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Autore: Ghen    19/09/2019    2 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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53. Di piani segreti e traumi di cristallo


Le arrivò un messaggio e si alzò dal letto, vestendosi di fretta. Era già sveglia e lo sapevano che non era solita dormire molto. Aprì il portone e l'alto cancello dorato connettendosi con il suo cellulare, disattivando la sirena che segnalava il passaggio. Era ancora buio e Indigo si tirò il cappuccio sulla testa, voltandosi indietro un'ultima volta prima di salire sulla berlina parcheggiata fuori che la aspettava, col terrore di essere sorpresa a uscire dalla villa, prima o poi.
«Basta», disse stringendo i denti mentre si sfilava il cappuccio dalla testa. «Questa storia deve finire, l'ho già detto al tuo capo: non possiamo vederci nel cuore della notte e non per quelle stupide foto».
«Non è il mio capo», rispose Noah seduto a fianco, sul sedile del guidatore. Come se lui si divertisse a viaggiare quasi ogni notte per la zona residenziale di National City; il lavoro era lavoro, ma quello diventava monotono anche per lui che era un investigatore e restava appresso a loro già fin troppo tempo durante il giorno.
«Non posso averle e se mi beccano qui fuori cosa faccio? Odio non avere in mano un piano ben preciso o delle certezze qualsiasi».
«Lui dice che avere queste foto ti aiuta a concentrarti sul tuo obiettivo», le rispose l'uomo, passandole una cartellina gialla di carta.
«Ho capito», sbuffò di nuovo, arrendevole. Gli strappò la cartellina dalla mano. «Ci stai spiando e, se non porto a termine il mio incarico, ve la prenderete con lei», esclamò Indigo senza guardarlo, incantandosi a osservare gli alberi neri per via della notte che, lontano dal finestrino, venivano sballottati dal vento. «Ma come ho detto: non posso più tenerle, caro», gli sventolò la cartellina gialla. «Kara Danvers mi ha trovato le foto e, se me ne trova altre, sono fregata. Gliel'ho spiegato, ma sembra non ascoltarmi».
L'uomo si costrinse un sorriso, scrollando le spalle. «Ti ascolta, Indi. Ma teme che tu ti distragga: gli hai parlato di come la signorina Luthor ti sembri turbata e sa cosa provi… Vuole riportarti sulla strada giusta».
La giovane decise di avvicinarsi lentamente al volto dell'uomo spingendosi con le braccia sulle maniglie del sedile. Aprì la bocca piano, sussurrando: «Lo sono». Lui restò immobile fin quando lei non si riportò composta sul sedile, sbuffando. «Oggi starò via con Alex Danvers, a proposito. E forse non solo oggi, non posso tirarmi indietro, è come se mi avesse grossomodo noleggiato. Non potrò stare dietro a Lena e proprio oggi che lei e quell'altra andranno a Gotham City», alzò gli occhi al cielo. «Sai del piano? A lui l'ho raccontato».
«Sì e non gli interessa, quindi puoi restare con Alex Danvers, ma…».
«Ma?», alzò le sopracciglia.
«Mi ha pregato di dirti di andarci piano, non sei completamente libera di agire».
«E lo dice solo adesso? Ieri-».
«Ieri le cose erano diverse. Puoi aiutarla, ma fai che i dubbi restino dubbi, non puoi spingerti oltre», spiegò Noah, annuendo.
«Ha ricevuto lamentele, forse? Qualcuno dell'organizzazione non vuole che mi impicci negli affari loro?».
Lui scosse appena la testa, guardando altrove. «Non posso dirti niente, Indi. Solo… fai il tuo lavoro, non quello degli altri. Ah», sorrise a un certo punto, aprendo il cruscotto. «Spero non abbiamo preso troppo caldo qui dentro, tieni». Le passò un fagotto color pastello e Indigo sgranò gli occhi, arrossendo involontariamente. «Carol li ha tenuti da parte per te, sono biscotti alla cannella. Mi ha pregato di portarteli o Amber e Adam li avrebbero fatti fuori tutti».
«Ah…».
«Ti salutano, però».
La ragazza ne era felice, eppure sbuffò: «E come pensi che li potrò nascondere, questi, eh?».
«Finiscili prima della luce del mattino», le consigliò prima di sbloccare la portiera.
Scese e fece per chiudere il cancello, salutando l'uomo con un cenno del capo che non era neppure certa avrebbe visto, nel buio. Biscotti alla cannella, questa era nuova. Aprì il portone con cautela e lo richiuse, salì le scale con passo felpato e si chiuse nella camera che Lena le aveva affidato, affacciandosi in un lungo e antico specchio da terra prima di raggiungere il letto. Aprì il fagotto e iniziò a gustare i biscotti che aprì la cartella gialla delle foto. Era certa che avrebbe visto Lena come sempre ma si stupì, tirando fuori la prima: era lei. Era lei impressa mentre guardava qualcosa, da lontano. Prese subito le altre foto e scoprì che erano tutte sue e in tutte era rappresentata con lo sguardo distante, sognante: non guardava una cosa qualsiasi, ma Lena Luthor. In ogni foto, lei guardava Lena e un brivido le percorse la schiena.
Stupido Noah. Stupido angelo custode.

Quando quella mattina Kara si svegliò sul tappeto di una camera da letto che non conosceva, per poco non si spaventò. La testa le girava quasi avesse bevuto lei e la schiena era a pezzi, senza contare che puzzava di sudore e di prodotto contro gli acari. Ah, lo sentiva su per il setto nasale: doveva averlo respirato tutta la notte. Fuori la mattina era ancora giovane ed era abituata a sentire gli uccellini cinguettare al campus e in villa, ma lì sentiva solo il rumore del passaggio dei camion e voci che parlavano, gridavano e ridevano in quello che sembrava proprio cinese.
«Vuoi farti la doccia?».
Alzò la testa e Siobhan era in piedi, già lavata e truccata, ben vestita e pronta per presentarsi alla CatCo. Avrebbe lavorato per quasi tutta l'estate, a differenza sua. «Buongiorno anche a te. No», si strofinò un occhio. «Non ho cambio, torno in villa».
L'altra scrollò appena le spalle. Stava per allontanarsi ma cambiò idea all'ultimo, tornando sui suoi passi. «Emh, senti…», abbozzò una risata poco convinta, «riguardo ciò che è successo ieri-».
«Ti ricordi qualcosa?».
Spalancò la bocca e infine chiosò in fretta: «No». Aggiunse una scrollata di spalle e Kara scosse la testa.
«Allora neanch'io…?».
Si scambiarono uno sguardo e Siobhan, palesemente nervosa, sparì in fretta dalla camera, per poi urlarle di raggiungerla per fare colazione quando sarebbe uscita dal bagno.
Kara ci entrò e intravide subito la scatola dei cerotti sopra il lavello. La prese e sbuffò, immaginando che non sarebbe riuscita a farle capire di non averne bisogno. Dopo guardò intorno: ieri notte, quando era entrata in bagno, dormiva quasi in piedi e non ricordava neppure com'era fatto. Era poco più piccolo del bagno in casa Danvers-Luthor e decisamente ordinato; tanti profumi in bella vista e in fila su uno scaffale, degli asciugamani colorati piegati uno sopra l'altro su un mobile, un adesivo con dei delfini nell'alto angolo sinistro dello specchio, e c'erano delle ciabatte pelose a terra, accanto al cesto della biancheria. «E così questa è casa tua, eh?», esclamò quando uscì, chiudendo la porta. Seguendo la strada per la cucina, si incantò a osservare un piccione comodamente adagiato sul davanzale di una finestra. «Non me la immaginavo… così»: conoscendo i suoi gusti raffinati, si sarebbe aspettata un certo stile anche nel resto della casa, e non certo quell'appartamento modesto o la collezione di fatine e fiori su un mobile in salotto. Erano davvero carine.
«Ah, sì?», sbottò offesa, «E cosa ti aspettavi? Non ho i soldi che mi escono da ogni orifizio come la tua sorellastra barra amante barra… quel che è, Danvers».
