Le
arrivò un messaggio e si alzò dal letto,
vestendosi di fretta. Era
già sveglia e lo sapevano che non era solita dormire molto.
Aprì il
portone e l'alto cancello dorato connettendosi con il suo cellulare,
disattivando la sirena che segnalava il passaggio. Era ancora buio e
Indigo si tirò il cappuccio sulla testa, voltandosi indietro
un'ultima volta prima di salire sulla berlina parcheggiata fuori che
la aspettava, col terrore di essere sorpresa a uscire dalla villa,
prima o poi.
«Basta»,
disse stringendo i denti mentre si sfilava il cappuccio dalla testa.
«Questa storia deve finire, l'ho già detto al tuo
capo: non
possiamo vederci nel cuore della notte e non per quelle stupide
foto».
«Non
è il mio capo», rispose Noah seduto a fianco, sul
sedile del
guidatore. Come se lui si divertisse a viaggiare quasi ogni notte per
la zona residenziale di National City; il lavoro era lavoro, ma
quello diventava monotono anche per lui che era un investigatore e
restava appresso a loro già fin troppo tempo durante il
giorno.
«Non
posso averle e se mi beccano qui fuori cosa faccio? Odio non avere in
mano un piano ben preciso o delle certezze qualsiasi».
«Lui
dice che avere queste foto ti aiuta a concentrarti sul tuo
obiettivo», le rispose l'uomo, passandole una cartellina
gialla di
carta.
«Ho
capito», sbuffò di nuovo, arrendevole. Gli
strappò la cartellina
dalla mano. «Ci stai spiando e, se non porto a termine il mio
incarico, ve la prenderete con lei», esclamò
Indigo senza
guardarlo, incantandosi a osservare gli alberi neri per via della
notte che, lontano dal finestrino, venivano sballottati dal vento.
«Ma come ho detto: non posso più tenerle,
caro», gli sventolò la
cartellina gialla. «Kara Danvers mi ha trovato le foto e, se
me ne
trova altre, sono fregata. Gliel'ho spiegato, ma sembra non
ascoltarmi».
L'uomo
si costrinse un sorriso, scrollando le spalle. «Ti ascolta,
Indi. Ma
teme che tu ti distragga: gli hai parlato di come la signorina Luthor
ti sembri turbata e sa cosa provi… Vuole riportarti sulla
strada
giusta».
La
giovane decise di avvicinarsi lentamente al volto dell'uomo
spingendosi con le braccia sulle maniglie del sedile. Aprì
la bocca
piano, sussurrando: «Lo sono». Lui restò
immobile fin quando lei
non si riportò composta sul sedile, sbuffando.
«Oggi starò via con
Alex Danvers, a proposito. E forse non solo oggi, non posso tirarmi
indietro, è come se mi avesse grossomodo noleggiato.
Non potrò stare dietro a Lena e proprio oggi che lei e
quell'altra
andranno a Gotham City», alzò gli occhi al cielo.
«Sai del piano?
A lui l'ho raccontato».
«Sì
e non gli interessa, quindi puoi restare con Alex Danvers,
ma…».
«Ma?»,
alzò le sopracciglia.
«Mi
ha pregato di dirti di andarci piano, non sei completamente libera di
agire».
«E
lo dice solo adesso? Ieri-».
«Ieri
le cose erano diverse. Puoi aiutarla, ma fai che i dubbi restino
dubbi, non puoi spingerti oltre», spiegò Noah,
annuendo.
«Ha
ricevuto lamentele, forse? Qualcuno dell'organizzazione non vuole che
mi impicci negli affari loro?».
Lui
scosse appena la testa, guardando altrove. «Non posso dirti
niente,
Indi. Solo… fai il tuo lavoro, non quello degli altri. Ah»,
sorrise a un certo punto, aprendo il cruscotto. «Spero non
abbiamo
preso troppo caldo qui dentro, tieni». Le passò un
fagotto color
pastello e Indigo sgranò gli occhi, arrossendo
involontariamente.
«Carol li ha tenuti da parte per te, sono biscotti alla
cannella. Mi
ha pregato di portarteli o Amber e Adam li avrebbero fatti fuori
tutti».
«Ah…».
«Ti
salutano, però».
La
ragazza ne era felice, eppure sbuffò: «E come
pensi che li potrò
nascondere, questi, eh?».
«Finiscili
prima della luce del mattino», le consigliò prima
di sbloccare la
portiera.
Scese
e fece per chiudere il cancello, salutando l'uomo con un cenno del
capo che non era neppure certa avrebbe visto, nel buio. Biscotti alla
cannella, questa era nuova. Aprì il portone con cautela e lo
richiuse, salì le scale con passo felpato e si chiuse nella
camera
che Lena le aveva affidato, affacciandosi in un lungo e antico
specchio da terra prima di raggiungere il letto. Aprì il
fagotto e
iniziò a gustare i biscotti che aprì la cartella
gialla delle foto.
Era certa che avrebbe visto Lena come sempre ma si stupì,
tirando
fuori la prima: era lei. Era lei impressa mentre guardava qualcosa,
da lontano. Prese subito le altre foto e scoprì che erano
tutte sue
e in tutte era rappresentata con lo sguardo distante, sognante: non
guardava una cosa qualsiasi, ma Lena Luthor. In ogni foto, lei
guardava Lena e un brivido le percorse la schiena.
Stupido
Noah. Stupido angelo custode.
Quando
quella mattina Kara si svegliò sul tappeto di una camera da
letto
che non conosceva, per poco non si spaventò. La testa le
girava
quasi avesse bevuto lei e la schiena era a pezzi, senza contare che
puzzava di sudore e di prodotto contro gli acari. Ah, lo sentiva su
per il setto nasale: doveva averlo respirato tutta la notte. Fuori la
mattina era ancora giovane ed era abituata a sentire gli uccellini
cinguettare al campus e in villa, ma lì sentiva solo il
rumore del
passaggio dei camion e voci che parlavano, gridavano e ridevano in
quello che sembrava proprio cinese.
«Vuoi
farti la doccia?».
Alzò
la testa e Siobhan era in piedi, già lavata e truccata, ben
vestita
e pronta per presentarsi alla CatCo. Avrebbe lavorato per quasi tutta
l'estate, a differenza sua. «Buongiorno anche a te.
No», si
strofinò un occhio. «Non ho cambio, torno in
villa».
L'altra
scrollò appena le spalle. Stava per allontanarsi ma
cambiò idea
all'ultimo, tornando sui suoi passi. «Emh,
senti…», abbozzò una
risata poco convinta, «riguardo ciò che
è successo ieri-».
«Ti
ricordi qualcosa?».
Spalancò
la bocca e infine chiosò in fretta:
«No». Aggiunse una scrollata
di spalle e Kara scosse la testa.
«Allora
neanch'io…?».
Si
scambiarono uno sguardo e Siobhan, palesemente nervosa,
sparì in
fretta dalla camera, per poi urlarle di raggiungerla per fare
colazione quando sarebbe uscita dal bagno.
Kara
ci entrò e intravide subito la scatola dei cerotti sopra il
lavello.
La prese e sbuffò, immaginando che non sarebbe riuscita a
farle
capire di non averne bisogno. Dopo guardò intorno: ieri
notte,
quando era entrata in bagno, dormiva quasi in piedi e non ricordava
neppure com'era fatto. Era poco più piccolo del bagno in
casa
Danvers-Luthor e decisamente ordinato; tanti profumi in bella vista e
in fila su uno scaffale, degli asciugamani colorati piegati uno sopra
l'altro su un mobile, un adesivo con dei delfini nell'alto angolo
sinistro dello specchio, e c'erano delle ciabatte pelose a terra,
accanto al cesto della biancheria. «E così questa
è casa tua,
eh?», esclamò quando uscì, chiudendo la
porta. Seguendo la strada
per la cucina, si incantò a osservare un piccione
comodamente
adagiato sul davanzale di una finestra. «Non me la
immaginavo…
così»: conoscendo i suoi gusti raffinati, si
sarebbe aspettata un
certo stile anche nel resto della casa, e non certo
quell'appartamento modesto o la collezione di fatine e fiori su un
mobile in salotto. Erano davvero carine.
«Ah,
sì?», sbottò offesa, «E cosa
ti aspettavi? Non ho i soldi che mi
escono da ogni orifizio come la tua sorellastra barra
amante barra…
quel che è, Danvers».
A
Kara venne da ridere. Normalmente le avrebbe dato fastidio, ma questa
volta decise di non prendersela. «Stiamo insieme di
nuovo», rispose
e Siobhan la guardò, aprendo il frigo. «Voglio
dire, non è una
cosa ufficiale e se
potessi non dirlo a nessuno, grazie»,
disse d'un fiato, «te lo dico da amica e perché
così non devi
usare il… la
barra,
ecco…», gesticolò, sedendo su una sedia
davanti al tavolo. Tenne
d'occhio la sua espressione quando lo disse, ma Siobhan ben
pensò di
nascondere il viso dietro lo sportello del frigo e ignorare il tutto.
