capitolo 42
42.
Io
che amo solo te.
"Sapevo che
sei un uomo di poche parole, ma non credevo così
poche."
Restò
qualche istante in silenzio, ancora sorpreso dalla sua presenza e
dalla naturalezza con la quale si muoveva in quella stanza, dalle sue
espressioni
mentre apriva cassetti e cassettini e ritrovava appunti, libri, i suoi
oggetti.
"Dimmi,
Camus. Cosa, in me, suscita tanto stupore?"
Alla
domanda, Camus parve riscuotersi dai suoi pensieri.
"Ci siamo già incontrati." asserì. Non una
domanda, non un balbettio,
ma un'affermazione decisa. Degél corrugò la
fronte: com'era possibile che avesse
dei ricordi -seppur vaghi- dei loro precedenti incontri, avvenuti anni
prima,
dopo la scalata alle dodici case? Com'era possibile che avesse ricordi
dell'oltretomba?
Eppure era sicuro che lui, una volta tornato alla sua vita, non avrebbe
ricordato nulla. Non avrebbe
dovuto ricordare nulla.
"Dici?"
replicò, cercando di mostrare indifferenza verso
quell'affermazione.
"Difetto in tante cose, ma ho una buona memoria. Io e voi abbiamo
già
parlato. Forse in questo momento non ricordo quando, né
dove, ma ricordo di
avervi già visto."
Touchè. Meglio comunque
non intavolare certi discorsi.
"Avremo
tempo per discuterne." tagliò corto Degél,
decidendo che
avrebbe approfondito la faccenda.
"No, non ne avremo, perché non avete alcuna intenzione di
parlarne. Allora
ditemi, sto ancora sognando?!"
"A differenza della scorsa notte sei sveglio e cosciente: ho deciso di
manifestarmi per diverse ragioni."
Per certi suoi
irritanti modi di fare, tanto per dirne una.
Perché sì, in certi momenti era capace di far
perdere la pazienza anche a lui,
e certo non era cosa facile.
"Non
conoscevo l'esistenza di questo luogo."
"Non potevi, del resto c'è un motivo se era una stanza
segreta. Questo è
il mio sancta sanctorum,
nessuno ne conosceva l'esistenza. A parte Kardia dopo la
nostra morte e... beh, tua moglie. È qui che si rifugia Mei,
di tanto in tanto,
è questo il luogo inaccessibile
che
ti reca tanto fastidio."
"Mei
può andare ovunque voglia, non è il luogo a infastidirmi." lo interruppe,
stizzito.
"Certo,
questo lo so: così come esigi il rispetto per la tua
libertà
personale, così hai a riguardo quella altrui. Sono io a tediarti. Per rispondere ai tuoi
pensieri, comunque, non proviamo
niente di quel che credi nei confronti l'uno dell'altra, i miei
sentimenti per
lei sono puramente fraterni, dal momento che apparteniamo a epoche e a
persone
diverse. Domandale di Seraphina, saprà risponderti."
La nota severa dietro il tono calmo non sfuggì a Camus, che
tuttavia cercò di
spiegarsi.
"...chiedo venia, ma non ho ancora concluso. Io e lei parliamo a lungo,
devo darti ragione: discorriamo
di tante
cose: del mio passato, di come vivevamo qui al Santuario quando Athena
si
chiamava Sasha, talvolta sono il
tramite attraverso il quale riesce a comunicare con sua madre. Spesso
cerca il
mio consiglio e qualche volta sì,
discorriamo anche di te: non sempre, ma succede. La sola cosa che mi
permetto
di fare è mitigare l'influenza che Kardia esercita su di
lei, cerco di addolcire
certe sue reazioni senza interferire troppo, mi permetto di volerle
bene come
farebbe un fratello maggiore. Certi desideri li ho sempre provati per
un'altra
donna, la stessa al quale appartiene il mio cuore. Mei non si
abbandonerebbe
tra le tue braccia a quel modo se per lei tu non contassi nulla, non
credi?
Semplicemente ognuno ha diritto ad avere dei segreti, di avere un
angolo
privato inaccessibile agli altri. Tu hai i tuoi, Mei ha i suoi."
"Io non ho segreti per la mia famiglia."
"Ne sei proprio certo? Eppure ci sono cose di te che nessuno conosce,
neanche le persone a te più care, cose che hai rimosso per
non dover soffrire e
che hai chiuso nella parte più intima e nascosta di te."
"Cosa
intendete dire?"
*
"Mamma posso
giocare con Kiki?"
Mei sollevò lo sguardo dallo sterilizzatore, posandolo sulla
figlia.
"Siamo tornate a casa da poco, hai trascorso tutto il pomeriggio in
spiaggia, non vorrai prendere un'insolazione."
"Non
scenderemmo in spiaggia, ma a casa, ho dei nuovi
videogiochi." interloquì Kiki, salito all'undicesima casa
insieme alla
bambina.
"E va bene."
acconsentì Mei. "Purché non siano giochi
violenti. Ah, Kiki? Ti ricordo che sei più grande, fai
attenzione."
Shiryu
ridacchiò, annunciandosi, mentre Kiki usciva svelto da
Aquarius con
la bambina alle calcagna.
"Con i tuoi
modi lo terrorizzi, quel povero ragazzo."