A Kara venne da ridere. Normalmente le avrebbe dato fastidio, ma questa volta decise di non prendersela. «Stiamo insieme di nuovo», rispose e Siobhan la guardò, aprendo il frigo. «Voglio dire, non è una cosa ufficiale e se potessi non dirlo a nessuno, grazie», disse d'un fiato, «te lo dico da amica e perché così non devi usare il… la barra, ecco…», gesticolò, sedendo su una sedia davanti al tavolo. Tenne d'occhio la sua espressione quando lo disse, ma Siobhan ben pensò di nascondere il viso dietro lo sportello del frigo e ignorare il tutto.
«Cosa mangi, di solito?». Ecco, cambiò argomento.
Si fece dare un passaggio in macchina fino alla strada sterrata per villa Luthor-Danvers. Oh, davvero non vedeva l'ora di toccare terra: in auto con Siobhan Smythe era come stare sulla giostra fuori percorso e senza freni. Senza contare che urlava e sbuffava per ogni macchina, o pedone, secondo lei fuori posto. E imprecava se solo, per giunta, notava qualcuno guardarla di traverso. Ringraziò chissà quale Dio quando toccò terra, tuffandosi fuori dallo sportello. Stava per chiudere che l'espressione di Siobhan la fermò: era così… distante, come se si fosse paralizzata per alcuni pensieri di troppo. «Va tutto bene? Vuoi aspettare e andare insieme alla CatCo?». Ricordava solo adesso che in uno dei tanti farfugliamenti della notte prima, Siobhan le aveva confidato di aver paura di rimettere piede al lavoro. C'era tutta la sua vita lì, ma era anche il luogo dove le avevano sparato.
Si destò all'improvviso e, dopo un attimo di smarrimento, aggrottò la fronte. «No, perché dovrei? Ci vediamo lì».
Se ne andò con la stessa velocità di un cavallo imbizzarrito e Kara si chiese se non fosse un po' troppo orgogliosa da riconoscere di aver bisogno di aiuto. Così si mise in marcia per la villa, non mancava molto. Sapeva che aveva poco tempo: doveva andare alla CatCo, poi al campus e approfittarne per mangiare qualcosa, di nuovo alla CatCo e di corsa alla Luthor Corp per prendere l'elicottero che le avrebbe portate a Gotham. Ma quando Lena le aprì il portone e la baciò, qualcosa in lei scattò: le strinse i fianchi sopra una maglietta e, con foga, approfondirono il bacio, finendo contro il portone e sbattendolo al muro. Lei le sorrise e Kara arrossì, guardandola negli occhi, ancora tanto vicine da avere il respiro ognuna sul viso dell'altra. «O-Ops… C'è Indigo che-?».
«Non preoccuparti, tigre: Indigo è in giardino». Si separarono e si misero a ridere, chiudendo dietro di loro. «Temevo andassi direttamente alla CatCo».
«Mi devo lavare e cambiare, puzzo di insetticida. E questo?». Prese un pacchetto imballato lasciato sopra il mobiletto all'ingresso.
Lena la abbracciò per le spalle, baciandole la schiena e facendo una smorfia. «Sì, puzzi. È la chiavetta che ha inviato tuo cugino, con i dati lasciati alla Luthor Corp dagli uomini di Rhea Gand».
«Perché non l'hai aperta?». Aprì subito il pacchetto, mentre l'altra le diceva che era indirizzata a lei. «Potevi farlo». Un bigliettino le diceva che lui e Lois avevano fatto una copia dei dati e che le mandavano i loro saluti e baci. Sorrise e le mostrò la chiavetta. «Un lavoretto per Indigo non appena si libererà con Alex».
Lena guardò verso il giardino e strinse le labbra. «Non sono sicura di… Mi sembra di sfruttarla, così».
«Si è proposta lei».
«E la stiamo sballottando da una parte all'altra», sbuffò, ma si distrasse in fretta, mordendosi un labbro. «Non devi farti una doccia?».
«Tu te la sei già fatta?». Le lanciò un'occhiata e le si imporporarono le gote, nascondendo un piccolo sorriso compiaciuto: «Mi piace quando indossi le mie magliette».
Lei rise, dondolando sui talloni delle calzette. «Non volevo che Indigo mi vedesse in camicia da notte. E no, la doccia è ancora nei programmi da fare». Scosse la testa e le fece cenno di seguirla: Kara si mosse e a quel punto lei le fece la linguaccia, così da farsi correre dietro.
Sfruttarono il bagno in camera di Lena e Kara l'aiutò a riagganciarsi il reggiseno, baciandole le spalle. L'aria era così calda di vapore e la loro pelle così morbida che non avrebbe voluto staccarsi.
«E com'è andata con Siobhan? Si è ripresa?», le chiese d'un tratto, voltandosi e scambiando con lei un bacio. Kara fece una smorfia incerta e Lena le sistemò i capelli sulle spalle; era già sfortunatamente vestita.
«Non lo so… So che le hanno consigliato lo psicologo per ciò che le è successo, ma non credo abbia fatto tutte le visite che le spettavano», alzò gli occhi al soffitto e Lena ne approfittò per metterle bene il colletto della camicia. «È come se si rendesse conto di aver bisogno di aiuto solo quando beve», ci pensò, «Oppure… beve quando si rende conto di aver bisogno di aiuto. Cos'aveva che non andava il colletto?».
Lena accennò un sorriso e si infilò il vestito, così Kara le tirò su la cerniera. «Lo sai che non puoi salvare tutti, vero?», si voltò, guardandola negli occhi. La fermò, prima che protestasse. «Con questo non voglio dire che tu non debba provarci, se lo vuoi. Solo devi», sospirò, scrollando le spalle, «mettere in conto che non tutti vogliono essere salvati». La vide annuire e abbracciarla per i fianchi.
«Sei bellissima».
«Sei in ritardo».
Kara gonfiò le guance e la lasciò andare, avvicinandosi alla porta del bagno e facendole la linguaccia a sua volta, per ripicca. Indigo guardava la televisione in sala da pranzo e, quando Kara le passò dietro per la cucina, si divertì a scuoterle i capelli così che la treccia, sistemata sul capo con le forcine, si staccò.
«Di buonumore?», brontolò lei con la bocca piena di cereali, poggiando la tazza di latte sul banco solo per sistemarsi di nuovo i capelli.
Kara si diresse direttamente in frigo, trovando e aprendo uno yogurt alla vaniglia. Lo avrebbe mangiato al volo intanto che i capelli finivano di asciugarsi. Prese un cucchiaino e si portò un boccone in bocca, passando di nuovo davanti alla tv, incantandosi quando udì il nome Astra Inze. Trasmisero una sua vecchia foto con la divisa da sergente e dopo un video di lei in manette, in tribunale.
Indigo guardò Kara e la tv, di nuovo Kara e la tv, deglutendo la colazione. Si lasciò scappare dopo un piccolo sorriso, senza ombra di divertimento. «Adesso vedo la somiglianza», la osservò come prese la sua attenzione. «Tua zia era uguale a tua madre, non è vero? La conoscevo di vista, lì a Fort Rozz; non che ci volessi avere a che fare con quella e il suo gruppetto. Era meglio star lontane».
Kara abbassò lo yogurt e strinse le labbra, fissando lo schermo della tv. «Come… Come stava?», deglutì.
Indigo rise. «Pensi che la tua zietta se la passi male in prigione? All'inizio, probabilmente, che ne so. È li da anni», scrollò e spalle. «Ma ti ha presa per il culo, e questo lo so», incurvò la testa, sorridendole di nuovo. «Sapeva che saresti potuta andare da lei, l'avevano avvertita, quella volta».
«Di cosa parli?».
«Della prima volta che sei andata a trovarla. Sì, so tutto. Mi piace farmi gli affari degli altri e, in prigione, non che ci fosse altro da fare», alzò le spalle, prendendo un'altra cucchiaiata di cereali. «L'ofganizzazione confolla Foft Roff da un po'», borbottò con la bocca piena, per poi ingoiare.
Lena si avvicinò piano, appoggiandosi alla parete tra la sala da pranzo e il salone, ascoltando.
«Hanno infilati i loro artigli un po' ovunque finché non è stata completamente infettata. Eri con Lois Lane, la tipa di tuo cugino. La voce girava nei corridoi. L'hanno truccata come un'appestata solo per farti credere che oh, poverina, come se la passa male», rise, dopo aver parlato con una vocina sgradevole. «Ma lei, lì dentro, è una fottuta regina! E adesso, l'unico desiderio della regina è quello di uscire per andare ad abbracciare la sua nipotina adorata». La adocchiò e Kara s'irrigidì. La vide stringere il barattolino dello yogurt e, senza dir nulla, uscire velocemente dalla sala da pranzo, scontrandosi con Lena che stava per entrare.
