Terra
– Francia – Parigi – Resoconto dal
Martedì 6 Settembre al
Lunedì 12 Settembre
Una
persona diventata popolare così facilmente e così
rapidamente come
Avier non poteva essere dimenticata subito. Eppure fu notevole
constatare come si mise meno in mostra nei giorni a seguire. Ridusse
in modo notevole le volte in cui faceva trucchi complessi con le
monete, in cui raccontava aneddoti assurdi, in cui scommetteva su
cose improbabili e qualsiasi altra cosa ricordasse agli altri il suo
essere tanto esuberante quanto talentuoso. Dire che divenne uno
studente comune sarebbe esagerato, non poteva esserlo. Semplicemente,
si diede una calmata.
Questo
non fu notato quasi da nessuno a dire la verità. In molti
pensarono
che fosse normale non stupirsi più dopo averlo conosciuto,
altri
pensarono fosse a corto di idee. I Guerrieri Lyoko erano convinti che
stesse dimostrando ciò che aveva spiegato loro la sera del
primo
giorno, cosa vera solo indirettamente. La verità sul motivo
che
spinse Avier Antonovic Anisimov a rimanere più controllato
fu, come
molte cose riguardanti lui, la meno ovvia di tutte: la noia.
Era
tutto tanto, troppo facile per lui. Il suo comportamento e le sue
capacità gli avevano permesso di sopravvivere in Russia, ma
non gli
servivano più così tanto ora che si trovava in un
ambiente molto
più sicuro e tranquillo. Inoltre, ingannare gli altri con la
logica
e una lingua incredibilmente affilata era sì divertente, ma
ridondante quando sai che ci riuscirai sempre e che nessuno
capirà
come fai. Essere delle Mary Sue incarnate non è divertente.
A
proposito di Mary Sue, fu questo il soprannome che Odd decise di
dargli. Durante le vacanze estive aveva scoperto il mondo delle
fanfiction e si sorprese di non averci pensato subito la prima volta
che aveva visto Avier, gli calzava a pennello!
Forse
Avier lo sapeva, perché la prima volta che il ragazzo lo
chiamò
così, il russo lo guardò con uno sguardo
così contrariato e offeso
da spaventarlo. Poi gli mise una moneta in mano e disse
“Comprati
una dignità” infine rise. E rise ogni volta che
Odd o gli altri lo
chiamarono così. Però, se c’era una
cosa che non sapeva
nascondere, era il suo odiare quel soprannome
Il
fatto che il ragazzo non fosse sorprendente come all’inizio,
non
significò che avesse smesso totalmente di stupire. Ad
esempio, si
rivelò non vero il suo essere eccellente in tutte le
materie, perché
ce n’era una in cui andava malissimo, ovvero
l’educazione fisica.
Se
si parlava di correre per brevi tratti, arrampicarsi o dei puri e
semplici riflessi, era ancora eccellente.
Per
il resto, era praticamente fatto di ricotta. Aveva il fiato corto,
finiva le energie in fretta, bastava un colpo anche non troppo forte
per farlo rovinare a terra e quando respingeva pallonate, dopo un
po’
provava dolori tremendi alle dita delle mani. Inoltre, non poteva
nuotare a causa di motivi medici. Non tanto per il suo fisico, ma per
la sua pelle. Soffriva di una forma molto intensa di orticaria
acquagenica, la sua pelle a contatto con l’acqua si arrossava
e a
volte si riempiva di piccole bolle. I suoi compagni lo potevano
constatare sulle sue mani e sul suo volto dopo che si faceva la
doccia (evento alquanto infausto siccome Avier attendeva sempre che
tutti la facessero prima di lui e solo dopo entrava e si spogliava,
se qualcuno osava solo sfiorare la porta iniziava a sbraitare dicendo
di starsene fuori). A volte l’orticaria era così
forte da
costringerlo a inghiottire una pillola di antistaminico, ne aveva
sempre una confezione nella borsa.
Infine,
Jeremy poté constatare come fosse un compagno di stanza
tremendo.
