Napoleon non aveva
avuto problemi a infiltrarsi nell’accampamento. Il segreto era
svuotare la mente, liberarla da ogni pensiero ed esiliare il cuore
dal petto, spingerlo il più a fondo possibile, giù nello stomaco se
necessario, dove nessun angelo avrebbe potuto percepire la scintilla
umana che accendeva ogni suo battito.
Ci voleva disciplina
– qualcosa che il Generale Sanders era convinto non potesse
possedere e rideva all’idea che un libertino, sregolato, ribelle e
insubordinato come Napoleon Solo potesse riuscire a svuotare la
mente di tutti quei pensieri indecenti per cui troppo spesso i
superiori lo avevano rimproverato.
Eppure lo stesso
Generale non aveva potuto negare le sue capacità. Strappa le ali
a quel figlio di puttana e il tuo debito con l’esercito sarà finito,
Solo; fallo e non sarai più l’idiota disertore che ha tentato di
voltare le spalle alla sua stessa razza, ma diverrai un eroe;
questi erano i patti e Napoleon pregustava già il momento in cui
avrebbe finalmente detto Sayounara a una vita passata a
essere il cane non-così-obbediente dei suoi superiori.
Avanzò tra antichi
salici piangenti dalle fronde rosate che cantavano al vento. Si
soffermò a osservarne uno, il più imponente – aveva grosse radici
ritorte che si sollevavano da terra, si annodavano tra loro e si
tuffavano ai piedi di una fonte dall’acqua color cristallo. Non
c’erano dubbi che si trovasse nel posto giusto, da anni gli alberi
erano spariti dalle terre conquistate dagli uomini ed era la prima
volta che vedeva dell’acqua così pulita.
Trattenne a stento
la voglia di tuffarsi. Quando un brivido intenso gli attraversò
l’intera colonna vertebrale, ogni sua voglia fu indirizzata verso
ben altro.
In silenzio sfilò il
pugnale dalla fondina dietro la schiena, scivolò all’ombra del
salice e sorrise quando vide abiti bianchi – ridicolmente immacolati
– appesi a uno dei rami. Non avrebbe potuto scegliere momento
migliore per decidere di spiare l’Arma prediletta dei Cieli.
Guardò verso l’acqua
limpida della fonte, ben sapendo cosa vi avrebbe trovato. Vide
enormi ali spalancarsi dietro la schiena nuda di un angelo e i
brividi si fecero più intensi, ma quando ne notò i capelli biondi,
il naso dritto, il profilo fiero dall’espressione rigida, la presa
al pugnale quasi venne meno.
«Perché Dio deve
prendersela sempre con me, quando ci sono milioni di altri umani
peggiori a cui rovinare i piani…» portò la mano libera al volto e
soffocò un gemito frustrato contro il palmo libero.
Era bastato uno
sguardo, ali rosse come il sangue e capelli biondi come il sole e
ogni proposito di Napoleon era affondato in quella fonte.
- - -
Illya aveva cercato di pulirsi del
sangue che lo macchiava, ma sembrava che ogni singola piuma delle
sue ali se ne fosse imbevuta fino alla radice e tutta l’acqua sulla
Terra non sarebbe riuscita a cancellarlo.
Ripiegò un’ala intorno al fianco
destro. Con forza passò il panno bagnato sul mantello piumato dell’humérus,
fino a sentire il dolore di piume che si stropicciavano e si
torcevano sotto il suo passaggio, fin quasi a venir strappate
dall’osso. Non cambiò nulla, le piume rimasero rosse come se lo
fossero sempre state.
Irritato stritolò il panno tra le dita
e lo gettò lontano, per poi far ricadere le braccia lungo i fianchi.
Lo specchio d’acqua in cui si era
immerso era immobile intorno a sé, la fonte gli dormiva intorno,
placida e serena come il suo animo invece non era da anni – forse
era quello il motivo che lo spingeva a ricercarla dopo ogni
battaglia. Vi ritornava puntualmente, come facesse parte di un rito
e lui, fedele a Dio e alla Causa, lo compiva con devozione,
spogliandosi della propria spada, degli abiti e immergendovisi.