«Cosa
mangi, di solito?». Ecco, cambiò argomento.
Si
fece dare un passaggio in macchina fino alla strada sterrata per
villa Luthor-Danvers. Oh, davvero non vedeva l'ora di toccare terra:
in auto con Siobhan Smythe era come stare sulla giostra fuori
percorso e senza freni. Senza contare che urlava e sbuffava per ogni
macchina, o pedone, secondo lei fuori posto. E imprecava se solo, per
giunta, notava qualcuno guardarla di traverso. Ringraziò
chissà
quale Dio quando toccò terra, tuffandosi fuori dallo
sportello.
Stava per chiudere che l'espressione di Siobhan la fermò:
era così…
distante, come se si fosse paralizzata per alcuni pensieri di troppo.
«Va tutto bene? Vuoi aspettare e andare insieme alla
CatCo?».
Ricordava solo adesso che in uno dei tanti farfugliamenti della notte
prima, Siobhan le aveva confidato di aver paura di rimettere piede al
lavoro. C'era tutta la sua vita lì, ma era anche il luogo
dove le
avevano sparato.
Si
destò all'improvviso e, dopo un attimo di smarrimento,
aggrottò la
fronte. «No, perché dovrei? Ci vediamo
lì».
Se
ne andò con la stessa velocità di un cavallo
imbizzarrito e Kara si
chiese se non fosse un po' troppo orgogliosa da riconoscere di aver
bisogno di aiuto. Così si mise in marcia per la villa, non
mancava
molto. Sapeva che aveva poco tempo: doveva andare alla CatCo, poi al
campus e approfittarne per mangiare qualcosa, di nuovo alla CatCo e
di corsa alla Luthor Corp per prendere l'elicottero che le avrebbe
portate a Gotham. Ma quando Lena le aprì il portone e la
baciò,
qualcosa in lei scattò: le strinse i fianchi sopra una
maglietta e,
con foga, approfondirono il bacio, finendo contro il portone e
sbattendolo al muro. Lei le sorrise e Kara arrossì,
guardandola
negli occhi, ancora tanto vicine da avere il respiro ognuna sul viso
dell'altra. «O-Ops…
C'è Indigo che-?».
«Non
preoccuparti, tigre: Indigo è in giardino». Si
separarono e si
misero a ridere, chiudendo dietro di loro. «Temevo andassi
direttamente alla CatCo».
«Mi
devo lavare e cambiare, puzzo di insetticida. E questo?».
Prese un
pacchetto imballato lasciato sopra il mobiletto all'ingresso.
Lena
la abbracciò per le spalle, baciandole la schiena e facendo
una
smorfia. «Sì,
puzzi.
È la chiavetta che ha inviato tuo cugino, con i dati
lasciati alla
Luthor Corp dagli uomini di Rhea Gand».
«Perché
non l'hai aperta?». Aprì subito il pacchetto,
mentre l'altra le
diceva che era indirizzata a lei. «Potevi farlo».
Un bigliettino le
diceva che lui e Lois avevano fatto una copia dei dati e che le
mandavano i loro saluti e baci. Sorrise e le mostrò la
chiavetta.
«Un lavoretto per Indigo non appena si libererà
con Alex».
Lena
guardò verso il giardino e strinse le labbra. «Non
sono sicura di…
Mi sembra di sfruttarla, così».
«Si
è proposta lei».
«E
la stiamo sballottando da una parte all'altra»,
sbuffò, ma si
distrasse in fretta, mordendosi un labbro. «Non devi farti
una
doccia?».
«Tu
te la sei già fatta?». Le lanciò
un'occhiata e le si imporporarono
le gote, nascondendo un piccolo sorriso compiaciuto: «Mi
piace
quando indossi le mie magliette».
Lei
rise, dondolando sui talloni delle calzette. «Non volevo che
Indigo
mi vedesse in camicia da notte. E no, la doccia è ancora nei
programmi da fare». Scosse la testa e le fece cenno di
seguirla:
Kara si mosse e a quel punto lei le fece la linguaccia, così
da
farsi correre dietro.
Sfruttarono
il bagno in camera di Lena e Kara l'aiutò a riagganciarsi il
reggiseno, baciandole le spalle. L'aria era così calda di
vapore e
la loro pelle così morbida che non avrebbe voluto staccarsi.
«E
com'è andata con Siobhan? Si è
ripresa?», le chiese d'un tratto,
voltandosi e scambiando con lei un bacio. Kara fece una smorfia
incerta e Lena le sistemò i capelli sulle spalle; era
già
sfortunatamente vestita.
«Non
lo so… So che le hanno consigliato lo psicologo per
ciò che le è
successo, ma non credo abbia fatto tutte le visite che le
spettavano», alzò gli occhi al soffitto e Lena ne
approfittò per
metterle bene il colletto della camicia. «È come
se si rendesse
conto di aver bisogno di aiuto solo quando beve», ci
pensò,
«Oppure… beve quando si rende conto di aver
bisogno di aiuto.
Cos'aveva
che non andava il colletto?».
Lena
accennò un sorriso e si infilò il vestito,
così Kara le tirò su
la cerniera. «Lo sai che non puoi salvare tutti,
vero?», si voltò,
guardandola negli occhi. La fermò, prima che protestasse.
«Con
questo non voglio dire che tu non debba provarci, se lo vuoi. Solo
devi», sospirò, scrollando le spalle,
«mettere in conto che non
tutti vogliono essere salvati». La vide annuire e
abbracciarla per i
fianchi.
«Sei
bellissima».
«Sei
in ritardo».
Kara
gonfiò le guance e la lasciò andare,
avvicinandosi alla porta del
bagno e facendole la linguaccia a sua volta, per ripicca. Indigo
guardava la televisione in sala da pranzo e, quando Kara le
passò
dietro per la cucina, si divertì a scuoterle i capelli
così che la
treccia, sistemata sul capo con le forcine, si staccò.
«Di
buonumore?», brontolò lei con la bocca piena di
cereali, poggiando
la tazza di latte sul banco solo per sistemarsi di nuovo i capelli.
Kara
si diresse direttamente in frigo, trovando e aprendo uno yogurt alla
vaniglia. Lo avrebbe mangiato al volo intanto che i capelli finivano
di asciugarsi. Prese un cucchiaino e si portò un boccone in
bocca,
passando di nuovo davanti alla tv, incantandosi quando udì
il nome
Astra
Inze.
Trasmisero una sua vecchia foto con la divisa da sergente e dopo un
video di lei in manette, in tribunale.
Indigo
guardò Kara e la tv, di nuovo Kara e la tv, deglutendo la
colazione.
Si lasciò scappare dopo un piccolo sorriso, senza ombra di
divertimento. «Adesso vedo la somiglianza», la
osservò come prese
la sua attenzione. «Tua zia era uguale a tua madre, non
è vero? La
conoscevo di vista, lì a Fort Rozz; non che ci volessi avere
a che
fare con quella e il suo gruppetto. Era meglio star lontane».
Kara
abbassò lo yogurt e strinse le labbra, fissando lo schermo
della tv.
«Come… Come stava?», deglutì.
Indigo
rise. «Pensi che la tua zietta se la passi male in prigione?
All'inizio, probabilmente, che ne so. È li da
anni», scrollò e
spalle. «Ma ti ha presa per il culo, e questo lo
so», incurvò la
testa, sorridendole di nuovo. «Sapeva che saresti potuta
andare da
lei, l'avevano avvertita, quella volta».
«Di
cosa parli?».
«Della
prima volta che sei andata a trovarla. Sì, so tutto. Mi
piace farmi
gli affari degli altri e, in prigione, non che ci fosse altro da
fare», alzò le spalle, prendendo un'altra
cucchiaiata di cereali.
«L'ofganizzazione
confolla Foft Roff da un po'»,
borbottò con la bocca piena, per poi ingoiare.
Lena
si avvicinò piano, appoggiandosi alla parete tra la sala da
pranzo e
il salone, ascoltando.
«Hanno
infilati i loro artigli un po' ovunque finché non
è stata
completamente infettata. Eri con Lois Lane, la tipa di tuo cugino. La
voce girava nei corridoi. L'hanno truccata come un'appestata solo per
farti credere che oh,
poverina, come se la passa male»,
rise, dopo aver parlato con una vocina sgradevole. «Ma lei,
lì
dentro, è una fottuta regina! E adesso, l'unico desiderio
della
regina è quello di uscire per andare ad abbracciare la sua
nipotina
adorata». La adocchiò e Kara
s'irrigidì. La vide stringere il
barattolino dello yogurt e, senza dir nulla, uscire velocemente dalla
sala da pranzo, scontrandosi con Lena che stava per entrare.
