Indigo
lo guardò con la coda dell'occhio, intento a guidare.
Sembrava
sereno; aveva sbadigliato due volte da quando si erano messi in
macchina e pensò che forse doveva essere abituato ad andare
a
dormire molto presto. D'altronde erano rimasti fuori a lungo,
più di
quello che si aspettava di sicuro. E non aveva nemmeno dovuto
rifiutarlo di nuovo. Lo riguardò, prima di voltarsi al
finestrino
dalla sua parte e picchiettare una gamba con le dita. L'aveva fatta
ridere e quasi non ci credeva. Una volta sola e lui ci aveva provato
per tutta la sera; si sarebbe dovuto ritenere soddisfatto
poiché era
da tanto che qualcuno non ci riusciva. Nessuno ci aveva provato prima
di lui, però. Oh, guardandosi attraverso il finestrino
notò che i
capelli si erano fatti crespi; neanche tutto il tempo che ci aveva
impiegato Lena a sistemarglieli. E il trucco si era… Oh, il
trucco.
Non sembrava più lei e cominciò a pensare che
quel travestimento
stesse davvero dando i suoi frutti. Era certa che nemmeno suo
fratello Cyan l'avrebbe riconosciuta, adesso. Si sentiva diversa e,
per un attimo, si chiese quando sarebbe finito come sarebbe tornata
alla sua realtà e con quali pesi sullo stomaco. Non sarebbe
rimasta
in quella villa per sempre, a spese di Lena mentre le cospirava alle
spalle per conto di qualcuno che, forse e non le era chiaro, la
odiava. Di certo odiava i Luthor. Cene con un amico di lavoro, il
lavoro stesso, Kara Danvers che, probabilmente, non la odiava
così
tanto. Sarebbe tutto finito. Non sapeva quando, ma sapeva che era
così che sarebbe andata.
«Mi
ha- emh», Winn si fermò, estraendo un sorriso,
«Mi ha fatto
piacere uscire con te. Come amici, voglio dire, tu mi piaci…
mi
piaci molto, ma-».
Anche
questo sarebbe finito, Winslow,
pensò. Che a
lui, lei
piacesse o meno, non aveva alcuna importanza.
«Mi
piacerebbe», la guardò solo un momento, voltandosi
e riguardando
avanti la strada, «uscire di nuovo solo… mh, per
conoscerci.
Niente di serio se», rise, «tu-tu non vuoi, certo
che non vuoi».
Quanto
parlava, pensò ancora. Era diverso dai ragazzi con cui era
abituata
a uscire di solito. Non sapeva però se questo era un bene,
doveva
pensarci: con loro non aveva mai avuto paura di sbagliare
perché
volevano una cosa soltanto e lei voleva lo stesso, non si era mai
posta il problema di pesare le parole né di fingersi una
persona
interessante con cui fare conversazione. Di fare conoscenza. Lei
stessa non aveva mai voluto conoscere qualcuno, se non Lena.
«Magari
possiamo… tenerci in contatto?»,
allungò lo sguardo al suo
cellulare poggiato sulle gambe e Indigo gli lanciò
un'occhiata.
«Come amici. Non… Non è una trappola,
vorrei davvero solo parlare
per…», deglutì,
«perché ti ritengo una persona incredibile. E
non perché ero», rise, «lo sono ancora,
un tuo fan».
Era
seccante. «Va bene».
Il
ragazzo estrasse un sorriso e annuì, riguardando avanti. Fu
allora
che successe: veloce, la strada era buia, fece appena in tempo a
vedere le luci che quell'auto finì loro addosso.
La
vecchina uscì dalla macchina che le tremavano le gambe.
«Oh,
cielo…». Winn si resse la testa, appoggiato allo
schienale. Gli
girò tutto, stordito, aprendo gli occhi per controllare
Indigo al
suo fianco. La macchina aveva preso un urto molto forte.
«Stai
bene?».
«Sì…
Che cavolo è successo?», ringhiò,
sporgendosi per guardare la
signora attraverso il vetro che andava lenta contro di loro. Winn
scese dall'auto per assicurarsi che anche lei stesse bene e Indigo
sbuffò, aprendo la portiera per raggiungerli e guardare il
danno.
«Non
vi ho visti», ripeté lei per l'ennesima volta,
portandosi una mano
contro il petto. «Voi mi siete venuti addosso».
Winn
si portò le mani sui capelli vedendo le condizioni dell'auto
che,
continuava a ripetere, stava ancora pagando, con in sottofondo la
donnina che imperterrita proseguiva a lamentarsi.
«Lei
è venuta addosso a noi», Indigo guardò
la macchina e la signora,
indicandogliela. «Pure dritta, sembra fatto apposta. Diamine…».
La signora si animò immediatamente al fronte di quelle
accuse e la
ragazza prese il cellulare, componendo il numero di Lena. O avrebbe
dovuto chiamare Alex Danvers?
«Indigo,
aspetta», lui si avvicinò scattante, voltandosi
per guardare la
signora che ancora borbottava infastidita. «Prima di chiamare
qualcuno, dovremmo-».
«Io
chiamo il nove
uno uno»,
sbraitò l'anziana.
Cellulare
già a portata d'orecchio e Winn sbiancò, ma mai
quanto Indigo. La
signora chiese assistenza e lei tornò indietro di un passo,
mentre
il respiro le si faceva pesante, corrotto dall'ansia. «Non
posso
stare qui», confabulò. Le pupille si dilatarono,
sentì prurito
alle gambe, e alle mani. Se ne doveva andare, se ne doveva andare
subito. «Non posso stare… Chiama…
Chiama tu», biascicò senza
nemmeno guardarlo in faccia. Gli passò il cellulare e si
voltò
iniziando a correre. La donnina chiese cosa stesse succedendo, ma
Winn restò immobile, cellulare in mano.
Diamine,
diamine. Indigo si accorse di aver preso a tremare, fermandosi sotto
l'ombra di un albero. Non sapeva se era scappata a sufficienza, ma lo
sperava. Gli aveva lasciato il suo telefono, diamine! Ci
pensò solo
una volta lì, ormai. In quel momento, le era sembrata la
cosa più
naturale da fare poiché doveva chiamare: la paura era un
sentimento
che le impediva di pensare lucidamente. Se solo Winslow fosse stato
un po' più accorto, le avrebbe letto le chat con il suo
angelo
custode. C'era un codice di accesso, ma lui era in gamba e lei aveva
abbassato la guardia. Come poté commettere un errore
così banale?
Sentì
voci, l'erba che si muoveva, il vento che, lontano, sbatteva
qualcosa. Quando spostava i rami degli alberi sembrava parlarle. Poi
dei passi. Erano vicini, sempre più vicini e si
guardò in giro, nel
buio. Non vedeva nessuno, ma sentiva di non essere sola. Poteva
nascondersi, doveva abbassarsi. Era la polizia? Winslow l'avrebbe
coperta, ma l'anziana… No, la polizia si sarebbe
identificata,
c'era qualcun altro. Assottigliò lo sguardo e
delineò un'ombra, ma
sfortunatamente era ormai troppo vicina. Era alto e imponente, lo
aveva già visto. Oh no, lui no… L'aveva rapita
nel motel, lo
riconosceva. Deglutì e fece mezzo passo indietro: doveva
provare a
scappare da lui fosse stato anche inutile, mentre cercava di capire
cosa avesse fatto ora di sbagliato. Non voleva che la portasse via;
non voleva lasciare la villa e quella vita, non così presto.
Ma lui,
invece di aggredirla, si fermò:
«Non
devo toccarti. Puoi restare». La voce inaspettatamente
armoniosa e
acuta l'avevano colta di sorpresa. «Chiedo scusa a te e al
tuo
amico, ho fatto creare l'incidente perché dovevo parlarti
prima che
tornassi in villa. Sapevo che ti saresti allontanata, sei una ex
detenuta: comprensibile».
Indigo
non capiva: in
villa?
Lo disse in un modo così colloquiale, come se ne fosse
abituato.
«È
difficile trovarti sola, dopotutto. Ma dovevo avvertirti».
«Per
conto suo?», grugnì. A quel punto, il suo angelo
custode non poteva
inviarle un messaggio?
«No»,
rispose pacato e si voltò indietro una sola volta,
ascoltando il
vento. «Dovevo avvertirti sulla mia presenza a villa
Luthor-Danvers», affermò con voce armoniosa, quasi
da soprano.
Lei
ascoltò attentamente e ingigantì gli occhi,
deglutendo. Era
circondata, pensò allora Indigo, continuando a reggersi alla
corteccia dell'albero. Non poteva permettersi una sola mossa
sbagliata: lui, Noah che le stava dietro e la fotografava, il suo
angelo custode che le scriveva come per assicurarsi che non si
dimenticasse di lui. Sarebbe tutto finito, ora ne era ancora
più
certa. E sarebbe finito male.
Pochi
minuti più tardi fu Kara a trovarla e a riportarla indietro,
prima
da Lena e insieme in villa.
«Che
cosa accidenti le era passato per la testa?», Kara
sbottò,
camminando in cerchio in salotto. Era ancora agitata e lo era anche
Lena, seduta sul divano. Quest'ultima si teneva strette le ginocchia
sul petto, pensando. «I-Io l'ho capito, okay»,
fermò i passi di
colpo. «Era in prigione, è stata fatta uscire da
una persona per un
lavoro e solo per quel motivo, se n'è andata da lui e ha
avuto paura
di essere scoperta, ma scappando in quel modo…»,
gesticolò, «che
cosa pensava di fare? Aggirarsi da sola… Questo garante
può aver
mandato qualcuno a cercarla. Doveva restare lì»,
annuì, «e i
poliziotti nemmeno l'avrebbero riconosciuta». Poi
guardò Lena, che
alzò lo sguardo a sua volta. «Ha-Ha gli
occhiali».
Lei
sospirò, tenendo la testa con una mano. «Doveva
scappare».
«Cosa?».
«La
polizia avrebbe registrato il suo nominativo, Kara. Lui l'avrebbe
trovata».
Lei
spalancò la bocca, iniziando a calmarsi. «A
questo… non avevo
pensato». Dopo si andò a sedere al suo fianco,
abbassando la testa.
«Ma non avrebbe dovuto allontanarsi».
«Non
troppo. Avrà avuto paura», borbottò,
guardandola negli occhi.
«Andiamo a dormire. Ci siamo prese uno spavento ma nessuno si
è
fatto male seriamente. A
parte l'auto di Winn».