L’acqua gli si accoccolava intorno ai fianchi, gli lambiva le anche,
gli sfiorava la punta delle ali e lavava via ogni pensiero.
Solo il sangue non si puliva mai.
Socchiuse gli occhi e spalancò le ali,
la grazia che rifluiva fece risplendere le piume: fiamme piumate e
scarlatte che si allargavano dalle sue scapole e gettavano ombra
sull’intera fonte. A guardarlo da lontano sarebbe stato come
assistere alla nascita del sole.
Qualcosa pizzicò i suoi sensi. Le
scapolari si appiattirono contro la schiena, coprirono lembi di
pelle altrimenti nuda, le secondarie si arruffarono, e un’intensa
sensazione di fastidio si fece largo tra le onde calde della sua
grazia.
Si voltò a guardare il salice
piangente le cui radici raggiungevano la fonte.
Dalla riva, un umano lo guardava e per
un attimo i loro occhi si incrociarono. Azzurri entrambi, eppure non
potevano essere più diversi, l’uno aveva negli occhi il cielo,
l’altro il mare.
«Tu!» ruggì Illya.
«…fantastico… di bene in meglio.»
Con un battito d’ali, l’angelo gli fu
addosso.
- - -
Napoleon non poteva negare che ci
fossero stati momenti in cui aveva pensato a Illya, momenti in cui
aveva ripercorso a ritroso ogni minuto passato con lui, fino alla
prima volta in cui le loro strade si erano incrociate al campo
militare. Due giovanissime reclute o, come gli aveva detto una volta
sovrastandolo nella branda della sua stanza: siamo due gocce di
whiskey nel cocktail sbagliato.
Non era un uomo incline ai rimpianti –
era un ladro, prima di diventare un soldato, prendeva ciò che voleva
– ma Illya lo era stato. L’unico. L’aver fatto l’amore con lui per
l’ultima volta prima di separarsi, le promesse che non era riuscito
a mantenere, il vuoto che la sua mancanza aveva così scrupolosamente
scavato nel proprio petto per far da tomba al proprio cuore. Tutto
di lui, di loro, aveva rimpianto.
Dovevi spegnere il cuore
affinché un angelo non si accorgesse di te – Napoleon l’aveva perso
il giorno in cui aveva detto addio a Illya e non l’aveva più
trovato, per questo era il migliore.
Non si aspettava, però, di ritrovarlo
vestito – figurativamente – dei colori della bandiera avversaria.
Lo guardò caricare, un battito d’ali e
il corpo imponente del biondo gli arrivò addosso travolgendolo come
un treno in corsa.
Caddero entrambi.
Napoleon sbatté con violenza la
schiena a terra, perdendo il pugnale nel manto erboso. Illya, sopra
di lui, gli piantò un ginocchio nel torace e l’umano gemette di
dolore tossendo e sputando saliva.
«Perché va sempre a finire così? E
dai, Peril, non potremmo parlarne? Non potresti prima vestirti? O
svestirci entrambi, se preferisci, in onore dei vecchi tempi.»
Dal basso Napoleon gli artigliò le cosce. Sotto le sue dita i
muscoli di Illya si tesero e il ginocchio premette con più forza.
«Ok, ok, scherzavo!»
«Come osi parlare dei vecchi tempi
dopo quello che hai fatto?» Le ali si chiusero intorno a loro in un
rosso bozzo piumato.
Napoleon tentò per la seconda volta di
spostare la gamba di Illya. Provava una certa masochistica
eccitazione nell’averlo sopra di sé completamente nudo, rivestito
solo della sua forza bruta, ma avrebbe preferito fosse per ben altri
motivi.
Inalò ossigeno a più tempi, il peso
contro il proprio torace gli rendeva difficile ispirare ed espirare
boccate più ampie di un sospiro. «Tecnicamente non ho ancora fatto
nulla.»
«Sei lo Spezza Ali!»
«Oh, quello.»
Illya si irrigidì. «Dunque è vero: sei
tu!»
«Posso spiegarti!»
«Cosa c’è da spiegare? Eri qui per
prendere le mie ali e consegnarle agli umani come trofeo di guerra.»
«Vero, ma non sapevo –»
«Dovrei ucciderti!»