Era disordinato come pochi, lasciando i suoi indumenti in giro per la
stanza. Vandalizzava il suo computer attaccandogli adesivi osceni che
partivano dal mano con il medio alzato, la stessa sul suo telefono, e
arrivavano a ciccioni con bottiglie di birra in mano che vomitavano
su alci. Ne aveva anche un paio rappresentati dei genitali maschili
stilizzati, ma fortunatamente non li incollò mai. Ma la cosa
peggiore di tutte era mentre dormiva, poiché Avier russava
fortissimo e ininterrottamente. Capitò più volte
a Jeremy di
svegliarsi nel cuore della notte chiedendosi perché ci fosse
un
camion fuori al Kadic che continuasse a frenare, solo per poi
rendersi conto che il suono proveniva dal letto alla sua destra, dove
Avier dormiva supino con una gamba stesa e l’altra penzolante
sul
bordo del materasso, la bocca aperta e il pigiama nero con una stampa
scadente del volto di Falco sul petto. Una visione inquietante.
Per
sua fortuna, il ragazzo trasgrediva spesso alle regole standosene
fuori dalla sua camera oltre il coprifuoco delle dieci di sera. La
maggior parte delle volte se ne stava in biblioteca, nascosto in un
angolo a studiare per i giorni seguenti. Spesso gli capitava di
poggiare un attimo la testa sul tavolo e di addormentarsi
lì,
svegliandosi il giorno dopo con un mal di schiena tremendo e i prof
che gli chiedevano cosa ci facesse lì. Lui riusciva sempre a
convincerli che si fosse svegliato presto per studiare.
Camera
di Avier e Jeremy - Martedì 13 settembre 2005 –
Ore 21:40
Neanche
quella sera Avier tornò in camera in orario. Facendo la
gioia di
Jeremy, che avrebbe potuto starsene tranquillo. Si mise a sedere
sulla sedia della scrivania e tenne premuto il pulsante di accensione
del suo computer. Proprio quando finì l’avvio di
Windows XP e
apparve il suo desktop, qualcuno bussò alla porta
“Hai
di nuovo scordato le chiavi, Avier?” disse sbuffando
“Siamo
noi due” a parlare era stato Ulrich, ma era sottinteso che
con lui
ci fosse anche Odd. Il ragazzo scese dalla sedia e si
avvicinò alla
porta, poi l’aprì. I due suoi amici erano uno di
fianco all’altro
davanti l’ingresso
“Ehi,
già in pigiama?”
“Devo
riposare almeno otto ore per avere tutte le energie necessarie
durante le lezioni. E poi, senza autorizzazione, non si può
uscire
dalla camera dopo le dieci di sera”
“Almeno
che tu non sia Mary Sue,
esatto?” commentò ironico Odd, Ulrich si intromise
“Potremmo
non parlare sempre di lui?” il suo tono era acido, Avier
continuava a non stargli simpatico. Si rivolse poi a Jeremy
“Abbiamo
parlato con Yumi e William poco fa. Questo sabato andiamo
a vedere il film dei Fantastici 4. Tu e Aelita vi unite a
noi?”
“Io
mi unisco volentieri. E credo che anche Aelita sarà
d’accordo”
“Non
volete stare un po’ da soli? Lo
capiremmo…” Jeremy sorrise
imbarazzato, era ancora molto timido riguardo certi argomenti
“Credo
che anche lei senta la mancanza di Yumi e William. E poi
c’è
sempre domenica… Comunque, domani glielo chiedo”
detto questo,
Odd e Ulrich lo salutarono e fecero per andarsene, quando il ragazzo
tedesco notò il borsone di Avier sul suo letto
“Mary
Sue non
è qui?”
“No,
di solito se ne sta rintanato fino a tardi in biblioteca. Studia
molto in effetti, solo che sbaglia gli orar…”
“Non
mi interessa questo. Non tornerà presto, giusto?”
“Beh…
Di solito sta fuori molto e a volte si addormenta in biblioteca.
Perché lo vuoi sapere?” anche Odd se lo stava
chiedendo in
effetti, non capiva cosa pensasse il suo amico
“Che
ne dici se diamo un’occhiata tra le sue cose?” la
proposta
sorprese i due amici che lo stavano ascoltando. Era una cosa che
avrebbe potuto chiedere Odd, ma da Ulrich era totalmente inaspettato
“Dici
sul serio?” fu Jeremy a domandare
“Si,
guarda com’è disordinato, se frughiamo un
po’ non se ne
accorgerà. Voi non volete proprio sapere nulla del ragazzo
capace di
eccellere in tutto e di capire tutto?”