«Ehi, Kara», la chiamò ma l'altra le urlò di essere in ritardo. «Dovevi proprio dirglielo?», strinse i denti e corse verso l'ingresso.
Indigo abbassò gli occhi e spense il sorriso, prendendo un altro boccone di cereali. Era la verità, perché non avrebbe dovuto dirglielo? Cos'era esattamente quel fastidio interno che provava?
Sua zia l'aveva presa in giro? Kara non faticava a crederlo, non la conosceva più. Faceva appena in tempo a riordinare i pensieri che le riguardavano, capendo di volerle bene, che tutto si contorceva di nuovo. Non poteva continuare così. Astra voleva ritornare alla sua vecchia vita, eh? Peccato che la sua vecchia vita, semplicemente, non esisteva più. La sua nipotina adorata non era più una bambina, aveva un'altra famiglia e lei non ne faceva parte. Accidenti. Quanto ancora si sarebbero stravolte le cose fino a quando non sarebbe uscita di prigione? Avrebbe affrontato la verità una volta davanti a lei ed era arrivato il momento di dire basta a quell'attesa; ora forse avrebbe fatto semplicemente meglio a proibire i telegiornali, in quella casa.
«Kara, non-».
«Non importa, Lena, davvero, non… non dire niente», finì il suo yogurt camminando sul pianerottolo, girando in tondo. «Quello che pensa mia zia non ha importanza e lo capirà! Lo capirà», annuì e Lena l'abbracciò, così si scambiarono un bacio. «Sei pronta?», abbassò la voce, «Se sei pronta…».
«Fammi andare a prendere le chiavi». Le prese il barattolino vuoto e rientrò, notando Indigo appostata davanti all'ingresso che si torceva le dita delle mani. Le passò a fianco e lei la seguì a ruota. «Devi chiedere scusa a lei, non a me», specificò subito e Indigo s'imbrunì.
«Non volevo chiedere scusa», la rincorse. «Mi sono resa conto che l'ha ferita ma… ma è la verità, e-».
«Lo so che è la verità, Indigo», si fermò con rabbia, una volta entrate in cucina. «Ma ci sono modi e modi di dire le cose e tu hai usato quello sbagliato. E lo so che...», ansimò, cercando di riprendere la calma. «Lo so che dentro di te riesci a capire dove hai sbagliato. Non sei così come ti dipingi, Indigo, apri gli occhi! Smettila! Se sei qui perché vuoi esplorare i sentimenti è perché sai già di poterne provare, sai cos'è l'empatia e devi solo svegliare questa parte di te che hai soffocato». Indigo non riuscì a dirle niente ed era certa che fosse meglio così. «Non sei tuo fratello, Indigo. Non lo sei mai stata, va bene?», scosse la testa, bisbigliando. «Lo so cos'hai fatto per tenerlo vivo in te ma non funziona… meriti di essere la persona», la indicò, stringendo i denti, «che sei tu. Sei viva, ti prego… Segui te stessa, non lui».
Indigo deglutì, gli occhi lucidi, la bocca semiaperta. Forse era proprio vero che era diversa dal suo fratellino Cyan o quelle parole non le avrebbero provocato tanto rumore dentro di lei. «Tuo padre mi ha detto una cosa simile, una volta».
Lena annuì e deglutì, a fatica. «Qualcosa di giusto lo faceva anche lui, allora». Andò ad appoggiare il barattolino vuoto e le passò a fianco di nuovo, fermandosi per dirle che Alex sarebbe passata presto a prenderla. «Ah, dimenticavo», si voltò, «È arrivata la chiavetta che aspettavamo da Metropolis, la controlleremo assieme. Per il momento, non dirlo ad Alex. Voglio poterla visionare io, prima del D.A.O.». Aspettò di vederla fare un cenno e si mosse per un passo, fermandosi ancora, con una mano contro il muro. «Ti andrebbe di lavorare per me?».
Indigo spalancò gli occhi e pian piano si accigliò. «Lavorare… Un lavoro-».
«Hai detto che nessuno ti darebbe un lavoro. Io sì. Non rispondere adesso, riflettici», uscì, andando a recuperare le chiavi dell'auto. Raggiunse fuori Kara e le sorrise, così l'altra ricambiò. Pensò di non riprendere con lei l'argomento, anche se era preoccupata. Non poteva decidere per lei, ma non ne sarebbe affatto felice se quella Astra Inze volesse tornare a far parte della sua vita, non poteva negarlo. Così si limitò a chiederle come stesse e si scambiarono un bacio.
Ecco, non c'era Marielle, e nemmeno Ingrid, ma per poco non le sorprese l'autista di famiglia, Ferdinand. Credevano non lo avrebbero rivisto finché Lillian ed Eliza non fossero tornate dal loro viaggio di nozze e per poco Kara non cadde in un'aiuola per scansarsi in tempo da Lena e non ripetere la briosa esperienza avuta con la giardiniera. Ne uscì che aveva sbagliato giorno, convinto che le signore sarebbero tornate quella mattina.
«Figurati», incalzò Lena, mettendo le braccia a conserte. «Ti avrebbe chiesto di andarle a prendere all'aeroporto».
Lui abbassò la testa, sospirando appena. «Ha senza dubbi ragione, signorina Luthor».
Chiese loro se volessero essere accompagnate e, a risposta negativa, se ne andò quasi con la coda tra le gambe. Voce da soprano, adatta al suo fisico possente. Kara rise, poiché da quando lo conosceva, quella era la prima volta che lo sentì parlare tanto a lungo, mentre Lena era convinta che la vacanza di Lillian avesse sbalzato la sua routine: non era solito sbagliare giorni, era sempre stato molto attento e preciso. Videro arrivare Alex in auto quando loro uscivano, quella di Ferdinand ancora vicina. Si salutarono, prendendo la direzione opposta.
«Ho chiesto a Indigo di lavorare per me», disse Lena, «Eviteremo di sfruttarla e… Non credo che Siobhan sia l'unica a cui serva uno psicologo: gliene consiglierò uno». Sapeva che era la cosa migliore. «Magari non tutti vogliono essere salvati ma… è nostro dovere provarci». Vide Kara sorriderle come se ne fosse fiera e Lena si leccò le labbra, imbarazzata.

Si era già ritrovata in una situazione simile: quando Eliza stava per sposare Lillian, la luce dei riflettori era continuamente puntata sulla loro famiglia, ma non le era mai capitato di non sentirsi a suo agio all'interno della CatCo. Quelli che avrebbe voluto che diventassero i suoi colleghi al cento per cento non facevano che guardarla di nascosto, per non parlare dei bisbigli, perché il suo udito funzionava più che bene. Era scontato come Cat Grant avesse ordinato a tutti di non tormentarla, ma restava qualcosa che la metteva a disagio. L'indomani doveva perfino tornare in tribunale per il processo di suo zio Non e doveva essere l'argomento di punta per molti. E Leslie Willis non c'era e non poteva contare sulle sue stupide battute per distrarsi, quando anche Siobhan Smythe era così silenziosa da non sembrare lei. Se non altro, pensò controllandola, riusciva a restare sulla scrivania a lavorare, anche se si distraeva più del dovuto e scattava sulla sedia a ogni rumore sospetto o se qualcuno le passava accanto. Era evidente come avesse bisogno di aiuto.
«Danvers? Mi stai fissando, per caso? Smettila».
Kara serrò le labbra con forza e si voltò. Il suo carattere per fortuna, o sfortuna che fosse, non sarebbe mai cambiato.
Non vedeva il momento di tornare al campus, finché non si accorse che anche lì, ancora, era la più chiacchierata del complesso. Stava diventando una cosa ridicola e ne discusse con Megan durante una pausa, se non fosse che, anche lei, aveva la testa da un'altra parte: aveva provato a telefonare John ma non rispondeva. Non lo ammetteva, ma la ragazza si pentiva di non avergli dato subito una seconda possibilità in modo da restare in contatto.