«Ehi,
Kara», la chiamò ma l'altra le urlò di
essere in ritardo. «Dovevi
proprio dirglielo?», strinse i denti e corse verso
l'ingresso.
Indigo
abbassò gli occhi e spense il sorriso, prendendo un altro
boccone di
cereali. Era la verità, perché non avrebbe dovuto
dirglielo?
Cos'era esattamente quel fastidio interno che provava?
Sua
zia l'aveva presa in giro? Kara non faticava a crederlo, non la
conosceva più. Faceva appena in tempo a riordinare i
pensieri che le
riguardavano, capendo di volerle bene, che tutto si contorceva di
nuovo. Non poteva continuare così. Astra voleva ritornare
alla sua
vecchia vita, eh? Peccato che la sua vecchia vita, semplicemente, non
esisteva più. La sua nipotina adorata
non era più una bambina, aveva un'altra famiglia e lei non
ne faceva
parte. Accidenti. Quanto ancora si sarebbero stravolte le cose fino a
quando non sarebbe uscita di prigione? Avrebbe affrontato la
verità
una volta davanti a lei ed era arrivato il momento di dire basta a
quell'attesa; ora forse avrebbe fatto semplicemente meglio a proibire
i telegiornali, in quella casa.
«Kara,
non-».
«Non
importa, Lena, davvero, non… non dire niente»,
finì il suo yogurt
camminando sul pianerottolo, girando in tondo. «Quello che
pensa mia
zia non ha importanza e lo capirà! Lo
capirà», annuì e Lena
l'abbracciò, così si scambiarono un bacio.
«Sei pronta?», abbassò
la voce, «Se sei pronta…».
«Fammi
andare a prendere le chiavi». Le prese il barattolino vuoto e
rientrò, notando Indigo appostata davanti all'ingresso che
si
torceva le dita delle mani. Le passò a fianco e lei la
seguì a
ruota. «Devi chiedere scusa a lei, non a me»,
specificò subito e
Indigo s'imbrunì.
«Non
volevo chiedere scusa», la rincorse. «Mi sono resa
conto che l'ha
ferita ma… ma è la verità,
e-».
«Lo
so che è la verità, Indigo», si
fermò con rabbia, una volta
entrate in cucina. «Ma ci sono modi e modi di dire le cose e
tu hai
usato quello sbagliato. E lo so che...», ansimò,
cercando di
riprendere la calma. «Lo so che dentro di te riesci a capire
dove
hai sbagliato. Non sei così come ti dipingi, Indigo, apri
gli occhi!
Smettila! Se sei qui perché vuoi esplorare i sentimenti
è perché
sai già di poterne provare, sai cos'è l'empatia e
devi solo
svegliare questa parte di te che hai soffocato». Indigo non
riuscì
a dirle niente ed era certa che fosse meglio così.
«Non sei tuo
fratello, Indigo. Non lo sei mai stata, va bene?», scosse la
testa,
bisbigliando. «Lo so cos'hai fatto per tenerlo vivo in te ma
non
funziona… meriti di essere la persona», la
indicò, stringendo i
denti, «che sei tu.
Sei viva, ti prego… Segui te stessa, non lui».
Indigo
deglutì, gli occhi lucidi, la bocca semiaperta. Forse era
proprio
vero che era diversa dal suo fratellino Cyan o quelle parole non le
avrebbero provocato tanto rumore dentro di lei. «Tuo padre mi
ha
detto una cosa simile, una volta».
Lena
annuì e deglutì, a fatica. «Qualcosa di
giusto lo faceva anche
lui, allora». Andò ad appoggiare il barattolino
vuoto e le passò a
fianco di nuovo, fermandosi per dirle che Alex sarebbe passata presto
a prenderla. «Ah, dimenticavo», si
voltò, «È arrivata la
chiavetta che aspettavamo da Metropolis, la controlleremo assieme.
Per il momento, non dirlo ad Alex. Voglio poterla visionare io, prima
del D.A.O.». Aspettò di vederla fare un cenno e si
mosse per un
passo, fermandosi ancora, con una mano contro il muro. «Ti
andrebbe
di lavorare per me?».
Indigo
spalancò gli occhi e pian piano si accigliò.
«Lavorare… Un
lavoro-».
«Hai
detto che nessuno ti darebbe un lavoro. Io sì. Non
rispondere
adesso, riflettici», uscì, andando a recuperare le
chiavi
dell'auto. Raggiunse fuori Kara e le sorrise, così l'altra
ricambiò.
Pensò di non riprendere con lei l'argomento, anche se era
preoccupata. Non poteva decidere per lei, ma non ne sarebbe affatto
felice se quella Astra Inze volesse tornare a far parte della sua
vita, non poteva negarlo. Così si limitò a
chiederle come stesse e
si scambiarono un bacio.
Ecco,
non c'era Marielle, e nemmeno Ingrid, ma per poco non le sorprese
l'autista di famiglia, Ferdinand. Credevano non lo avrebbero rivisto
finché Lillian ed Eliza non fossero tornate dal loro viaggio
di
nozze e per poco Kara non cadde in un'aiuola per scansarsi in tempo
da Lena e non ripetere la briosa esperienza avuta con la giardiniera.
Ne uscì che aveva sbagliato giorno, convinto che le signore
sarebbero tornate quella mattina.
«Figurati»,
incalzò Lena, mettendo le braccia a conserte. «Ti
avrebbe chiesto
di andarle a prendere all'aeroporto».
Lui
abbassò la testa, sospirando appena. «Ha senza
dubbi ragione,
signorina Luthor».
Chiese
loro se volessero essere accompagnate e, a risposta negativa, se ne
andò quasi con la coda tra le gambe. Voce da soprano, adatta
al suo
fisico possente. Kara rise, poiché da quando lo conosceva,
quella
era la prima volta che lo sentì parlare tanto a lungo,
mentre Lena
era convinta che la vacanza di Lillian avesse sbalzato la sua
routine: non era solito sbagliare giorni, era sempre stato molto
attento e preciso. Videro arrivare Alex in auto quando loro uscivano,
quella di Ferdinand ancora vicina. Si salutarono, prendendo la
direzione opposta.
«Ho
chiesto a Indigo di lavorare per me», disse Lena,
«Eviteremo di
sfruttarla e… Non credo che Siobhan sia l'unica a cui serva
uno
psicologo: gliene consiglierò uno». Sapeva che era
la cosa
migliore. «Magari non tutti vogliono essere salvati
ma… è nostro dovere provarci». Vide
Kara sorriderle come se ne
fosse fiera e Lena si leccò le labbra, imbarazzata.
Si
era già ritrovata in una situazione simile: quando Eliza
stava per
sposare Lillian, la luce dei riflettori era continuamente puntata
sulla loro famiglia, ma non le era mai capitato di non sentirsi a suo
agio all'interno della CatCo. Quelli che avrebbe voluto che
diventassero i suoi colleghi al cento per cento non facevano che
guardarla di nascosto, per non parlare dei bisbigli, perché
il suo
udito funzionava più che bene. Era scontato come Cat Grant
avesse
ordinato a tutti di non tormentarla, ma restava qualcosa che la
metteva a disagio. L'indomani doveva perfino tornare in tribunale per
il processo di suo zio Non e doveva essere l'argomento di punta per
molti. E Leslie Willis non c'era e non poteva contare sulle sue
stupide battute per distrarsi, quando anche Siobhan Smythe era
così
silenziosa da non sembrare lei. Se non altro, pensò
controllandola,
riusciva a restare sulla scrivania a lavorare, anche se si distraeva
più del dovuto e scattava sulla sedia a ogni rumore sospetto
o se
qualcuno le passava accanto. Era evidente come avesse bisogno di
aiuto.
«Danvers?
Mi stai fissando, per caso? Smettila».
Kara
serrò le labbra con forza e si voltò. Il suo
carattere per fortuna,
o sfortuna che fosse, non sarebbe mai cambiato.
Non
vedeva il momento di tornare al campus, finché non si
accorse che
anche lì, ancora,
era la più chiacchierata del complesso. Stava diventando una
cosa
ridicola e ne discusse con Megan durante una pausa, se non fosse che,
anche lei, aveva la testa da un'altra parte: aveva provato a
telefonare John ma non rispondeva. Non lo ammetteva, ma la ragazza si
pentiva di non avergli dato subito una seconda possibilità
in modo
da restare in contatto.