“Se
la metti così…” tutti sapevano quanto
fosse sbagliato, che non
avrebbero dovuto farlo. Ma un minuto dopo erano tutti seduti sul
letto di Avier, con la porta della camera chiusa a chiave e
desiderosi di vedere cosa contenesse in quel borsone
Avier,
dal canto suo, non era in biblioteca
Cortile
del Kadic – Martedì 13 Settembre 2005 - Nello
stesso momento
L’aria
della notte era fresca, ma non fredda. Il ragazzo russo se ne stava
seduto su
una panchina, sulle
gambe aveva un foglio A4 poggiato sopra un quaderno di scuola, con la
mano trasformava in disegno ciò che i suoi occhi vedevano
davanti a
se. Il cancello della scuola con le sue sbarre di ferro scure, gli
alberi della foresta oltre di esso e il cielo stellato che sovrastava
tutto. Era su quest’ultimo che
si stava concentrando particolarmente, lo guardava intensamente con
fare assorto, come se fosse ipnotizzato. Fu per questo che non si
accorse dell’arrivo di Aelita
“Che
ci fai qui fuori?” Avier fu riportato alla realtà
bruscamente,
tant’è che ebbe uno scatto e gli cadde la matita a
terra. Si chinò
in avanti per prenderla e poi rispose
“Aspettavo
te, ovviamente”
“Sai
anche prevedere il futuro adesso?”
“No,
ho detto una cosa a caso” la ragazza sorrise, Avier invece
no. Era
pervaso da un’aura di malinconia. Anche la sua risposta
seguente
trasmise malinconia
“In
Russia disegnavo molto. Fa parte di quelle cose per cui la gente
è
disposta a darti spiccioli per vedertelo fare, e qualcosina in
più
per comprare quello che hai fatto. Lo facevo per questo, non mi
è
mai piaciuto più di tanto. Però il cielo stellato
lo adoravo.
Quando c’era un cielo come questo, sgombro di nuvole e senza
Luna,
rimanevo ore a guardarlo” Aelita si sentì
stranita, non lo aveva
mai sentito parlare così tanto di sé. Non in
questo modo. Anche il
ragazzo sembrò accorgersene, perché poi aggiunse
un’ultima parte
con tono molto più freddo
“Forse
non dovevo parlartene”
“Perché?”
“Perché
cosa?”
“Perché
non
dovresti parlarne?”
Avier rimase in silenzio. Si guardò intorno, confuso e
pensieroso.
Solo dopo un po’ rispose
“Non
lo so. Non ho mai voluto farlo”
“Tu
chi sei, Avier?”
“Che
diavolo è? L’ora di filosofia?” il suo
tono era infastidito, ma
anche molto scherzoso. Aelita sorrise, si mise a sedere sulla
panchina, appoggiò la sua schiena sullo schienale senza
preoccuparsi
di sporcarsi la maglia rosa e accavallò le gambe coperte dai
blue
jeans aderenti
“No,
semplicemente, tu parli molto. Ma dici solo qualche parolina
sconnessa su di te. È chiaro che non ti piaccia
farlo”
“Cavolo!
Capisco perché la gente si
spaventa. È davvero inquietante quando iniziano
a comprenderti”
“Non
è vero. Probabilmente non ci sei abituato. Tu sei
inquietante solo
perché ci riesci su sconosciuti di cui sai
pochissimo”
“Si,
utile per capire chi è pericoloso e chi no. O cosa dire per
convincere chi ti ascolta” il suo tono era ancora
più malinconico,
faceva così strano vedere tutta quella serietà su
un ragazzo come
Avier. Sembrava davvero una persona diversa
“Quindi,
mi parlerai di te?”
“Non
ne ho idea. Tu non dici cose personali al primo che passa”
“Ero
la prima che passa al Rendez-vous.
Ora siamo compagni di scuola da una settimana…”
“Sei
giorni”
“E
tu sei in camera con il mio ragazzo…”
“Infatti.
Lui e i tuoi amici preferirebbero che io fossi uno
sconosciuto”
Avier non lo aveva detto con nessun tono, né di fastidio
né di
rabbia né, tantomeno, di disperazione. Lo aveva
semplicemente
affermato, così come si afferma che il cielo è
azzurro
“Tu
non pensare a loro. Credo abbiano un pregiudizio nei tuoi confronti.
Ti vedono ancora come un individuo subdolo o un impiccione.