«O potresti invece starmi a sentire,
dannato gigante d’un mezz’angelo!»
Napoleon si pentì di averlo detto, ma
quando vide gli occhi di Illya riempirsi di rabbia e vergogna seppe
che non avrebbe potuto rimangiarselo.
La mano del mezz’angelo si chiuse al
suo collo in una presa ferrea che gli tatuò dita sulla pelle e gli
strozzò gli ultimi residui di respiro in gola. Sentì la prima ondata
di calore e fu come venire ricoperto di brace; si erano ritrovati in
quella stessa posizione già fin troppe volte in passato perché
Napoleon non sapesse cosa sarebbe venuto dopo: il fischio acuto che
gli avrebbe trapassato il cranio, aghi d’aria che a trafiggere il
collo, la mascella, il petto, scariche di dolore dietro agli occhi
che avrebbero bruciato e premuto come a volerglieli cavare.
La prima volta che era successo,
ricordava di non essere riuscito a trattenere le lacrime: aveva
pianto con la voglia di strapparsi via la pelle di dosso e far
finire quella tortura.
Questa volta, però, dubitava che Illya
si sarebbe fermato prima di farlo impazzire per il dolore. Ma quando
serrò i denti, con il capo piegato alla spalla e le mani che avevano
cercato istintivamente qualcosa a cui aggrapparsi, l’ondata di
calore che lo aveva avvolto andò dissipandosi.
Lo sguardo di Illya era cambiato di
nuovo, non guardava nemmeno più Napoleon ma fissava con sconcertato
stupore qualcosa sulla sinistra.
L’umano ne seguì la traiettoria. C’era
la propria mano alla sinistra, le dita che avevano cercato un
appiglio e avevano trovato le sue ali e, là dove lo toccavano, sulle
piume si era spalancata una chiazza bianca, immacolata, che
contrastava contro il resto del manto rosso.
«Non è una cosa normale per voi
piumati, vero?» Napoleon avrebbe dovuto lasciare la presa,
avrebbe dovuto usare lo stupore di Illya a suo vantaggio, ma le
piume tra le dita erano morbide e la mano era stata avvolta da un
tepore surreale, diverso da quello che rappresentava la furia
omicida del mezzo angelo. Era quel genere di calore che di solito
montava tra le gambe, quel calore piacevole che lo incendiava da
dentro, che si irradiava per ogni suo punto sensibile, che –
soprattutto con Illya – lo travolgeva nell’orgasmo. Non era qualcosa
che aveva a che fare col sesso, era qualcosa di più intimo, come se
toccando le sue ali, la propria anima fosse entrata in risonanza con
quella dell’altro.
«Come… ci sei riuscito?» gli domandò
il mezz’angelo.
Il suono incredulo nella sua voce
diede speranza a Napoleon. «Significa che ho fatto qualcosa di
buono?»
«Smettila di scherzare e rispondi!
Come hai fatto?»
Questa volta Napoleon riconobbe una
nota disperata, la stessa che gli riconosceva nello sguardo quando
da soli, nel buio della loro stanza, Illya allungava le braccia
verso di lui e intrecciava gambe infinite con le sue. La stessa nota
disperata di quando gli aveva confidato di essere un miscuglio
imbastardito tra un umano e un angelo; Nephilim erano
chiamati quelli come lui.
Portò la mano libera alla guancia del
mezzo angelo. «Lo so che non mi credi, Peril, ma giuro che questa
volta non ne ho idea. Però posso provare a farlo ancora, se ti
piace.»
Illya lo fissò a lungo, abbastanza
perché Napoleon ne vedesse il volto tingersi della stessa tonalità
di rosso di un cielo al tramonto. «Dovevo aspettarmi che non fossi
cambiato per niente.»
«Perché non mi suona come un
complimento?»
«Perché non lo è, Cowboy.»
Napoleon sorrise. Quel soprannome era
stata la conferma che il mezzo angelo non avrebbe più cercato di
ucciderlo – non nell’immediato futuro almeno.