Si alzò dal divano e le prese le mani con le sue, aiutandola
a
tirarsi su e a seguirla. «E gli occhiali, Kara…
non so come
dirtelo, ma non funzionano al cento per cento come
copertura», le
ricordò sulle scale.
La
macchina di Winn era ancora dal carrozziere, mentre la vecchietta che
gli era andata addosso cercava di convincere le forze dell'ordine che
era stato lui a non vederla arrivare e a non fermarsi, continuando a
blaterale su come ci fosse anche una ragazza che poi era magicamente
scomparsa. Sapevano che il caso era passato tra le mani di Maggie
Sawyer e Charlie Kweskill, dunque si risolse in fretta. Meno in
fretta il tempo che Winn doveva passare con il collare a causa del
colpo di frusta; erano trascorsi tre giorni dall'incidente e gli
avevano consigliato di tenerlo per almeno due settimane, ma anche
solo per via del caldo, non ne poteva semplicemente più. Nel
frattempo, Indigo si era fatta più strana del solito, da
dopo
quell'incidente: era diventata di nuovo fredda, non rispondeva
più a
Kara come al solito anche se tendeva sempre a stuzzicarla, stava per
le sue e non si intratteneva più come prima in chiacchierate
con
Lena, che chiedeva consiglio alla psicologa. Sembrava che le
eccessive temperature di quei giorni le avessero tolto la voglia di
fare qualunque cosa, a parte mangiare. Ma sapevano che si sentiva con
Winn e almeno non si preoccuparono troppo. Pian piano si stava
riappropriando del suo solito umore anche se era spesso distratta;
decisamente non da lei.
Era
quasi metà giugno e, dopo l'anniversario, le cose avevano
ripreso
pian piano il proprio corso.
Per
prima cosa, grazie all'intenso studio con Lena, Kara riuscì
a dare
due esami a poche ore di distanza, e un terzo il giorno dopo, quando
pensò che fosse ormai troppo tardi per recuperare e che
sarebbe
morta nell'impresa.
«Mi
sta scoppiando il cervello. Se non dovessi farcela, ricorda che ti
amo e ti ho sempre amata», disse una sera, mollando un libro
per
tenerle una mano. Era già sul punto di pensare cosa lasciare
e a
chi.
Non
lo dava a vedere e si impegnava molto per seguire lei e le ragazze a
cui faceva da tutor, ma anche Lena era molto stressata: era
finalmente in vacanza dalla Luthor Corp, ma si sarebbe laureata entro
l'anno e quando di tanto in tanto Kara si svegliava durante la notte,
la trovava al centro del letto con una lucetta bassa circondata dai
libri, oppure china davanti alla sua scrivania. Di norma non la
disturbava, ma una notte l'intravide ciondolare dalla stanchezza e si
sporse dal letto per prenderla tra le braccia e così, con
appena un
po' di controvoglia, farla sdraiare.
«Non
ho finito…», soffiò in un brusio, occhi
chiusi.
«Hai
bisogno di riposo; ritroverai tutto domattina», le
stampò un bacio
sulla fronte e la vide sorridere, appesantendo il suo respiro come se
già stesse dormendo. Così la coprì e
la tenne stretta tra le
braccia, lasciando i libri aperti su quel lato del letto.
Era
capace di svegliarsi prima di lei e davvero ritrovare il filo
lì
dove lo aveva lasciato ore prima. E lei si stava svegliando davvero
presto poiché aveva ripreso l'impegno di correre ogni
mattina. Le
lasciava un bacio con il rischio di graffiarsi con una penna che Lena
metteva in bocca, si alzava di corsa, andava a lavarsi e vestirsi e
usciva. Solo per infastidirla bussava alla porta chiusa di Indigo,
passando in corridoio. C'erano un sacco di strade sterrate che valeva
la pena di attraversare da una villetta all'altra, e Kara si era
segnata in testa un percorso immaginario che prendeva ogni giorno: si
fermava per ascoltare gli uccellini cinguettare su un albero su cui
aveva sorpreso un nido, ad accarezzare un cane dietro un cancello che
l'aspettava, a osservare una cucciolata di gattini appena nati con
mamma gatta intenta a lavarli, a salutare con un'alzata di mano una
vicina che, in vestaglia, apriva la portafinestra di un balcone ogni
mattina alla stessa ora prima di andare a lavoro. Al percorso
inverso, salutava invece la sua domestica che entrava con l'auto
dietro il cancello. Si stava costruendo le sue abitudini e per poco
non pensò di lasciare la sua camera al dormitorio, anche se
significava trascorrere meno tempo con Megan. Ma doveva frenare
quella voglia, forse avrebbe cambiato idea alla fine delle vacanze
estive, quando non avrebbero più avuto la villa solo per
loro.
Intanto,
Faora Hui e il suo destino erano ancora sulla bocca di tutti, e come
poteva essere altrimenti. Quella quasi metà di giugno
portò con sé
anche una svolta che le riguardava: il coroner diede il via alla
sepoltura della salma e i genitori le organizzarono il funerale.
Anche quella fu una giornata particolarmente soleggiata.
«Come
sto?». Maggie si spinse per bene la camicia dentro i
pantaloni e
Alex si avvicinò per lisciarle la giacca nera sulle spalle.
«Voglio
venire anch'io», confidò poi a bassa voce,
guardando la compagna
negli occhi. Lei ricambiò al suo sguardo con una vena di
compassione
che Alex cercò di ignorare.
«È
meglio di no… Vorrei tanto che fossi al mio fianco, ma non
credo
sia una buona idea».
Si
scambiarono un lento bacio e chiusero gli occhi appoggiando ognuna la
fronte sull'altra, prima di separarsi. Alex cercò di
costringersi a
restare a casa ma non ci riuscì, l'impulso di presentarsi fu
troppo
forte: si cambiò indossando un sobrio abito nero e raggiunse
il
cimitero. Quando con la macchina si accostò al parcheggio,
intravide
subito Maggie e quel Charlie Kweskill l'uno accanto all'altra. Lui
era alto e palestrato, lei minuta, come non notarli. C'era meno della
gente che pensava: Faora aveva perso gli ossequi che spettavano a una
poliziotta e probabilmente anche quelli come membro
dell'organizzazione. Aveva tradito entrambi. Stava per parcheggiare
che una macchina dietro alla sua le fece gli abbaglianti.
«Sapevo
che saresti andata lo stesso». Kara l'abbracciò e
dopo Lena,
entrambe in nero.
«Pensavamo
di farti compagnia», aggiunse la seconda e tutte e tre
insieme
lasciarono le macchine, con andatura lenta.
I
lamenti della madre di Faora, tra le braccia del marito affranto,
sovrastavano la voce del sacerdote locale che parlava con un
libricino aperto davanti al naso. La bara era al centro, circondata
da corone di fiori. Adrian Zod aveva la testa china e le mani tenute,
vicino ad altre persone che immaginarono essere famigliari della
ragazza. Erano ormai vicine e i passi attirarono l'attenzione di
qualcuno. Erano lì solo per dare l'ultimo saluto a Faora Hui
come
tutti, per farle sapere che non avrebbero voluto che le cose
andassero in quel modo, ma non appena sua madre alzò la
testa,
allora strinse gli occhi e i denti con rabbia cieca, correndo in loro
direzione.
«Come
ti permetti?!», prese a urlare, incurante di aver interrotto
il
rituale religioso. «Come ti permetti di farti vedere
qui?!».
Kara
si mise in mezzo e Lena tirò Alex per un braccio, mentre il
padre di
Faora raggiungeva la moglie e così anche Maggie, fermando
altri
parenti arrabbiati. Anche Charlie si avvicinò e
tentò di placare
l'ira della donna.
Alex
aveva gli occhi lucidi, ci volle poco che il viso le si rigò
di
lacrime. «Mi dispiace…»,
sussurrò, «... mi dispiace». Non era
in grado di dire altro in quel momento, ma non quelle parole
né
quelle lacrime arrivarono al cuore in frantumi della madre di Faora
che, con voce fredda e spezzata, le ordinò di andarsene. E
lo fece:
Alex si voltò e Kara le andò dietro, chiamandola
e infine riuscendo
a fermarla. Le parole le morirono in gola non appena l'ebbe vista
girarsi e, rossa e con gli occhi gonfi dal pianto, scosse la testa.
Kara la prese subito tra le braccia e Alex si lasciò
stringere,
iniziando a dar sfogo a tutta la sua frustrazione e al suo dolore.
Non era colpa sua, sapeva che non lo era, ma una parte di lei non
riusciva a toglierselo dalla testa. Era stata lei a sparare Faora:
avrebbe potuto agire diversamente, quel giorno? Ci sarebbe stata
un'altra strada? Maggie si avvicinò e Kara la
lasciò a lei,
stringendola a sua volta, bisbigliandole qualcosa e regalandole dei
baci caldi. Così la minore delle Danvers si voltò
verso Lena e le
due si scambiarono uno sguardo triste, consapevoli che sarebbe potuto
succedere.
Se
non altro, considerando che era meglio non restare ferma a pensare
allo sguardo ferito della madre di Faora che la malediceva, l'afoso
pomeriggio successivo, Alex decise di prendere in mano la situazione
e spuntare dalla lista delle cose da fare qualcosa che doveva fare da
tempo. Non aveva il turno in boutique e il giorno libero al D.A.O.,
dunque si diresse alle vecchie palazzine dove diceva di essere
cresciuta Indigo e da dove era convinta di essere scappata dal
garante che la teneva prigioniera. Alex era sempre più
convinta che
Indigo non fosse altro che una brava bugiarda e per quanto Kara si
stesse affezionando alla sua presenza, le dava ragione. C'era
qualcosa che non tornava in lei e voleva scoprirlo. Almeno sapeva che
sarebbe stata utile in qualcosa.
Parcheggiò
vicino ad altre macchine e si mosse a piedi: il marciapiede era
friabile ai bordi, c'erano buchi sul cemento, i balconi di alcune di
quelle palazzine avevano l'aria di essere ancora attaccati con appena
uno strato di colla vinilica. Cercò la via dove la ragazza
aveva
passato l'infanzia e, sulla piazzetta al centro dei complessi,
alzò
la testa, adocchiando l'appartamento. Incrociò qualche
donnina
anziana che non si lasciò scappare dettagli sulla famiglia
che
viveva lì un tempo: Indigo fu descritta come una ragazzina
seria e a
tratti timida, ma era più che altro del suo fratello
più piccolo
che amavano raccontare, il prodigio morto a nove anni in seguito a
una sparatoria. Alex parlò un po' con loro fuori e dopo con
chi la
fermò sulle scale della palazzina, entrata per dare uno
sguardo
all'appartamento. Le aprirono la porta della casa che era rimasta
vuota da quando la famiglia si era divisa: c'era polvere, puzzo di
muffa, cacca di uccelli essiccata sul pavimento e piume. Tante piume.
