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Autore: Ghen    09/11/2019    5 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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58. Dei miei sbagli


Indigo lo guardò con la coda dell'occhio, intento a guidare. Sembrava sereno; aveva sbadigliato due volte da quando si erano messi in macchina e pensò che forse doveva essere abituato ad andare a dormire molto presto. D'altronde erano rimasti fuori a lungo, più di quello che si aspettava di sicuro. E non aveva nemmeno dovuto rifiutarlo di nuovo. Lo riguardò, prima di voltarsi al finestrino dalla sua parte e picchiettare una gamba con le dita. L'aveva fatta ridere e quasi non ci credeva. Una volta sola e lui ci aveva provato per tutta la sera; si sarebbe dovuto ritenere soddisfatto poiché era da tanto che qualcuno non ci riusciva. Nessuno ci aveva provato prima di lui, però. Oh, guardandosi attraverso il finestrino notò che i capelli si erano fatti crespi; neanche tutto il tempo che ci aveva impiegato Lena a sistemarglieli. E il trucco si era… Oh, il trucco. Non sembrava più lei e cominciò a pensare che quel travestimento stesse davvero dando i suoi frutti. Era certa che nemmeno suo fratello Cyan l'avrebbe riconosciuta, adesso. Si sentiva diversa e, per un attimo, si chiese quando sarebbe finito come sarebbe tornata alla sua realtà e con quali pesi sullo stomaco. Non sarebbe rimasta in quella villa per sempre, a spese di Lena mentre le cospirava alle spalle per conto di qualcuno che, forse e non le era chiaro, la odiava. Di certo odiava i Luthor. Cene con un amico di lavoro, il lavoro stesso, Kara Danvers che, probabilmente, non la odiava così tanto. Sarebbe tutto finito. Non sapeva quando, ma sapeva che era così che sarebbe andata.
«Mi ha- emh», Winn si fermò, estraendo un sorriso, «Mi ha fatto piacere uscire con te. Come amici, voglio dire, tu mi piaci… mi piaci molto, ma-».
Anche questo sarebbe finito, Winslow, pensò. Che a lui, lei piacesse o meno, non aveva alcuna importanza.
«Mi piacerebbe», la guardò solo un momento, voltandosi e riguardando avanti la strada, «uscire di nuovo solo… mh, per conoscerci. Niente di serio se», rise, «tu-tu non vuoi, certo che non vuoi».
Quanto parlava, pensò ancora. Era diverso dai ragazzi con cui era abituata a uscire di solito. Non sapeva però se questo era un bene, doveva pensarci: con loro non aveva mai avuto paura di sbagliare perché volevano una cosa soltanto e lei voleva lo stesso, non si era mai posta il problema di pesare le parole né di fingersi una persona interessante con cui fare conversazione. Di fare conoscenza. Lei stessa non aveva mai voluto conoscere qualcuno, se non Lena.
«Magari possiamo… tenerci in contatto?», allungò lo sguardo al suo cellulare poggiato sulle gambe e Indigo gli lanciò un'occhiata. «Come amici. Non… Non è una trappola, vorrei davvero solo parlare per…», deglutì, «perché ti ritengo una persona incredibile. E non perché ero», rise, «lo sono ancora, un tuo fan».
Era seccante. «Va bene».
Il ragazzo estrasse un sorriso e annuì, riguardando avanti. Fu allora che successe: veloce, la strada era buia, fece appena in tempo a vedere le luci che quell'auto finì loro addosso.
La vecchina uscì dalla macchina che le tremavano le gambe.
«Oh, cielo…». Winn si resse la testa, appoggiato allo schienale. Gli girò tutto, stordito, aprendo gli occhi per controllare Indigo al suo fianco. La macchina aveva preso un urto molto forte. «Stai bene?».
«Sì… Che cavolo è successo?», ringhiò, sporgendosi per guardare la signora attraverso il vetro che andava lenta contro di loro. Winn scese dall'auto per assicurarsi che anche lei stesse bene e Indigo sbuffò, aprendo la portiera per raggiungerli e guardare il danno.
«Non vi ho visti», ripeté lei per l'ennesima volta, portandosi una mano contro il petto. «Voi mi siete venuti addosso».
Winn si portò le mani sui capelli vedendo le condizioni dell'auto che, continuava a ripetere, stava ancora pagando, con in sottofondo la donnina che imperterrita proseguiva a lamentarsi.