Seguì
le ultime lezioni di giugno prima della sospensione e si
segnò sul
cellulare quali argomenti avrebbe dovuto studiare con più
attenzione
per gli esami, sperando che Lena le avrebbe dato una mano. Non voleva
chiederle di fare anche questo, avevano già tante cose in
ballo e le
loro giornate si stavano riempiendo di impegni, ma rischiava di non
farcela, questa volta. Doveva rendersene conto e mettersi sotto con
lo studio perché era importante, che avesse avuto il posto
alla
CatCo o meno. Senza dimenticare le ultime partite della stagione. Oh,
ansimò… star dietro a tutto era un'impresa anche
per Supergirl.
Intanto,
dopo aver lavorato sotto ad altri dati in casa di Alex Danvers, lei e
Indigo ripartirono in macchina verso la Lord Technologies dove la
prima aveva fissato un appuntamento. In verità, avrebbe
voluto
essere ovunque meno che lì e Indigo non si lasciò
sfuggire il suo
nervosismo, tenendola d'occhio con la coda dell'occhio.
«Non
sapevo che dovevamo venire qui», mormorò lei dopo
che Alex parlò
con la guardia al cancello, che la fece passare. Odiava non avere in
mano un piano preciso o delle certezze qualsiasi, senza contare come
tutto, con Lena, si stesse complicando. Come le stava entrando dentro
e scavando. Come probabilmente avesse ragione. Come poteva
continuare? Temeva che i suoi sentimenti prendessero il sopravvento e
mandasse al diavolo la sua missione, prima o poi. Ma non poteva.
Oh…
Non poteva. Si ricordò le foto e strinse forte i pugni,
cercando di
prendere aria e tornare se stessa, almeno ora.
«Non
preoccuparti, resterai fuori, voglio parlare con lui in
privato»,
soffiò, cercando parcheggio.
«Non
ti piace?», le domandò a un certo punto e Alex
sorrise. «O forse è
il contrario. Sei agitata».
«Smettila
di psicanalizzarmi. È solo che non vedo l'ora di essere
già fuori
di qui».
Scesero
dall'auto e Indigo stette a un passo da lei. Le fecero passare in
portineria e presero l'ascensore. La segretaria le salutò
pacata e
sia Alex che Indigo si fissarono a guardare Maxwell Lord attraverso i
vetri del suo ufficio, intento a digitare sul portatile. Alex chiese
alla segretaria se l'altra ragazza potesse restare con lei e si fece
annunciare, vedendo il giovane che si alzava di scatto dalla sedia e
si lisciava la cravatta, allungando uno sguardo verso di loro e non
mancando di sorridere.
«Prego,
prego», abbassò lo schermo del portatile e le fece
cenno, mentre
chiudeva la porta dietro di lei. «Accomodati,
Alex», le sorrise
gioviale, «Ti stavo aspettando». Diede un'altra
veloce occhiata
fuori, verso la scrivania della segretaria, a Indigo che si passava i
capelli sciolti dietro le orecchie. «La tua amica»,
strinse gli
occhi, «mi pare di averla già vista da qualche
parte».
«Non
la conosci», disse in fretta lei, scuotendo la testa e
sedendo, «È
solo… Una collega del D.A.O., fa lavori di
segreteria», annuì.
«Curioso»,
sorrise, sedendo e congiungendo le dita delle mani, «Portarsi
dietro
chi non lavora sul campo non è proprio usuale».
«Non
sono qui per parlare della mia collega».
«Oh,
sì». Si illuminò e aprì un
cassetto alla sua destra, tirando
fuori una pennetta usb e mostrandogliela. Alex spalancò gli
occhi,
mettendosi dritta con la schiena. «Ho sparso la voce tra i
dipendenti, come promesso. Così è saltata
fuori», gliela passò e
Alex la tenne stretta, controllandola con attenzione quasi avesse
paura di un falso. «Uno di loro se l'era portata a casa
credendo
fosse sua. Per fortuna non l'ha aperta».
«Dovrò
parlare con lui», disse distratta, custodendo velocemente la
chiavetta in borsa.
«Quando
vuoi».
«Devo
chiedertelo, Maxwell: è stata alterata? Hai cambiato i dati
al suo
interno?».
Lui
scosse lentamente la testa, mettendo su una smorfia incuriosita.
«Avrei dovuto? Non ho nulla da nasconderti, Alex».
«Beh,
ne dubito. Per cominciare, cosa ci facevano qui alla Lord
Technologies gli uomini di Rhea Gand?»,
assottigliò gli occhi.
«Hanno attaccato luoghi ben precisi, Max,
non voleva solo creare caos a National City, è stato un
attacco
mirato. Che rapporti avevi con lei? O con Dru Zod?».
«Oh,
è un interrogatorio?».
«Sono
in servizio, sì».
«Bene.
Allora, agente Danvers», si appoggiò alla
scrivania, mettendosi
composto. «Devo confessare di aver lavorato a un progetto per
loro,
all'inizio della mia carriera qui alla Lord Technologies».
«Loro?».
«Sai
di chi parlo», sorrise e poi sospirò.
«Conosco Rhea Gand e questo
già lo sapevi. Anche allora, era una spina nel
fianco».
«Dovrò
poter accedere ai dati di quel progetto».
«Oh,
non so, si parla almeno di dodici, tredici anni fa, Alex…
Potrebbero essere andati perduti».
Lei
fece una smorfia. «Ti chiederei di controllare».
Il
giovane sospirò, quando si accorse che intendeva dire in
quel
momento. Chiamò la sua segretaria e le disse di raccogliere
tutti i
dati relativi a un misterioso ACM-63, ma la stessa donna, dalla voce,
ne sembrò spaesata. «Fai la ricerca e stampa
tutto», chiuse la
chiamata e alzò le spalle, riguardando Alex:
«Ancora non lavorava
per me».
«Perché
lavorare con l'organizzazione, Maxwell?».
Lui
scosse la testa, sospirando. «Non sapevo che lo fosse e
pagavano
bene. E prima che tu me lo chieda, no, non era nulla di losco: qui
alla Lord Technologies abbiamo disegnato, progettato e costruito
l'impianto d'acqua per l'Angel
Children's Memorial»,
inspirò. «Ti aspettavi qualcosa di
diverso?».
Alex
trattenne il fiato, abbassando gli occhi un attimo. «Le
fontanelle
della piazza? Sei serio? Perché l'organizzazione avrebbe
dovuto
finanziare qualcosa del genere?».
«Non
porgere queste domande a me, ho solo svolto il mio lavoro»,
sorrise,
appoggiandosi si nuovo sullo schienale. «Non era di mio
interesse
fare domande, volevo solamente il mio trampolino di lancio».
«Con
quanti di loro hai avuto a che fare? Con Zod?».
Il
giovane scosse amaramente la testa, prendendo un altro sospiro.
Guardò un attimo, solo un attimo, di nuovo fuori verso
Indigo che,
davanti alla scrivania della sua segretaria e a un cellulare, portava
un'auricolare all'orecchio sinistro. S'incuriosì, per poi
riguardare
l'altra che aspettava una risposta. «Non sono neanche davvero
certo
che quell'uomo ne abbia fatto parte; per quanto ne so, Rhea Gand lo
odiava e voleva semplicemente incastrarlo».
«Non
hai risposto alla mia domanda», alzò un
sopracciglio.
Lui
annuì, stringendo di nuovo le mani sulla scrivania.
«Il mio tramite
con loro era Rhea Gand. E suo marito, Lar. Mi spiace
deluderti», le
sorrise ma Alex non ricambiò.
Non
capiva: una parte di lei era sicura che gli stesse mentendo. Lo
guardò negli occhi e, con voce sicura, arrivò al
dunque: «Fai
parte dell'organizzazione?».
Lui
spalancò dapprima gli occhi, poi gli angoli della bocca si
sollevarono e si mise a ridere. «No», rispose
candidamente, «Non
faccio parte di alcuna organizzazione».
Accidenti,
non era sicura che stesse dicendo il vero ma, d'altro canto, non
aveva alcune prove a dimostrarlo e questo progetto sulle fontanelle
la sviava. Lo stesso forse doveva pensarlo Indigo che, morsicandosi
le unghie della mano destra, ascoltava la conversazione tramite il
cellulare di Alex Danvers. La segretaria si era rimessa a giocare a
poker online, non che avesse altro da fare: l'aveva vista cercare
negli archivi con noia, trovando giusto qualcosa, non che si fosse
messa di grande impegno.
«Non
volevo sollevare l'argomento, ma…», Alex si
alzò dalla sedia e si
avvicinò alla parete con appesi un gran numero di quadri e
quadretti, la stessa parete che, mesi prima, avevano visionato
insieme alla ricerca di un quadro per l'asta alla Luthor Corp,
adocchiando quello che aveva vinto in scommessa proprio contro Rhea
Gand. Maxwell si alzò a sua volta e la raggiunse.