Una delle finestre era rotta e i piccioni entravano liberamente.
«È
rimasta così da allora?», si voltò
verso il padrone, che aveva le
mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo annoiato.
«Per
quel che ne so, sì. A parte gli uccelli. Nessuno
è più tornato,
nessun altro la vuole».
Sapeva
che la madre di Indigo era stata accolta in una casa di cure dopo la
morte del bambino e più tardi sarebbe passata a trovarla.
Sullo
stipite di una porta c'erano segnati a matita i livelli di crescita
con a fianco i nomi di Indigo e Cyan. Li fotografò prima di
andarsene, ricordando che anche i suoi genitori avevano segnato la
sua crescita, quando era piccola.
Dopo
continuò il suo giro a piedi per cercare il famoso magazzino
secondo
cui lei era scappata dal garante. Ne trovò uno e il
proprietario si
offrì gentilmente di farla entrare, mostrandole le merci:
salumeria,
non vernici. Indigo le aveva detto che il magazzino, o garage,
puzzava di vernice. Si fece dare indicazioni, chiese alle persone del
posto se, per caso, avevano visto una ragazza sospetta aggirarsi da
quelle parti poco tempo fa, e la descrisse, ma nessuno le
poté dare
qualche informazione importante. Quel magazzino, o garage, non
sembrava esistere. O almeno non da quelle parti.
«Ci
ha detto una bugia», riferì a Kara tramite
cellulare, rientrando in
auto. «Se Indigo è scappata davvero, non
è scappata da qui».
Kara
non si lasciò attendere: «Beh,
la cosa non riesce a sorprendermi… Nasconde
qualcosa. Quando
eravamo a Star City, le ho trovato nella borsa tante, e
davvero tante,
foto di Lena scattate in momenti casuali della giornata. Non l'ho
detto a Lena e Indigo da allora non ha più fatto niente di
strano,
ma…».
Alex
sbuffò, dopo aver sistemato il sedile per la guida.
«Avresti dovuto
dirmelo. E come si era giustificata?».
«Ha
detto che gliele faceva avere il garante, ma non lo so… Non
so se è
vero».
«Beh,
a questo punto, ogni cosa che esce dalla sua bocca dobbiamo prenderla
con le pinze. Dobbiamo tenerla d'occhio, sorellina». Mise in
moto,
lasciando la telefonata in vivavoce. «Non ha mentito sulla
sua
infanzia, ma lo ha fatto sulla sua fuga: cos'ha da nascondere? E se
non fosse affatto…».
«Scappata»,
finì Kara per lei. «Potrebbe non essere
scappata». Staccò la
telefonata e guardò fuori verso il giardino, dove Indigo e
Lena
parlavano riparate sotto la tenda da sole. Parlavano chissà
di cosa,
poi. Se il garante voleva qualcosa da Lena e Indigo stava lavorando
per lui, allora…
«Alex
non ha trovato il magazzino, va bene», Lena
scrollò le spalle e
scosse la testa. «Questo non può dimostrare altro
se non che Indigo
si è sbagliata. Può capitare, stava
scappando».
Kara
provò a metterla in guardia, non poteva non dirglielo, ma
lei…
«Alex ed io pensiamo che possa ancora lavorare per il suo
garante».
La vide serrare con forza le labbra, seccata. «Pensaci, Lena:
se lei
sta ancora lavorando per lui e lui vuole qualcosa da te, è
per
questo che è venuta qui ed è
-è… beh-».
«Tu
e Alex pensate che menta sulla sua cotta per me?».
Mise
le braccia a conserte e guardò Kara con occhi freddi, tanto
che lei
deglutì, sentendosi in soggezione. «N-Non sto
dicendo che lo
faccia, ma… potrebbe! Sì, potrebbe! Cerca di
entrare nelle tue
grazie pe-per qualcosa, non so cosa, ma forse è il caso di
chiederglielo».
«Lasciala
in pace», le chiese subito dopo. «Tu ed Alex. Non
vi fidate di lei,
è chiaro da tempo, ma Indigo sta facendo un percorso con la
psicologa ed è provata, non voglio che le mettiate pressione
per
qualcosa di cui non avete prove! Si sta riprendendo adesso da
quell'incidente-».
«Dove
non si è fatta niente», provò a
obiettare, tappandosi subito a un
suo sguardo.
«La
conosco», precisò nonostante Kara
gonfiò le guance, «O meglio sto
imparando a conoscerla e vedo come mi guarda, non sta mentendo! E ce
la sta mettendo tutta per farsi apprezzare. Dunque… lasciala
in
pace, Supergirl.
Tu ed Alex».
Si
allontanò e Kara gonfiò anche gli occhi: ce
l'aveva con lei,
adesso? Abbassò la testa e riprese il cellulare da una tasca
dei
pantaloni quando lo sentì vibrare.
Da
BadSister a Me
Sono
andata a trovare la madre di Indigo: soffre di alzheimer, Kara.
Ricorda di aver avuto dei figli e nient'altro, pensa che siano
bambini ed entrambi vivi. Le infermiere non mi hanno saputo dire
molto, è la prima volta che qualcuno va a trovarla da quando
si
trova lì.
Kara
aggrottò lo sguardo. Certo, se fosse davvero scappata, il
capezzale
di sua madre sarebbe stato il primo luogo dove il garante l'avrebbe
aspettata per riprendersela. Se fosse scappata. Rialzò lo
sguardo e
la ritrovò a pochi passi da lei, rientrata dal giardino. I
loro
sguardi si incrociarono.
«Fammi
indovinare, Kara Danvers», le sorrise, «ho fatto
qualcosa di
sbagliato? Tutto ciò che faccio lo è,
no?».
Kara
si stette zitta, soprappensiero, adocchiandola fino a vederla andare
di sopra.
Durante
quei giorni, e in pausa dallo studio, lei e Lena si misero di serio
impegno per controllare i dati all'interno della chiavetta inviata da
Clark Kent e Lois Lane. Lena trovava che lavorare al suo fianco e non
dietro un pc era eccitante: Indigo era veloce e attenta ai
particolari, non si fermava di fronte a un dubbio e scavava subito
sul web in cerca di conferme; e niente poteva fermarla, aggirava ogni
divieto, entrava dove voleva. Era un aiuto davvero prezioso.
Da
X a Me
Ti
sei ripresa dall'incidente? So che mi sono già espress* in
altre
occasioni, ma mi dispiace davvero che il nostro amico in comune non
abbia pensato di rivolgersi a me, invece di fare ciò che ha
fatto,
Indigo. Spaventarti in quel modo… È fatto
così. Ti chiedo di
nuovo scusa al posto suo.
Lei
restò immobile, col cellulare in mano. Le chiedeva scusa da
quando
seppe dell'incidente, quasi si preoccupasse per la sua salute. Era
irritante, a modo suo. Anche più di altre persone irritanti.
«È
Winn?».
Indigo
alzò lo sguardo serio di scatto, ritrovando gli occhi verdi
e
indagatori di Lena che la fissavano. Forse era rimasta ferma ad
analizzare quelle lettere un po' troppo a lungo. Stavano lavorando
davanti al laptop e a documenti sparsi per il tavolo, non poteva
permettersi di distrarsi in quel modo. E proprio perché
quella
chiavetta usb conteneva tanti dati sui Luthor, non solo avrebbe
dovuto scriverlo a lui, ma sarebbe dovuta essere più
presente per
lei, che ogni volta che scoprivano qualcosa di nuovo era un tuffo al
cuore.
«Sono
contenta che tu e Winn», bofonchiò, reggendosi la
tempia per
appoggiarsi al tavolo, «andiate d'accordo».
«Abbiamo
tanto in comune».
Lena
sorrise, non smettendo di fissarla. «Sono contenta che tu
possa
contare su qualcun altro, oltre a me. E Kara»,
alzò gli occhi, «Fa
tanta scena, ma ci tiene a te».
Indigo
non rispose, riportando il suo sguardo al cellulare.
«Posso… Posso
rispondere a Winslow?». La intravide sorridere ancora e
annuire,
così riaccese il monitor, scrivendo rapidamente.
Da
Me a X
Ho
davanti una usb piena di materiale sui Luthor. Lena ed io la stiamo
esaminando e sembra che molte delle cose riportate siano vere e
confermabili, mentre altre, da piccole verità, sono
semplicemente
montate per apparire più grandi e spaventose. Come devo
comportarmi,
angelo custode? Non voglio ferirla.
Da
X a Me
Temo
che quello sia un passaggio obbligatorio per il tuo lavoro, Indigo.
Che siano dati reali o meno, è l'occasione che aspettavamo e
devi
coglierla. Usala contro i Luthor. Segna il suo cuore. Un giorno
capirà anche lei chi sono e chi sono state quelle persone. E
guarirà.
Indigo
spense il monitor e la guardò, poi di nuovo il laptop e quei
dati,
scorrendo con il mouse. Con la coda dell'occhio, notò Lena
dare un
nuovo sguardo ad alcuni documenti sul tavolo, prendendoli in mano:
era stanca e provata, glielo si leggeva in faccia. «Ci
fermiamo?»,
propose.
«No»,
sorrise mestamente lei, scuotendo la testa. «Devo
sapere».
Lena
non aveva bisogno che lei spingesse su quei dati per metterla contro
i Luthor, perché stava percorrendo quella strada da sola. I
Luthor
stessi la stavano portando su quella strada.
Eppure,
se le cose di cui preoccuparsi e occuparsi non mancavano, c'era
qualcos'altro che richiedeva la loro urgente attenzione in quelle
calde giornate di giugno: la vendita delle pillole rosse di Maxwell
Lord al generale Lane. Il primo aveva detto ad Alex che a fine mese
si sarebbe tenuta una festa a casa sua in occasione della riuscita
del progetto e lei ne parlò prima con Maggie e, cogliendo
l'occasione di un pomeriggio libero prima del ritorno di Eliza e
Lillian, andò in villa e poté accennarlo a Lena e
Kara. Compreso
l'invito. Maggie era scettica ed era convinta che, a quel punto, non
era più una cosa che riguardava loro ma solo i diretti
interessati,
Maxwell Lord, Lex e il generale Lane, e che avrebbero dovuto lasciare
che se la sbrigassero da soli.