«Lei è venuta addosso a noi», Indigo guardò la macchina e la signora, indicandogliela. «Pure dritta, sembra fatto apposta. Diamine…». La signora si animò immediatamente al fronte di quelle accuse e la ragazza prese il cellulare, componendo il numero di Lena. O avrebbe dovuto chiamare Alex Danvers?
«Indigo, aspetta», lui si avvicinò scattante, voltandosi per guardare la signora che ancora borbottava infastidita. «Prima di chiamare qualcuno, dovremmo-».
«Io chiamo il nove uno uno», sbraitò l'anziana.
Cellulare già a portata d'orecchio e Winn sbiancò, ma mai quanto Indigo. La signora chiese assistenza e lei tornò indietro di un passo, mentre il respiro le si faceva pesante, corrotto dall'ansia. «Non posso stare qui», confabulò. Le pupille si dilatarono, sentì prurito alle gambe, e alle mani. Se ne doveva andare, se ne doveva andare subito. «Non posso stare… Chiama… Chiama tu», biascicò senza nemmeno guardarlo in faccia. Gli passò il cellulare e si voltò iniziando a correre. La donnina chiese cosa stesse succedendo, ma Winn restò immobile, cellulare in mano.
Diamine, diamine. Indigo si accorse di aver preso a tremare, fermandosi sotto l'ombra di un albero. Non sapeva se era scappata a sufficienza, ma lo sperava. Gli aveva lasciato il suo telefono, diamine! Ci pensò solo una volta lì, ormai. In quel momento, le era sembrata la cosa più naturale da fare poiché doveva chiamare: la paura era un sentimento che le impediva di pensare lucidamente. Se solo Winslow fosse stato un po' più accorto, le avrebbe letto le chat con il suo angelo custode. C'era un codice di accesso, ma lui era in gamba e lei aveva abbassato la guardia. Come poté commettere un errore così banale?
Sentì voci, l'erba che si muoveva, il vento che, lontano, sbatteva qualcosa. Quando spostava i rami degli alberi sembrava parlarle. Poi dei passi. Erano vicini, sempre più vicini e si guardò in giro, nel buio. Non vedeva nessuno, ma sentiva di non essere sola. Poteva nascondersi, doveva abbassarsi. Era la polizia? Winslow l'avrebbe coperta, ma l'anziana… No, la polizia si sarebbe identificata, c'era qualcun altro. Assottigliò lo sguardo e delineò un'ombra, ma sfortunatamente era ormai troppo vicina. Era alto e imponente, lo aveva già visto. Oh no, lui no… L'aveva rapita nel motel, lo riconosceva. Deglutì e fece mezzo passo indietro: doveva provare a scappare da lui fosse stato anche inutile, mentre cercava di capire cosa avesse fatto ora di sbagliato. Non voleva che la portasse via; non voleva lasciare la villa e quella vita, non così presto. Ma lui, invece di aggredirla, si fermò:
«Non devo toccarti. Puoi restare». La voce inaspettatamente armoniosa e acuta l'avevano colta di sorpresa. «Chiedo scusa a te e al tuo amico, ho fatto creare l'incidente perché dovevo parlarti prima che tornassi in villa. Sapevo che ti saresti allontanata, sei una ex detenuta: comprensibile».
Indigo non capiva: in villa? Lo disse in un modo così colloquiale, come se ne fosse abituato.
«È difficile trovarti sola, dopotutto. Ma dovevo avvertirti».
«Per conto suo?», grugnì. A quel punto, il suo angelo custode non poteva inviarle un messaggio?
«No», rispose pacato e si voltò indietro una sola volta, ascoltando il vento. «Dovevo avvertirti sulla mia presenza a villa Luthor-Danvers», affermò con voce armoniosa, quasi da soprano.
Lei ascoltò attentamente e ingigantì gli occhi, deglutendo. Era circondata, pensò allora Indigo, continuando a reggersi alla corteccia dell'albero. Non poteva permettersi una sola mossa sbagliata: lui, Noah che le stava dietro e la fotografava, il suo angelo custode che le scriveva come per assicurarsi che non si dimenticasse di lui. Sarebbe tutto finito, ora ne era ancora più certa. E sarebbe finito male.

Pochi minuti più tardi fu Kara a trovarla e a riportarla indietro, prima da Lena e insieme in villa.