- - -
Illya si scansò da Napoleon e chiuse
il proprio corpo in un abbraccio di ali, all’improvviso fin troppo
cosciente della propria nudità. Potevano essere passati anni, ma
l’appetito sessuale dell’umano evidentemente non era cambiato e ogni
motivo per l’altro era buono per fare allusioni di quel genere.
Mentre Napoleon si tirava a sedere
massaggiandosi il collo, il mezzo angelo considerò l’idea di
recuperare i propri abiti dal ramo su cui li aveva stesi. Rivestirsi
lo avrebbero fatto sentire meno esposto allo sguardo che l’umano gli
teneva addosso, anche se aveva da sempre avuto una dote naturale nel
riuscire a spogliarlo di abiti e difese.
Lasciò perdere i vestiti e si sedette
sul manto erboso. Una delle radici del salice piangente sbucava dal
terreno dietro di lui, facendogli da schienale.
Si allungò ad afferrare il pugnale che
aveva visto cadere in terra. Sull’elsa d’argento riconobbe le
iscrizioni enochiane che la attraversavano. «Questa è un’arma
angelica.»
Napoleon studiò prima il pugnale e poi
il volto del mezzo angelo. «Ipoteticamente,» si schiarì la gola
«quanto sarei nei guai se dicessi che l’ho rubato a uno dei tuoi
amici volanti?»
Illya non rispose, ma raccolse una
dose di calcolata irritazione nell’occhiataccia che gli rivolse. Non
aveva amici tra gli angeli, le uniche persone a cui avesse mai
tenuto erano fallaci, irritanti e difettose come solo l’imperfezione
umana poteva essere; ma non avrebbe dato a Napoleon la soddisfazione
di sapere di essere una di quelle persone – anche se, temeva, ne
fosse già più che consapevole.
L’umano ne approfittò per spostarsi
più vicino. «Come ci sei finito a comandare una legione di piumati?
Un tempo combattevi per noi.»
Illya volse il capo verso lo specchio
d’acqua. Non aveva più pensato a quel periodo della sua vita da
parecchio, ma nonostante tutto ricordava fin troppo bene che mai,
nemmeno per una volta, era riuscito a sentirsi parte di un noi.
«Non combattevo per voi, combattevo
con te.» la confessione non gli si incastrò tra i denti come
aveva temuto, né gli lasciò l’amaro in bocca; fu invece quasi
liberatorio, come la prima volta che aveva spiegato le ali e i cieli
erano diventati il suo dominio. «È successo dopo che te ne sei
andato; ci hanno ordinato l’avanzata, anche se sapevano che si
trattava di una trappola e nessuno di noi ne sarebbe uscito vivo.
Hanno lasciato lì a morire il mio intero plotone; gli angeli li
hanno uccisi tutti, uno ad uno, ma quando è stato il mio turno mi
hanno risparmiato. Un Arcangelo è venuto da me e ha promesso che, se
avessi combattuto sotto il loro vessillo, sarei diventato un
angelo.»
«E visto che non sei mai stato uno di
noi, tanto valeva essere uno di loro, giusto?»
L’abbraccio delle ali si chiuse
maggiormente intorno al nephilim. «Eri diventato un disertore che
non voleva combattere, non c’era motivo perché ti incontrassi sul
campo di battaglia. Perché sei tornato indietro?»
«Fidati, era l’ultima cosa che avrei
voluto. Mi hanno trovato prima che riuscissi a superare il confine,
prima che tornassi a casa o a qualsiasi cosa fosse rimasta. Sanders
mi ha fatto un’offerta che non potevo rifiutare, così eccomi qua.»
Napoleon allargò le braccia e fece rotolare sulla lingua una risata
debole che aveva il sapore di una beffa autoironica. «Non sapevo
fossi tu il bersaglio finché non ti ho visto. Non credo lo sapesse
nemmeno Sanders o non sarebbe stato così idiota da mandare proprio
me.»
Illya sembrò rifletterci, nonostante
fosse già arrivato alla stessa conclusione. Guardò l’uomo tendere i
muscoli sotto la casacca dai colori dell’esercito umano; la faccia
da poker era rimasta la stessa di sempre, con l’espressione
tranquilla e il sorriso canzonatorio, ma il nephilim riconobbe i
segni del nervosismo.
«Ti credo» affermò.
