno, con tutte quelle sfumature e intonazioni
diverse. Scosse la testa, sventolò una mano in segno di commiato e
fece dietrofront verso la Bentley: probabilmente l'avrebbe scoperto
solo provocando l'angelo nelle più svariate maniere.
Quando si sedette al volante si rese
conto di star sorridendo.
-
«Sei sicuro di non volerlo sapere, mio
caro?»
La domanda era arrivata così di punto
in bianco mentre Crowley si arrampicava sul materasso che il demone
dovette fare mente locale per capire a cosa Aziraphale si stesse
riferendo: la sua aura.
«M-hm» mugugnò, scettico. «Non
credo che mi piacerà, angelo» elaborò.
Il biondo si voltò a guardarlo
incredulo con quei suoi occhialetti da lettura. «Crowley, credi che
insisterei se fosse una notizia negativa per te?»
Touché: no, non lo credeva
possibile. «Me lo dirai comunque, no?»
Aziraphale sorrise colpevole. «Beh,
vorrei dirtelo, caro, ma non ti obbligherò ad ascoltarlo se non
vuoi»
Crowley si sistemò sotto le coperte e
aspettò di posizionare la testa al centro del cuscino prima di
parlare. «D'accordo» esalò, senza rivolgere gli occhi all'angelo.
«Anathema ha detto che la tua aura
non è affatto come quella dei Cavalieri, anzi: è molto diversa»
Quello diceva tutto e niente. Lo sapeva
anche da sé di non essere come uno di loro, grazie tante.
«In effetti, se vuoi saperlo» - e non
lo voleva - «è molto più simile alla mia»
Gli occhi del demone saettarono verso
Aziraphale: l'angelo lo stava guardando. «Sul serio?» domandò,
genuinamente curioso.
La testa del
biondo ondeggiò giuliva:
«Così dice Anathema. Lo ritiene particolare perché
le differenze dovrebbero essere più marcate visto che siamo un
angelo e un demone»
Un'ondata di panico travolse Crowley all'improvviso.
«E... è un bene?» s'informò,
tentando di mascherare il tremore. «Per te, dico. Che significa per
te, per la tua... anima?»
Ora non aveva le lenti a proteggerlo e
fu costretto a fronteggiare a viso scoperto l'occhiata piena di
tenerezza che gli venne rivolta. «Ti chiedi se io stia Cadendo, mio
caro?»
Il demone non rispose, la mente
sconvolta all'idea che Aziraphale potesse subire quella punizione
terribile. Non meritava questo, non meritava di Cadere, non meritava
di essere rinnegato da Dio: aveva protetto la Sua Creazione migliore,
il fiore all'occhiello del Piano Divino, che diamine! No, non poteva
succedere, non a lui, non ad Aziraphale, non-
«Non essere sciocco» fu il rimprovero
divertito che però ricevette e che lo lasciò senza parole. «Sarebbe
accaduto secoli fa». L'angelo dovette notare lo sguardo perso
dell'altro, perché domandò: «Da quant'è che non rispetto gli
ordini, caro?»
Crowley si rese conto di dover dare una
risposta con interi secondi di ritardo. «Dall'Eden» convenne, la
gola secca.
Aziraphale annuì lentamente,
colpevole. «Conclusioni?»
La mente del demone era una tabula
rasa.
«Non sto Cadendo, Crowley.» completò
il biondo. «Né tu stai ascendendo, se è per questo»
Meno male, ma si curò di non
dirlo e di concentrarsi sulle informazioni che aveva. Il ragionamento
aveva senso, doveva concederglielo. Se Dio avesse voluto condannare
Aziraphale con la stessa sentenza con cui aveva cacciato Crowley dal
Paradiso, questo sarebbe accaduto molto tempo prima. L'angelo aveva
sfidato gli ordini di Dio in persona, aveva regalato la sua spada di
fuoco agli umani contro le direttive della Madre, ma non aveva subìto
alcuna conseguenza. Crowley non riusciva ad immaginare crimine
peggiore di quello, perciò decise di dare alla teoria di Aziraphale
il credito che meritava.
Annuì e si concesse di prendere un
paio di lunghi respiri prima di evidenziare l'ovvio.
«E allora quel è il problema?»,
perché c'era un problema: come potevano le aure di un angelo e di un
demone essere tanto simili come diceva Anathema?