«Che cosa accidenti le era passato per la testa?», Kara sbottò, camminando in cerchio in salotto. Era ancora agitata e lo era anche Lena, seduta sul divano. Quest'ultima si teneva strette le ginocchia sul petto, pensando. «I-Io l'ho capito, okay», fermò i passi di colpo. «Era in prigione, è stata fatta uscire da una persona per un lavoro e solo per quel motivo, se n'è andata da lui e ha avuto paura di essere scoperta, ma scappando in quel modo…», gesticolò, «che cosa pensava di fare? Aggirarsi da sola… Questo garante può aver mandato qualcuno a cercarla. Doveva restare lì», annuì, «e i poliziotti nemmeno l'avrebbero riconosciuta». Poi guardò Lena, che alzò lo sguardo a sua volta. «Ha-Ha gli occhiali».
Lei sospirò, tenendo la testa con una mano. «Doveva scappare».
«Cosa?».
«La polizia avrebbe registrato il suo nominativo, Kara. Lui l'avrebbe trovata».
Lei spalancò la bocca, iniziando a calmarsi. «A questo… non avevo pensato». Dopo si andò a sedere al suo fianco, abbassando la testa. «Ma non avrebbe dovuto allontanarsi».
«Non troppo. Avrà avuto paura», borbottò, guardandola negli occhi. «Andiamo a dormire. Ci siamo prese uno spavento ma nessuno si è fatto male seriamente. A parte l'auto di Winn». Si alzò dal divano e le prese le mani con le sue, aiutandola a tirarsi su e a seguirla. «E gli occhiali, Kara… non so come dirtelo, ma non funzionano al cento per cento come copertura», le ricordò sulle scale.

La macchina di Winn era ancora dal carrozziere, mentre la vecchietta che gli era andata addosso cercava di convincere le forze dell'ordine che era stato lui a non vederla arrivare e a non fermarsi, continuando a blaterale su come ci fosse anche una ragazza che poi era magicamente scomparsa. Sapevano che il caso era passato tra le mani di Maggie Sawyer e Charlie Kweskill, dunque si risolse in fretta. Meno in fretta il tempo che Winn doveva passare con il collare a causa del colpo di frusta; erano trascorsi tre giorni dall'incidente e gli avevano consigliato di tenerlo per almeno due settimane, ma anche solo per via del caldo, non ne poteva semplicemente più. Nel frattempo, Indigo si era fatta più strana del solito, da dopo quell'incidente: era diventata di nuovo fredda, non rispondeva più a Kara come al solito anche se tendeva sempre a stuzzicarla, stava per le sue e non si intratteneva più come prima in chiacchierate con Lena, che chiedeva consiglio alla psicologa. Sembrava che le eccessive temperature di quei giorni le avessero tolto la voglia di fare qualunque cosa, a parte mangiare. Ma sapevano che si sentiva con Winn e almeno non si preoccuparono troppo. Pian piano si stava riappropriando del suo solito umore anche se era spesso distratta; decisamente non da lei.
Era quasi metà giugno e, dopo l'anniversario, le cose avevano ripreso pian piano il proprio corso.
Per prima cosa, grazie all'intenso studio con Lena, Kara riuscì a dare due esami a poche ore di distanza, e un terzo il giorno dopo, quando pensò che fosse ormai troppo tardi per recuperare e che sarebbe morta nell'impresa.
«Mi sta scoppiando il cervello. Se non dovessi farcela, ricorda che ti amo e ti ho sempre amata», disse una sera, mollando un libro per tenerle una mano. Era già sul punto di pensare cosa lasciare e a chi.
Non lo dava a vedere e si impegnava molto per seguire lei e le ragazze a cui faceva da tutor, ma anche Lena era molto stressata: era finalmente in vacanza dalla Luthor Corp, ma si sarebbe laureata entro l'anno e quando di tanto in tanto Kara si svegliava durante la notte, la trovava al centro del letto con una lucetta bassa circondata dai libri, oppure china davanti alla sua scrivania. Di norma non la disturbava, ma una notte l'intravide ciondolare dalla stanchezza e si sporse dal letto per prenderla tra le braccia e così, con appena un po' di controvoglia, farla sdraiare.
«Non ho finito…», soffiò in un brusio, occhi chiusi.
«Hai bisogno di riposo; ritroverai tutto domattina», le stampò un bacio sulla fronte e la vide sorridere, appesantendo il suo respiro come se già stesse dormendo. Così la coprì e la tenne stretta tra le braccia, lasciando i libri aperti su quel lato del letto.