Seguì le ultime lezioni di giugno prima della sospensione e si segnò sul cellulare quali argomenti avrebbe dovuto studiare con più attenzione per gli esami, sperando che Lena le avrebbe dato una mano. Non voleva chiederle di fare anche questo, avevano già tante cose in ballo e le loro giornate si stavano riempiendo di impegni, ma rischiava di non farcela, questa volta. Doveva rendersene conto e mettersi sotto con lo studio perché era importante, che avesse avuto il posto alla CatCo o meno. Senza dimenticare le ultime partite della stagione. Oh, ansimò… star dietro a tutto era un'impresa anche per Supergirl.

Intanto, dopo aver lavorato sotto ad altri dati in casa di Alex Danvers, lei e Indigo ripartirono in macchina verso la Lord Technologies dove la prima aveva fissato un appuntamento. In verità, avrebbe voluto essere ovunque meno che lì e Indigo non si lasciò sfuggire il suo nervosismo, tenendola d'occhio con la coda dell'occhio.
«Non sapevo che dovevamo venire qui», mormorò lei dopo che Alex parlò con la guardia al cancello, che la fece passare. Odiava non avere in mano un piano preciso o delle certezze qualsiasi, senza contare come tutto, con Lena, si stesse complicando. Come le stava entrando dentro e scavando. Come probabilmente avesse ragione. Come poteva continuare? Temeva che i suoi sentimenti prendessero il sopravvento e mandasse al diavolo la sua missione, prima o poi. Ma non poteva. Oh… Non poteva. Si ricordò le foto e strinse forte i pugni, cercando di prendere aria e tornare se stessa, almeno ora.
«Non preoccuparti, resterai fuori, voglio parlare con lui in privato», soffiò, cercando parcheggio.
«Non ti piace?», le domandò a un certo punto e Alex sorrise. «O forse è il contrario. Sei agitata».
«Smettila di psicanalizzarmi. È solo che non vedo l'ora di essere già fuori di qui».
Scesero dall'auto e Indigo stette a un passo da lei. Le fecero passare in portineria e presero l'ascensore. La segretaria le salutò pacata e sia Alex che Indigo si fissarono a guardare Maxwell Lord attraverso i vetri del suo ufficio, intento a digitare sul portatile. Alex chiese alla segretaria se l'altra ragazza potesse restare con lei e si fece annunciare, vedendo il giovane che si alzava di scatto dalla sedia e si lisciava la cravatta, allungando uno sguardo verso di loro e non mancando di sorridere.
«Prego, prego», abbassò lo schermo del portatile e le fece cenno, mentre chiudeva la porta dietro di lei. «Accomodati, Alex», le sorrise gioviale, «Ti stavo aspettando». Diede un'altra veloce occhiata fuori, verso la scrivania della segretaria, a Indigo che si passava i capelli sciolti dietro le orecchie. «La tua amica», strinse gli occhi, «mi pare di averla già vista da qualche parte».
«Non la conosci», disse in fretta lei, scuotendo la testa e sedendo, «È solo… Una collega del D.A.O., fa lavori di segreteria», annuì.
«Curioso», sorrise, sedendo e congiungendo le dita delle mani, «Portarsi dietro chi non lavora sul campo non è proprio usuale».
«Non sono qui per parlare della mia collega».
«Oh, sì». Si illuminò e aprì un cassetto alla sua destra, tirando fuori una pennetta usb e mostrandogliela. Alex spalancò gli occhi, mettendosi dritta con la schiena. «Ho sparso la voce tra i dipendenti, come promesso. Così è saltata fuori», gliela passò e Alex la tenne stretta, controllandola con attenzione quasi avesse paura di un falso. «Uno di loro se l'era portata a casa credendo fosse sua. Per fortuna non l'ha aperta».
«Dovrò parlare con lui», disse distratta, custodendo velocemente la chiavetta in borsa.
«Quando vuoi».
«Devo chiedertelo, Maxwell: è stata alterata? Hai cambiato i dati al suo interno?».
Lui scosse lentamente la testa, mettendo su una smorfia incuriosita. «Avrei dovuto? Non ho nulla da nasconderti, Alex».
«Beh, ne dubito. Per cominciare, cosa ci facevano qui alla Lord Technologies gli uomini di Rhea Gand?», assottigliò gli occhi. «Hanno attaccato luoghi ben precisi, Max, non voleva solo creare caos a National City, è stato un attacco mirato. Che rapporti avevi con lei? O con Dru Zod?».
«Oh, è un interrogatorio?».
«Sono in servizio, sì».
«Bene. Allora, agente Danvers», si appoggiò alla scrivania, mettendosi composto. «Devo confessare di aver lavorato a un progetto per loro, all'inizio della mia carriera qui alla Lord Technologies».
«Loro?».
«Sai di chi parlo», sorrise e poi sospirò. «Conosco Rhea Gand e questo già lo sapevi. Anche allora, era una spina nel fianco».
«Dovrò poter accedere ai dati di quel progetto».
«Oh, non so, si parla almeno di dodici, tredici anni fa, Alex… Potrebbero essere andati perduti».
Lei fece una smorfia. «Ti chiederei di controllare».
Il giovane sospirò, quando si accorse che intendeva dire in quel momento. Chiamò la sua segretaria e le disse di raccogliere tutti i dati relativi a un misterioso ACM-63, ma la stessa donna, dalla voce, ne sembrò spaesata. «Fai la ricerca e stampa tutto», chiuse la chiamata e alzò le spalle, riguardando Alex: «Ancora non lavorava per me».
«Perché lavorare con l'organizzazione, Maxwell?».
Lui scosse la testa, sospirando. «Non sapevo che lo fosse e pagavano bene. E prima che tu me lo chieda, no, non era nulla di losco: qui alla Lord Technologies abbiamo disegnato, progettato e costruito l'impianto d'acqua per l'Angel Children's Memorial», inspirò. «Ti aspettavi qualcosa di diverso?».
Alex trattenne il fiato, abbassando gli occhi un attimo. «Le fontanelle della piazza? Sei serio? Perché l'organizzazione avrebbe dovuto finanziare qualcosa del genere?».
«Non porgere queste domande a me, ho solo svolto il mio lavoro», sorrise, appoggiandosi si nuovo sullo schienale. «Non era di mio interesse fare domande, volevo solamente il mio trampolino di lancio».
«Con quanti di loro hai avuto a che fare? Con Zod?».
Il giovane scosse amaramente la testa, prendendo un altro sospiro. Guardò un attimo, solo un attimo, di nuovo fuori verso Indigo che, davanti alla scrivania della sua segretaria e a un cellulare, portava un'auricolare all'orecchio sinistro. S'incuriosì, per poi riguardare l'altra che aspettava una risposta. «Non sono neanche davvero certo che quell'uomo ne abbia fatto parte; per quanto ne so, Rhea Gand lo odiava e voleva semplicemente incastrarlo».
«Non hai risposto alla mia domanda», alzò un sopracciglio.
Lui annuì, stringendo di nuovo le mani sulla scrivania. «Il mio tramite con loro era Rhea Gand. E suo marito, Lar. Mi spiace deluderti», le sorrise ma Alex non ricambiò.
Non capiva: una parte di lei era sicura che gli stesse mentendo. Lo guardò negli occhi e, con voce sicura, arrivò al dunque: «Fai parte dell'organizzazione?».
Lui spalancò dapprima gli occhi, poi gli angoli della bocca si sollevarono e si mise a ridere. «No», rispose candidamente, «Non faccio parte di alcuna organizzazione».
Accidenti, non era sicura che stesse dicendo il vero ma, d'altro canto, non aveva alcune prove a dimostrarlo e questo progetto sulle fontanelle la sviava. Lo stesso forse doveva pensarlo Indigo che, morsicandosi le unghie della mano destra, ascoltava la conversazione tramite il cellulare di Alex Danvers. La segretaria si era rimessa a giocare a poker online, non che avesse altro da fare: l'aveva vista cercare negli archivi con noia, trovando giusto qualcosa, non che si fosse messa di grande impegno.