«Lex
non ha denunciato il furto quando doveva», spiegò,
«se lo avesse
fatto, allora sarei potuta intervenire». Guardò
Alex al suo fianco,
sul divano in salotto della villa. Incurvò la testa da un
lato e
prese fiato quando si accorse che non era d'accordo. «Siamo
agenti,
Alex. Finché non c'è reato, più che
avvertire delle nostre
scoperte, non possiamo fare altro». Le strinse più
forte la mano
con la sua, voltandosi per incrociare gli sguardi delle altre due,
sull'altro lato del divano. «A meno che qualcuno non
vorrà di nuovo
introdursi in proprietà privata per rubare merce»,
notò Kara
abbassare lo sguardo e digrignare i denti, «Ma lo sconsiglio:
ho
saputo che alla Lord Technologies hanno aumentato i sistemi di
sicurezza. La verità è che abbiamo già
altro a cui pensare senza
doverci impicciare dei problemi altrui». Si alzò
dicendo di dover
andare in bagno, allungando lo sguardo a Indigo che, seduta sugli
scalini tra l'ingresso e il salone, trafficava con il cellulare
fingendo di non ascoltarle.
«Oookay»,
mormorò Kara. «Quindi… Maggie non
sarà dei nostri».
«Al
prossimo furto?», Lena arcuò un sopracciglio
curioso.
«I-Intedevo
nel fermare questa cosa», scrollò le spalle.
«Non arriveremo a
tanto… di nuovo».
Alex
si portò in avanti, sistemando le braccia sulle gambe con
fare
stanco. «Scusatela. È molto per le sue da un po' a
questa parte;
senza contare che ormai, per sapere qualcosa sulle sue giornate, devo
aspettare di leggere il rapporto», mormorò.
«E non vuole. Ieri
abbiamo litigato…».
«Oh,
Alex», Kara la raggiunse subito per abbracciarla,
«Mi dispiace».
«Penso
che in fondo non abbia torto sulle pillole», le interruppe
Lena e le
due si voltarono. Sapeva che Kara le avrebbe fatto quello sguardo
contrariato. «Aspettate, non sto dicendo che dovremo
lavarcene le
mani, ma sono anche conscia che, più di quello che stiamo
provando a
fare, non c'è davvero altro. Non possiamo denunciare il
furto delle
pillole originali al posto di Lex».
Kara
scosse la testa, facendo una smorfia con le labbra.
«Insistiamo, no?
Okay, non c'è altro, ma è abbastanza»,
strinse i pugni. «Dobbiamo
convincerli. A ogni costo».
«Kara…»,
Alex scosse la testa e la sorella si voltò scattante.
«È pur vero
che non possiamo insistere per sempre. Se sono già arrivati
a questo
punto…».
«Da
che parte state?».
Lena
fissò Kara attentamente, come si agitasse quasi fosse
personale,
allora prese un bel respiro. «Richiamerò Lex,
più tardi. Proverò
a fare il miracolo».
«Grazie»,
le sorrise Kara di rimando. «E io chiamerò Lucy
Lane. Magari questa
volta vorrà…», ingigantì gli
occhi, «Proverò a farmi
ascoltare». A una smorfia di Lena, allora abbozzò
una risata. «È
l'unico contatto che abbiamo con il generale Lane».
Lei
si portò le braccia a conserte, arricciando il naso.
«Non sto
dicendo niente».
«Pff».
Kara poi rivolse lo sguardo di nuovo a sua sorella: Alex guardava
altrove, immobile. Non ebbe bisogno di dirle niente, sapeva che la
stava fissando.
«Cosa?»,
stralunò gli occhi. «E va bene!
Chiamerò Lord! Sarà una pasqua,
non aspetta altro», sbuffò.
Maggie
uscì dal bagno qualche secondo più tardi e Indigo
la tenne d'occhio
di nuovo: il viso incavato, basso, batteva impercettibilmente le dita
delle mani contro i jeans, era distratta. Pensò che il suo
ruolo
come spia la stesse consumando; doveva passare un periodo difficile e
si chiese come mai. Al suo angelo custode non interessava e per
questo non le aveva mai ordinato di tenerla d'occhio, al contrario le
aveva espressamente chiesto di stare alla larga dai piani
dell'organizzazione, però… Però,
forse, era a lei che
interessava. A Indigo persona. Poteva avere anche lei degli interessi
al di là del suo lavoro. Oh, si chiese che cosa avrebbe
lasciato di
sé a quelle persone una volta che se ne sarebbe
andata…
L'avrebbero ricordata come una traditrice? Era lei la vera spia.
Inquadrò Lena, mentre tutte si alzavano dal divano per
salutarsi.
«Jamie
ancora all'asilo?», chiese Kara, curiosa.
«Oh
no, oggi è con i suoi», Alex prese un grosso
respiro e Maggie
altrettanto, passandosi una mano sulla fronte. «La riportano
loro
stasera. Ceneranno con noi».
«Si
sono autoinvitati», precisò l'altra,
incamminandosi a fianco a loro
verso Indigo seduta sulle scale. «Come se non ci fossero mai
abbastanza buone notizie».
La
salutarono a turno, passando per l'ingresso, e lei alzò
appena una
mano. Le continuò a guardare anche quando aprirono il
portone per
uscire.
Chiese
un bicchiere, seduta davanti al bancone del bar. Aveva detto a Maggie
che sarebbe andata alla base del D.A.O. per rivedere alcune pratiche
e che una volta lì ne avrebbe approfittato per fare quella
telefonata a Maxwell Lord, ma la verità era che aveva
bisogno di
aria, di un momento suo per pensare. Sentiva come se qualcosa le
stesse sfuggendo di mano. Maggie non la respingeva, si comportava
come sempre, ma il fatto che non la tenesse aggiornata su cosa stesse
facendo in centrale e del suo rapporto con Charlie Kweskill e Zod, la
metteva di malumore e non riusciva a non farglielo notare. Si animava
sempre troppo quando li nominava, non voleva. Sapeva che era stata
una pessima idea quella di coinvolgerla, lo sapeva. Faora Hui era
morta e lei non voleva includerla in quel mondo che l'aveva uccisa.
Beh, a quel punto sarebbe stato meglio pensare a Maxwell Lord: era
come visualizzarlo che saltellava dalla gioia, all'interno del suo
ufficio.
«Uno
per me e un altro per la signorina». Alex si voltò
alla sua
sinistra, ritrovando Carina Carvex intenta a sedersi sullo sgabello.
«Con ghiaccio, per piacere», aggiunse rapida, per
poi sorriderle.
«Combattiamo la calura, eh?! Sembra che questo giugno sia
più caldo
dei precedenti, non trovi anche tu?».
Alex
annuì, lanciandole un'occhiata. «So che
è presto per bere, ma non
sono in servizio».
«E
io non sono John Jonzz», ribatté, facendole
l'occhiolino.
«Cosa
fai qui?».
«Mh,
ti seguivo». Carina la vide ridere così si
sentì subito in dovere
di specificare per non essere fraintesa: «Dico davvero, ti
seguivo.
Non era una battuta». Ringraziò il barman e fu lei
a ridere,
osservando la sua faccia confusa. «Hai vinto, se mi guardi in
quel
modo non posso che spiegarmi, collega: ero preoccupata per
te».
Carina abbassò gli occhi e sorrise un poco. «Sei
contenta? Sono
andata al funerale di Hui l'altro giorno e ti ho vista… Ero
lontano, non volevo che la madre se la prendesse anche con me; non mi
aspettavo di vederti arrivare ed eri, beh, eri un
po'…», arricciò
il naso e bevve un sorso, passando a lei la palla.
«Un
po' penosa», proseguì Alex, anche lei portando il
bicchiere alle
labbra.
«No»,
sorrise, dandole un colpetto. «Penosa
mai. Coraggiosa
credo ti si addica di più. Sei andata là a testa
alta, fregatene
del resto. La morte di quella ragazza non è colpa tua: te lo
ripeto
ancora e te lo posso ripetere all'infinito».
Arrossì, voltandosi di
scatto. «Guarda cosa mi stai facendo dire,
partner», aggiunse,
osservandola con la coda dell'occhio mentre abbassava lo sguardo:
«per la prima volta, penso ti aver trovato un'amica
e», sorrise,
«non sopporto di vederti così a terra».
Alex
finì il resto del bicchiere in un sorso, sentendo il suo
sguardo su
di lei. Cosa voleva? Si erano parlate altre volte, molte volte, ma
ultimamente sembrava starle addosso come un segugio. Forse era
davvero una spia dell'organizzazione, dopotutto. Era così
stanca che
vedeva complotti ovunque. «Sei il tuo
ragazzo…», iniziò,
mantenendo basso lo sguardo, «fosse coinvolto in qualcosa di
pericoloso-».
«Il
mio…?
Un
assicuratore. Il massimo del pericolo sarebbe
stato
che gli si bucasse
una gomma in autostrada», scherzò ma, vedendo il
suo sguardo serio,
tornò seria di colpo anche lei. «Oh, ma parli di
Maggie? Scusami».
Sospirò.
«E di punto in bianco decidesse di tagliarti fuori da quello
che gli
succede: come la prenderesti?».
Carina
scrollò le spalle, ordinando altri due bicchieri al barman.
«Non
bene. Ma trattandosi della… Di punto in bianco…?
Cosa intendi per
di
punto in bianco,
Danvers, dopo il funerale di Hui?». Aspettò che
confermasse,
bevendo un sorso. «Ha visto com'eri al funerale e ha pensato
di
tenerti al sicuro. È possibile?», si scambiarono
uno sguardo. «Non
la conosco bene quanto te, ma è quello che farei
io».
Alex
finì il bicchiere e non rispose, alzandosi dallo sgabello.
Lasciò i
soldi sul banco e stava per ringraziarla della compagnia che Carina
le disse di riprenderseli, spostando la banconota.
«Offro
io, non preoccuparti. Ti ho seguita», alzò le
spalle, «è il
minimo».
«Ma
no», tirò indietro la banconota. «Non ho
bisogno-».