Era capace di svegliarsi prima di lei e davvero ritrovare il filo lì dove lo aveva lasciato ore prima. E lei si stava svegliando davvero presto poiché aveva ripreso l'impegno di correre ogni mattina. Le lasciava un bacio con il rischio di graffiarsi con una penna che Lena metteva in bocca, si alzava di corsa, andava a lavarsi e vestirsi e usciva. Solo per infastidirla bussava alla porta chiusa di Indigo, passando in corridoio. C'erano un sacco di strade sterrate che valeva la pena di attraversare da una villetta all'altra, e Kara si era segnata in testa un percorso immaginario che prendeva ogni giorno: si fermava per ascoltare gli uccellini cinguettare su un albero su cui aveva sorpreso un nido, ad accarezzare un cane dietro un cancello che l'aspettava, a osservare una cucciolata di gattini appena nati con mamma gatta intenta a lavarli, a salutare con un'alzata di mano una vicina che, in vestaglia, apriva la portafinestra di un balcone ogni mattina alla stessa ora prima di andare a lavoro. Al percorso inverso, salutava invece la sua domestica che entrava con l'auto dietro il cancello. Si stava costruendo le sue abitudini e per poco non pensò di lasciare la sua camera al dormitorio, anche se significava trascorrere meno tempo con Megan. Ma doveva frenare quella voglia, forse avrebbe cambiato idea alla fine delle vacanze estive, quando non avrebbero più avuto la villa solo per loro.
Intanto, Faora Hui e il suo destino erano ancora sulla bocca di tutti, e come poteva essere altrimenti. Quella quasi metà di giugno portò con sé anche una svolta che le riguardava: il coroner diede il via alla sepoltura della salma e i genitori le organizzarono il funerale. Anche quella fu una giornata particolarmente soleggiata.
«Come sto?». Maggie si spinse per bene la camicia dentro i pantaloni e Alex si avvicinò per lisciarle la giacca nera sulle spalle.
«Voglio venire anch'io», confidò poi a bassa voce, guardando la compagna negli occhi. Lei ricambiò al suo sguardo con una vena di compassione che Alex cercò di ignorare.
«È meglio di no… Vorrei tanto che fossi al mio fianco, ma non credo sia una buona idea».
Si scambiarono un lento bacio e chiusero gli occhi appoggiando ognuna la fronte sull'altra, prima di separarsi. Alex cercò di costringersi a restare a casa ma non ci riuscì, l'impulso di presentarsi fu troppo forte: si cambiò indossando un sobrio abito nero e raggiunse il cimitero. Quando con la macchina si accostò al parcheggio, intravide subito Maggie e quel Charlie Kweskill l'uno accanto all'altra. Lui era alto e palestrato, lei minuta, come non notarli. C'era meno della gente che pensava: Faora aveva perso gli ossequi che spettavano a una poliziotta e probabilmente anche quelli come membro dell'organizzazione. Aveva tradito entrambi. Stava per parcheggiare che una macchina dietro alla sua le fece gli abbaglianti.
«Sapevo che saresti andata lo stesso». Kara l'abbracciò e dopo Lena, entrambe in nero.
«Pensavamo di farti compagnia», aggiunse la seconda e tutte e tre insieme lasciarono le macchine, con andatura lenta.
I lamenti della madre di Faora, tra le braccia del marito affranto, sovrastavano la voce del sacerdote locale che parlava con un libricino aperto davanti al naso. La bara era al centro, circondata da corone di fiori. Adrian Zod aveva la testa china e le mani tenute, vicino ad altre persone che immaginarono essere famigliari della ragazza. Erano ormai vicine e i passi attirarono l'attenzione di qualcuno. Erano lì solo per dare l'ultimo saluto a Faora Hui come tutti, per farle sapere che non avrebbero voluto che le cose andassero in quel modo, ma non appena sua madre alzò la testa, allora strinse gli occhi e i denti con rabbia cieca, correndo in loro direzione.
«Come ti permetti?!», prese a urlare, incurante di aver interrotto il rituale religioso. «Come ti permetti di farti vedere qui?!».
Kara si mise in mezzo e Lena tirò Alex per un braccio, mentre il padre di Faora raggiungeva la moglie e così anche Maggie, fermando altri parenti arrabbiati. Anche Charlie si avvicinò e tentò di placare l'ira della donna.