"Beh, meglio
mettere subito le cose in chiaro. E poi ha quattordici
anni, a quell'età tu e i tuoi compari avevate compiti ben
più gravosi che
giocare ai videogame con una bambina."
"Si, ma
erano altri tempi e altre situazioni, e sono sicuro che anche
Kiki si ricorda bene. Tu dovresti rilassarti un po'." sorrise Shiryu,
circondandole le spalle in un abbraccio, prima di elargirle un bacio
sulla
testa.
"Ho tre
neonati al di sotto dei quattro mesi e una bambina di otto
anni cui badare, non conosco neanche più il significato del
termine
relax." sospirò Mei.
"Con tutto
quello che è successo, mi sono dimenticato di una cosa:
durante l'ultimo giro a Wangfujing ho preso questo per te."
Mei sorrise, accettando il sacchettino che Shiryu le aveva porto:
all'interno, avvolto
dal pluriball, l'ultimo cd di una delle sue cantanti preferite.
"Ti ringrazio molto, anche se sai che non avresti dovuto."
Fece
spallucce, prima di aiutare la sorella a dare i biberon ai nipotini.
"Direi che
la loro capacità polmonare è ottima."
"Oh
sì, non ne hai idea. Lixue al confronto era più
tranquilla, i
secondi sono sempre un po' più rumorosi dei primogeniti... a
maggior ragione se
sono tre." rispose Mei, guardando verso la porta della camera alla
ricerca
di Camus.
"Sei da
sola?"
"A quanto pare." sospirò Mei. Camus doveva essere uscito
quando lei
era ancora in spiaggia con i bambini.
Shiryu rimase qualche minuto in silenzio, perso nei suoi pensieri
mentre
cullava Joséphine. "Sei silenzioso... qualcosa non va?"
Esitò qualche secondo prima di decidersi a parlarle.
"Shunrei ha
avuto un ritardo il mese scorso, pensavamo fosse incinta. Tredici
giorni da incubo, vissuti col costante terrore che qualcuno arrivasse e
la portasse
via con la forza." esordì, osservando poi la sorella
sgranare gli occhi.
"Perché diavolo non me ne hai parlato?!"
"C'erano le Anfidromie di mezzo, tu eri preoccupata e io non volevo
darti
altri pensieri. E poi, che cosa avrei potuto dirti? Che eravamo
talmente presi
da esserci strappati i vestiti di dosso senza pensare alle conseguenze?
Dai."
"Non con questi termini, ma se succede qualcosa voglio saperlo. Ma come
ragioni? Avrei potuto aiutarvi, darvi il denaro necessario per pagare
la tassa,
aiutarvi a espatriare! Dannazione, Shiryu, sei mio fratello! Non ho
smesso di
preoccuparmi per te solo perché adesso ho la mia famiglia!
Quindi? Cos'è
successo?"
"Alla fine era solo un ritardo, ma non hai idea di quanto mi sia
spaventato."
In tutta onestà, anche lei iniziava ad esserlo: il pensiero
della cognata
prelevata con la forza e obbligata a disfarsi di un'eventuale seconda
gravidanza le metteva i brividi.
"Davvero? O mi stai nascondendo qualcos'altro? Dèi, non
dirmi che vi siete
messi nelle mani di qualche macellaio, ti prego."
"No, te lo
giuro."
"Lasciate
tutto e venite via di lì. Dico sul serio."
mormorò Mei,
cercando di non perdere la calma. "In Europa o dove ti pare, ma andate
via."
"Ci avevamo pensato, sai. Dobbiamo solo tenere duro fino alla Laurea:
ho studiato
tanto per questo, non voglio rinunciarci a un passo dalla fine. Una
volta
ottenuta, noi..."
L'arrivo di
Milo interruppe i due.
"Non ti hanno insegnato a bussare?" sbottò Shiryu.
"E a te non hanno insegnato a non rispondere in questo modo a un
superiore?"
Prevedendo
tempesta, Mei si schiarì rumorosamente la voce.
"Niente
baruffe, bambini. La mamma non è dell'umore adatto."
Milo
scoccò un'occhiataccia all'altro, prima di mostrare un plico
all'amica.
"Volevo
dirti che è tutto a posto, tutto prenotato. Le moto sono
stupende e ho trovato un camper fantastico così risparmiamo
sui motel. I vostri
passaporti sono in regola, dico bene?"
"Passaporti?"
Shiryu corrugò la fronte.
"Partiremo
per un tour sulla Route 66, due settimane on the road con
destinazione Santa Monica."
"...dove
speri di incontrare il tuo idolo, dì la verità."
insinuò
Milo.
Malgrado la
preoccupazione, Mei sorrise.
"No, purtroppo. Sta girando il suo primo film da regista, e ironia
della
sorte, si trova a Pechino in questi mesi. Lui là, io qua.
Quando sarò io ad
essere in Cina, lui sarà di nuovo in occidente. Si vede che
non sono destinata
a incontrarlo."
"Che vuoi
farci, neanche io sono destinato a incontrare Angelina Jolie."
Milo fece spallucce. "Beh, dovrai accontentarti di me."
"Andata."
sorrise Mei, ricambiando l'abbraccio dell'amico. "Ti
voglio bene."
"Ma tu non hai la patente per le moto." li interruppe Shiryu,
ignorando lo scambio di battute.
"Ergo, il camper." ribatté Mei. "Loro tre in moto, io su
quattro
ruote."