Probabilmente
pensano che le
tue scuse quella sera fossero un altro modo per metterti in
mostra,
nonostante sono
sicura tu li abbia colpiti inizialmente. Ma, ti ho detto, non ci
pensare ora. Sappi solo che a
me invece interessi” Avier
distolse lo sguardo, come se si sentisse a disagio. Poi
guardò di
nuovo il foglio sulle sue gambe e disse
“Okay,
fammi solo finire questo disegno”
“Quanti
cavolo ne ha fatti?” Jeremy sfogliava un album di disegni
trovato
dentro il borsone di Avier. Era strapieno di fogli di tipi
e dimensioni diverse, ma tutti avevano un elemento in comune
“Gli
devono piacere molto i cieli stellati. Tutti i disegni ne hanno
uno”
“In
molte cose è davvero monotono. I suoi ricambi sono tute
Adidas
identiche tra loro” commentò Ulrich armeggiando
con varie buste di
plastica contenti quanto aveva detto
“Noi
non possiamo parlare. Non
è
che abbiamo
molti ricambi”
commentò Jeremy richiudendo l’album e sistemandosi
gli occhiali
“Ottima
osservazione”
“Ehi,
questo sembra un diario” disse Odd prendendo un libricino
dalla
copertina nera. Lo aprì e cercò di leggere
qualcosa
“Sembra
che sappia anche il greco”
“Come
sarebbe a dire?” Ulrich glielo strappò di mano e
lesse a sua volta
“Questo
è cirillico. Ignorante!”
“Che
lingua è il cirillico?”
“Non
è una lingua. È un alfabeto!”
“Ragazzi.
Album fotografico” si aggiunse Jeremy. Teneva
l’album in mano,
sulla copertina rigida plastificata era ritratto il Cremlino
“Non
te ne andrai, vero?” disse Avier dopo aver disegnato per
dieci
minuti
“Non
dirmi che speravi lo facessi?”
“Forse”
“No,
non lo farò”
“Eh
va bene!” esclamò, si stiracchiò e poi
poggiò il foglio, il
quaderno e la matita alla sua sinistra
“Tu
che idea ti sei fatta del mio passato?”
“Lo
vuoi sapere davvero?”
“Si,
credo mi sarà d’aiuto” Aelita si mise
una mano sul mento con
fare pensoso, poi rispose
“Sicuramente
eri povero. E credo anche tu fossi un criminale”
“Davvero
inquietante. Devo smettere davvero di far…”
“Non
è una grande intuizione se ci pensi. Da come ne parli,
è
praticamente ovvio” Avier rimase in silenzio un altro
po’, la
ragazza si preoccupò che fosse tornato a sviare il discorso.
Ma
invece il ragazzo la sorprese
“Si,
infatti. Essere al sicuro mi ha fatto anche abbassare la guardia, non
nascondo più le cose come un tempo” fece un
profondo sospiro, non
riusciva a parlare fluentemente. Un’altra cosa che sembrava
non
appartenere alla sua natura
“Sono
vere entrambe comunque. La mia famiglia è sempre stata nella
miseria, come molte in Russia in realtà. La vita era
tremenda, ma io
mi ero messo in testa che dovevo essere il migliore di tutti. Dovevo
ottenere ciò che volevo, qualsiasi cosa fosse…
“E
quindi hai deciso di imparare a fare tutto e a capire tutto?”
“Si,
proprio così. A pensarci, la disperazione è stata
la più grande
forza della mia vita. Dopo un po’ diventai capace di
immagazzinare
le informazioni nei libri dopo averli letti una sola volta, ho
imparato la maggior parte dei trucchi con le monete in una settimana.
Soltanto a disegnare e a cantare ci ho messo più
tempo”
“Tu
sai cantare?” Aelita non seppe se essere stupita per quella
nuova
rivelazione, o leggermente infastidita perché si aggiungeva
alla
miriade di cose che Avier sapeva fare
“Quel
tanto che basta per non scatenare un temporale non appena prendo una
nota. Non sai quanta gente lancia monetine per farti starnazzare la
loro canzone preferita”
“Quindi
non ti piace farlo?”
“No,
non ho detto questo. Semplicemente, non l’associo a momenti
felici.