«Proprio qui, mi
parlasti di tuo padre», lo guardò, «Di
sfuggita, forse, ma lo
ricordo bene. Entravi nel mondo degli adulti, dicesti che eri ancora
un ragazzo, e tuo padre non si interessava abbastanza a te».
«Adesso
accusi mio padre di averne fatto parte, quando era in vita?»,
le
sorrise di nuovo, mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni.
La
ragazza scosse la testa. «Sono solo curiosa,
Maxwell», si concentrò
su alcuni quadri, fissando le pennellate ordinate. «Una
curiosità
personale, non ai fini dell'interrogatorio. Quando ho fatto irruzione
con la mia squadra e ho arrestato gli uomini di Gand, mi hai detto
che la tua famiglia è morta da tempo e sono stata
indelicata. Ti
chiedo scusa».
«Non
devi, davvero». Si avvicinò a un quadretto in alto
e lo staccò
dalla parete: mostrava un fiume e una casetta quasi al limitare della
cornice. «Era il preferito di mio padre. Lo aveva comprato da
ragazzo e credo lo amasse più di me», rise,
mostrandolo ad Alex.
«Lo custodisco gelosamente perché mi ricorda
perché sono diventato
quel che sono diventato», lo riattaccò al chiodo,
con cura. «Lui
non credeva in me e guardarlo mi ricorda come mi sia preso una bella
rivincita». Sospirò, riprendendo il discorso e
appoggiandosi alla
sua scrivania: «E, alla fine dei giochi, come questo non
conti più.
L'ho perdonato. Mia madre è morta quando ero bambino e lui
non era
più stato lo stesso, aveva perso tutto e dunque…
ho cercato
altrove l'appoggio paterno che mi mancava». Alex lo
guardò rapita:
Maxwell aveva gli occhi lucidi, era distante con la mente, anche se
sembrasse cercare con ogni mezzo di restare ancorato al presente.
«Sono diventato la persona che sono e lui… se
n'è andato. Non
stava bene, la malattia lo stava divorando e immagino abbia
vinto».
«Mi
dispiace», mormorò e lo vide annuire, senza
guardarla negli occhi:
doveva fargli davvero male parlarne.
Lui
sospirò di nuovo, incrociando le dita delle mani e
appoggiandole
contro le ginocchia, piegandosi. «E adesso ha
trovato… ciò che
cercava, agente Danvers?», la riguardò negli occhi
e lei si
paralizzò sul posto, vergognandosi all'improvviso.
«Mio padre non
faceva parte dell'organizzazione, te lo garantisco. Era uno
scienziato così come mia madre, un brav'uomo. Non magari un
padre
eccezionale, ma un brav'uomo, questo sì. E mi ferisce come
tu non
sia sincera con me, Alex. Puoi chiedermi qualunque cosa», si
alzò e
si avvicinò a lei, così le sorrise, mettendola in
soggezione, «E
io vedrò di risponderti come meglio potrò
fare».
Alex
deglutì. «Che non è esattamente come
dire la verità».
Lui
rise con garbo, aprendo la bocca per dire qualcosa e infine zittirsi,
scuotendo l'indice destro mentre si riavvicinava alla scrivania,
aprendo un cassetto. «Tu sei esigente, Alex Danvers.
Sarà anche per
questo che mi piaci».
Lei
arrossì involontariamente, portandosi una mano sulla fronte.
«Maxwell, io-».
«Lo
so. Ma sono una persona paziente», scrisse velocemente
qualcosa su
un biglietto e glielo porse, soddisfatto. «Per evitare
l'imbarazzo
dello scambiarsi i numeri e fare squilli di sorta».
Alex
lo prese, leggendo sopra un numero di telefono.
«Il
mio. Quello privato». Si rimise le mani nelle tasche dei
pantaloni,
soddisfatto. «Se dovesse venirti in mente qualcos'altro,
potrai
scavalcare la mia segretaria e chiedermelo direttamente».
«Io
non so se- Non posso prenderlo».
«Perché
no? Da amici. O se preferisci, per lavoro».
Squadrò
attentamente entrambe dal vetro del suo ufficio quando le vide
chiamare l'ascensore. La segretaria le fornì le fotocopie di
ciò
che aveva trovato e lui sospirò di nuovo. Alex Danvers
e… Indigo
Brainer. I capelli sciolti e gli occhiali sul naso non potevano
camuffarla a uno sguardo attento come il suo. Maxwell sorrise,
tornando a sedere davanti alla sua scrivania.
Indigo
la osservò attentamente, una volta tornate in auto.
«Hai ottenuto
ciò che volevi?».
L'altra
si appoggiò sul sedile e prese una grossa boccata d'aria,
per poi
afferrare la pennetta usb che le aveva consegnato il giovane Maxwell.
«Se potresti aiutarmi con questa, per piacere».
«Cosa
devo cercare?».
«Qualsiasi
cosa». Sfogliò le fotocopie del progetto sulle
fontanelle. Era
tutto lì? Forse lui davvero non c'entrava niente.
Perché
all'improvviso era convinta di dover trovare il marcio anche dove non
aveva mai dato prova di esserci? Era così stanca e stava
prendendo
un'altra strada sbagliata. Avrebbe dovuto chiedere a Lex per la
storia delle pillole, forse. Si conoscevano da anni…
«Devo capire
se mi ha mentito».
«Sì
che ha mentito».
Alex
si rimise velocemente dritta con la schiena, guardandola.
«Cosa
intendi?».
«Beh»,
l'altra scrollò le spalle, trovando la forza per fare un
breve
sorriso, «tutti mentono, Alex Danvers. Ingenuo pensare il
contrario,
le persone sono così… prevedibili».
Alex
gettò le fotocopie sui sedili posteriori e portò
le mani sul
volante prima di ricordarsi di dover ancora mettere in moto. Il tempo
di farlo che un'altra idea le balenò per la testa e Indigo
attese,
perché sapeva che stava per arrivare una nuova richiesta.
«Tu su
internet puoi trovare di tutto, giusto?».
«Su
internet qualsiasi cosa. Internet è un magico
mondo», fece
dell'ironia, ma l'altra non rise.
«No,
no, lascia perdere», scosse la testa e mise di nuovo le mani
sul
volante, guidò l'auto fino a uscire dal parcheggio e la
fermò di
colpo a pochi metri dalla guardia al cancello. «Tu potresti
scoprire
tutto su una persona, giusto?».
«Maxwell
Lord?», indicò alle sue spalle l'edificio.
Alex
fece una smorfia con le labbra e riprese il volante per l'ennesima
volta. «No, no! Lascia perdere, era un'idea
stupida». O forse no,
stupida no, ma cattiva probabilmente: Maxwell Lord le aveva
raccontato di suo padre e gli aveva fatto male farlo, e lei avrebbe
voluto scavare ancora su di lui ignorando il suo diritto alla
privacy? Tutto tornava, non sembrava nascondere niente. Era
così
frustrata da doversi accanire su di lui perché, cosa, le
faceva le
avance? Quello era troppo anche per lei. Si spaventò quando
vibrò
il cellulare e gonfiò le guance quando lesse chi la
chiamava. Fece
cenno a Indigo di fare silenzio e accettò:
«Carina, ehi… Non mi
aspettavo una tua- Cosa?»,
si accigliò, «Di' che sto lavorando, ho appena
recuperato la
pennina lasciata dai terroristi di Gand alla Lord
Technologies».
Prese una pausa, accigliandosi. «Adesso si ricordano che lo
conosco
di persona? Quando dovevo far seguire mia sorella, nessuno si era
opposto. Va bene, va bene. No, non lo dirò a
Jonzz… Anche lui è
una vittima dei piani alti e ultimamente non so nemmeno cosa gli
passi per la testa». Staccò e strinse il telefono;
chiuse gli occhi
per pensare, sentendo Indigo che la fissava. «Non uscirtene
con una
delle tue o ti caccio fuori attraverso il finestrino chiuso».
«L'ho…
aperto», bisbigliò, «C'è
caldo».
Alex
la fissò, rialzando lo sguardo e Indigo si tenne indietro
sul
sedile. Decise di non replicare e mise di nuovo in moto, scusandosi e
salutando la guardia al cancello.
Sarebbe
dovuta tornare a interrogare Maxwell Lord con Carina Carvex,
fantastico. L'avevano assegnata come compagna. Ed era già
tanto se
non l'avevano sospesa perché si erano accorti all'ultimo che
aveva
conoscenze sul caso e che non poteva interrogare nessuno da sola. Ma
si volevano mettere d'accordo? Faceva comodo a tutti quando il caso
era Kara e doveva tenerla d'occhio senza destare sospetti.