"Tutti
insieme?"
"Oh sì, insieme. Immagina le notti, stretti in quattro su un
letto solo."
interloquì Milo.
"Non vedo l'ora." ridacchiò Mei, divertita.
Shiryu alzò gli occhi al cielo.
"Ma per favore..."
"Camus non
sarà d'accordo, ma a tre è sempre meglio di
niente, alla
fine ci guadagno io!" Milo continuò a prendere in giro
Shiryu.
"Tornando alle cose serie, col lavoro di Camus come la mettiamo?"
"Ci ho
pensato io, non preoccuparti. Ho tutto sotto controllo, manca
solo la partenza."
"Okay,
volevo solo esserne sicuro." sorrise Milo. "Oh, una
cosa: portati un vestito nero, possibilmente lungo, e porta qualcosa di
scuro
anche a Cam."
Pur non
comprendendo il motivo di quella richiesta, Mei rispose al sorriso.
"Abbiamo qualche incontro importante in agenda, per caso?"
"Non si sa
mai, ma tu fai come ti dico." concluse Milo, criptico.
*
Quando
Camus tornò ad Atene nel tardo pomeriggio, trovò
Mei in giardino, intenta a rammendare
una tutina.
Le spuntò alle spalle, prima di porgerle un mazzo di peonie
e una scatolina da
pasticceria.
"Bonsoir." mormorò,
facendola
sobbalzare. "Oh, ti chiedo scusa."
"Scusa? Vuoi
scherzare? Dov'eri finito? Ti ho cercato tutto il
pomeriggio!"
Camus si appoggiò alla struttura del gazebo, schiarendosi la
voce.
"A Parigi, ho avuto degli impegni dell'ultimo minuto."
"Così urgenti da impedirti di lasciarmi un messaggio?"
protestò Mei.
"Torno dalla spiaggia e non ti trovo, ti cerco al cellulare e scopro
che
l'hai lasciato sul tavolo della cucina... non voglio limitare la tua
libertà
personale, ma sarebbe carino da parte tua se mi avvertissi, quando
decidi di
allontanarti per così tanto tempo. Vorrei ricordarti che
badare a tre neonati,
specie quando sono affamati tutti e tre nello stesso momento,
è difficile, soprattutto
se hai solo due mani e non sei la dea Kalì."
"Scusami. Se mi lasciassi spiegare..."
Presa la
scatoletta, la aprì, scoprendo dei macarons all'interno.
"I nuovi gusti stagionali: cocco e ananas." le spiegò.
"C'è qualcosa che devi farti perdonare."
"Io? Dev'esserci per forza un motivo dietro dei dolcetti?"
Lo guardò di sottecchi.
"Sei troppo zuccheroso, che cos'è successo?"
Si sedette di fronte a lei.
"Temo di
doverti delle scuse."
"Questa sì che è bella. Ed è la prima
volta che accade... aspetta che mi
metto comoda. Scuse in merito a cosa?" replicò, posando il
lavoro di
cucito accanto a sé e dedicandogli attenzione.
Ignorò il non proprio velato sarcasmo di Mei, prima di
proseguire.
"Dovrai
ascoltare la premessa, prima della risposta."
"Ti ascolto."
"Sai cos'è la SIDS?"
Corrugò la fronte, spiazzata dal repentino cambio di
discorso.
"Sì,
ma cerco di non pensare a quello che è uno dei peggiori
incubi di
un genitore. Perché me lo chiedi?"
Camus
aprì una cartellina che fino a quel momento Mei aveva
ignorato. Al
suo interno documenti, atti ufficiali e una sorta di quadernetto con la
copertina di velluto blu recante lo stemma della Repubblica Francese.
"Cosa
c'entra il nostro livret
de famille?"
"Questo
è quello della mia famiglia d'origine. L'ho trovato in una
valigetta, in quello che anticamente era lo studio di mio padre."
Mei sfogliò il libretto, ripercorrendo la storia famigliare
dei suoi suoceri: nascita,
matrimonio, prole, morte. Lesse l'estratto dell'atto di nascita di
Camus pur
conoscendo bene il documento integrale, restando di stucco nel leggere
la
pagina successiva. Lo guardò, cercando una risposta che non
si fece attendere.
"Nel settembre del 1989 mia madre diede alla luce una bambina." si
schiarì nuovamente la voce, mentre sentiva un groppo in
gola. "Clothilde."
"Deceduta a
inizio febbraio 1990." lesse Mei. "Non lo
sapevo."
"E come avresti potuto? Morì in culla pochi giorni prima del
mio quinto
compleanno, a quanto pare. Non ricordavo nulla di lei, almeno fino a
oggi."
Mei
accantonò immediatamente la discussione, posando una mano
sulla sua
guancia.
"Tesoro, eri
troppo piccolo per ricordare, e considerando quel che è
seguito, non puoi fartene una colpa."
"Hyoga si
ricorda bene sua madre, perché io non ho ricordi di mia
sorella? Eppure avevamo entrambi quattro anni quando abbiamo perso i
nostri
cari."
"Stai
confrontando due situazioni diverse tra loro: il rapporto che si
ha con un fratello, per quanto sia importante e sacro, non
avrà mai la stessa
intensità di quello che si ha con la propria madre." rispose
Mei, cercando
di scegliere con cura le parole. "Come hai scoperto tutto questo?"