«Non volevo sollevare l'argomento, ma…», Alex si alzò dalla sedia e si avvicinò alla parete con appesi un gran numero di quadri e quadretti, la stessa parete che, mesi prima, avevano visionato insieme alla ricerca di un quadro per l'asta alla Luthor Corp, adocchiando quello che aveva vinto in scommessa proprio contro Rhea Gand. Maxwell si alzò a sua volta e la raggiunse. «Proprio qui, mi parlasti di tuo padre», lo guardò, «Di sfuggita, forse, ma lo ricordo bene. Entravi nel mondo degli adulti, dicesti che eri ancora un ragazzo, e tuo padre non si interessava abbastanza a te».
«Adesso accusi mio padre di averne fatto parte, quando era in vita?», le sorrise di nuovo, mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni.
La ragazza scosse la testa. «Sono solo curiosa, Maxwell», si concentrò su alcuni quadri, fissando le pennellate ordinate. «Una curiosità personale, non ai fini dell'interrogatorio. Quando ho fatto irruzione con la mia squadra e ho arrestato gli uomini di Gand, mi hai detto che la tua famiglia è morta da tempo e sono stata indelicata. Ti chiedo scusa».
«Non devi, davvero». Si avvicinò a un quadretto in alto e lo staccò dalla parete: mostrava un fiume e una casetta quasi al limitare della cornice. «Era il preferito di mio padre. Lo aveva comprato da ragazzo e credo lo amasse più di me», rise, mostrandolo ad Alex. «Lo custodisco gelosamente perché mi ricorda perché sono diventato quel che sono diventato», lo riattaccò al chiodo, con cura. «Lui non credeva in me e guardarlo mi ricorda come mi sia preso una bella rivincita». Sospirò, riprendendo il discorso e appoggiandosi alla sua scrivania: «E, alla fine dei giochi, come questo non conti più. L'ho perdonato. Mia madre è morta quando ero bambino e lui non era più stato lo stesso, aveva perso tutto e dunque… ho cercato altrove l'appoggio paterno che mi mancava». Alex lo guardò rapita: Maxwell aveva gli occhi lucidi, era distante con la mente, anche se sembrasse cercare con ogni mezzo di restare ancorato al presente. «Sono diventato la persona che sono e lui… se n'è andato. Non stava bene, la malattia lo stava divorando e immagino abbia vinto».
«Mi dispiace», mormorò e lo vide annuire, senza guardarla negli occhi: doveva fargli davvero male parlarne.
Lui sospirò di nuovo, incrociando le dita delle mani e appoggiandole contro le ginocchia, piegandosi. «E adesso ha trovato… ciò che cercava, agente Danvers?», la riguardò negli occhi e lei si paralizzò sul posto, vergognandosi all'improvviso. «Mio padre non faceva parte dell'organizzazione, te lo garantisco. Era uno scienziato così come mia madre, un brav'uomo. Non magari un padre eccezionale, ma un brav'uomo, questo sì. E mi ferisce come tu non sia sincera con me, Alex. Puoi chiedermi qualunque cosa», si alzò e si avvicinò a lei, così le sorrise, mettendola in soggezione, «E io vedrò di risponderti come meglio potrò fare».
Alex deglutì. «Che non è esattamente come dire la verità».
Lui rise con garbo, aprendo la bocca per dire qualcosa e infine zittirsi, scuotendo l'indice destro mentre si riavvicinava alla scrivania, aprendo un cassetto. «Tu sei esigente, Alex Danvers. Sarà anche per questo che mi piaci».
Lei arrossì involontariamente, portandosi una mano sulla fronte. «Maxwell, io-».
«Lo so. Ma sono una persona paziente», scrisse velocemente qualcosa su un biglietto e glielo porse, soddisfatto. «Per evitare l'imbarazzo dello scambiarsi i numeri e fare squilli di sorta».
Alex lo prese, leggendo sopra un numero di telefono.
«Il mio. Quello privato». Si rimise le mani nelle tasche dei pantaloni, soddisfatto. «Se dovesse venirti in mente qualcos'altro, potrai scavalcare la mia segretaria e chiedermelo direttamente».
«Io non so se- Non posso prenderlo».
«Perché no? Da amici. O se preferisci, per lavoro».
Squadrò attentamente entrambe dal vetro del suo ufficio quando le vide chiamare l'ascensore. La segretaria le fornì le fotocopie di ciò che aveva trovato e lui sospirò di nuovo. Alex Danvers e… Indigo Brainer. I capelli sciolti e gli occhiali sul naso non potevano camuffarla a uno sguardo attento come il suo. Maxwell sorrise, tornando a sedere davanti alla sua scrivania.
Indigo la osservò attentamente, una volta tornate in auto. «Hai ottenuto ciò che volevi?».
L'altra si appoggiò sul sedile e prese una grossa boccata d'aria, per poi afferrare la pennetta usb che le aveva consegnato il giovane Maxwell. «Se potresti aiutarmi con questa, per piacere».
«Cosa devo cercare?».
«Qualsiasi cosa». Sfogliò le fotocopie del progetto sulle fontanelle. Era tutto lì? Forse lui davvero non c'entrava niente. Perché all'improvviso era convinta di dover trovare il marcio anche dove non aveva mai dato prova di esserci? Era così stanca e stava prendendo un'altra strada sbagliata. Avrebbe dovuto chiedere a Lex per la storia delle pillole, forse. Si conoscevano da anni… «Devo capire se mi ha mentito».
«Sì che ha mentito».
Alex si rimise velocemente dritta con la schiena, guardandola. «Cosa intendi?».
«Beh», l'altra scrollò le spalle, trovando la forza per fare un breve sorriso, «tutti mentono, Alex Danvers. Ingenuo pensare il contrario, le persone sono così… prevedibili».
Alex gettò le fotocopie sui sedili posteriori e portò le mani sul volante prima di ricordarsi di dover ancora mettere in moto. Il tempo di farlo che un'altra idea le balenò per la testa e Indigo attese, perché sapeva che stava per arrivare una nuova richiesta. «Tu su internet puoi trovare di tutto, giusto?».
«Su internet qualsiasi cosa. Internet è un magico mondo», fece dell'ironia, ma l'altra non rise.
«No, no, lascia perdere», scosse la testa e mise di nuovo le mani sul volante, guidò l'auto fino a uscire dal parcheggio e la fermò di colpo a pochi metri dalla guardia al cancello. «Tu potresti scoprire tutto su una persona, giusto?».
«Maxwell Lord?», indicò alle sue spalle l'edificio.
Alex fece una smorfia con le labbra e riprese il volante per l'ennesima volta. «No, no! Lascia perdere, era un'idea stupida». O forse no, stupida no, ma cattiva probabilmente: Maxwell Lord le aveva raccontato di suo padre e gli aveva fatto male farlo, e lei avrebbe voluto scavare ancora su di lui ignorando il suo diritto alla privacy? Tutto tornava, non sembrava nascondere niente. Era così frustrata da doversi accanire su di lui perché, cosa, le faceva le avance? Quello era troppo anche per lei. Si spaventò quando vibrò il cellulare e gonfiò le guance quando lesse chi la chiamava. Fece cenno a Indigo di fare silenzio e accettò: «Carina, ehi… Non mi aspettavo una tua- Cosa?», si accigliò, «Di' che sto lavorando, ho appena recuperato la pennina lasciata dai terroristi di Gand alla Lord Technologies». Prese una pausa, accigliandosi. «Adesso si ricordano che lo conosco di persona? Quando dovevo far seguire mia sorella, nessuno si era opposto. Va bene, va bene. No, non lo dirò a Jonzz… Anche lui è una vittima dei piani alti e ultimamente non so nemmeno cosa gli passi per la testa». Staccò e strinse il telefono; chiuse gli occhi per pensare, sentendo Indigo che la fissava. «Non uscirtene con una delle tue o ti caccio fuori attraverso il finestrino chiuso».
«L'ho… aperto», bisbigliò, «C'è caldo».
Alex la fissò, rialzando lo sguardo e Indigo si tenne indietro sul sedile. Decise di non replicare e mise di nuovo in moto, scusandosi e salutando la guardia al cancello.
Sarebbe dovuta tornare a interrogare Maxwell Lord con Carina Carvex, fantastico. L'avevano assegnata come compagna. Ed era già tanto se non l'avevano sospesa perché si erano accorti all'ultimo che aveva conoscenze sul caso e che non poteva interrogare nessuno da sola. Ma si volevano mettere d'accordo? Faceva comodo a tutti quando il caso era Kara e doveva tenerla d'occhio senza destare sospetti. Fortunatamente era brava nel suo lavoro o non sapeva… Emise un sospiro stanco, tornando verso casa. «Pranziamo e lavoriamo alle chiavette, ma dobbiamo aspettare la mia collega».