Fortunatamente era brava nel suo lavoro o non sapeva… Emise
un
sospiro stanco, tornando verso casa. «Pranziamo e lavoriamo
alle
chiavette, ma dobbiamo aspettare la mia collega».
«Quella
Carina Carvex?».
Alex
annuì, girando il volante. Per fortuna Jamie era all'asilo e
Maggie
a lavoro, perché l'aria si sarebbe fatta pesante.
«Oggi dobbiamo
passare tutta la giornata insieme, non posso riportarti in villa,
quindi vedi di non metterti a dire cose strane… Anzi, parla
con lei
il meno possibile. Ti presenterò come», fece una
smorfia con le
labbra, «un'esperta di informatica. Ma se fa domande, allora
fingi
di star male e ti rinchiuderò nella mia camera da letto
perché non
posso, non posso proprio segnalarti al D.A.O.».
«Carina
Carvex è quella che si è presentata ieri da
te?».
Alex
parcheggiò e spense il motore, alzando le sopracciglia.
«Perché?».
«Ma
nulla, sono un'osservatrice».
Kara
tornò
alla CatCo con la testa pesante e stanca, ma per fortuna non mancava
molto per quell'elicottero. La sua salvezza. E, lo doveva ammettere,
Lena le mancava già. Era assurdo, ma stava diventando la sua
droga e
sapeva che doveva essere lo stesso da come la guardava colma di
desiderio ogni volta che i loro sguardi si incrociavano. Era come se,
d'altra parte, stessero recuperando tutto ciò che avevano
perso a
stare lontane per mesi. Un po' impegnate ma… non c'era nulla
di
male.
Prese
un lungo sospiro e si alzò dalla sedia con uno scatto,
rimettendo a
posto le sue cose ma, quando cercò Siobhan, si accorse che
non era
ancora tornata. Si era alzata almeno una mezzora fa per andare in
bagno, accidenti. Lasciò tutto com'era e andò a
cercarla. Sentì i
suoi respiri sommessi e veloci non appena aprì la porta e li
seguì.
Doveva aver capito che c'era qualcuno poiché all'improvviso
smise,
fino a farsi sentire facendo un verso con la gola.
«Qui
è occupato».
La
sua voce era rotta, pensò Kara. Si era sforzata per farla
uscire
alta, probabilmente piangeva fino a un secondo fa. Aprì una
delle
porticine cigolanti degli scomparti e- no,
impallidì mentre quella ragazza le gridava di richiudere.
Non era
Siobhan. Si toccò il petto e andò dritta
all'altro unico scomparto
chiuso, ma questa volta pensò bene di bussare.
«Emh… sei
presentabile?».
«Sono
in bagno. Secondo te lo sono?».
«Va
bene, allora… aspetto qui». Si appoggiò
al pilastro vicino e si
guardò i piedi, quando poi sentì lo sciacquone e
la ragazza di poco
prima uscì dalla porticina, stringendo gli occhi nella sua
direzione. Le chiese scusa stringendo i denti e mettendo le mani
unite, così la vide lavarsi le mani e uscire.
«E
per cosa staresti aspettando?».
Kara
alzò gli occhi al soffitto ben illuminato, ciondolando coi
piedi.
«Te».
Ci
mise qualche secondo a rispondere, con la voce più bassa.
«Aspetti…
il niente».
Okay,
ora basta,
pensò, rischiando il peggio e aprendo la porticina. Siobhan
era
seduta sul gabinetto chiuso, le gambe incrociate; il trucco impastato
intorno agli occhi, le mani tremavano come le sue labbra, gli occhi
spalancati la seguirono. Non era arrabbiata, ma terrorizzata. Si
abbassò e cercò di non sospirare; non voleva
farla chiudere di
nuovo e temeva a fare qualcosa che le avrebbe dato fastidio.
«Sei
tornata troppo presto».
«No»,
scosse appena la testa.
«Sì.
Sì, Siobhan. Lo psicologo ti ha detto che potevi
tornare?».
Lei
emise un verso divertito, alzando gli occhi al soffitto, passandoci
le dita. «Lui non capiva… Non capiva come mi
sentivo».
«Ah,
davvero?», alzò le spalle e strinse le labbra per
un attimo,
cercando di mantenere la calma. «Perché sai cosa
vedo io? Una donna
forte che ha bruciato le tappe perché vorrebbe tornare
quella di
prima ma non si rende conto di come non sia semplice come schioccare
le dita». Si fermò, vedendola formare una smorfia.
«Pensi di
essere pronta perché vuoi disperatamente tornare alla
normalità ma,
Siobhan, anche se il corpo è guarito, dentro ci
metterà un po'».
Era silenziosa, fin troppo. «Cosa ne pensi?».
Adesso non era
ubriaca, non aveva scuse e faceva una fatica immane a confidarsi, lo
notava come la sua bocca si apriva senza emettere fiato, come gli
occhi cercassero un riparo, come le mani… Gliele strinse e
Siobhan
provò un brivido, lo captò anche lei. Ma non la
scacciò ed era già
qualcosa.
«A
te non è servito… tutto questo tempo».
«A
me…?». La bomba, Kal sdraiato su un letto e senza
memoria, la
terapia, una nuova famiglia, Faora Hui che tenta di spararle, gli
uomini di Rhea al campus che la cercano, il cadavere dell'agente del
D.A.O. trovato da lei e Barry Allen, Rhea Gand che la minaccia e le
dice in faccia la verità. Scosse la testa, stringendo le
labbra.
«Ogni persona è diversa, Siobhan. Non devi
paragonarti sempre-»,
si fermò, deglutendo. Si paragonava sempre a lei.
Chissà per quale
motivo poi, se la credeva tanto perfetta, non faceva che disprezzarla
per la maggior parte del tempo. A meno che non fosse per invidia,
ma…
«Non pensare che per me sia tutto semplice, non lo
è, è solo che
non siamo uguali e non-non c'è un modo giusto o…
o sbagliato di
reagire. E i-io non ho mai preso un proiettile, tu sì e sei
stata…
coraggiosa». Annuì e Siobhan con lei.
«È cambiato qualcosa dalla
sparatoria, non è vero?», sussurrò,
vedendo che annuiva: gli occhi
erano spalancati e respirava velocemente. «Ho capito che vuoi
tornare la persona di prima ma, Siobhan, forse non lo sei
più». No,
sbagliato: si era messa a scuotere la testa e a respirare ancora
più
in fretta. «Non avere paura. I-Intendo dire che…
adesso che sei…
insomma, che sei diventata più forte dopo lo
sparo-», si morse un
labbro. «Non sempre il cambiamento è una brutta
cosa! Potresti non
tornare come prima e non esserci nulla di male, in questo».
Accidenti,
forse stava aggravando la sua agitazione, pensò, vedendole
gli occhi
spalancarsi e il petto sussultare. «Adesso respira con me,
okay?
Okay?». L'aiutò, cercando di calmare i suoi
battiti cardiaci.
Non
seppe con certezza come fece, ma riuscì veramente a
tranquillizzarla, a un certo punto. Le strinse le mani per aiutarla
ad alzarsi e, non se lo aspettava, Siobhan l'abbracciò.
Veloce e
subito dopo si era tenuta distante come se avesse potuto prendersi
una malattia. E non era ubriaca, continuò a ripetersi. Le
disse di
aver sistemato la bozza che le aveva dato da visionare e di aver
aggiunto qualcosa che poi avrebbe deciso lei se tenere o meno,
così
le diede altro a cui pensare. L'aiutò a lavarsi e le
portò la borsa
per risistemarsi il trucco. Era ancora un po' preoccupata, ma sperava
di poterla lasciare da sola senza che succedesse niente.
Così, di
nuovo davanti alla scrivania, recuperò le sue cose e prese
la borsa
in spalla.
«Vai
via?».
«Emh,
sì. Lena ed io abbiamo una… cosa
da sbrigare. A Gotham».
«Oh,
Gotham. Capisco». Abbassò lo sguardo avvilito e
pinzò dei fogli.
Kara si voltò per andarsene ma…
sbuffò, arrendevole.
Salirono
sull'elicottero sopra la Luthor Corp e si allacciarono le cinture
pronte per prendere il volo. Lena prese la mano di Kara, Kara le
sorrise, Lena no: guardò lei e dopo Siobhan, davanti a loro,
che
invece si guardava attorno spaesata, fingendo disinvoltura. La
ragazza sollevò le spalle e si avvicinò al suo
orecchio destro:
«Non potevo lasciarla, mi farò
perdonare».
«Ci
puoi scommettere che lo farai», bisbigliò e le
sorrise maliziosa,
il tempo per farla arrossire e puntare il suo sguardo altrove,
imbarazzata.