Ed ecco che
il discorso stava per ricollegarsi alle scuse citate poco
prima.
"Degél" le rispose,
dopo qualche secondo.
"Sì?"
Le
raccontò di Degél che gli era apparso in sogno e
della strana
conversazione che aveva avuto con Dohko, quindi del suo strano incontro
in
biblioteca, quando Degél si era materializzato
di fronte ai suoi occhi.
"No,
aspetta, fammi capire bene perché forse ho sentito male. Hai
visto Degél."
"È
quello che ho appena detto."
"Tu. L'hai visto." Mei
spostò
la mano sulla sua fronte. "Strano, non mi sembri febbricitante."
"Per tutti gli Dèi, sono serio." sbottò Camus.
"Bè, non sei affatto spiritoso."
"Non voglio
esserlo."
"Ascolta,
sono aperta alle prese in giro e alle battute di spirito, ma
non su questo argomento."
"Degél
mi aveva avvertito della tua eventuale reticenza in merito, ma
ti sarei grato se mi lasciassi parlare..."
Posò
sul tavolino il diario fulvo che aveva letto nella stanza segreta in
biblioteca e lo spinse verso di lei; Mei lo prese con fare
interrogativo,
sfogliando le pagine e scoprendo che una delle ultime note riportava
una data
della tarda primavera del 1743.
"Questo è il suo ultimo diario. Come puoi averlo tu?"
"È stato lui ad autorizzarmi a leggerlo. Lo giuro su quanto
ho di più caro
al mondo, non ti sto prendendo in giro. Potrei descrivertelo in
dettaglio, ma
conosciamo entrambi il ritratto in corridoio e sarebbe del tutto
inutile, anche
se manca la cicatrice sul sopracciglio sinistro"
Mei strinse
il diario al petto, asciugandosi gli occhi col dorso di una
mano.
"Stava tirando di scherma con El Cid e quest'ultimo calcò la
mano su un
affondo." mormorò, interrompendolo. Il ritratto nel
medaglione, più
veritiero di quello di rappresentanza in corridoio, mostrava
chiaramente anche
quella ferita. Camus non stava mentendo, aveva davvero incontrato
Degél, perché
il ritratto del medaglione, lui, non l'aveva mai visto. "Santi numi,
non
posso credere che si sia mostrato a te. Tra tutti, proprio a te.
È assurdo, io
parlo con lui da anni, per me è un essere mitologico, lo
prego e lo venero come
se fosse uno dei miei Dèi, e lui si materializza con te?
Nessun alone blu,
dunque? Non vedevi gli oggetti nella stanza attraverso
la sua figura?"
"Era reale tanto quanto lo
sei tu, ma quel che ha fatto dev'essergli costata tanta energia."
Per notare la sua cicatrice, doveva essergli stato molto vicino: si
scoprì
profondamente invidiosa ma allo stesso tempo furiosa per quanto
accaduto.
"Sì, me l'aveva detto che già da tempo stava
provando ad assumere una
forma meno eterea, ma non pensavo che l'avrebbe fatto con te per primo.
Insomma, è come se Dio, anziché manifestarsi al
suo più fedele seguace, lo
avesse fatto con il più incallito degli atei. Questa
è cattiveria, monsieur." aggiunse, in direzione di
Degél, che sicuramente era in ascolto, da qualche parte. "Beh, a quanto pare abbiamo qualcosa di cui
parlare, quando avrete
il coraggio di farvi rivedere."
"Credo
che sia successo perché aveva necessità di dirmi
qualcosa mentre io avevo
bisogno di ascoltare ciò che aveva da dirmi."
E che cosa aveva avuto bisogno di
ascoltare, di sapere? Quali conferme voleva?
"Sarebbe a dire?" gli domandò.
"Mi ha
parlato di Seraphina, per questo quel diario è qui: lui
stesso ha detto di
portartelo come prova, conosceva la tua reazione."
"Continua." lo esortò, posando sul tavolo l'oggetto in
questione.
Aveva i
brividi nel ripensare allo sguardo di Degél fisso sul
ritratto di
Seraphina, alla dolcezza nei suoi occhi, alla delicatezza con la quale
aveva
sfiorato l'adorato volto con le dita,
In quel sorriso c'era tutto il mio mondo,
gli aveva detto a un certo punto, non
amo che lei.
"Non aveva molto tempo, perciò ha parlato in modo piuttosto
conciso. Ma il
discorso verteva su Seraphina, sull'amore che prova
per lei, su quel legame che non si è spezzato neanche dopo
la
loro morte. Sull'anima della sua donna che è
chissà dove, schiacciata da quella
di Poseidone..."
"Seraphina
non è soltanto la sua donna,
la sua più cara amica e il suo
grande amore,
è la sua questione in sospeso."
lo corresse Mei. "Tutti coloro che direttamente o no hanno avuto a che
fare col Santuario o con Athena, ne hanno una: io, Shiryu e nostro
fratello mai
nato siamo la questione in sospeso dei nostri genitori, non ci hanno
visto
crescere, laurearci e sposarci, non hanno conosciuto i nostri figli.