Ma se non mi piacesse tutto quello che non associo alla
felicità,
odierei tutto. Anche me stesso” l’amarezza nella
voce di Avier
era così palpabile che Aelita si sentì male, gli
veniva naturale
empatizzare. Al contempo però, era interessata ancora di
più,
finalmente lo stava scoprendo. Poteva vedere quella parte di lui che
non mostrava a nessuno
“Cosa
sai cantare? Immagino tutte canzoni italiane”
“No,
quelle le canticchio solo. Si sente troppo il mio accento. Al Bano
non si merita questo” quell’ultima frase era stata
detto in un
tono ironico. Non era il tono da simpaticone dell’Avier di
sempre,
era qualcosa di molto più umano. Ad Aelita fece ridere
ancora di più
del solito, rimase interi minuti a ridere finché non gli
uscirono le
lacrime dagli occhi. Anche Avier prese a ridere di gusto, contagiato
dalla risata della ragazza. Chissà cosa ci avevano trovato
in una
battuta così stupida.
“Ti
piacciono i Bee Gees?”
“In
realtà conosco solo le canzoni della Febbre del
Sabato Sera”
“Perfetto”
Avier si alzò in piedi, si schiarì la gola e poi
iniziò a cantare
“I
know your eyes in the morning sun/ I feel you touch me in the pouring
rain/ And the moment that you wander far frome me/
I wanna
feel you in my arms again” non aveva una voce
particolare
mentre cantava, come lui stesso aveva detto. Ma c’era
qualcosa nel
modo in cui lo faceva che trasmetteva malinconia e incanto allo
stesso tempo. Aelita sarebbe potuta rimanere ad osservarlo per tutto
il tempo, restandone ipnotizzata. Il ragazzo russo invece la colse di
sorpresa e la tirò a sé, facendola ballare un
goffo lento assieme a
lui mentre alzava le ottave della sua voce. Si teneva stretto a lei e
la ragazza iniziò a sentirsi imbarazzata.
“And
you come to me on a summer breeze/
Keep me warm in your
love then you softly leave/ And it’s me you need to show/ How
deep
is your love” Avier aveva fissato un punto
imprecisato oltre la
ragazza. Solo poi aveva abbassato lo sguardo, osservando come fosse
diventata rossa. Quando se ne rese contò, si
arrestò di botto e si
staccò. Poi iniziò a parlare gesticolando in modo
molto nervoso
“Scusami,
non so che mi ha preso. È come se la mia mente fosse stata
presa dal
cantare e abbia perso il controllo sul mio corpo.
Io…”
“No,
tranquillo. Alla fine non è nulla di grave.
Solo…”
“Non
succederà di nuovo, va bene?” Aelita non rispose e
spostò
leggermente l’argomento del discorso
“Comunque,
senza offesa, ma non sei molto bravo a ballare” Avier
sorrise,
anche se con un certo nervosismo, poi rispose a
quell’affermazione
“Lo
so. In Russia quello che ballava era un altro, io non ho mai
imparato. A volte finivamo in discoteche e altri locali notturni, io
rimanevo solo per ubriacarmi”
“Ehi,
ma questa è vodka” Odd aveva continuato a scavare
nel borsone di
Avier mentre gli altri due avevano iniziato a sfogliare il suo album
fotografico. Ulrich smise di farlo e osservò in direzione
dell’amico, che aveva tirato fuori una bottiglia di vetro
contente
un liquido trasparente
“Direi
di sì” commentò il ragazzo tedesco
“Quindi
non scherzava quando diceva di volerne un bicchiere al bar”
aggiunse Jeremy
“Senti,
ci sono foto in cui fuma ed ha chiaramente quattordici anni. Io non
mi sorprenderei che abbia anche il vizio di bere”
“Però
Avier non puzza mai di fumo, e non abbiamo trovato pacchetti di
sigarette nella sua borsa”
“Non
abbiamo ANCORA trovato pacchi di sigarette” la discussione
dei due
li aveva distratti dal loro terzo amico che, con la sua
caratteristica incoscienza, aveva provato a bere un sorso di vodka.
Se ne pentì amaramente
“Ma
che diavolo è! Acido? Mi sento tutto bruciare!”
disse tossendo e
portandosi una mano alla fronte. I due amici non riuscirono a
trattenere le risate mentre Odd si agitava e tossiva, rendendosi
rosso il volto.
“I
superalcolici non fanno per te”
“Grazie
per l’aiuto, Ulrich”
“Forza.
Smettila di fare l’idiota e chiudi quella bottiglia, se cade
a
terra inizierà a puzzare tutto di alcol e Avier ci
sgamerà” Odd
diede ascolto al suo consiglio e chiuse la bottiglia, poi la rimise
al suo posto dentro la borsa, intenzionato a non rivederla mai
più.