Era
già tarda sera quando sia Alex che Indigo ricevettero
rispettivamente un messaggio di Kara e Lena per dire loro che
sarebbero tornate da Gotham ormai l'indomani mattina sul presto. Alex
non era del tutto convinta che sarebbe stato un bene portare Indigo
in villa e lasciarla da sola per la notte come avevano detto loro, ma
d'altro canto lei era stanca e voleva finire la serata tranquilla con
le sue due ragazze.
Strano
ma vero, e di certo non ci avrebbe scommesso un dollaro, Carina
Carvex non fece troppe domande sulla ragazza, come se si aspettasse
che fosse già stata indicata da lei al D.A.O. ed era meglio
così,
sperando non la nominasse a voce alta a lavoro. Gliel'aveva dovuta
perfino presentare come Linda Danvers, una lontana cugina informatica
di poche parole. Rischiava di perdere il lavoro, ma si rendeva
abbastanza conto da sola che era già troppo oltre per
rimediare
subito a tutto quel pasticcio. Perfino
John non sapeva di lei.
«Non
era una tua amica?», Carina aveva sorriso, alzando le
sopracciglia.
«È la stessa ragazza di ieri o no? Ho riconosciuto
gli occhiali».
Allora
sì che aveva sudato freddo. «S…
Sì. Sì, era… era lei. Avevo
la testa altrove, scusami. Ma è mia cugina e siamo anche
amiche».
Carina Carvex le aveva sorriso e non aveva detto altro: non sapeva se
definirla fortuna.
Tra
le altre cose, avevano visionato la chiavetta data da Maxwell Lord e
non trovarono nulla che valesse la pena pensare che ci fosse
dell'altro: parlavano del progetto sulle fontanelle all'Angel
Children's Memorial
e di come Adrian Zod volesse, a capo dell'organizzazione, scavare
sotto la storica piazza per una base segreta, usando l'impianto
idraulico come facciata. Era una cosa che non trovava riscontro da
nessuna parte: Indigo cercò in un lungo e in largo e Carvex
telefonò
all'ufficio del sindaco e alla biblioteca comunale. Rhea Gand se lo
era inventato di sana pianta per incastrare l'uomo che tanto odiava.
Un altro buco nell'acqua, ma in fondo era felice di saperlo,
poiché
Lord era pulito. Almeno su quello.
Alex
accompagnò Indigo in villa che era già buio,
fermando l'auto
davanti al cancello. Anche lei sembrava stanca: da quando Jamie
tornò
dall'asilo e dissero a lei di fare una pausa dal pc, la bambina non
aveva fatto altro che parlarle, giocare con le sue braccia lasciate
inanimate fingendo che si allungassero, e saltarle addosso neanche
fosse un peluche. Indigo era rimasta inaspettatamente paziente:
glielo si leggeva negli occhi che avrebbe voluto essere ovunque meno
che lì, ma a loro stava bene che almeno si controllassero a
vicenda.
«Non
guardare troppa tv, non lasciare briciole sui tappeti, non rompere
niente e vai a letto presto».
Indigo
rise. «E mettere il pigiamino pulito, no? Sono più
grande di te,
mammina».
Alex
scrollò gli occhi, poi scese con lei dalla macchina,
accompagnandola
davanti al cancello che si apriva. Si salutarono con un cenno del
capo. Aveva intenzione di aspettare lì fino a quando non
sarebbe
entrata dal portone. Però la vide tornare indietro
all'ultimo,
illuminata dalla luce dei lampioni in giardino.
«Devo
dirti…», soffiò appena e
deglutì, «Non ti puoi fidare di quella
Carvex».
Alex
abbozzò un sorriso. «E invece mi dovrei fidare di
te?».
Si
salutarono di nuovo e, intanto che Indigo chiudeva il portone, Alex
si allontanò con l'auto.
Diamine.
Rischiava grosso nel dirglielo e quella… quella nemmeno la
prendeva
sul serio. Risentì la dolce melodia di suo fratello nella
testa e
pestò i piedi a terra. «Basta, Cyan»,
urlò per poi fermarsi, con
i pugni ben stretti, prendendo aria. La musica era cessata. Non
sapeva per quanto sarebbe durato quel silenzio e respirò a
pieni
polmoni, prendendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e
componendo un numero. Attese, camminando avanti e indietro nello
spazioso salone. Era così brutto
quel posto ora che era sola; così silente e inquietante, con
i suoi
pensieri, con quella musica. Era tornata. Digrignò i denti.
Loro non
le avrebbero mai dato retta. Qualsiasi cosa avrebbe fatto o detto,
mai. Non potevano fidarsi di lei ed era… era vero. Era vero.
Non
potevano. Staccò la chiamata e ci riprovò,
aspettando. Doveva
rispondere, doveva. Riattaccò la chiamata e
riprovò. Odiava quel
violino. «Lo odio», disse a voce, coprendosi
l'orecchio libero. «Lo
odio, lo odio, lo odio». Era nella sua testa; doveva farlo
smettere
ma non ci riusciva. «Lo odio».
«Indigo.
Che cosa… odi?».
Lei
si spaventò, sentendo la solita voce alterata del suo angelo
custode
per telefono. La musica di Cyan era sparita, così si
portò una mano
sulla fronte e prese grossi bocconi d'aria, cercando di calmare la
tachicardia. Socchiuse gli occhi, quasi felice di sentirlo.
«N-No…
nulla, io-».
«Perché
mi hai chiamato? Puoi scrivermi».
A
quel punto riaprì gli occhi e, riappropriandosi della sua
consueta
calma, si sforzò per riordinare i pensieri. «Io
sono… confusa.
Questo gioco che stiamo facendo, che
mi stai facendo fare»,
specificò, «è fuori
controllo». Formò un sorriso di rabbia,
mordendosi un labbro. «Non capisco davvero cosa speri di
ottenere,
tu-».
«Come
ti ho sempre detto, Indigo, non sta a te porti di queste domande. Io
ordino, tu esegui. È piuttosto semplice»,
prese una pausa. «Ti
ho già detto che non faremo del male a Lena. Dunque cosa ti
preoccupa, questa volta?».
«Ma
non si parla solo di Lena…». Avrebbe sempre fatto
del male a lei e
a loro, in un modo o nell'altro. Era così sbagliata.
«Kara e Alex
Danvers-», lui la interruppe subito:
«Non
preoccupartene. Stai diventando empatica, Indigo. Sarei orgoglioso di
te, in altre circostanze, ma…».
«Io
sto portando avanti il mio compito, solo che sento di andare alla
cieca», starnazzò decisa. «E quelle foto
che tu mi fai avere non
fanno che aumentare la mia confusione», si morse un labbro,
nervosa.
«Mi dici che non farai del male a Lena, ma continui ad
inviarmele
come monito che se non farò come dici, sarà Lena
a pagarne le
conseguenze». Girò ancora intorno al salone, non
riusciva a
fermarsi.
«È
un modo come un altro per tenerti sotto controllo. Per ricordarti che
non sto allentando la presa, che ti tengo d'occhio di continuo,
Indigo. Lena non si farà alcun male se tu continuerai come
stai
facendo. Nessuna confusione, hai notato anche tu?».
Indigo
deglutì e si fermò, irrigidendosi. «Non
penso… Non penso che
sarà facile metterla contro i Luthor. Ci sono io qui, non
tu, e la
vedo… Vedo com'è arrabbiata con suo padre ma come
tenga
disperatamente a lui. L'unica cosa a cui riesce a pensare è
trovare
il suo assassino. Sta facendo tutto questo solo per trovarlo. E tu
sai chi è… quindi
perché…».
Il
suo angelo custode si prese una pausa, pensando alla prossima mossa.
«D'accordo,
allora»,
sospirò. «Se
l'unico modo per ottenere il suo odio sui Luthor è questo,
le darò
l'assassino che cerca».
Proprio
in quel momento, nella camera buia e illuminata solo da tre monitor
di pc su una scrivania di uno studio scientifico, un uomo in camice
bianco trafficava chino su una tastiera, scrivendo rapidamente dei
dati che apparivano segnati su uno degli schermi. Tossì e
tolse la
sigaretta dalla bocca, spegnendola sul posacenere già colmo,
vicino.
Non si sorprese nel sentire la porta alle sue spalle cigolare, anche
se era tardi.
La
donna entrò e richiuse, dando un'occhiata intorno.
Afferrò una
targhetta da un tavolino e ci lesse attraverso la luce Dr
J Phillings,
poi la rimise a posto. C'era confusione e polvere, per non parlare
dell'odore di
cenere e stantio
persistente dentro quelle mura; doveva non aprire le finestre da
mesi, forse dall'ultima volta che era venuta a trovarlo. Si
sporse per aprine una
e lui si voltò scattante, facendo stridere perfino la sedia
con le
ruote.