«Che
sia gentile con te? Danvers, andiamo», scrollò lo
sguardo, «Siamo
partner e ci sosteniamo a vicenda». Toccò la
banconota proprio
nell'esatto momento in cui lo fece anche lei e le loro mani si
sfiorarono. Un attimo fugace e Carina ritrasse subito la sua,
abbassando gli occhi di nuovo, sfoderando un altro sorriso,
più
impacciato. «Cielo, non vorrei che Maggie Sawyer si faccia
idee
sbagliate», prese a ridacchiare, ma non rialzò lo
sguardo. «Prima
ti seguo, poi… beh».
Alex
decise di mettere via la banconota e ringraziò in un
sussurro. «E-E
come vanno le cose tra te e il tuo assicuratore?».
Perché aveva
come percepito del disagio tra loro, tutto a un tratto?
«Male,
effettivamente: ci siamo lasciati. Ieri».
«Come?
Mi dispiace». Ne aveva parlato altre volte e le era sembrato
un
bravo ragazzo.
«Beh,
non… È complicato, partner», si era
sforzata per sorridere,
questa volta: non sembrava da lei. «Non sono la brava ragazza
che
credi e… se n'era accorto», alzò il
bicchiere in mano con un
gesto.
Alex
scrollò le sopracciglia, formando un sorriso.
«Tutti abbiamo un
lato di noi che non vorremmo mai far conoscere agli altri. Specie se
poi sono persone a cui teniamo».
Carina
Carvex scolò il contenuto del suo bicchiere e ne chiese un
altro al
barman, intanto che annuiva quasi con rassegnazione.
«… già. Ho
sbagliato tante di quelle cose, che Babbo Natale non mi rivolge la
parola da anni. Ma non ero innamorata di lui, forse è meglio
così.
Non sempre… riusciamo a ottenere ciò che
vorremmo. No?», borbottò
e poi deglutì, prendendo il nuovo bicchiere e ringraziando
con un
cenno il ragazzo dietro al bancone.
Alex
la ringraziò di nuovo e se ne andò, persa nei
suoi pensieri. Carina
Carvex amava il sarcasmo, ma lì non ne aveva trovato
traccia. E in
effetti le era sembrato un discorso strano. Quelle parole, e come si
era comportata, sembrava quasi che… No, era fuori
discussione: le
stava dietro perché interessata? Non era nemmeno la prima
volta che
nominava Maggie in quel modo ma… no. Allora era certamente
una spia
che voleva mettere mano all'indagine, perché quello non lo
accettava; non anche lei, dopo Max. Come se di problemi non ne avesse
già altri. Non anche lei.
Nel
frattempo, ripensando alle pillole rosse e a Maxwell Lord, Kara si
era fatta una veloce passeggiata fino al campus. Aveva bisogno di
allenamento, quindi aveva rifiutato quando Lena si propose per
accompagnarla, lasciandola sdraiata a letto per riposare. La ragazza
aveva chiamato suo fratello come promesso ma non era riuscita ad
ottenere niente, se non l'ennesimo no.
Kara si era così imbrunita che Lena le aveva preso il viso
con le
mani e le aveva fatto una nuova promessa:
«Se
anche con Lucy Lane e Maxwell Lord non dovessimo cavare un ragno dal
buco, andremo a Metropolis, da Lex», aveva annuito.
«Abbiamo
da studiare… E poi la finale-».
«Torneremo
in tempo per la finale e possiamo sempre studiare
lì», si erano
guardate negli occhi.
Kara
sapeva di chiederle molto.
Megan
aprì la porta della camera al dormitorio con la testa tra le
nuvole.
John non si era ancora fatto sentire e dalla preoccupazione stava
passando lentamente alla rabbia- un rumore. Chiuse la porta dietro di
lei con la schiena, setacciando con lo sguardo il tavolo davanti: i
due vasetti di fiori erano stati spostati e così anche le
sedie.
Ancora quel rumore. Avanzò lentamente, scorgendo dall'alto
che
l'armadio di Kara era aperto. C'era qualcuno e- «Oh, sei
tu», si
rilassò.
Kara
sobbalzò di scatto, sbatté la testa su una
mensola dell'armadio e
tornò a picchiare le ginocchia contro il pavimento.
«Certo che sono
io! Abito ancora qui».
«Ne
sei sicura? Mh», poggiò la borsa sopra il letto e
si passò
l'asciugamano che aveva con sé sul volto sudato.
«Ti ho coperta col
coach, prima. Hai saltato l'allentamento».
«Oh,
no», la guardò grave e si portò le mani
sui capelli, «Mi era
completamente passato di testa».
L'amica
scrollò le spalle. «Millard ha creduto alla storia
del dentista. Se
vuoi essere credibile, dovrai solamente perdere un molare entro
domani».
«U-Un
molare?»,
aggrottò la fronte, continuando a trafficare con la testa
dentro
l'armadio. «Aspetta… domani?», si
affacciò di colpo, «Io non…».
Oh, era in un bel guaio…
Megan
si sedette sul letto a peso morto, sconfitta. «Non ci sarai
domani,
vero?».
Kara
deglutì, abbassando gli occhi e mordendo il labbro
inferiore. Diede
una nuova occhiata dentro l'armadio, tirando fuori una pila di fogli
sparsi: dovevano essere lì. «Forse
andrò a Metropolis, domani…»,
mormorò, sfogliando. «Credo che mi
perderò gli allenamenti fino
alla partita».
Megan
a quel punto si alzò, camminando verso di lei e
inginocchiandosi.
«Ti coprirò, per quanto
potrò», garantì. «Cosa
cerchi?».
«Dei
certificati… Potrebbero essere importanti».
Maxwell Lord le
rilasciava un certificato ogni volta che andava da lui per gli esami
e le toglieva il sangue: chissà che non potessero rivelarsi
utili
per convincere Lex.
«Aah,
finalmente»,
sospirò Maxwell, per telefono. Alex lo mise in vivavoce,
seduta sul
lato del guidatore in auto: ferma lì, poteva ancora guardare
Carina
Carvex seduta davanti al banco del bar. «Mi
fa piacere sentirti. Cosa posso fare per te, Alex?».
Si
era memorizzata un discorso che aveva ripetuto fino a poco prima di
comporre il numero, ma al momento esatto in cui lui rispose, lo ebbe
già perso. «Emh…». Tanto
valeva andare dritta al punto. «So che
ti sembrerà improvvisato, ma… devi fermare
l'accordo sulle
pillole. Non puoi venderle».
Forse
lui doveva essersi sorpreso, poiché rispose non prima di
lunghi e
silenziosi secondi. «Ah…
Così tua sorella è riuscita a metterti in mezzo?
Per meglio dire,
entrambe
le tue sorelle. Loro e le loro amiche non hanno fatto altro che
cercare di ostacolarmi, prima al locale a Gotham City, poi qui.
Sapevi che hanno fatto irruzione alla Lord Technologies e sono
riuscite a rubarmi qualcosa?».
«Sì,
io…», abbozzò una risata che
cercò di dissimulare, attenta con
lo sguardo a Carina Carvex che usciva dal bar, prendendo un cellulare
e rimettendoselo in tasca: la vide guardare a destra e sinistra e
dopo attraversare la strada davanti a lei, così
cercò di
nascondersi, abbassandosi sotto il volante.
«Oh,
dunque ne eri al corrente»,
sembrò sbalordito. «Non
dovrei ricordartelo io, ma sei un'agente».
«Un'agente
federale», ribatté, rialzando la testa e
accendendo il motore per
seguirla: era a piedi, perfetto. «Non ci occupiamo di piccoli
furti.
E tu non hai denunciato, mi pare».
Lui
ridacchiò. «Touché,
Alex Danvers»,
esclamò. «Non
volevo metterle nei guai per una cosa da nulla. Ma ammetto che questo
loro cercare di mettermi il bastone tra le ruote inizia a darmi
fastidio».
Carina
Carvex riprese in mano il cellulare: Alex la vide cercare qualcosa e
portarselo all'orecchio, per poi rimetterlo subito via. Passeggiava,
non aveva fretta. «A metterle nei guai… E io che
credevo non
volessi semplicemente la polizia tra i piedi mentre procedevi con i
tuoi loschi affari».
«Loschi?
Mi ferisci»,
cantilenò.
La
seguì fino a una chiesa. Alex assottigliò gli
occhi mentre la vide
dare una monetina a un uomo che mendicava davanti al passaggio, chino
ai suoi piedi. Carina Carvex entrò dal portone e lei
fermò la
macchina dall'altro lato della strada, lasciandosi andare a uno
sbuffo seccato. «Beh, le ragazze non cercano di metterti il
bastone
tra le ruote perché sei loro antipatico-».
«Sono
antipatico?».
«Un
po'. A volte. Ma non è questo, Maxwell: Lena ha analizzato
le
pillole e la formula che ti hanno rubato e ha scoperto che potresti
creare notevoli danni ai militari. È molto rischioso, per
questo
devi annullare tutto».
«Sì…
sono a conoscenza di questo inconveniente: si parla di una minoranza
ristretta e sono sicuro di poter risolvere prima di siglare
l'accordo»,
spiegò, «Ci
sto lavorando ormai da tempo e sono a una svolta, non sono uno
sprovveduto. E questo grazie anche al contributo di tua sorella,
certo. Parlo della bionda».
«Mia
sorella?», Alex si voltò verso il cellulare di
scatto. «Cosa
c'entra?».
«Kara
non te ne ha parlato?»,
intonò gioviale. «È
curioso come proprio lei che è stata la prima a venirmi
contro, sia
stata anche l'unica ad avermi dato un serio aiuto per quanto riguarda
la realizzazione di questo principio in più che sto
sviluppando come
rimedio. Kara è parte di quella ristretta
minoranza».
Alex
provò un brivido. «A-Arriva al dunque, Maxwell:
come ti è stata
d'aiuto mia sorella?». La rivide nei suoi pensieri, a come
fosse
agitata e insistente per fermare quell'accordo. Non voleva crederci.
«Mi
dispiace, non avrei voluto essere io a dirtelo, pensavo ne aveste
già
parlato: Kara ha assunto le mie pillole rosse per un periodo,
facendomi da cavia. Mi è stata davvero molto utile e non
finirò mai
di ringraziarla».
Alex restò immobile, a bocca aperta. «Se
me lo avessi chiesto, invece di partire in quarta, ne avremo parlato
tranquillamente e magari davanti a un buon caffè».