Ma ancora una volta Aziraphale rise e
si tolse gli occhiali che non gli servivano. «Hai passato secoli
interi – ma che dico?, millenni a cercare di spiegarmi che
siamo sempre stati dalla nostra parte e adesso che lo siamo
veramente, che anch'io lo so, che ti ho raggiunto, non riesci
a capirlo?»
La bocca del demone si spalancò in un
“Oh” che non venne fuori. Si sentì avvampare mentre Aziraphale
scuoteva la testa e tornava a dedicare la sua attenzione al libro che
stava leggendo. Il rosso si chiese se l'altro si fosse reso
pienamente conto di tutte le cose che aveva detto, ma non ebbe il
coraggio di chiederglielo: gli sarebbe servito del tempo per abituarsi
all'idea di avere un campo d'energia intorno in grado di provare il
suo legame speciale con Aziraphale e se si fosse soffermato anche a pensare
alle parole specifiche del biondo sarebbe impazzito, lo sapeva.
«Ho una domanda per te, comunque» lo
informò l'angelo poco dopo, risollevandolo dalle sue elucubrazioni.
«Dimmi quando ti sei ripreso, caro, così che io possa portela senza
provocare la tua discorporazione»
Crowley fissò Aziraphale come se nel
suo letto si fosse intrufolato qualcuno di molto più sarcastico del
solito. Non era giusto che l'angelo potesse prendersi gioco di lui in
quel modo ogni volta che riusciva a zittirlo con la sua micidiale
dolcezza. Il demone non aveva lo stesso potere!
«Non ho bisogno di riprendermi»
mentì, tirandosi a sedere contro lo schienale del letto. «Spara»
Vide il sopracciglio di Aziraphale
esprimere tutto la sua diffidenza nei confronti di
quell'affermazione, ma non si fermò a discutere: piazzò la bomba.
«Tu ed io... siamo... una
coppia?»
Crowley rifletté rapido: se avesse
aspettato cinque minuti prima di dare il permesso all'angelo di
fargli quella domanda si sarebbe sentito meno vulnerabile e
terrorizzato? La risposta era così palese che nemmeno perse tempo a
maledirsi: ovviamente no.
Erano una coppia? L'unico metro di
paragone erano gli umani, ma loro non erano tali. Erano un angelo e
un demone e Crowley sapeva – sentiva – di non avere la
possibilità di correre con i parallelismi. Certo, come loro si
tenevano per mano, a volte anche in pubblico quando entrambi erano
sufficientemente in vena di tenerezze, e come gli umani condividevano
un letto e una casa, un divano su cui abbracciarsi senza alcun motivo
apparente, solo per il gusto di farlo durante una bella maratona di
Cuori senza età.
Forse, però, non tutti gli umani leggevano alle piante incastrati
nella stessa poltrona per sentire meglio il calore reciproco, né
aspettavano i momenti davvero importanti per baciarsi sulle labbra:
era ancora qualcosa di così innovativo per entrambi che, senza la
necessità di discuterne, avevano deciso di dare a quel tocco il
significato e il gusto della scelta. Di solito era Aziraphale a
prendere l'iniziativa, a cogliere e a suggellare prima di Crowley le
svolte decisive della loro storia insieme: al demone serviva guardare
i fatti in prospettiva, ma non disdegnava mai il contatto né l'idea
di imparare dall'angelo il modo migliore di coccolarlo al di là dei
pasticcini.
Crowley sapeva che tutte quelle cose
agli umani non avrebbero lasciato alcun dubbio, ma valeva lo stesso
per loro, per due creature ineffabili come un angelo e un demone soli
contro tutti, dalla loro parte?
Si voltò verso Aziraphale dopo interi
minuti di silenzio.
«Forse... Forse sì»
Le labbra di Aziraphale tremarono
appena e Crowley temette di averlo spaventato. Ma poi lo vide
sorridergli così incondizionatamente, così appassionatamente che si
sentì attraversare da un'ondata di sollievo.
Fu spontaneo per entrambi chiudere la
distanza tra i loro volti e cercare l'uno la bocca dell'altro: quello
era un evento importante, dopotutto e Crowley fu particolarmente
fiero di aver avuto l'intuizione giusta.
Quando si separarono Aziraphale si
sistemò meglio a gambe incrociate per poggiare la testa sulla spalla
di Crowley e automaticamente il demone gli passò il braccio intorno
al busto. Rimasero in silenzio per un po' prima che il rosso si
sentisse in dovere di distruggere l'atmosfera.