«Quella Carina Carvex?».
Alex annuì, girando il volante. Per fortuna Jamie era all'asilo e Maggie a lavoro, perché l'aria si sarebbe fatta pesante. «Oggi dobbiamo passare tutta la giornata insieme, non posso riportarti in villa, quindi vedi di non metterti a dire cose strane… Anzi, parla con lei il meno possibile. Ti presenterò come», fece una smorfia con le labbra, «un'esperta di informatica. Ma se fa domande, allora fingi di star male e ti rinchiuderò nella mia camera da letto perché non posso, non posso proprio segnalarti al D.A.O.».
«Carina Carvex è quella che si è presentata ieri da te?».
Alex parcheggiò e spense il motore, alzando le sopracciglia. «Perché?».
«Ma nulla, sono un'osservatrice».

Kara tornò alla CatCo con la testa pesante e stanca, ma per fortuna non mancava molto per quell'elicottero. La sua salvezza. E, lo doveva ammettere, Lena le mancava già. Era assurdo, ma stava diventando la sua droga e sapeva che doveva essere lo stesso da come la guardava colma di desiderio ogni volta che i loro sguardi si incrociavano. Era come se, d'altra parte, stessero recuperando tutto ciò che avevano perso a stare lontane per mesi. Un po' impegnate ma… non c'era nulla di male.
Prese un lungo sospiro e si alzò dalla sedia con uno scatto, rimettendo a posto le sue cose ma, quando cercò Siobhan, si accorse che non era ancora tornata. Si era alzata almeno una mezzora fa per andare in bagno, accidenti. Lasciò tutto com'era e andò a cercarla. Sentì i suoi respiri sommessi e veloci non appena aprì la porta e li seguì. Doveva aver capito che c'era qualcuno poiché all'improvviso smise, fino a farsi sentire facendo un verso con la gola.
«Qui è occupato».
La sua voce era rotta, pensò Kara. Si era sforzata per farla uscire alta, probabilmente piangeva fino a un secondo fa. Aprì una delle porticine cigolanti degli scomparti e- no, impallidì mentre quella ragazza le gridava di richiudere. Non era Siobhan. Si toccò il petto e andò dritta all'altro unico scomparto chiuso, ma questa volta pensò bene di bussare. «Emh… sei presentabile?».
«Sono in bagno. Secondo te lo sono?».
«Va bene, allora… aspetto qui». Si appoggiò al pilastro vicino e si guardò i piedi, quando poi sentì lo sciacquone e la ragazza di poco prima uscì dalla porticina, stringendo gli occhi nella sua direzione. Le chiese scusa stringendo i denti e mettendo le mani unite, così la vide lavarsi le mani e uscire.
«E per cosa staresti aspettando?».
Kara alzò gli occhi al soffitto ben illuminato, ciondolando coi piedi. «Te».
Ci mise qualche secondo a rispondere, con la voce più bassa. «Aspetti… il niente».
Okay, ora basta, pensò, rischiando il peggio e aprendo la porticina. Siobhan era seduta sul gabinetto chiuso, le gambe incrociate; il trucco impastato intorno agli occhi, le mani tremavano come le sue labbra, gli occhi spalancati la seguirono. Non era arrabbiata, ma terrorizzata. Si abbassò e cercò di non sospirare; non voleva farla chiudere di nuovo e temeva a fare qualcosa che le avrebbe dato fastidio. «Sei tornata troppo presto».
«No», scosse appena la testa.
«Sì. Sì, Siobhan. Lo psicologo ti ha detto che potevi tornare?».
Lei emise un verso divertito, alzando gli occhi al soffitto, passandoci le dita. «Lui non capiva… Non capiva come mi sentivo».
«Ah, davvero?», alzò le spalle e strinse le labbra per un attimo, cercando di mantenere la calma. «Perché sai cosa vedo io? Una donna forte che ha bruciato le tappe perché vorrebbe tornare quella di prima ma non si rende conto di come non sia semplice come schioccare le dita». Si fermò, vedendola formare una smorfia. «Pensi di essere pronta perché vuoi disperatamente tornare alla normalità ma, Siobhan, anche se il corpo è guarito, dentro ci metterà un po'». Era silenziosa, fin troppo. «Cosa ne pensi?». Adesso non era ubriaca, non aveva scuse e faceva una fatica immane a confidarsi, lo notava come la sua bocca si apriva senza emettere fiato, come gli occhi cercassero un riparo, come le mani… Gliele strinse e Siobhan provò un brivido, lo captò anche lei. Ma non la scacciò ed era già qualcosa.
«A te non è servito… tutto questo tempo».
«A me…?». La bomba, Kal sdraiato su un letto e senza memoria, la terapia, una nuova famiglia, Faora Hui che tenta di spararle, gli uomini di Rhea al campus che la cercano, il cadavere dell'agente del D.A.O. trovato da lei e Barry Allen, Rhea Gand che la minaccia e le dice in faccia la verità. Scosse la testa, stringendo le labbra. «Ogni persona è diversa, Siobhan. Non devi paragonarti sempre-», si fermò, deglutendo. Si paragonava sempre a lei. Chissà per quale motivo poi, se la credeva tanto perfetta, non faceva che disprezzarla per la maggior parte del tempo. A meno che non fosse per invidia, ma… «Non pensare che per me sia tutto semplice, non lo è, è solo che non siamo uguali e non-non c'è un modo giusto o… o sbagliato di reagire. E i-io non ho mai preso un proiettile, tu sì e sei stata… coraggiosa». Annuì e Siobhan con lei. «È cambiato qualcosa dalla sparatoria, non è vero?», sussurrò, vedendo che annuiva: gli occhi erano spalancati e respirava velocemente. «Ho capito che vuoi tornare la persona di prima ma, Siobhan, forse non lo sei più». No, sbagliato: si era messa a scuotere la testa e a respirare ancora più in fretta. «Non avere paura. I-Intendo dire che… adesso che sei… insomma, che sei diventata più forte dopo lo sparo-», si morse un labbro. «Non sempre il cambiamento è una brutta cosa! Potresti non tornare come prima e non esserci nulla di male, in questo». Accidenti, forse stava aggravando la sua agitazione, pensò, vedendole gli occhi spalancarsi e il petto sussultare. «Adesso respira con me, okay? Okay?». L'aiutò, cercando di calmare i suoi battiti cardiaci.
Non seppe con certezza come fece, ma riuscì veramente a tranquillizzarla, a un certo punto. Le strinse le mani per aiutarla ad alzarsi e, non se lo aspettava, Siobhan l'abbracciò. Veloce e subito dopo si era tenuta distante come se avesse potuto prendersi una malattia. E non era ubriaca, continuò a ripetersi. Le disse di aver sistemato la bozza che le aveva dato da visionare e di aver aggiunto qualcosa che poi avrebbe deciso lei se tenere o meno, così le diede altro a cui pensare. L'aiutò a lavarsi e le portò la borsa per risistemarsi il trucco. Era ancora un po' preoccupata, ma sperava di poterla lasciare da sola senza che succedesse niente. Così, di nuovo davanti alla scrivania, recuperò le sue cose e prese la borsa in spalla.
«Vai via?».
«Emh, sì. Lena ed io abbiamo una… cosa da sbrigare. A Gotham».
«Oh, Gotham. Capisco». Abbassò lo sguardo avvilito e pinzò dei fogli. Kara si voltò per andarsene ma… sbuffò, arrendevole.
Salirono sull'elicottero sopra la Luthor Corp e si allacciarono le cinture pronte per prendere il volo. Lena prese la mano di Kara, Kara le sorrise, Lena no: guardò lei e dopo Siobhan, davanti a loro, che invece si guardava attorno spaesata, fingendo disinvoltura. La ragazza sollevò le spalle e si avvicinò al suo orecchio destro: «Non potevo lasciarla, mi farò perdonare».
«Ci puoi scommettere che lo farai», bisbigliò e le sorrise maliziosa, il tempo per farla arrossire e puntare il suo sguardo altrove, imbarazzata.