«Devo…
Devo andare». Deglutì e mise su una faccia
seriosa, rimettendo in
moto la macchina e staccando la telefonata. L'auto si
allontanò
svelta e, dopo poco, Carina Carvex uscì dal portone della
chiesa,
con le mani nelle tasche dei pantaloni e guardando in sua direzione.
Sorrise divertita, tenendola d'occhio fino a sparire.
C'era
stato un periodo, e
lo ricordava bene, in cui Kara si comportava in modo strano, diverso
dal solito. Pensava fosse perché lei e Lena non stavano
insieme e
aveva scoperto il collegamento dei Luthor e l'organizzazione, ma a
quanto pareva c'era dell'altro a scombussolarle la testa.
Maledizione;
strinse per bene il volante, girando a una curva. Doveva saperlo in
quel modo? Da Maxwell Lord? Le inviò un messaggio per sapere
dove si
trovava e accelerò. Una volta al dormitorio, salì
le scale con il
cuore che le batteva in gola e ogni volta che deglutiva le bruciava.
Era arrabbiata, ma soprattutto spaventata. Era una parte di quella
minoranza? Poteva farle molto male e lei non aveva pensato di
includerla. Maggie la stava tagliando fuori, Kara lo aveva fatto
prima di lei. Era già stremata da quella situazione, non
poteva
sopportare oltre. Bussò e attese. Bussò di nuovo,
più forte, e
Megan le aprì. La salutò e si buttò
dentro, trovando la sua
sorellina sul pavimento tra un letto e l'altro immersa in un mare di
fogli e foglietti. «Cosa cavolo stai facendo?».
«Sto…
cercando delle cose», affermò senza guardarla,
leggendo un foglio e
mettendolo alla sua sinistra. Megan le si sedette vicino,
ricominciando ad aiutarla. «Perché sei corsa qui?
Hai parlato con
Lord?».
«Oh
sì, ci ho parlato con Lord», si portò
le braccia a conserte.
«Spero tu non sia tanto impegnata da non poter rispondere a
questa
domanda: le pillole di Lord, per quanto tempo?».
Megan
la guardò curiosa e Kara spalancò gli occhi,
sbiancando. Pian
piano, alzò la testa verso la maggiore.
«Ah… Ops».
«Ops?»,
sollevò un sopracciglio.
«Te…
Te lo ha detto lui?». Si tirò in su gli occhiali,
nervosa. «Ma
certo», strinse i denti, «Te lo ha detto per sviare
l'argomento
accordo
con Lane».
«E
tu invece quando pensavi di dirmelo? Avrei preferito- Accidenti a te,
Kara», si interruppe e ansimò, fino a
inginocchiarsi e abbracciarla
di colpo, sotto lo sguardo perplesso di Megan che, facendo finta di
estraniarsi, continuava a smistare fogli. «Per fortuna stai
bene…
Sei stata-così-sconsiderata», dopo le
batté contro una spalla e
Kara si lamentò, cercando di tirarsi indietro.
«Non so cosa farei
se ti capitasse qualcosa, lo sai».
«Scusa,
sorellona».
«Scuse
non
accettate: sono contenta che stai bene, ma sono lo stesso molto
arrabbiata. Se me lo avessi detto, avrei saputo cosa rispondere a
Lord e alla sua sfacciataggine. Dovremo essere una squadra, noi due.
Ti sarei stata vicino e- oh», le balenò il
pensiero, «immagino
l'abbia fatto Lena», concluse, vedendola arrossire. Kara fece
una
smorfia, annuendo. «Per questo sei
così», aggrottò lo sguardo e
strinse i denti, «così
testarda dal fermare quell'accordo a ogni costo? Cosa ti ha
fatto?».
Kara
abbassò la testa e Megan scrutò il suo sguardo,
continuando a
controllare i fogli uno dopo l'altro. «Ero… molto
arrabbiata», si
limitò e i suoi occhi si posarono su un foglio in
particolare: ne
aveva trovato uno, finalmente. Lo prese e glielo passò,
lasciando
che si sistemasse meglio con le ginocchia. Mentre sua sorella era
impegnata con la lettura di quelle analisi, Kara riprese a parlare,
fissando un punto vacuo nella stanza. «Ho commesso un
gravissimo
errore», deglutì. «Non mi sentivo bene,
non riuscivo a dormire e
volevo solo… non pensare. Dovevo essere lucida,
capitemi», scosse
la testa, «perché non potevo permettermi di
abbassare la guardia ed
ero così presa da me stessa che… A-Avevo
già preso una di quelle
pillole, al suo locale a Gotham. Era stata Roulette a mettermela nel
bicchiere. Quelle mi avrebbero permesso di concentrarmi senza pensare
alle cose che affollavano la mia testa e l'ho aiutato. Maxwell Lord
mi ha dato quelle pillole perché io gliele ho
chieste», si voltò
verso Alex, sguardo duro. «L-L'ho aiutato a realizzarle senza
nemmeno rendermi conto dello sbaglio che stavo commettendo! Non
voglio che quelle pillole create anche grazie a me finiscano nelle
mani sbagliate, Alex! Se quei militari dovessero sentirsi
male…
Sono pericolose e-e lo erano ancora prima che diventassero come
quelle controllate da Lena e Lex. Devo fermarli».
Alex
abbassò il foglio e dopo gli occhi, riabbracciando sua
sorella. «Ce
ne sono altri?», glielo indicò. «Vi
aiuto». Vide Kara sorriderle
e ringraziarla, portando un po' di quei fogli dalla sua parte.
Megan,
che fino a quel momento era stata zitta, passò loro un
foglio con le
analisi. «Dunque… ti drogavi?».
Pinzarono
tutti i fogli interessati, con il logo della Lord Technologies bene
in vista. Erano quasi le diciotto e Alex decise di riportare Kara in
villa, sperando di andarsene in tempo per l'arrivo della loro madre
dall'aeroporto. Sarebbe andata a salutare lei e Lillian l'indomani,
aveva già sufficienti parenti da sostenere per un'unica
giornata. Al
suo fianco, Kara era di nuovo soprappensiero e fissava il finestrino:
aveva provato a telefonare a quella Lucy Lane e, per quanto
infastidita dal tema della conversazione, le era stata a sentire,
ammettendo di non saperne molto e che ne avrebbe parlato a suo padre;
il problema arrivò poco più tardi, quando la
chiamò lei per dirle
che l'uomo era stato a una dimostrazione e che ne era entusiasta
tanto che non avrebbe bloccato per niente al mondo quell'accordo. Ma
Alex sapeva che, per quanto avrebbero tentato di buttarla
giù, la
sua sorellina non si sarebbe arresa. «Ehi»,
attirò la sua
attenzione. «Devi promettermi una cosa, Kara. Anzi, dobbiamo
promettercela entrambe», aggiunse, guardando avanti.
«Lo so che non
sono stata un'ottima sorella a nasconderti del mio lavoro; che ti ho
tenuto nascosta una cosa grandissima, anche se per te, e mi dispiace,
Kara, lo so che… che è una cosa che ti
è rimasta impressa, anche
se è passato del tempo. Abbiamo cercato di tornare come
prima, ma…»,
la stava guardando, la intravedeva con la coda dell'occhio.
«Adesso,
facciamolo davvero… Finiamola di comportarci
così».
Kara
serrò le labbra. «Come quando non mi hai detto
della pistola di
Lena?».
L'altra
fece una smorfia con le labbra. «Era giusto che te ne
parlasse lei,
ma sì… okay. Non importa se tutte e due abbiamo
tante cose che ci
riempono le giornate, io… rivoglio mia sorella»,
puntualizzò e
le sembrò che sorridesse.
Arrivarono
in villa a momenti e spalancarono gli occhi quando si accorsero di
un'auto parcheggiata al centro del vialetto: Ferdinand l'autista
stava tirando giù i bagagli. Era troppo tardi.
«Le
mie ragazze», all'ingresso, Eliza corse in loro direzione
tenendo le
braccia spalancate e le abbracciò insieme, stringendole. Le
due
ricambiarono lentamente.
«Non
vi aspettavamo prima delle diciannove, diciannove e venti»,
Alex
controllò l'orologio.
«L'aereo
ha fatto presto», sorrise la donna, accogliendo nelle mani il
viso
di una e poi dell'altra. «Guadatevi. Mi siete mancate
così tanto».
Dietro
di lei, Lillian stava dando indicazioni a Ferdinand su dove posare i
bagagli, e dietro di lei ancora, Lena cercava di parlare a Kara con
gli occhi. Indigo era poco più indietro, verso il divano. Si
teneva
ben distante dalla scena, subendo crampi allo stomaco dal panico che
non poteva esternare.
Lillian
si avvicinò per salutarle e Kara ne approfittò
per svignarsela non
appena la donna abbracciò Alex.
«Indigo
ed io abbiamo sistemato un po' la camera in cui dorme», Lena
bisbigliò a Kara non appena l'ebbe vicina, prendendola a
braccetto.
«Ho detto alle nostri madri che è un'amica, non
sanno che dormirà
qui. Mia madre prima la fissava, non so quanto
potrà-».
«Oh,
lo devo dire…», la voce di Eliza la interruppe e
tutti si
voltarono verso di loro, mettendole in imbarazzo. «Sono tanto
fiera
di voi, ragazze», sorrise e corse ad abbracciarle di nuovo,
con le
lacrime agli occhi. Lillian invece preferì non esprimersi,
proseguendo a dare ordini a Ferdinand.
Indigo
aveva il respiro affannoso e sperò che nessuno se ne
accorgesse.
L'autista non la guardò neppure un istante, facendo il suo
lavoro
senza dire una parola. Lei non faceva a meno che pensare
all'incidente, all'avvertimento, alle sue mani grosse e pesanti che
le stringevano le caviglie, al panno contro la bocca per farle
perdere conoscenza. Perché lui, perché
lì… Chiuse gli occhi,
ricordando il momento in cui scappò dall'incidente.
«Le
signore stanno per tornare e io sarò di nuovo in
servizio», le
aveva detto col solito tono, «Tu dovrai fingere di non avermi
mai
visto. Sono il loro autista». Ferdinand aveva abbassato la
testa e
si era mosso per tornare indietro, ma lei aveva trovato il coraggio
di fermarlo:
«Il
loro autista? Lavoro per lui o per loro?».
Lui
aveva sorriso per la prima volta. «Per chi paga».
Indigo
deglutì e tornò un altro passo indietro,
sbattendo sul divano e
finendo per sedercisi e spalancare gli occhi, adocchiandolo.