«Se la mia aura non ha alcun
problema...» cominciò, logico.
«Crowley» lo ammonì Aziraphale, la
voce increspata da un sorriso disarmato.
«No, no, senti: se va tutto bene,
perché Anathema continuava a fissarmi male?»
L'angelo si scostò dal corpo del
demone per guardarlo negli occhi. «Sul serio?» Aziraphale scosse il
capo. «L'hai investita, Crowley» spiegò, paziente. «Per un'umana
non è piacevole, caro. Beh, nemmeno per me lo sarebbe, ma un mortale
ne è più... colpito»
«Ancora con questa storia?!» sbottò
il demone. «Io non ho fatto niente! Sono illazioni!». Si sentì
punto sul vivo dallo sguardo dell'angelo, ma visto che non ottenne alcuna risposta si
trattenne dal continuare sullo stesso argomento.
Aziraphale gli si accoccolò contro di
nuovo e afferrò il libro che aveva dimenticato sulle coperte.
Crowley gettò uno sguardo alla copertina prima che l'angelo
ritrovasse il segno.
«Ancora Ariosto?» commentò. «Ma non
l'avevi finito?»
«Oh, sì. L'ho ricominciato»
«Ugh» fornì il demone
rilasciando un sospiro, ma alla fine sorrise. «Dove sei arrivato?»
Note:
[1]: Viene fatto intendere che Adam
abbia modificato i ricordi di tutti gli abitanti del Pianeta,
compresi Aziraphale e Crowley, in modo tale che gli eventi della
settimana prima della mancata Apocalisse risultassero più spiegabili
o quantomeno attribuibili a una sorta di allucinazione collettiva. Ho
immaginato che anche la vera natura dei due fosse stata in qualche
modo resa opaca per gli umani presenti sulla scena.
[2]: Nel libro
viene chiaramente detto
che le aure sono collegate all'emotività, all'essenza, allo
stato di
salute e addirittura alla creatività delle persone: chi è
più
creativo ha un'aura più ampia e con più colori. Nella
serie
Anathema capisce di essere di fronte a esseri sovrannaturali malvagi
quando vede i Quattro Cavalieri, perciò ho pensato di
attribuirle
senza alcun danno al canon la capacità di comprendere anche la
vera natura di
Aziraphale e Crowley. Ulteriori piccoli appunti sulle aure che ho
disseminato nella storia sono riadattamenti personali di qualche
ricerca svolta online:
trattandosi di pseudoscienza, quindi niente di dimostrabile, le idee
sulle aure variano in lungo e in largo, socialmente e
geograficamente parlando. È proprio la trattazione del tema che
mi
ha dato l'idea di inserire l'avvertimento “What if?”: non
c'è
niente di scientifico, è solo la mia interpretazione funzionale
alla
trama qui riportata.
[3]: Ho veramente cercato su WikiHow
come sconfiggere un demone e questi sono metodi elencati lì.
Anathema ha un ferro di cavallo sull'architrave del cottage, mi è
sembrato plausibile che lei fosse a conoscenza di questo tipo di
rimedi, anche se immagino siano quasi completamente inefficaci contro
i demoni nell'universo di Good Omens: sappiamo che l'unico vero modo
per distruggere una creatura sovrannaturale è usare l'arma letale di
Paradiso e Inferno a seconda dei casi. Un ferro benedetto
probabilmente avrebbe solo l'effetto ustionare Crowley, come il suolo
consacrato di una chiesa.
Angolino di Menade Danzante:
Avevo detto che non sarebbe finita con
la long e infatti eccomi qua. La mia mente segue ormai questo filo
conduttore per il futuro degli Ineffable Husbands e sentivo che in
“Una settimana e un giorno” mancava qualcosa: il punto di vista
di Crowley. Mi sono divertita tantissimo ad utilizzare quello di
Aziraphale, ma ho capito di voler dare spazio alla sensibilità del
demone, soprattutto in un contesto nuovo per entrambi in cui può
valere di tutto e di più. Sono certissima che tornerò ancora su
questa sorta di “universo” per aggiungere tasselli al rapporto
tra i due.
Spero di essere riuscita a mantenere IC
tutti i personaggi e che la OS vi sia piaciuta!
Ringrazio tutti coloro che leggeranno,
che vorranno farmi sapere il loro parere e che semplicemente
apriranno la ff per uscirne subito dopo!
Alla prossima!
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