Napoleon si lasciò sfuggire un sospiro
di sollievo e prese la sua affermazione come un permesso per
invadere il suo spazio personale. Si alzò in piedi, annientò con un
unico passo la distanza tra loro e quando prese posto di fronte a
Illya, le ginocchia si toccavano e le proprie mani ripresero
possesso delle cosce dell’angelo. Le accarezzò piano, salendo verso
l’inguine, ma ridiscendendo subito dopo, con la punta delle piume
che gli sfiorava le braccia. «Quelle le avevi anche prima?»
Illya seguì il cenno di Napoleon alle
proprie ali e si rabbuiò. «Erano bianche un tempo.»
«Se è solo questo il problema.»
Un’onda di rabbia si sollevò nello
sguardo del biondo. Quello era il motivo per cui non gliele aveva
mai mostrate, lui come gli altri non avrebbe mai capito cosa
significasse guardare le proprie ali – bianche come il sorriso di
sua madre, bianche come la luce che la donna era stata per lui
nell’infanzia – sporcarsi giorno dopo giorno, fino a perdere il loro
candore.
Si fece invadere dalla voglia di
atterrarlo di nuovo, ma la mano di Napoleon lo fermò appena in
tempo: raggiunto il piumaggio interno della sua ala destra, si era
posata tra le piume secondarie e il rosso che le macchiava colò via,
come vernice fresca sotto la pioggia.
Illya chinò il capo, sospirò
pianissimo e si curvò in avanti a occhi socchiusi. Le piume
primarie, sulla punta delle ali, frullarono.
Napoleon allargò un sorriso
soddisfatto quando sull’ala rimase l’impronta bianca della sua mano.
«Visto? Bastava chiedere.»
«Fallo…» Illya stirò le labbra e
spiegò l’ala in modo da inglobare nell’abbraccio anche Napoleon. Un
sospiro caldo abbandonò la bocca di entrambi quando le piume
sfiorano la schiena dell’umano, depositandosi su di lui in una
carezza morbida che lo spinse tra le braccia del nephilim, petto
contro petto e la fronte del biondo premuta alla sua spalla. «Fallo
ancora.»
Napoleon lo baciò su una tempia, sulla
fronte, reclinò perfino il volto fin quando non riuscì a baciarlo
anche sulla punta del naso. «Vedi che allora ti piace?»
Illya grugnì «Vuoi proprio
costringermi a farti male?»
«No grazie, il mio corpo è fatto per
fare l’amore, non la guerra.» Ridendo risollevò il capo. A bocca
aperta si tuffò tra le piume del mezzo angelo, passando la lingua
tra le morbide pieghe che andavano imbiancandosi, fin dove il calamo
si attaccava allo scheletro.
Illya gemette, sensibile, perdendo per
un attimo padronanza del proprio corpo. Si aggrappò alla casacca
dell’umano, la strappò, lasciando sulla sua pelle segni di unghiate,
mentre Napoleon gli baciava e gli leccava una piuma alla volta – la
Grazia del nephilim a pizzicargli la bocca e a traboccare in ondate
che si facevano sempre più calde e sempre più piacevoli. E ogni
volta che si spostava a una nuova piuma, Illya le sentiva più
leggere, più sensibili, perfino il respiro dell’umano lo faceva
fremere.
Si sforzò di afferrarlo per i capelli,
strattonandogli la testa indietro. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma
qualsiasi parola cercasse di articolare si trasformava in boccate
affannate e ansanti.
Nonostante il dolore alla cute,
Napoleon rise, lo accarezzò tra le scapole, all’attaccatura delle
ali dove pelle e piume si univano.
Il gemito di Illya si fece più
intenso. Ruotò il capo, per guardarlo con occhi languidi di piacere.
«Ti odio.»
«Sciocchezze.» Napoleon si sporse a
rubargli un bacio, il primo sulle labbra. Lento, dolce, diede al
mezzo angelo il tempo di riprendersi, di ricambiare, di ricercare la
sua lingua e ritrovarla intrecciata alla propria. Recuperando
giorni, mesi, anni, come se non fossero mai trascorsi.
«Ma mi sei mancato anche tu. Illya.»
|