In seguito si unì alla visione dell’album
fotografico
“Ma
va così di moda l’Adidas in Russia?”
commentò poi osservando
come quasi tutti i soggetti nelle fotografie indossassero vestiti di
quella marca, anche se di colori diversi
“Non
lo so. Forse è una specie di codice d’onore della
banda di cui
faceva parte” disse Ulrich
“Faceva
parte di una banda?”
“Mi
sembra ovvio. Tolto il fatto che non mi è mai sembrato una
persona
onesta, la gente in queste foto ha un’aria poco
raccomandabile e
c’è una foto di lui che piscia su una
Ferrari” Ulrich tornò
indietro di una decina di foto e mostrò quella incriminata.
Avier si
era fatto fotografare di spalle, ma era evidente quello che stava
facendo.
“Inoltre,
ha detto che in Russia aveva paura di cose come teppisti e coltelli.
Non credo che siano la normalità”
“Comunque,
sono sempre stato abituato ad avere a che fare con dei teppisti.
Abbassare ancora di più il mio ceto sociale, diventare un
criminale
li ha fatti aumentare, ma non apparire dal nulla”
“Sul
serio?”
“Si,
in molti dimenticano che la Russia non è solo immensa, ma
anche
molto desolata. Non tutte la città sono Mosca, molte sono
luoghi
freddi e isolati, spesso molto arretrati. Vladivostok non tanto a
dire la verità, ma il mio quartiere faceva davvero schifo.
Sono
stato in posti che… Bleah!” il suo verso di
disgusto fu così
sentito che Aelita per un attimo si preoccupò stesse per
vomitare
davvero
“Immagino
che io non abbia alcun motivo di sospettare tu mi stia dicendo questo
per far sembrar normale il tuo aver iniziato a bere a tredici anni.
Vero, milord?” Aelita riuscì a
essere molto pungente e
sarcastica con quell’espressione. Sembrò
così tanto Avier in quel
momento, e lui lo notò
“Ma
guarda come impari da me! Hai intenzione di superarmi nel capire gli
altri? Comunque, credo di averlo fatto inconsciamente. Sai, ho fatto
cose molto più degradanti. Già il solo fatto di
aver iniziato a
fumare a dodici credo sia peggio”
“Sul
serio? E fumi ancora?”
“No,
sono riuscito a smettere. Per sopravvivenza. Non ho mai avuto il
fiato lungo, ma con le sigarette iniziai proprio ad avere
difficoltà
a respirare. È un problema quando hai bisogno di scattare e
reggere
abbastanza per arrivare lontano”
“Certo
che ne hai davvero fatte e passate di tutti i colori”
“Si,
infatti”
“Però,
apprezzo come ne parli. È chiaro che non ne vai fiero e che
vuoi
migliorare”
“Continui
a migliorare a vista d’occhio. Sembri
Mary…” Avier si
interruppe e sobbalzò, era chiaro che non volesse dire quel
nome.
“Chi?”
“Mary…
Mary che è… Una lunga storia. Non ne parleremo
stasera”
“Ehi,
chi è questa donna?” i tre erano arrivati
all’ultima pagina
dell’album fotografico di Avier, c’era una foto
molto recente di
lui abbracciato a una signora di mezz’età, dai
lunghi capelli
biondi e la pelle diafana. Entrambi erano di profilo e la donna aveva
il volto rivolto verso il ragazzo, questo rendeva difficile
delinearne i tratti. Però si vedeva chiaramente un sorriso
affettuoso. Avier invece aveva il volto rivolto verso la macchina
fotografica, teneva gli occhi chiusi e tutto il suo volto era come
permeato da un’aura di pace. Non sorrideva, ma sembrava
così
felice e tranquillo. Quella foto era l’unica che presentava
delle
scritte su
di essa,
fatte con un pennarello bianco dalla punta sottile. Quella sul lato
destro, il lato dov’era la donna, era scritto con la
calligrafia di
Avier. Recitava Mary,
женщина, которая воспитала меня.
Tutto
in cirillico tranne il nome, l’unica cosa che quindi
compresero.
Sul
lato di Avier invece la calligrafia era nettamente diversa, molto
più
elegante, ordinata e femminile. Inoltre, era scritto in inglese,
lingua che tutti e tre conoscevano bene studiandola ogni giorno a
scuola. Recitava Avier,
il piccolo bambino capace di ottenere ciò che vuole.