Per
Natassia, è Hyoga. L'ha salvato, si è battuta
fino alla fine per suo figlio, ma
non ha potuto prendersene cura e non conoscerà mai la gioia
di sentirsi
chiamare nonna. Kardia è
nato con una
patologia cardiaca che oggi è del tutto curabile e anche se
non fosse morto
durante la precedente guerra sacra, non avrebbe potuto comunque
raggiungere la
mezza età, figurarsi la vecchiaia... e via dicendo, potrei
stare ore a
parlarne. Seraphina è la questione di Degél e
finché non la risolverà –e la vedo
difficile- lui è bloccato in un limbo: non appartiene
più al mondo dei vivi, ma
neanche a quello dei defunti. È costretto a guardare le vite
degli altri –e
cosa peggiore, a dar retta a me- quando non ha potuto vivere la sua nel
modo in
cui avrebbe desiderato. Aveva ragione il maestro Dohko quando diceva
che al
mondo esistono cose peggiori della morte. Vorrei poter fare qualcosa
per lui,
riuscire a dar loro una seconda possibilità, risolvere la
sua questione in
sospeso, ma non so come. Ti ha parlato di Seraphina per farti capire
che è lei
la donna che ha amato e che amerà fino alla fine del
Tempo... e in tutto
questo, mi chiedo... era proprio necessario? Dovevi per forza scomodare
uno
spirito per avere la conferma che certi giuramenti li prendo
seriamente? Io amo
solo te."
"Ero geloso,
d'accordo? Lo ammetto. Tu
parli con lui, lo vedi di continuo, a lui dici cose che non dici a me."
"Perché ci sono cose che lui comprende e tu no.
Perché lui fa parte di ciò che ai tuoi occhi mi
dipinge come
pazza."
"No, ti ho detto che gli spiriti e questo vostro modo di credere non
fanno
per me, ma io ti sostengo!"
"Davvero?
È un modo insolito, il tuo. E ti avverto: ci
vorrà ben altro che qualche
biscotto per farti perdonare."
"Tutto
quello che vuoi." sorrise Camus.
Impiegò qualche istante prima di rispondergli, incerta se
parlarne o meno.
"Forse una cosa ci sarebbe. La moglie del tuo collega, quel bretone che
mi
sta antipatico, ehm... Gìrard... lavora sempre in
Prefettura, sì?"
"Renard.
Sì, perché? I tuoi documenti sono tutti in
regola, non hai
niente di cui preoccuparti."
Mei si schiarì la voce prima di aggiungere il dettaglio
più importante.
"È per Shiryu."
"Ah." il sorriso di Camus
si spense nel giro di pochi istanti, mentre inarcava un sopracciglio
con malcelato
disappunto.
"Poco fa hai
detto tutto quello
che voglio, se non sbaglio."
"Sì."
proseguì Camus, atono.
"Allora mi
servirebbe una sorta di elenco di documenti e cose da fare
per un eventuale trasferimento qui in Francia."
"Tuo
fratello vuole trasferirsi qui?"
"Non
proprio, non ne ha nemmeno parlato. In Francia o in un qualunque
altro paese europeo, purché lascino la Cina. Lui e Shunrei
stanno uscendo da
una situazione particolare e se quella situazione dovesse ripetersi,
potrebbero
trovarsi in guai molto seri. Ti ricordi, vero, che dalle mie parti
c'è una
legge che impone alle donne di abortire in caso di una seconda
gravidanza? Ti
rendi conto che se per me è già difficile
accettare una barbarie di questo
genere sulle mie connazionali, diventa inaccettabile pensare a mia
cognata
obbligata a disfarsi di mio nipote?"
Camus decise
di andarci molto cauto.
"È
una legge destinata a cadere, che io sappia è sulla strada
verso
l'abrogazione."
"È
ancora valida." insisté Mei. "Non posso permettere che
una cosa di questa portata accada alla mia famiglia, quindi
farò tutto ciò che
è in mio potere per aiutarli, che sia con o senza il tuo
aiuto. Solo che senza
ci metterò molto di più."
"Farò
quel che posso." rispose Camus.
"Farai del tuo meglio." obiettò Mei, risoluta.
"Perché se hai
garantito per far entrare al Santuario una principessa asgardiana,
prendendoti
responsabilità enormi per affetto verso il tuo allievo, puoi
anche cercare ogni
minimo cavillo valido per far espatriare mio fratello, e lo farai per
amor mio.
Il che significa anche aiutarmi a cercare una casa..."
Camus prese
il cellulare dalla tasca con un gesto teatrale.
"Aspetta che prendo nota: documenti, una casa... la scuola... e magari
un
lavoro, altrimenti di cosa vivono, d'aria?"
Mei proruppe
in un largo sorriso, riprendendo in mano il rammendo.
"Sei adorabile quando cerchi di fare il sarcastico. Ma hai ragione, ti
sto
caricando di troppe responsabilità... Yian-Mei è
ancora piccina per andare a
scuola, e dopotutto il resto non è una priorità:
abbiamo spazio a sufficienza e
due stanze per gli ospiti, la casa può aspettare."
ribatté. "Uh,
guarda! È tornata come nuova!"
Si
schiarì nervosamente la voce, incrociando le braccia sul
petto.
"Okay.
Vedrò cosa riesco a trovare a Lille, o Valenciennes..."