Quell'uomo fingeva perfino meglio di come riuscisse lei. Lena si
voltò e le fece uno strano sguardo, come se si stesse
chiedendo
cos'avesse. Doveva essere pallida. Si sentiva come dentro a una
gabbia e, in un attimo, le mancò il fiato. Doveva
allontanarsi e
doveva farlo subito. Si rialzò e, a passo felpato, dietro a
tutti,
raggiunse le scale. Non si accorse dello sguardo di Alex e dopo
quello di Kara che la seguirono. La trovarono appoggiata contro una
parete in corridoio, che si reggeva il petto. Ma i loro sguardi
sembravano tutto fuorché premurosi.
«Cerchi
qualcosa?», attaccò Kara, avvicinandosi.
«Ti
sei persa?», le fece invece Alex,
«Perché noi siamo tutti di
sotto».
Indigo
cercò di calmare il proprio cuore, di ritrovare la sua
sicurezza.
Prima o poi, sapeva che sarebbe successo, anche se non poteva lodare
il loro tempismo. Sfortunatamente, non poteva proprio dire loro la
verità. «Dovevo cambiare aria. C'è
troppa gente e non mi piacciono
i luoghi affollati».
«Eppure
lo spazio è grande», sospirò Kara,
guardando la sorella.
«È
ora di tirare fuori il sacco, Indigo», sollecitò
lei, vicino.
«Perché non ci parli del tuo garante».
«Di
come non sei scappata da lui. E di cosa vuole da Lena, una volta per
tutte», concluse l'altra, seria.
«Non
so di cosa cavolo state parlando, voi due».
«Oh,
noi crediamo tu lo sappia eccome», insisté Kara.
«Perché
tutta questa attenzione su di me, adesso? È tornata vostra
madre».
Le sorelle la guardarono duramente e Indigo non resistette alla
tentazione di formare un sorriso, mostrando loro che non aveva paura,
che non era pronta a lasciarsi sopraffare. «Adoro i team-up.
Ma
purtroppo per voi non ho nulla da dirvi, dolcezze, la mia versione
già la conoscete».
«E
andrebbe bene se non fosse una bugia», intervenne Alex,
intanto che
Kara rifletteva sul da farsi.
«Lavori
ancora per lui, lo sappiamo. Facciamo così: noi non ci
arrabbiamo,
okay? Vogliamo solo-».
«Okay?»,
chiese incerta la maggiore, «Non ci arrabbiamo?».
Kara
serrò le labbra con forza e non cedette, diretta a Indigo:
«Non ci
arrabbiamo! Vogliamo solo la verità, sapere che cosa vuole
da lei
perché, beh, perché se è vero che ci
tieni, allora ce lo dirai.
Ricordati che io so qualcosa che tu non vuoi che Lena sappia: non
vorresti che fossi costretta a parlarle di quelle foto».
Indigo
spense a breve il suo sorriso, ma si rafforzò la sua
sicurezza
quando intravide dietro di loro Lena, con le braccia a conserte.
«Kara?».
La voce era austera ed entrambe si fermarono come colte sul fatto, ma
lo sguardo di Lena restava focalizzato solo su una delle due sorelle.
«Ti avevo chiesto di lasciarla stare», scosse la
testa con
delusione. «So di quelle foto, me lo ha detto. Lei ci parla
con me e
mi ascolta».
Kara
impallidì e per un attimo Alex si sentì di
troppo. Lena si voltò
per tornare alle scale intanto che Indigo sorrideva a Kara con pura
soddisfazione, avanzando un passo verso di lei, gongolando:
«Ho
giocato d'anticipo, scusa. Ti aspettavi davvero che mi sarei lasciata
ricattare da te?». Le sorpassò sbattendo di
proposito contro le
loro spalle, camminando in mezzo, per poi scendere le scale a fianco
dell'altra, sperando che quel Ferdinand se ne fosse andato.
«Non
volevo... non volevo ricattarla», brontolò.
«Sembrava un
ricatto?».
«Eh,
sì. Sembrava proprio un ricatto, sorellina»,
sollevò le spalle.
Alex
se ne andò poco dopo. Eliza e Lillian provarono a invitarla
a cena,
ma ne aveva già una molto impegnativa ed era in ritardo.
Maggie
l'avrebbe uccisa se l'avesse lasciata sola con loro. L'indomani le
due donne si sarebbero trasferite per l'estate in casa Danvers-Luthor
ed Eliza si infastidì non poco quando le dissero che non ci
sarebbero state poiché avevano in programma di andare a
Metropolis.
Senza dimenticare che entrambe avevano ancora impegni con
l'università e sarebbe stato meglio non muoversi, per essere
più
vicine. Lillian non insisté come se, da parte sua, non fosse
poi un
dramma, al contrario. Dopotutto notarono come si sentì un
po' a
disagio per tutta la cena, non mancando di concentrare il suo sguardo
a Indigo un po' troppo a lungo. Con la scusa di doverla salutare,
dopo cena, Lena accompagnò la ragazza fuori, lasciando Kara
a
rimuginare.
Era
infastidita dal suo comportamento ma non poteva non ammettere che, in
fondo, se lo aspettava, ripensando alla faccenda delle pillole rosse
e al suo temperamento. E proprio ripensando a quello, e a Lillian al
fianco di Eliza, che iniziò a pensare. Aprirono il cancello
e
restarono lì fuori qualche minuto, in silenzio, fregandosi
le
braccia per via del fresco vento leggero. Kara si sentiva
responsabile per quelle pillole, voleva rimediare a un terribile
sbaglio. Lena ingurgitò saliva, fissando con
severità un albero, in
lontananza. Ripensò alla pennina usb e a quelli dei suoi
genitori,
sbagli terribili e ingiustificabili. Guardò Indigo e vide
che stava
per aprire bocca, così la anticipò:
«Devo chiederti… un favore».
Lei
si fece curiosa. «Qualsiasi cosa».
Forse
spettava a lei non rimediare, ma cancellare
quegli sbagli che erano molto più che sbagli.
«Quando puoi», la
guardò negli occhi, «devi contraffare i dati sulla
chiavetta che
riguardano i miei genitori. Non dovranno risultare colpevoli. So che
Clark Kent e Lois Lane hanno fatto una copia».
Indigo
sorrise. «Ci penso io. Con una connessione a internet, arrivo
ovunque. Lo sai». Il piano del suo angelo custode era vicino
a
compiersi, pensò.
Eliza
e Lillian dormivano, erano andate a letto presto dalla stanchezza,
Indigo era chiusa nella sua cameretta, a chiave, e dopo essere uscita
dal bagno, Kara rientrò nella camera di Lena. Chiuse la
porta piano,
iniziando a camminare verso il letto a tentoni, per via del buio:
aveva già spento tutto, si aspettava i libri al centro del
copriletto. Un passo troppo corto e mise male un piede, facendo
scivolare il tappeto e sbattendo le ginocchia contro il legno del
letto. Imprecò in silenzio, passando dall'altra parte.
Allora
gattonò fino al suo lato, infilandosi sotto il lenzuolo.
Pensò che
Lena doveva essere ancora stanca e dormire ma, appena si
sistemò, le
braccia dell'altra la raggiunsero. Si voltò per ritrovare il
suo
viso, cercando di capire se fosse arrabbiata. «So
che-».
Lena
la interruppe subito, diretta: «Non chiedermi
scusa».
«Oh…
Okay?!».
«Ti
avevo chiesto di lasciarla stare e non lo hai fatto, non voglio le
tue scuse perché so che lo rifaresti. Va bene»,
sospirò infine con
pesantezza, continuando a parlare a bassa voce. «Non posso
farci
niente, Kara, sei inamovibile: fino a quando non ti sarai assicurata
al cento per cento che lei è a posto, continuerai a stare in
guardia. Una delle cose che più amo di te è il
non arrenderti», le
accarezzò una guancia, sorridendo. «È
importante per te e non
voglio cercare di cambiarti. Per questo ti ho suggerito di andare da
Lex, perché lo so, non puoi farne a meno. Ti chiedo solo una
cosa».
«Lo
farò! Sono stata avventata, con Alex, e vedrò di
stare più attenta
a lei, so che ci tieni e Indigo… Indigo… la
sopporto, diciamo,
non è-», si mangiò le parole,
«Ma voglio assicurarmi che non ci
tradisca perché lei è qui e… e noi
parliamo di cose importanti e…
Vuoi che non abbia ascoltato quando parlavamo di Lane, delle pillole
e di Lex?». Prese fiato. Lena la guardava attentamente.
«Voglio
assicurarmi che sia dalla nostra parte, che sia dei nostri».
«È
qui da un po', Kara».
«E
non è successo nulla, lo so, ma potrebbe non voler dire
niente.
Perché se lei sta fingendo e-e non è solo per
cosa parliamo davanti
a lei, okay? Ma…», si morse il labbro inferiore,
«le vuoi bene. E
non potrei sopportare che ti ferisca». La verità,
nient'altro che
la verità spogliata di tutto il resto.
Lena
smise di accarezzarle la guancia e avvicinò il viso al suo
per
baciarla. Lenta, le prese un labbro e dopo l'altro, mentre entrambe
socchiudevano gli occhi e si lasciavano andare, inspirando. Si
portò
sopra di lei e Kara la strinse sui fianchi. «Hai
ragione», riprese
ad accarezzarle la guancia, «Le voglio bene».
Abbassò gli occhi e
appoggiò la testa sotto il suo mento, lasciandosi
abbracciare. «Non
sono molte le persone che possono dirsi mie amiche e lei ha
conosciuto mio padre; mi piace parlare con lei, Kara, e mi ascolta,
mi supporta… Mi fido di lei. Ciecamente. Capisco il tuo
volermi
proteggere, ma cerca di capire che se Indigo mente e mi prende in
giro…», disse in un brusio,
«sarà stata mia la decisione di
fidarmi».
Indigo
contrasse le labbra, ascoltando la lontana voce di Lena attraverso il
suo cellulare. Era seduta sul letto, seria.
«Non
tua»,
mormorò Lena attraverso l'apparecchio. «Non
devi proteggermi dalle mie decisioni, o dai miei sbagli, anche
se…
lo apprezzo. E non sai quanto ti amo per averlo detto»,
prese una pausa e l'audio registrò il rumore di qualcosa che
si
spostava. La voce si fece ancora più tenue, quasi difficile
da
comprendere. «Ascoltami,
accetta le mie decisioni anche se non ti piacciono e, se poi
avrò
sbagliato, stammi vicino. Avrò bisogno di te».