Alex aveva gli occhi lucidi, ci volle poco che il viso le si rigò di lacrime. «Mi dispiace…», sussurrò, «... mi dispiace». Non era in grado di dire altro in quel momento, ma non quelle parole né quelle lacrime arrivarono al cuore in frantumi della madre di Faora che, con voce fredda e spezzata, le ordinò di andarsene. E lo fece: Alex si voltò e Kara le andò dietro, chiamandola e infine riuscendo a fermarla. Le parole le morirono in gola non appena l'ebbe vista girarsi e, rossa e con gli occhi gonfi dal pianto, scosse la testa. Kara la prese subito tra le braccia e Alex si lasciò stringere, iniziando a dar sfogo a tutta la sua frustrazione e al suo dolore. Non era colpa sua, sapeva che non lo era, ma una parte di lei non riusciva a toglierselo dalla testa. Era stata lei a sparare Faora: avrebbe potuto agire diversamente, quel giorno? Ci sarebbe stata un'altra strada? Maggie si avvicinò e Kara la lasciò a lei, stringendola a sua volta, bisbigliandole qualcosa e regalandole dei baci caldi. Così la minore delle Danvers si voltò verso Lena e le due si scambiarono uno sguardo triste, consapevoli che sarebbe potuto succedere.
Se non altro, considerando che era meglio non restare ferma a pensare allo sguardo ferito della madre di Faora che la malediceva, l'afoso pomeriggio successivo, Alex decise di prendere in mano la situazione e spuntare dalla lista delle cose da fare qualcosa che doveva fare da tempo. Non aveva il turno in boutique e il giorno libero al D.A.O., dunque si diresse alle vecchie palazzine dove diceva di essere cresciuta Indigo e da dove era convinta di essere scappata dal garante che la teneva prigioniera. Alex era sempre più convinta che Indigo non fosse altro che una brava bugiarda e per quanto Kara si stesse affezionando alla sua presenza, le dava ragione. C'era qualcosa che non tornava in lei e voleva scoprirlo. Almeno sapeva che sarebbe stata utile in qualcosa.
Parcheggiò vicino ad altre macchine e si mosse a piedi: il marciapiede era friabile ai bordi, c'erano buchi sul cemento, i balconi di alcune di quelle palazzine avevano l'aria di essere ancora attaccati con appena uno strato di colla vinilica. Cercò la via dove la ragazza aveva passato l'infanzia e, sulla piazzetta al centro dei complessi, alzò la testa, adocchiando l'appartamento. Incrociò qualche donnina anziana che non si lasciò scappare dettagli sulla famiglia che viveva lì un tempo: Indigo fu descritta come una ragazzina seria e a tratti timida, ma era più che altro del suo fratello più piccolo che amavano raccontare, il prodigio morto a nove anni in seguito a una sparatoria. Alex parlò un po' con loro fuori e dopo con chi la fermò sulle scale della palazzina, entrata per dare uno sguardo all'appartamento. Le aprirono la porta della casa che era rimasta vuota da quando la famiglia si era divisa: c'era polvere, puzzo di muffa, cacca di uccelli essiccata sul pavimento e piume. Tante piume. Una delle finestre era rotta e i piccioni entravano liberamente. «È rimasta così da allora?», si voltò verso il padrone, che aveva le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo annoiato.
«Per quel che ne so, sì. A parte gli uccelli. Nessuno è più tornato, nessun altro la vuole».
Sapeva che la madre di Indigo era stata accolta in una casa di cure dopo la morte del bambino e più tardi sarebbe passata a trovarla. Sullo stipite di una porta c'erano segnati a matita i livelli di crescita con a fianco i nomi di Indigo e Cyan. Li fotografò prima di andarsene, ricordando che anche i suoi genitori avevano segnato la sua crescita, quando era piccola.
Dopo continuò il suo giro a piedi per cercare il famoso magazzino secondo cui lei era scappata dal garante. Ne trovò uno e il proprietario si offrì gentilmente di farla entrare, mostrandole le merci: salumeria, non vernici. Indigo le aveva detto che il magazzino, o garage, puzzava di vernice. Si fece dare indicazioni, chiese alle persone del posto se, per caso, avevano visto una ragazza sospetta aggirarsi da quelle parti poco tempo fa, e la descrisse, ma nessuno le poté dare qualche informazione importante. Quel magazzino, o garage, non sembrava esistere. O almeno non da quelle parti.
«Ci ha detto una bugia», riferì a Kara tramite cellulare, rientrando in auto. «Se Indigo è scappata davvero, non è scappata da qui».