"Nanterre, Saint-Denis o Montreuil." lo corresse. "So che per te
è troppo vicino, ma ti faccio notare che io sono costretta a
vivere a stretto
contatto con il tuo allievo che vive dall'altra parte del pianerottolo
e che
spesso e volentieri –per non dire sempre
-
mi sta tra i piedi anche quando vorrei stare da sola con la mia
famiglia dopo
una dura giornata di lavoro."
"Non ho neanche aperto bocca, mi pare, stai dicendo tutto tu."
"La tua faccia parlava già da sola."
"Comunque Hyoga traslocherà a breve."
"Sì, al piano inferiore. E per la cronaca, mio fratello non
si sognerebbe mai di venire ad
abitare con noi o
accanto a noi, dal momento che l'antipatia che provi per lui
è reciproca, e uso
il termine antipatia tanto per
usare
l'eufemismo del secolo." sbottò Mei, raccogliendo le sue
cose e avvertendo
improvvisamente addosso tutta la stanchezza accumulata durante il
giorno.
"Anzi, fai finta che non ti abbia chiesto niente. Ce la caveremo da
soli
come abbiamo sempre fatto."
Camus si
lasciò andare contro lo schienale.
"Miei Dèi, non iniziare col melodramma!"
L'arrivo di
Hyoga interruppe la sua risposta sul nascere.
"...ecco, appunto, come volevasi dimostrare."
"Vi ho
interrotto, scusate."
"Oh, sai dove puoi infilartele le tue scuse?" sbottò Mei,
con
malagrazia.
"Ne
parleremo più tardi." propose Camus.
"No. Non ne
parleremo più, discorso chiuso." concluse, diretta in
casa. "Comunque, quando è stato il
momento di fare una scelta, la mia è stata chiara fin dal
principio."
"Mei? Tutto
bene?"
"Perdonate l'ora tarda, Maestro. Shiryu è in casa?"
"Certo,
entra. È in salone." si scostò Dohko, facendola
entrare.
"È successo qualcosa?"
Mei
sospirò, stanca.
"È successo che ho quattro figli, un marito testardo come un
mulo e sono
stanca. Credo sia abbastanza esaustiva come risposta, che dite?"
Dohko le
sorrise, accarezzandole una guancia.
"Porta
pazienza con Camus, è un uomo, noi uomini siamo tutti un po'
così."
"Già."
mormorò. "Ma anche la pazienza è destinata a
terminare. Con permesso, Maestro."
"Shiryu...?"
Mei si fermò sulla porta del salone della settima
casa, quando si accorse che il fratello non era da solo: muniti dei
loro
rispettivi joystick, Seiya, Shun e Ikki erano impegnati con un
videogioco.
"Ah, scusa, vedo che non sei da solo. Buonasera, ragazzi. O dovrei dire
buonanotte, data l'ora."
"Ciao, Mei."
"Hai un momento per me?"
Shiryu mise
in pausa il gioco, alzandosi poi dal divano.
"Non provateci neanche a barare, conosco i punteggi."
sogghignò,
prima di seguire la sorella in corridoio. "Tutto bene? È
successo
qualcosa?"
Lo abbracciò, senza profferire parola.
"...tesoro, tutto bene?!"
"Grazie... grazie per non essere
morto."
Shiryu
corrugò la fronte, ricambiando l'abbraccio.
"Non c'è di che." le rispose, continuando a non capire il
motivo di
quella strana affermazione. "Mi devo preoccupare?"
"No, ma tu
pensa a quel che ti ho detto. Non ti volevo disturbare,
torna dai tuoi amici... io credo che andrò a dormire
perché sono davvero
stanca."
*
Si
girò nel letto per l'ennesima volta, incapace di prendere
sonno: un
paradosso bello e buono, data la stanchezza. A quanto pareva, non era
la sola.
"Quindi
Shunrei ha...?"
Mei guardò l'ora: le tre del mattino. Sbuffò,
prima di rispondergli.
"No, almeno così mi ha risposto Shiryu. Ma conoscendolo so
che davvero non
è successo niente di irreparabile."
Camus
sospirò.
"Mi
piacerebbe parlarti senza dover fissare la tua nuca."
Mei
affondò il volto nel cuscino.
"Sono le tre
del mattino, dormi!"
"D'accordo..."
Lo sentì alzarsi e fare il giro del letto, per poi scostare
le lenzuola e infilarsi
nella sua parte, costringendola a spostarsi verso il centro.
"... sei
soddisfatto adesso? Dai, Cam... non ho voglia di fare
conversazione, sono stanca e arrabbiata."
"Se non vuoi
rispondermi va bene, in cambio però vorrei che mi
ascoltassi."
Doveva
ascoltare il suo monologo, in poche parole.
"Ti ascolto."
"Mi dispiace
per oggi. Divento irritabile quando c'è tuo fratello di
mezzo."
"Ma dai, non
l'avevo notato." replicò Mei. "Nonostante tutti
i nostri trascorsi, è comunque mio fratello, della mia
famiglia d'origine non
ho che lui. Non posso voltarmi dall'altra parte e continuare a vivere
come se
niente fosse."
"Lo so e mi stupirei del contrario. Mi dispiace davvero averti fatto
arrabbiare, sono stato sgradevole." le rispose. Corrugò la
fronte,
nell'udire il suo respiro regolare. "...Mei?"