***


Era già tarda sera quando sia Alex che Indigo ricevettero rispettivamente un messaggio di Kara e Lena per dire loro che sarebbero tornate da Gotham ormai l'indomani mattina sul presto. Alex non era del tutto convinta che sarebbe stato un bene portare Indigo in villa e lasciarla da sola per la notte come avevano detto loro, ma d'altro canto lei era stanca e voleva finire la serata tranquilla con le sue due ragazze.
Strano ma vero, e di certo non ci avrebbe scommesso un dollaro, Carina Carvex non fece troppe domande sulla ragazza, come se si aspettasse che fosse già stata indicata da lei al D.A.O. ed era meglio così, sperando non la nominasse a voce alta a lavoro. Gliel'aveva dovuta perfino presentare come Linda Danvers, una lontana cugina informatica di poche parole. Rischiava di perdere il lavoro, ma si rendeva abbastanza conto da sola che era già troppo oltre per rimediare subito a tutto quel pasticcio. Perfino John non sapeva di lei.
«Non era una tua amica?», Carina aveva sorriso, alzando le sopracciglia. «È la stessa ragazza di ieri o no? Ho riconosciuto gli occhiali».
Allora sì che aveva sudato freddo. «S… Sì. Sì, era… era lei. Avevo la testa altrove, scusami. Ma è mia cugina e siamo anche amiche». Carina Carvex le aveva sorriso e non aveva detto altro: non sapeva se definirla fortuna.
Tra le altre cose, avevano visionato la chiavetta data da Maxwell Lord e non trovarono nulla che valesse la pena pensare che ci fosse dell'altro: parlavano del progetto sulle fontanelle all'Angel Children's Memorial e di come Adrian Zod volesse, a capo dell'organizzazione, scavare sotto la storica piazza per una base segreta, usando l'impianto idraulico come facciata. Era una cosa che non trovava riscontro da nessuna parte: Indigo cercò in un lungo e in largo e Carvex telefonò all'ufficio del sindaco e alla biblioteca comunale. Rhea Gand se lo era inventato di sana pianta per incastrare l'uomo che tanto odiava. Un altro buco nell'acqua, ma in fondo era felice di saperlo, poiché Lord era pulito. Almeno su quello.
Alex accompagnò Indigo in villa che era già buio, fermando l'auto davanti al cancello. Anche lei sembrava stanca: da quando Jamie tornò dall'asilo e dissero a lei di fare una pausa dal pc, la bambina non aveva fatto altro che parlarle, giocare con le sue braccia lasciate inanimate fingendo che si allungassero, e saltarle addosso neanche fosse un peluche. Indigo era rimasta inaspettatamente paziente: glielo si leggeva negli occhi che avrebbe voluto essere ovunque meno che lì, ma a loro stava bene che almeno si controllassero a vicenda.
«Non guardare troppa tv, non lasciare briciole sui tappeti, non rompere niente e vai a letto presto».
Indigo rise. «E mettere il pigiamino pulito, no? Sono più grande di te, mammina».
Alex scrollò gli occhi, poi scese con lei dalla macchina, accompagnandola davanti al cancello che si apriva. Si salutarono con un cenno del capo. Aveva intenzione di aspettare lì fino a quando non sarebbe entrata dal portone. Però la vide tornare indietro all'ultimo, illuminata dalla luce dei lampioni in giardino.
«Devo dirti…», soffiò appena e deglutì, «Non ti puoi fidare di quella Carvex».
Alex abbozzò un sorriso. «E invece mi dovrei fidare di te?».
Si salutarono di nuovo e, intanto che Indigo chiudeva il portone, Alex si allontanò con l'auto.
Diamine. Rischiava grosso nel dirglielo e quella… quella nemmeno la prendeva sul serio. Risentì la dolce melodia di suo fratello nella testa e pestò i piedi a terra. «Basta, Cyan», urlò per poi fermarsi, con i pugni ben stretti, prendendo aria. La musica era cessata. Non sapeva per quanto sarebbe durato quel silenzio e respirò a pieni polmoni, prendendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e componendo un numero. Attese, camminando avanti e indietro nello spazioso salone. Era così brutto quel posto ora che era sola; così silente e inquietante, con i suoi pensieri, con quella musica. Era tornata. Digrignò i denti. Loro non le avrebbero mai dato retta. Qualsiasi cosa avrebbe fatto o detto, mai. Non potevano fidarsi di lei ed era… era vero. Era vero. Non potevano. Staccò la chiamata e ci riprovò, aspettando. Doveva rispondere, doveva. Riattaccò la chiamata e riprovò. Odiava quel violino. «Lo odio», disse a voce, coprendosi l'orecchio libero. «Lo odio, lo odio, lo odio». Era nella sua testa; doveva farlo smettere ma non ci riusciva. «Lo odio».
«Indigo. Che cosa… odi?».
Lei si spaventò, sentendo la solita voce alterata del suo angelo custode per telefono. La musica di Cyan era sparita, così si portò una mano sulla fronte e prese grossi bocconi d'aria, cercando di calmare la tachicardia. Socchiuse gli occhi, quasi felice di sentirlo. «N-No… nulla, io-».
«Perché mi hai chiamato? Puoi scrivermi».
A quel punto riaprì gli occhi e, riappropriandosi della sua consueta calma, si sforzò per riordinare i pensieri. «Io sono… confusa. Questo gioco che stiamo facendo, che mi stai facendo fare», specificò, «è fuori controllo». Formò un sorriso di rabbia, mordendosi un labbro. «Non capisco davvero cosa speri di ottenere, tu-».
«Come ti ho sempre detto, Indigo, non sta a te porti di queste domande. Io ordino, tu esegui. È piuttosto semplice», prese una pausa. «Ti ho già detto che non faremo del male a Lena. Dunque cosa ti preoccupa, questa volta?».
«Ma non si parla solo di Lena…». Avrebbe sempre fatto del male a lei e a loro, in un modo o nell'altro. Era così sbagliata. «Kara e Alex Danvers-», lui la interruppe subito:
«Non preoccupartene. Stai diventando empatica, Indigo. Sarei orgoglioso di te, in altre circostanze, ma…».
«Io sto portando avanti il mio compito, solo che sento di andare alla cieca», starnazzò decisa. «E quelle foto che tu mi fai avere non fanno che aumentare la mia confusione», si morse un labbro, nervosa. «Mi dici che non farai del male a Lena, ma continui ad inviarmele come monito che se non farò come dici, sarà Lena a pagarne le conseguenze». Girò ancora intorno al salone, non riusciva a fermarsi.
«È un modo come un altro per tenerti sotto controllo. Per ricordarti che non sto allentando la presa, che ti tengo d'occhio di continuo, Indigo. Lena non si farà alcun male se tu continuerai come stai facendo. Nessuna confusione, hai notato anche tu?».
Indigo deglutì e si fermò, irrigidendosi. «Non penso… Non penso che sarà facile metterla contro i Luthor. Ci sono io qui, non tu, e la vedo… Vedo com'è arrabbiata con suo padre ma come tenga disperatamente a lui. L'unica cosa a cui riesce a pensare è trovare il suo assassino. Sta facendo tutto questo solo per trovarlo. E tu sai chi è… quindi perché…».
Il suo angelo custode si prese una pausa, pensando alla prossima mossa. «D'accordo, allora», sospirò. «Se l'unico modo per ottenere il suo odio sui Luthor è questo, le darò l'assassino che cerca».
Proprio in quel momento, nella camera buia e illuminata solo da tre monitor di pc su una scrivania di uno studio scientifico, un uomo in camice bianco trafficava chino su una tastiera, scrivendo rapidamente dei dati che apparivano segnati su uno degli schermi. Tossì e tolse la sigaretta dalla bocca, spegnendola sul posacenere già colmo, vicino. Non si sorprese nel sentire la porta alle sue spalle cigolare, anche se era tardi.
La donna entrò e richiuse, dando un'occhiata intorno. Afferrò una targhetta da un tavolino e ci lesse attraverso la luce Dr J Phillings, poi la rimise a posto. C'era confusione e polvere, per non parlare dell'odore di cenere e stantio persistente dentro quelle mura; doveva non aprire le finestre da mesi, forse dall'ultima volta che era venuta a trovarlo. Si sporse per aprine una e lui si voltò scattante, facendo stridere perfino la sedia con le ruote.