“Che sia sua
madre?” domandò
Ulrich
“Mary? Strano. Aveva detto che era
spagnola” Jeremy si sentì confuso e quello che
aggiunse dopo
Ulrich non lo aiutò
“Potrebbe aver mentito”
“Ma perché?”
“Chissà.
Capire come ragiona è un’impresa”
“Però mi
sembra così inutile farlo. E poi, non è detto che
sia un parente
solo perché lo chiama piccolo
bambino”
“Meglio
ignorare”
girarono quell’ultima pagina, aspettandosi di vedere il retro
bianco della foto come era stato per tutte le altre. Invece dietro
c’era scritto ancora qualcosa, di nuovo in inglese, di nuovo
con la
calligrafia di Mary, ma
questa volta a penna.
Era
una poesia senza rime
Il vento sia alle tue spalle
La fortuna nelle tue mani
Il mondo si pieghi al tuo
comando
Sii la luce nell’oscurità
“Un augurio notevole. Qualunque
legame abbia questa Mary con Avier, sembra nutrire grande stima in
lui. Comunque, abbiamo controllato ogni cosa, rimettiamo a posto
prima che torni qui”
“Io torno in
camera” disse Avier, aveva ripreso
il foglio e sistemato gli ultimi dettagli del
suo disegno. Sembrò
vistosamente
stanco, aveva
davvero bisogno di dormire.
Infatti, dopo essersi alzato dalla panchina, tirò un forte
sbadiglio.
“Non vuoi proprio parlare di
Mary, vero?”
“No. O almeno non oggi. È una
storia troppo lunga” abbassò lo sguardo sul
disegno e poi allungò
il foglio verso la ragazza
“Tieni, te
lo regalo”
“Non lo vuoi tenere?”
“No,
preferisco
regalarlo a te. Consideralo come un ringraziamento per essere
riuscita a farmi parlare” Aelita rimase di stucco. Come
faceva quel ragazzo a stupirla con così poco? Eppure,
c’era
qualcosa di incredibile dolce e sincero in ciò che aveva
appena
fatto. Qualcosa
che le piaceva
“Ehi, non restare lì impalata.
Siamo fuori orario, se ci becca un prof rischiamo una
punizione”
“Giusto”
Odd
e Ulrich incrociarono Avier nel corridoio, si aspettarono che dicesse
qualcosa come sempre, invece rimase in silenzio. In realtà
non
incrociò neanche lo sguardo con loro, era perso nei suoi
pensieri.
Loro lo superarono, lui superò loro ed entrò
nella sua camera.
“Ubiraysya
iz komnaty”
disse
ad alta voce, era
così stanco che aveva parlato abitudinariamente in russo.
Jeremy capì
lo stesso e annuì,
poi
uscì dalla stanza. Avier chiuse la porta, si tolse la tuta e
prese
dalla sua borsa il suo pigiama nero con il volto di Falco. Prima di
indossarlo prese la bottiglia di vodka e un bicchiere che teneva in
borsa, lo riempì a metà e poi bevve tutto in due
sorsi. Rimise
tutto a posto con cura, indossò il pigiama e si stese sul
letto
“Rientra
pure” Jeremy aprì la porta, osservando come il suo
compagno di
stanza avesse già chiuso gli occhi. Quindici secondi dopo si
addormentò.
Un minuto dopo iniziò
a russare. Jeremy lo maledì di nuovo, ma almeno fu felice
che non si
fosse accorto di nulla.
Mensa
- Mercoledì
14 Settembre 2005 - Ore 8:30
Solo
che si sbagliava
"Ehi,
capisco che io sia così interessante o così
minaccioso da farvi
controllare tra le mie cose. Ma almeno potreste non bere direttamente
dalla mia bottiglia? Non è igienico” si era
presentato davanti al
loro tavolo apparendo come dal nulla, cosa che era incredibilmente
bravo a fare. La prima a reagire fu Aelita. La sua reazione non fu
nei confronti di Avier, come accadeva sempre in quelle discussioni,
ma ai suoi compagni
“Avete
frugato nella sua borsa?”