"Ho sentito, e a me spiace aver reagito così. Ma mi tocca
dirti che su
Hyoga, però, non intendo ritrattare: sono stata brusca, ma
ci sono delle volte
nelle quali, dopo ore di lavoro, la sola cosa che vorrei è
trascorrere del tempo
da sola con te e i bambini. Insomma, capisco tutto, anche io ho un
enorme
debito di riconoscenza nei confronti di Dohko, ma non vado sempre alla
settima
casa a disturbare, che diamine."
"Ero
convinto che voi due andavate d'accordo."
"Per un periodo siamo andati d'accordo, infatti, ma è
passato. Le cose cambiano,
Camus, ci piaccia o no: mi dispiace per te, perché ci stai
male, ma non si può
sempre tornare sui propri passi come se non fosse successo niente.
Dopotutto
aveva anche ragione, da estranea ho frugato nelle sue cartelle cliniche
e ti ho
avvertito perché sapevo che eri preoccupato, è
solo per te che l'ho fatto, su
questo ci aveva preso. A parte la cortesia che si deve a un estraneo, a
lui non
devo più niente."
Camus
si trovò a ripensare alle ultime parole che Mei aveva
pronunciato
prima di rientrare in casa, quella sera, le stesse che l'avevano tenuto
sveglio.
"Siete tutti
importanti per me. Tu e i bambini siete al di sopra di
chiunque altro, ma tengo moltissimo anche a Milo, e a Hyoga. E a Isaak.
Siete
tutti pezzi di me, e io non posso..."
Lo interruppe, comprendendo fin troppo bene dove volesse andare a
parare.
"Non dire
niente, non ce n'è bisogno. Non avrei nemmeno dovuto dirti
quella cosa."
**
Mei scese di
nuovo alla settima casa, per parlare con Dohko e Shunrei
riguardo ai figli, che durante il viaggio negli USA avrebbe lasciato
loro.
"Suggerisco l'aiuto di Fedra, se sei d'accordo. Di quando in quando
verrà
qui a dar loro una mano, dal momento che con Lixue e i gemelli, in
questa casa
ci saranno ben cinque bambini al di sotto dei dieci anni e non
è un compito
facile per nessuno. Ricordo ancora quando al Santuario tutti i gold
saints
erano bambini: un delirio." commentò Shion.
"Sarà solo per pochi giorni, Maestro, ma se la cosa vi reca
disturbo..." mormorò Mei, in direzione di Dohko.
Shion le sorrise benevolo.
"Non stavo proponendo l'aiuto di Fedra per questo motivo. Vai e goditi
questi giorni tranquilli prima di tornare nell'arena."
"Sì
Mei, vai tranquilla: sai che mi piacciono i bambini."
interloquì Dohko.
"Vi ringrazio moltissimo." annuì Mei, inchinandosi appena in
direzione dei due uomini. "Ho solo una richiesta, e pretendo che sia
rispettata: Cora. Deve stare lontana dai miei bambini."
Shion corrugò la fronte, tuttavia non si espresse a sfavore
di Mei.
"Se
è questo che vuoi, personalmente non ho alcun problema.
Ordinerò a
Fedra di ricollocarla altrove... al gineceo, magari." le rispose.
"Così da trasformarla in una vittima di Medusa? No, grazie.
Voglio solo
che stia lontana dai miei figli. E da Camus, ma questo è
già un altro
discorso."
"Sei
gelosa?" domandò Dohko, ottenendo in risposta uno sguardo
piuttosto eloquente. "Ah."
"Posso sopportare le frecciatine che lei e le sue comari lanciano alle
mie
spalle, porto con onore il soprannome che mi hanno affibbiato, ma se
dovessi
scoprire che si è avvicinata ai miei figli, da Medusa potrei diventare Megera.
Bene, signori. Torno all'undicesima." rivolse loro il saluto
taoista,
prima di uscire.
"Non ero a
conoscenza di questo problema, da quanto va avanti?"
domandò Shion, in direzione dell'amico.
"Dalla notte dei tempi, Shion. Abbiamo tutti un soprannome qui
dentro...
l'unico a non saperlo sei tu." ribatté Dohko.
"Quindi
anche io ne ho uno."
"Sì."
"E sarebbe?"
Dohko ridacchiò.
"Non te lo dirò mai."
Approfittando
dei giorni di ferie prima del loro viaggio, Mei si mise al lavoro per
ottenere
quante più informazioni potesse per aiutare il fratello.
Certo, non era
assolutamente sicura che Shiryu volesse trasferirsi, e a maggior
ragione che
scegliesse proprio la Francia, ma si trovò a sperare con
tutta sé stessa per
un'eventualità di quel genere.
Camus la notò più volte sia impegnata al pc,
soprattutto chiusa in biblioteca
alla ricerca di tranquillità, sia al telefono con qualcuno,
mentre prendeva
appunti.
"È necessario conoscere la lingua:
studiate
il francese, prova all'Institut Français o chiedi in
Ambasciata, di solito
organizzano dei corsi; non sottovalutare il fattore lingua, su sono
piuttosto
mal disposti verso gli stranieri che non capiscono una parola di
francese.
Sto ancora cercando di capire che tipo di permesso di soggiorno
è quello più
adatto a voi, ma conto di andare in Prefettura a chiedere informazioni
il prima
possibile.
Per i primi tempi verrete a stare da me. NIENTE STORIE, non voglio
sentire
ragioni: ti serve un domicilio per poter aprire un conto corrente e di
conseguenza poter prendere casa. A questo proposito sto iniziando a
guardare
qualcosa nelle città appena fuori Parigi.