«Non toccare niente», imprecò con fermezza, per poi rivoltarsi, accendendosi una nuova sigaretta. «Cosa ci fai qui, Carina? Pensavo che il Generale ti avesse finalmente proibito di venirmi a trovare». Teneva d'occhio lo schermo e la tastiera a turni, senza degnarla di sguardo.
«Il Generale non ha mai proibito a nessuno di parlare con gli espulsi, Phillings», precisò Carina Carvex, mettendo le braccia a conserte e appoggiandosi in un banco dietro di lei, attenta a non colpire le provette da chimico.
L'uomo rise, finendo per tossire. «Naturalmente perché dovrebbe preoccuparsi… se scambio due parole con la persona che mi ha segnalato e fatto espellere dall'organizzazione».
Lei sorrise, alzando il mento. «Ti brucia ancora, vecchio? Il Generale ha dei codici e tu li hai infranti, non mi lasciavi scelta», ribatté in un sorriso orgoglioso. «Ne andava della mia coscienza».
Lui rise così tanto che la cenere della sigaretta cadde sulla tastiera. «Tu hai una coscienza così come ce l'ho io. Ho fatto ciò che andava fatto».
«Pensi solo alla tua cazzo di carriera».
«È stata la mia cazzo di carriera a portare soldi all'organizzazione quando tu ancora prendevi il latte da tua madre, ragazzina», le puntò contro un dito, decidendo poi di capovolgere la tastiera sul pavimento e soffiare per togliere la cenere. «Lecchi il culo di Zod come-».
«Io non lecco il culo di nessuno», si arrabbiò, spingendosi in avanti.
Solo allora, così vicino, il dottore notò che Carvex aveva le maniche della giacca pregne di sangue asciutto. Sembrava che avesse cercato di lavarle senza grande successo. «Acqua fredda e un goccio di limone», allungò lo sguardo e lei sorrise, appoggiandosi di nuovo contro il banco. «Ti definiresti un'esperta?».
«Colpa mia, mi sono tolta l'abitudine di girare coi limoni nel beauty case», ridacchiò, ma smise con una smorfia seccata quando vide che lui non stava ridendo affatto. «E tu quella del sarcasmo… Ah no, colpa mia anche qui: mai rinvenuto», scrollò lo sguardo.
«Ho saputo che il Generale ha una nuova preferita», sorrise, battendo la sigaretta sul posacenere, «e non sei ancora tu. Tanto impegno per niente».
«Sono indecisa se ritenere più importante che qualcun altro trovi interessante parlare con te, o», sorrise, «che tu abbia modo di parlare con qualcuno oltre a me. È incredibile, vivi in questa stanza, eppure», batté le mani sulle ginocchia.
Lui brontolò. «La solita insolente».
«Mi conosci».
«Adesso basta», si alzò. Testa tonda per via dei capelli cortissimi, occhialetti sbilenchi sul naso adunco, poco più basso di lei, molto magro, la fissò con rimprovero, tenendo le labbra serrate. «Il tuo papà orso non ti vuole bene e vieni a sfogarti con me; non posso farci niente, ragazzina, non sono il tuo analista, sei senza cuore e per questo non gli piacerai mai. Qualcuno doveva pur dirtelo». Si rimise a sedere e Carina Carvex abbassò gli occhi, aprendo bocca come per dire qualcosa e poi zittirsi all'ultimo, facendo una smorfia.
«Beh, sei fuori strada, è questo che non capisci», ritrovò la voce, formando un sorriso fiero, «non mi interessa essere la sua erede, io faccio quel che faccio per lui perché è giusto», mostrò un sorriso più ampio. «E quando vengo qui, è solo per accertarmi che tu fallisca, Phillings. Chi sbaglia paga».
«Sto realizzando una nuova formula di super soldati da vendere al generale Lane», si vantò. «Mi manca ancora poco, davvero poco, e potrà dare la sua fiducia a me e scordarsi di quel bellimbusto di Lord e le sue pilloline da impotenti… E neanche tu potrai farmi da uccellaccio del malaugurio, Carina».
Lei annuì. «Almeno è lo spirito giusto! Se vuoi qualcosa, vattela a prendere. È quello che ho fatto io oggi», aggiunse, tornando verso la porta e arrossendo vivace. «Dovevo visionare dei file per il Generale ma l'agente che li ha in custodia era restia a farmi partecipare, così ho fatto qualche telefonata qui e là ai piani alti su come stesse lavorando da sola e boom, fatta! Immagino avrai anche i fondi per completare il progetto. Beh, tanti auguri, vecchio».
Chiuse la porta dietro di lei e l'uomo strinse i denti e i pugni, gettando a terra con un colpo secco di mano il posacenere, rompendolo. I fondi. Come faceva quella stupida a sapere che era al verde? Eppure mancava poco, davvero poco…







































***

Non temete, avremo la parte su Gotham sul prossimo capitolo, non la sto saltando XD
Ebbene, alzi la mano chi aveva capito che Carina Carvex fa parte dell'organizzazione! Ops! Sappiamo che è stata lei a telefonare ai piani alti del D.A.O. per farsi assegnare come partner di Alex, e Indigo… come lo aveva capito? Ma dal suo incontro con Noah: prima era libera di fare quello che voleva e solo dopo aver conosciuto Carvex non lo era più: troppo per una coincidenza. Sembra proprio che Carvex sia una fedelissima di Zod, o così traspare dallo scambio di battute tra lei e questo strano nuovo personaggio. Cosa ne pensate di lei? Per quanto riguarda questo Phillings, invece? Pare anche lui interessato a vendere una formula per supersoldati al generale Lane ma, al contrario di Lord, è al verde e potrebbe non arrivare prima di lui. Argh. Chi è quest'uomo? Sappiamo che è stato espulso dall'organizzazione e il tempismo con cui ci viene presentato potrebbe non essere casuale. Chissà.
Per il resto… Indigo è sempre più stressata da questa situazione. Ne sta soffrendo, ha un piede in due scarpe e le foto che le fa avere Noah sono inquietanti. È costantemente tenuta sott'occhio, il suo garante non vorrebbe sorprenderla nel fare passi falsi.
Dall'altra abbiamo Alex, anche lei sempre sull'orlo di una crisi di nervi XD Non sa dove sbattere metaforicamente la testa e stava facendo di Maxwell Lord un bersaglio. Il giovane in realtà ci ha dato un'informazione importante, ma adesso dobbiamo soltanto decidere se fidarci o no, se credergli o no.
Un'altra che invece sta perdendo la testa pensando a sua zia è Kara, e diciamo che Indigo ci ha messo la zampa in questo ^^' A quanto pare, Astra sapeva della visita di Kara in carcere e si era preparata appositamente per vederla. Ahi. Però ha aiutato Siobhan che, anche lei, non sta esattamente passando un periodo felice né facile.

La domanda del capitolo è (nuova rubrica? XD):
Non tutti vogliono essere salvati”: siete d'accordo con Lena?


Note ~
Carvex è un personaggio liberamente ispirato a Car-Vex, kryptoniana confinata insieme a Zod nella Zona Fantasma.
Anche il dottor Phillings è un personaggio ispirato ai fumetti: il suo nome è Jax-Ur ed è stato il primo kryptoniano a finire confinato nella Zona Fantasma per i suoi crimini. Una volta sulla Terra prende il nome di dottor Phillings. Phillings: mi piace tantissimo come suona questo nome, provate a ripeterlo!
Sì, ci ho passato ore a leggere la wikia della DC Comics :P
Comunque, per mettere i puntini sulle i, ricordatevi che questa è una fan fiction AU e tutti i personaggi, male o bene, sono “riveduti” e “plasmati” secondo il loro background di questa storia, che è il loro passato, presente, ecc. Chiaramente cerco di tenere le loro caratteristiche base/carattere in genere o non avrebbe senso, ma ecco, dico questo perché non vorrei che vi faceste influenzare da queste informazioni: tutto può succedere, basta che sia coerente con la storia che sto raccontando.

E si chiude qui, gente, ci si rilegge il primo ottobre con il capitolo 54 che si intitola Cicatrici. Si svolge durante la stessa giornata di questo capitolo, però a Gotham!


   
 
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