Indigo
strinse il telefono con rabbia e interruppe l'applicazione. Allora
spense il monitor e lo gettò a terra, facendolo volare
contro un
piccolo armadio. Diamine,
pensò, stringendo gli occhi e passandosi una mano sulla
fronte. Era
una spia, le avrebbe portato sofferenza. Quando aveva lasciato la
casa di Carol e Noah, era convinta che sarebbe bastato starle vicino
per salvaguardarla, ma ora che c'era tanto vicina il pensiero le
provocava un fastidio mai provato. Le avrebbe fatto del male e non
poteva farci niente.
Kara
accettò, lasciandole un caldo bacio sui capelli.
«E
se invece a sbagliare dovessi essere tu…»,
proseguì Lena,
rialzando la testa per adocchiare il suo viso, «lo
accetterai, mi
dirai che mi ami», la intravide sorridere, «mi
ricorderai quale
persona meravigliosa io sia», allora Kara rise, «e
io ti bacerò,
Kara Danvers. Ti bacerò tantissimo. Perché sei
fatta così e io amo
quel così».
«Non
dobbiamo aspettare che mi sbagli su qualcosa per dirti che ti amo e
che sei una persona meravigliosa», contestò veloce
e la strinse più
forte; chiusero gli occhi e aprirono la bocca per cingersi in un
lungo bacio. Kara infilò la mano destra sui suoi capelli
corvini,
accarezzandola.
«Ti
sei fatta male?».
La
guardò e increspò la fronte.
«Le
ginocchia», sussurrò e l'altra rise, buttando la
testa
all'indietro. «Un bel tonfo».
«E
aspetti ora per preoccupartene?».
«Prima
dovevo fare quella arrabbiata». Riabbassò la
testa, appoggiandola
di nuovo sotto il suo mento.
Restarono
così, in silenzio e quasi sul punto di prendere sonno,
intanto che i
pensieri affollavano le loro menti stanche.
«Le
voglio bene anch'io».
La
sua voce era stata quasi un soffio, ma sicura. Lena decise di non
dire niente e, rialzando appena la testa, le stampò un bacio
su una
spalla, richiudendo gli occhi.
Ed
eccoci tornati! Vi è piaciuto il capitolo? Con questo,
ritorniamo di
pieno ritmo alla trama principale, seguendo i punti di vista di vari
personaggi e loro problematiche:
Maggie
pare si sia decisa a voler tagliare Alex dai risvolti della sua
missione e quest'ultima non la prende proprio bene, finisce per
parlarne con Carina Carvex e dopo fa una scoperta non felicissima su
Kara da Maxwell Lord. Che dite, lui gliel'ha detto con innocenza o lo
ha fatto di proposito? E che dire invece di Carvex? Fingerà,
non
fingerà? Sappiamo che lavora per Zod, però. E
povero assicuratore!
Lillian
ed Eliza sono tornate a casa e Lena, pensando proprio anche alla sua
madre adottiva e al matrimonio delle due, ha ben chiesto a Indigo di
cancellare le prove che vedono lei e Lionel immischiati in brutti
affari nell'organizzazione. Si tratta di passato, dopotutto, no? Suo
padre è morto e non può più pagare,
mentre Lillian si sta
rifacendo una vita molto diversa… D'altra parte, far
cancellare
quei dati è ammettere che erano colpevoli e Indigo
è convinta che
sia un segnale del compimento del piano del suo angelo custode che
vuole mettere la ragazza contro i Luthor. E Indigo in realtà
non è
che ne sia poi entusiasta; pensava sarebbe stato facile restarle
vicino al momento del crollo, ma Lena si fida e lei sta entrando in
crisi perché sa che la farà soffrire. Indigo non
vede vie d'uscita!
E
qui abbiamo Kara che vorrebbe proteggere Lena anche dalle sue stesse
decisioni e affetti. Non le dispiace avere
Indigo in giro e ormai lo ha praticamente ammesso, ma non riesce a
fidarsi di lei e ci si mette anche Alex a darle manforte. Senza
dimenticare il suo temperamento verso quelle pillole che sente quasi
come una sua responsabilità. Quell'accordo va fermato! Ma ci
riusciranno o sarà troppo tardi?
E
ora parliamo di Ferdinand: autista di fiducia dei Luthor, incubo di
Indigo, che offre servigi a… chi paga. Parole sue. Ve
l'aspettavate?
Nota
~
-
Ferdinand. Ovviamente.
So
del doppiogiochismo di questo personaggio da un beeeel po' di tempo,
ma lui era un'ombra, un personaggio sempre presente a cui nessuno mai
ha fatto caso, neanche voi lettori, eppure c'è un punto
particolare
nel capitolo 53.
Di piani segreti e traumi di cristallo
che è strano,
ma a cui nessuno ha badato.
Ecco,
non c'era Marielle, e nemmeno Ingrid, ma per poco non le sorprese
l'autista di famiglia, Ferdinand. Credevano non lo avrebbero rivisto
finché Lillian ed Eliza non fossero tornate dal loro viaggio
di
nozze e per poco Kara non cadde in un'aiuola per scansarsi in tempo
da Lena e non ripetere la briosa esperienza avuta con la giardiniera.
Ne uscì che aveva sbagliato giorno, convinto che le signore
sarebbero tornate quella mattina.
«Figurati»,
incalzò Lena, mettendo le braccia a conserte. «Ti
avrebbe chiesto
di andarle a prendere all'aeroporto».
Lui
abbassò la testa, sospirando appena. «Ha senza
dubbi ragione,
signorina Luthor».
Chiese
loro se volessero essere accompagnate e, a risposta negativa, se ne
andò quasi con la coda tra le gambe.
Ferdinand
passava come l'ennesimo caso di personale dei Luthor che si trovava
lì per caso e oh,
per poco non le beccava, ma Ferdinand non stava lavorando per i
Luthor in quel periodo perché Lillian ed Eliza non c'erano,
non
poteva essere un caso come la giardiniera, a meno che non fosse una
persona sbadata e avesse davvero sbagliato giorno, ma…
Voce
da soprano, adatta al suo fisico possente. Kara rise, poiché
da
quando lo conosceva, quella era la prima volta che lo sentì
parlare
tanto a lungo, mentre Lena era convinta che la vacanza di Lillian
avesse sbalzato la sua routine: non era solito sbagliare giorni, era
sempre stato molto attento e preciso.
Ferdinand
non sbagliava. La risposta era già lì: non
sbagliava. Si trovava lì
per una ragione ben precisa, infatti, ed era parlare con Indigo prima
del suo ritorno in servizio, ma pensava di trovarla da sola: Kara e
Lena dovevano uscire e Indigo doveva aspettare Alex in villa.
Videro
arrivare Alex in auto quando loro uscivano, quella di Ferdinand
ancora vicina. Si salutarono, prendendo la direzione opposta.
Lui
era lì. Stava aspettando che le due si allontanassero ma
Alex era
arrivata troppo presto, rovinandogli i piani. Per il resto, Indigo
non era mai sola e lui non aveva scuse per presentarsi in villa e
parlarle.
Potrei
inoltre dire che sembrava quasi una “forzatura” per
fare la
scenetta, l'autista che sbaglia giorno e casualmente per poco non
scopre le protagoniste in effusioni intime, ma le forzature cerco di
smussarle quando mi servono alla trama e in questo caso nemmeno
serviva alla trama, quindi il suo essere lì serviva ad
altro. Occhio
a queste cose perché mi piace giocarci :P (A meno che non
siano
errori… e quello può sempre essere XD)
Ma
lo so, lo so, Ferdinand è un personaggio
“ombra” anche perché è
un OC, magari lo si considerava solo come un personaggio di sfondo e
non “giocabile”. Anche se, poco a poco, ho tentato
di dargli
importanza e una caratterizzazione, basta anche solo pensare al
capitolo 19.
Qualcosa da nascondere,
in uno scambio di battute tra Kara e Lena.
«Ferdinand
lavora anche nelle feste?», chiese allora Kara, abbassando
ancora di
più la voce squillante quando lo vide raggiungerle.
«Vive
solo, non ha famiglia a cui tornare», le rispose, scrollando
le
spalle, «Gli chiediamo se è disponibile e lui si
fa trovare
pronto».
Perché
cercare di caratterizzare un personaggio di sfondo? Lo sapevo
già
durante quei capitoli, ovviamente, molto prima perfino di sapere che
avrei aggiunto Indigo alla fan fiction, per dirne una.
Per
il resto, oggettivamente non credo ci siano altri momenti in cui
avreste potuto “captare” qualcosa di strano sul suo
personaggio,
o non mi vengono in mente. O meglio sì, ce n'è
uno, fa sempre parte
del suo doppiogiochismo, ma riguarda altro e… stay
tuned!
Che
poi accidenti,
la rivelazione di Ferdinand sarebbe dovuta avvenire in un altro
contesto com'era stata concepita agli inizi, ma vabbeh, se ci
sarà,
resterà sempre
una
rivelazione ma solo per i personaggi, presumo.
E
ora eccoci qui. Avrei voluto pubblicare almeno un altro capitolo
prima di annunciare la pausa ma non ho fatto in tempo e, siccome
anche il titolo ancora non mi convince e potrei cambiarlo in corso
d'opera, non ve lo posso rilasciare come al solito. Sorry.
E
allora pausa, si va in pausa! Una pausa a tempo indeterminato, come
avevo spiegato. Conto di pubblicare il capitolo successivo a questo
appena potrò e, chissà, potrei tornare prima
ancora di aver finito
di scrivere tutto quando mi andrà! Semplicemente. Per questo
tenete
d'occhio l'introduzione alla fan fiction perché lo
scriverò
ovviamente lì e, forse forse, se interessa (e se mi viene in
mente,
soprattutto XD), potrei scriverlo nelle mie storie su Instagram
al profilo 'dragonmanuart'. Giusto perché è
più pratico! Occhio, non vi sto chiedendo di seguirmi,
potete anche solo controllare le storie ogni tanto, anche
perché lì pubblico solo disegni e potrebbero non
interessarvi ;)
E
vi lascio così, senza un titolo, ma con un grazie
e a un alla prossima ~
GOOD NEWS, PEOPLE! Our home sta
tornando: il capitolo 59, Il prezzo
da pagare,
sarà disponibile sabato 7 marzo :3 Non mancate!
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