Kara non si lasciò attendere: «Beh, la cosa non riesce a sorprendermi… Nasconde qualcosa. Quando eravamo a Star City, le ho trovato nella borsa tante, e davvero tante, foto di Lena scattate in momenti casuali della giornata. Non l'ho detto a Lena e Indigo da allora non ha più fatto niente di strano, ma…».
Alex sbuffò, dopo aver sistemato il sedile per la guida. «Avresti dovuto dirmelo. E come si era giustificata?».
«Ha detto che gliele faceva avere il garante, ma non lo so… Non so se è vero».
«Beh, a questo punto, ogni cosa che esce dalla sua bocca dobbiamo prenderla con le pinze. Dobbiamo tenerla d'occhio, sorellina». Mise in moto, lasciando la telefonata in vivavoce. «Non ha mentito sulla sua infanzia, ma lo ha fatto sulla sua fuga: cos'ha da nascondere? E se non fosse affatto…».
«Scappata», finì Kara per lei. «Potrebbe non essere scappata». Staccò la telefonata e guardò fuori verso il giardino, dove Indigo e Lena parlavano riparate sotto la tenda da sole. Parlavano chissà di cosa, poi. Se il garante voleva qualcosa da Lena e Indigo stava lavorando per lui, allora…
«Alex non ha trovato il magazzino, va bene», Lena scrollò le spalle e scosse la testa. «Questo non può dimostrare altro se non che Indigo si è sbagliata. Può capitare, stava scappando».
Kara provò a metterla in guardia, non poteva non dirglielo, ma lei… «Alex ed io pensiamo che possa ancora lavorare per il suo garante». La vide serrare con forza le labbra, seccata. «Pensaci, Lena: se lei sta ancora lavorando per lui e lui vuole qualcosa da te, è per questo che è venuta qui ed è -è… beh-».
«Tu e Alex pensate che menta sulla sua cotta per me?».
Mise le braccia a conserte e guardò Kara con occhi freddi, tanto che lei deglutì, sentendosi in soggezione. «N-Non sto dicendo che lo faccia, ma… potrebbe! Sì, potrebbe! Cerca di entrare nelle tue grazie pe-per qualcosa, non so cosa, ma forse è il caso di chiederglielo».
«Lasciala in pace», le chiese subito dopo. «Tu ed Alex. Non vi fidate di lei, è chiaro da tempo, ma Indigo sta facendo un percorso con la psicologa ed è provata, non voglio che le mettiate pressione per qualcosa di cui non avete prove! Si sta riprendendo adesso da quell'incidente-».
«Dove non si è fatta niente», provò a obiettare, tappandosi subito a un suo sguardo.
«La conosco», precisò nonostante Kara gonfiò le guance, «O meglio sto imparando a conoscerla e vedo come mi guarda, non sta mentendo! E ce la sta mettendo tutta per farsi apprezzare. Dunque… lasciala in pace, Supergirl. Tu ed Alex».
Si allontanò e Kara gonfiò anche gli occhi: ce l'aveva con lei, adesso? Abbassò la testa e riprese il cellulare da una tasca dei pantaloni quando lo sentì vibrare.
Da BadSister a Me
Sono andata a trovare la madre di Indigo: soffre di alzheimer, Kara. Ricorda di aver avuto dei figli e nient'altro, pensa che siano bambini ed entrambi vivi. Le infermiere non mi hanno saputo dire molto, è la prima volta che qualcuno va a trovarla da quando si trova lì.
Kara aggrottò lo sguardo. Certo, se fosse davvero scappata, il capezzale di sua madre sarebbe stato il primo luogo dove il garante l'avrebbe aspettata per riprendersela. Se fosse scappata. Rialzò lo sguardo e la ritrovò a pochi passi da lei, rientrata dal giardino. I loro sguardi si incrociarono.
«Fammi indovinare, Kara Danvers», le sorrise, «ho fatto qualcosa di sbagliato? Tutto ciò che faccio lo è, no?».
Kara si stette zitta, soprappensiero, adocchiandola fino a vederla andare di sopra.
Durante quei giorni, e in pausa dallo studio, lei e Lena si misero di serio impegno per controllare i dati all'interno della chiavetta inviata da Clark Kent e Lois Lane. Lena trovava che lavorare al suo fianco e non dietro un pc era eccitante: Indigo era veloce e attenta ai particolari, non si fermava di fronte a un dubbio e scavava subito sul web in cerca di conferme; e niente poteva fermarla, aggirava ogni divieto, entrava dove voleva. Era un aiuto davvero prezioso.