“No”
“No”
“No”
i tre risposero quasi contemporaneamente
“State
mentendo spudoratamente” Aelita era abbastanza alterata,
Avier
invece sorrideva come suo solito
“Lasciali
stare m’lady. Non ho nulla da nascondere,
tranne forse la
mia bottiglia. Ma qui c’è qualcuno con un
animaletto, quindi non
verrò mai tradito. Vero?” sottolineando
quell’ultima
interrogativa, aveva squadrato Odd con sguardo inquisitorio, ma
mantenendo il suo sorriso. Era così raggelante che il
ragazzo dal
ciuffo viola tremò leggermente
“Poka”
disse infine e se ne andò lanciando e riprendendo al volo
una moneta
con la sinistra, mentre canticchiava il ritornello di Libre.
“Da
quando in qua gli fai da avvocato?” chiese Ulrich ad Aelita
con
tono inacidito dopo essersi assicurato che Mary Sue
fosse
lontano.
“Non
è una brutta persona. Ci ho parlato e…”
“Tu
hai fatto cosa?” questa volta fu Jeremy a irrompere, si era
sforzato di non urlare per non attirare l’attenzione.
Nonostante
questo, era molto più alterato di quanto gli altri non lo
avessero
mai visto
“Ho
parlato con lui”
“Quando?”
“Ieri
sera”
“E
cosa gli hai detto?”
“Non
posso parlare con gli altri ora? Da quando in qua sei così
geloso?”
Jeremy diede un pugno sul tavolo, nel farlo fu più il dolore
che si
provocò da solo che il rumore del colpo, ma era un sintomo
di quanto
fosse teso in quel momento
“Cosa
cavolo c’entra questo? Semplicemente, stiamo da una settimana
a
dire che è meglio stare lontani da Avier, che il suo modo di
fare è
pericoloso, che ci potrebbe portare a farci parlare troppo. E tu
invece rischi così tanto?”
“Ho
capito” il suo tono era infastidito. Era evidente che non gli
era
piaciuta quella scenata, non condivideva affatto quella linea di
pensiero. Era d’accordo sul mantenere segreto Lyoko, ma
riteneva di
poter gestire da sola quel ragazzo. Inoltre, avrebbe voluto dire loro
come fosse diverso in realtà, che diceva la
verità quando parlava
di non essere sempre sopra le righe, ma probabilmente non gli
avrebbero dato ascolto. Quindi rimase in silenzio, contrariata da
quanto successo.
“Ehi
Sissi! Posso chiamarti così, vero?”
“Certo
Avier”
“Ti
va di uscire questo sabato?” la ragazza arrossì e
poi rispose
eccitata
“Certo!
In che posto andiamo?”
“Non
lo so. Pensavo di andare in giro, visitare qualche locale, parlare un
po’. Ma in realtà ho solo proposto
un’idea, non mi sono ancora
organizzato. Ti farò sapere, va bene?”
“Certo!
Certo! Prenditi il tempo che ti serve”
Scolo
fognario che conduce alla fabbrica abbandonata –
Mercoledì 15
Settembre 2005 – Ore 00:04
La
figura esile e debole camminava trascinandosi. Si teneva con la mano
sinistra sulla parete umida perché le gambe non lo
reggevano. Nella
mano destra stringeva un dispositivo elettronico. Macchie nere
corrompevano la sua pelle bianco latte, da lì uscivano spore
fosforescenti. I suoi muscoli erano affetti da spasmi. La sua testa
senza capelli gli pulsava e gli doleva, i suoi grandi occhi erano
carichi di rancore.
Uno
spasmo più forte lo fece cadere a terra. Si
sporcò d’acqua di
fogna mentre si agitava fuori controllo, i suoi muscoli si
ribellavano. Prese un contenitore metallico dalla sacca in venekethor
sulla sua schiena, lo aprì rivelando un mucchio di siringhe
e ne
prese una mentre faceva sforzi colossali per tenere a bada gli
spasmi. Poi, un colpo secco sulla vena del collo, si iniettò
il
liquido biancastro e si distese a terra con i muscoli tornati calmi.
Pochi secondi dopo si rialzò, il suo rancore era aumentato
“Laskenat
din Swarker! Laskenat der swarkerinster! Laskenat din Alaktania!
LASKENAT DIN MAN ROKRAN ALEARKIT!!!!”
Iniziò
a camminare ancora, questa volta più velocemente, e
iniziò a dirsi
un’unica cosa come una cantilena infinita.
“Anì
lenkos Lyoko. Anì lenkos Lyoko. Anì lenkos
Lyoko…”
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