Chiederò al mio capo se può assumerti
e quando casa e lavoro saranno a posto, chiederemo il ricongiungimento
familiare."
"Perché
frughi nelle mie cose?"
Alzò
lo
sguardo su Mei, ferma sulla porta dello studio in accappatoio con fare
contrariato.
"Avevo
bisogno del computer per stampare due mail e ho notato i tuoi appunti."
le
spiegò. "Qualche appunto è esatto ma hai
sottovalutato diversi aspetti, e
se sei disposta ad ascoltarmi e non fare di testa tua come il solito,
forse,
sarai in grado di aiutare al meglio tuo fratello."
"Dimmi."
"Il discorso primario è uno soltanto: il lavoro. Non puoi
dirgli di venire
in Europa se prima non ha un posto sicuro col quale guadagnare,
è una follia.
Punto secondo, secondo mio modesto parere sarebbe più
opportuno per i primi
tempi che lui da solo venga in Francia o dove vuole, inizi a ingranare
col
lavoro e solo in seguito chiedere il ricongiungimento familiare. Punto
terzo,
se dovesse optare per l'acquisto di una casa, dovrà chiedere
un mutuo:
difficilmente una famiglia monoreddito ne ottiene uno, a meno che non
sia anche
Shunrei a lavorare. Non ci avevi pensato?" il sospiro che
esalò Mei gli
confermò che no, sull'onda dell'entusiasmo, aveva del tutto
ignorato certi
aspetti. "No, direi proprio di no."
"Pensavo a come portarli via da lì nel più breve
tempo possibile..."
"Capisco,
ma un trasferimento non è una cosa da prendere alla leggera,
qui si tratta di
cambiare vita, cambiare lavoro, casa, tutto. Eppure ci sei passata
anche tu,
non molto tempo fa..."
"Con la
differenza che io ho avuto un valido aiuto nel mio trasferimento..."
"Vogliamo
riprendere quel discorso? Ancora? Te l'ho offerto, il mio aiuto."
"No, tu mi hai presa in giro."
"E ti ho chiesto scusa. Ad ogni modo, che titoli di studio hanno?"
"Shiryu sta per laurearsi in filosofia, Shunrei sta studiando per
diventare infermiera."
"E come al solito mi tocca dire che tua cognata è stata
più lungimirante
di tuo fratello." osservò Camus. "Quantomeno è
stato coerente con
l'immagine che ha sempre dato di sé. E sai che ho ragione."
"Con una
magistrale potrebbe lavorare nelle risorse umane, o in un'azienda. Poi
comunque
una laurea in filosofia non è inutile, sai. Bruce Lee era
laureato in filosofia
ad esempio. O Umberto Eco. Molti amministratori delegati di importanti
industrie sono filosofi."
"Una
laurea non è mai inutile, non l'ho mai detto né
pensato." ribatté Camus.
"Le mail che aspettavo erano del mio collega, sua moglie ha stilato
l'elenco dei documenti necessari: ora sta a Shiryu decidere."
***
Lady
Aquaria's corner
-La
canzone del titolo
fa riferimento alla canzone di Sergio Endrigo.
-Il discorso tra Mei e Shiryu riguarda la politica
del
figlio unico che, in Cina, è stata in vigore dal
1979 al 2013 circa. Tale
politica prevedeva un certosino controllo delle nascite e l'assoluto
divieto
per le donne di avere più figli; ufficialmente è
stata abolita, ma
ufficiosamente c'è chi dice che in verità non
è mai stata abbandonata sul
serio.
Le parole dei due possono suonare melodrammatiche, ma molti autori
cinesi hanno
portato alla luce il problema nei loro scritti, narrando di aborti
forzati,
pestaggi e spesso sterilizzazioni dei trasgressori nonché di
veri e propri
omicidi ai danni di bambini appena nati. Uno degli ultimi casi resi
noti di
aborto forzato risale al 2012, sette anni fa, ed è atroce
pensare come una
simile violazione dei diritti umani sia stata resa possibile.
Al di là di questo, i trasgressori potevano anche tenere il
bambino, ma a
fronte del pagamento di una tassa (quella che accenna Mei)
così onerosa da
risultare spesso impossibile da pagare per un comune cinese.
È quantomeno ovvio
che l'esistenza stessa di Shiryu, nella mia storia, è
subordinata al pagamento
della tassa in questione: ecco perché Mei lo "ringrazia" di
essere
vivo (sia per la tassa, che per la morte in culla della cognata).
-Il
viaggio cui si
riferisce Milo, l'avevo accennato in un precedente capitolo, riguardo
l'addio
al celibato di Camus gentilmente offerto da Milo stesso.
-La
SIDS è la sindrome
della morte in culla.
-Il Livret de famille è una sorta di libriccino raccoglitore
rilasciato a una
coppia di neosposi in occasione del matrimonio o a una coppia non
sposata
quando nasce il loro primo figlio, e contiene gli estratti dei
documenti più
importanti che riguardano, appunto, la famiglia: atti di nascita e
morte,
documenti relativi al matrimonio o al divorzio, atti di nascita dei
figli ecc
ecc.
Come
sempre grazie a chi
ancora segue: giuro, non manca molto alla fine.
Lady
Aquaria
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