Da X a Me
Ti sei ripresa dall'incidente? So che mi sono già espress* in altre occasioni, ma mi dispiace davvero che il nostro amico in comune non abbia pensato di rivolgersi a me, invece di fare ciò che ha fatto, Indigo. Spaventarti in quel modo… È fatto così. Ti chiedo di nuovo scusa al posto suo.
Lei restò immobile, col cellulare in mano. Le chiedeva scusa da quando seppe dell'incidente, quasi si preoccupasse per la sua salute. Era irritante, a modo suo. Anche più di altre persone irritanti.
«È Winn?».
Indigo alzò lo sguardo serio di scatto, ritrovando gli occhi verdi e indagatori di Lena che la fissavano. Forse era rimasta ferma ad analizzare quelle lettere un po' troppo a lungo. Stavano lavorando davanti al laptop e a documenti sparsi per il tavolo, non poteva permettersi di distrarsi in quel modo. E proprio perché quella chiavetta usb conteneva tanti dati sui Luthor, non solo avrebbe dovuto scriverlo a lui, ma sarebbe dovuta essere più presente per lei, che ogni volta che scoprivano qualcosa di nuovo era un tuffo al cuore.
«Sono contenta che tu e Winn», bofonchiò, reggendosi la tempia per appoggiarsi al tavolo, «andiate d'accordo».
«Abbiamo tanto in comune».
Lena sorrise, non smettendo di fissarla. «Sono contenta che tu possa contare su qualcun altro, oltre a me. E Kara», alzò gli occhi, «Fa tanta scena, ma ci tiene a te».
Indigo non rispose, riportando il suo sguardo al cellulare. «Posso… Posso rispondere a Winslow?». La intravide sorridere ancora e annuire, così riaccese il monitor, scrivendo rapidamente.
Da Me a X
Ho davanti una usb piena di materiale sui Luthor. Lena ed io la stiamo esaminando e sembra che molte delle cose riportate siano vere e confermabili, mentre altre, da piccole verità, sono semplicemente montate per apparire più grandi e spaventose. Come devo comportarmi, angelo custode? Non voglio ferirla.
Da X a Me
Temo che quello sia un passaggio obbligatorio per il tuo lavoro, Indigo. Che siano dati reali o meno, è l'occasione che aspettavamo e devi coglierla. Usala contro i Luthor. Segna il suo cuore. Un giorno capirà anche lei chi sono e chi sono state quelle persone. E guarirà.
Indigo spense il monitor e la guardò, poi di nuovo il laptop e quei dati, scorrendo con il mouse. Con la coda dell'occhio, notò Lena dare un nuovo sguardo ad alcuni documenti sul tavolo, prendendoli in mano: era stanca e provata, glielo si leggeva in faccia. «Ci fermiamo?», propose.
«No», sorrise mestamente lei, scuotendo la testa. «Devo sapere».
Lena non aveva bisogno che lei spingesse su quei dati per metterla contro i Luthor, perché stava percorrendo quella strada da sola. I Luthor stessi la stavano portando su quella strada.
Eppure, se le cose di cui preoccuparsi e occuparsi non mancavano, c'era qualcos'altro che richiedeva la loro urgente attenzione in quelle calde giornate di giugno: la vendita delle pillole rosse di Maxwell Lord al generale Lane. Il primo aveva detto ad Alex che a fine mese si sarebbe tenuta una festa a casa sua in occasione della riuscita del progetto e lei ne parlò prima con Maggie e, cogliendo l'occasione di un pomeriggio libero prima del ritorno di Eliza e Lillian, andò in villa e poté accennarlo a Lena e Kara. Compreso l'invito. Maggie era scettica ed era convinta che, a quel punto, non era più una cosa che riguardava loro ma solo i diretti interessati, Maxwell Lord, Lex e il generale Lane, e che avrebbero dovuto lasciare che se la sbrigassero da soli.
«Lex non ha denunciato il furto quando doveva», spiegò, «se lo avesse fatto, allora sarei potuta intervenire». Guardò Alex al suo fianco, sul divano in salotto della villa. Incurvò la testa da un lato e prese fiato quando si accorse che non era d'accordo. «Siamo agenti, Alex. Finché non c'è reato, più che avvertire delle nostre scoperte, non possiamo fare altro». Le strinse più forte la mano con la sua, voltandosi per incrociare gli sguardi delle altre due, sull'altro lato del divano. «A meno che qualcuno non vorrà di nuovo introdursi in proprietà privata per rubare merce», notò Kara abbassare lo sguardo e digrignare i denti, «Ma lo sconsiglio: ho saputo che alla Lord Technologies hanno aumentato i sistemi di sicurezza. La verità è che abbiamo già altro a cui pensare senza doverci impicciare dei problemi altrui». Si alzò dicendo di dover andare in bagno, allungando lo sguardo a Indigo che, seduta sugli scalini tra l'ingresso e il salone, trafficava con il cellulare fingendo di non ascoltarle.