«Non
toccare niente», imprecò con fermezza, per poi
rivoltarsi,
accendendosi una nuova sigaretta. «Cosa ci fai qui, Carina?
Pensavo
che il Generale ti avesse finalmente proibito di venirmi a
trovare».
Teneva d'occhio lo schermo e la tastiera a turni, senza degnarla di
sguardo.
«Il
Generale non ha mai proibito a nessuno di parlare con gli espulsi,
Phillings», precisò Carina Carvex, mettendo le
braccia a conserte e
appoggiandosi in un banco dietro di lei, attenta a non colpire le
provette da chimico.
L'uomo
rise, finendo per tossire. «Naturalmente perché
dovrebbe
preoccuparsi… se scambio due parole con la persona che mi ha
segnalato e fatto espellere dall'organizzazione».
Lei
sorrise, alzando il mento. «Ti brucia ancora, vecchio? Il
Generale
ha dei codici e tu li hai infranti, non mi lasciavi scelta»,
ribatté
in un sorriso orgoglioso. «Ne andava della mia
coscienza».
Lui
rise così tanto che la cenere della sigaretta cadde sulla
tastiera.
«Tu hai una coscienza così come ce l'ho io. Ho
fatto ciò che
andava fatto».
«Pensi
solo alla tua cazzo di carriera».
«È
stata la mia cazzo di carriera a portare soldi all'organizzazione
quando tu ancora prendevi il latte da tua madre, ragazzina»,
le
puntò contro un dito, decidendo poi di capovolgere la
tastiera sul
pavimento e soffiare per togliere la cenere. «Lecchi il culo
di Zod
come-».
«Io
non lecco il culo di nessuno», si arrabbiò,
spingendosi in avanti.
Solo
allora, così vicino, il dottore notò che Carvex
aveva le maniche
della giacca pregne di sangue asciutto. Sembrava che avesse cercato
di lavarle senza grande successo. «Acqua fredda e un goccio
di
limone», allungò lo sguardo e lei sorrise,
appoggiandosi di nuovo
contro il banco. «Ti definiresti un'esperta?».
«Colpa
mia, mi sono tolta l'abitudine di girare coi limoni nel beauty
case»,
ridacchiò, ma smise con una smorfia seccata quando vide che
lui non
stava ridendo affatto. «E tu quella del sarcasmo…
Ah no, colpa mia
anche qui: mai rinvenuto», scrollò lo sguardo.
«Ho
saputo che il Generale ha una nuova preferita», sorrise,
battendo la
sigaretta sul posacenere, «e non sei ancora tu. Tanto impegno
per
niente».
«Sono
indecisa se ritenere più importante che qualcun altro trovi
interessante parlare con te, o», sorrise, «che tu
abbia modo di
parlare con qualcuno oltre a me. È incredibile, vivi in
questa
stanza, eppure», batté le mani sulle ginocchia.
Lui
brontolò. «La solita insolente».
«Mi
conosci».
«Adesso
basta», si alzò. Testa tonda per via dei capelli
cortissimi,
occhialetti sbilenchi sul naso adunco, poco più basso di
lei, molto
magro, la fissò con rimprovero, tenendo le labbra serrate.
«Il tuo
papà orso non ti vuole bene e vieni a sfogarti con me; non
posso
farci niente, ragazzina, non sono il tuo analista, sei senza cuore e
per questo non gli piacerai mai. Qualcuno doveva pur
dirtelo». Si
rimise a sedere e Carina Carvex abbassò
gli occhi, aprendo bocca come per dire qualcosa e poi zittirsi
all'ultimo, facendo una smorfia.
«Beh,
sei fuori strada, è questo che non capisci»,
ritrovò la voce,
formando un sorriso fiero, «non mi interessa essere la sua
erede, io
faccio quel che faccio per lui perché è
giusto», mostrò un
sorriso più ampio. «E quando vengo qui,
è solo per accertarmi che
tu fallisca, Phillings. Chi sbaglia paga».
«Sto
realizzando una nuova formula di super soldati da vendere al generale
Lane», si vantò. «Mi manca ancora poco,
davvero poco, e potrà
dare la sua fiducia a me e scordarsi di quel bellimbusto di Lord e le
sue pilloline da impotenti… E neanche tu potrai farmi da
uccellaccio del malaugurio, Carina».
Lei
annuì. «Almeno è lo spirito giusto! Se
vuoi qualcosa, vattela a
prendere. È quello che ho fatto io oggi»,
aggiunse, tornando verso
la porta e
arrossendo vivace.
«Dovevo visionare dei file per il Generale ma l'agente che li
ha in
custodia era restia a farmi partecipare, così ho fatto
qualche
telefonata qui e là ai piani alti su come stesse lavorando
da sola e
boom,
fatta! Immagino avrai anche i fondi per completare il progetto. Beh,
tanti auguri, vecchio».
Chiuse
la porta dietro di lei e l'uomo strinse i denti e i pugni, gettando a
terra con un colpo secco di mano il posacenere, rompendolo. I fondi.
Come faceva quella stupida a sapere che era al verde? Eppure mancava
poco, davvero poco…
Non
temete, avremo la parte su Gotham sul prossimo capitolo, non la sto
saltando XD
Ebbene,
alzi la mano chi aveva capito che Carina Carvex fa parte
dell'organizzazione! Ops!
Sappiamo che è stata lei a telefonare ai piani alti del
D.A.O. per
farsi assegnare come partner di Alex, e Indigo… come lo
aveva
capito? Ma dal suo incontro con Noah: prima era libera di fare quello
che voleva e solo dopo aver conosciuto Carvex non lo era
più: troppo
per una coincidenza. Sembra proprio che Carvex sia una fedelissima di
Zod, o così traspare dallo scambio di battute tra lei e
questo
strano nuovo personaggio. Cosa ne pensate di lei? Per quanto riguarda
questo Phillings, invece? Pare anche
lui interessato a vendere una formula per supersoldati al generale
Lane ma,
al
contrario di Lord, è al verde e potrebbe non arrivare prima
di lui.
Argh.
Chi è quest'uomo? Sappiamo che è stato espulso
dall'organizzazione
e il tempismo con cui ci viene presentato potrebbe non essere
casuale. Chissà.
Per
il resto… Indigo è sempre più
stressata da questa situazione. Ne
sta soffrendo, ha un piede in due scarpe e le foto che le fa avere
Noah sono inquietanti. È costantemente tenuta sott'occhio,
il suo
garante non vorrebbe sorprenderla nel fare passi falsi.
Dall'altra
abbiamo Alex, anche lei sempre sull'orlo di una crisi di nervi XD Non
sa dove sbattere metaforicamente
la testa e stava facendo di Maxwell Lord un bersaglio. Il giovane in
realtà ci ha dato un'informazione importante, ma adesso
dobbiamo
soltanto decidere se fidarci o no, se credergli o no.
Un'altra
che invece sta perdendo la testa pensando a sua zia è Kara,
e
diciamo che Indigo ci ha messo la zampa in questo ^^' A quanto pare,
Astra sapeva della visita di Kara in carcere e si era preparata
appositamente per vederla. Ahi.
Però ha aiutato Siobhan che, anche lei, non sta esattamente
passando
un periodo felice né facile.
La
domanda del capitolo è (nuova rubrica?
XD):
“Non
tutti vogliono essere salvati”: siete
d'accordo con Lena?
Note
~
Carvex
è un personaggio liberamente ispirato a Car-Vex,
kryptoniana confinata insieme a Zod
nella Zona Fantasma.
Anche
il dottor Phillings è un personaggio ispirato ai fumetti: il
suo
nome è Jax-Ur
ed è stato il primo kryptoniano a finire confinato nella
Zona
Fantasma per i suoi crimini. Una volta sulla Terra prende il nome di
dottor Phillings. Phillings:
mi piace tantissimo come suona questo
nome, provate
a ripeterlo!
Sì,
ci ho passato ore a leggere la wikia della DC Comics :P
Comunque,
per mettere i puntini sulle i, ricordatevi che
questa è una
fan fiction AU e tutti i personaggi, male o bene, sono
“riveduti”
e “plasmati” secondo il loro background di questa
storia, che è
il loro passato, presente, ecc. Chiaramente cerco di tenere le loro
caratteristiche base/carattere in genere o non avrebbe senso, ma
ecco, dico questo perché non vorrei che vi faceste
influenzare da
queste informazioni: tutto può succedere, basta che sia
coerente con
la storia che sto raccontando.
E
si chiude qui,
gente, ci si rilegge il primo ottobre con il capitolo 54 che si
intitola Cicatrici.
Si svolge durante la stessa giornata di questo capitolo, però
a
Gotham!
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