«Oookay», mormorò Kara. «Quindi… Maggie non sarà dei nostri».
«Al prossimo furto?», Lena arcuò un sopracciglio curioso.
«I-Intedevo nel fermare questa cosa», scrollò le spalle. «Non arriveremo a tanto… di nuovo».
Alex si portò in avanti, sistemando le braccia sulle gambe con fare stanco. «Scusatela. È molto per le sue da un po' a questa parte; senza contare che ormai, per sapere qualcosa sulle sue giornate, devo aspettare di leggere il rapporto», mormorò. «E non vuole. Ieri abbiamo litigato…».
«Oh, Alex», Kara la raggiunse subito per abbracciarla, «Mi dispiace».
«Penso che in fondo non abbia torto sulle pillole», le interruppe Lena e le due si voltarono. Sapeva che Kara le avrebbe fatto quello sguardo contrariato. «Aspettate, non sto dicendo che dovremo lavarcene le mani, ma sono anche conscia che, più di quello che stiamo provando a fare, non c'è davvero altro. Non possiamo denunciare il furto delle pillole originali al posto di Lex».
Kara scosse la testa, facendo una smorfia con le labbra. «Insistiamo, no? Okay, non c'è altro, ma è abbastanza», strinse i pugni. «Dobbiamo convincerli. A ogni costo».
«Kara…», Alex scosse la testa e la sorella si voltò scattante. «È pur vero che non possiamo insistere per sempre. Se sono già arrivati a questo punto…».
«Da che parte state?».
Lena fissò Kara attentamente, come si agitasse quasi fosse personale, allora prese un bel respiro. «Richiamerò Lex, più tardi. Proverò a fare il miracolo».
«Grazie», le sorrise Kara di rimando. «E io chiamerò Lucy Lane. Magari questa volta vorrà…», ingigantì gli occhi, «Proverò a farmi ascoltare». A una smorfia di Lena, allora abbozzò una risata. «È l'unico contatto che abbiamo con il generale Lane».
Lei si portò le braccia a conserte, arricciando il naso. «Non sto dicendo niente».
«Pff». Kara poi rivolse lo sguardo di nuovo a sua sorella: Alex guardava altrove, immobile. Non ebbe bisogno di dirle niente, sapeva che la stava fissando.
«Cosa?», stralunò gli occhi. «E va bene! Chiamerò Lord! Sarà una pasqua, non aspetta altro», sbuffò.
Maggie uscì dal bagno qualche secondo più tardi e Indigo la tenne d'occhio di nuovo: il viso incavato, basso, batteva impercettibilmente le dita delle mani contro i jeans, era distratta. Pensò che il suo ruolo come spia la stesse consumando; doveva passare un periodo difficile e si chiese come mai. Al suo angelo custode non interessava e per questo non le aveva mai ordinato di tenerla d'occhio, al contrario le aveva espressamente chiesto di stare alla larga dai piani dell'organizzazione, però… Però, forse, era a lei che interessava. A Indigo persona. Poteva avere anche lei degli interessi al di là del suo lavoro. Oh, si chiese che cosa avrebbe lasciato di sé a quelle persone una volta che se ne sarebbe andata… L'avrebbero ricordata come una traditrice? Era lei la vera spia. Inquadrò Lena, mentre tutte si alzavano dal divano per salutarsi.
«Jamie ancora all'asilo?», chiese Kara, curiosa.
«Oh no, oggi è con i suoi», Alex prese un grosso respiro e Maggie altrettanto, passandosi una mano sulla fronte. «La riportano loro stasera. Ceneranno con noi».
«Si sono autoinvitati», precisò l'altra, incamminandosi a fianco a loro verso Indigo seduta sulle scale. «Come se non ci fossero mai abbastanza buone notizie».
La salutarono a turno, passando per l'ingresso, e lei alzò appena una mano. Le continuò a guardare anche quando aprirono il portone per uscire.

Chiese un bicchiere, seduta davanti al bancone del bar. Aveva detto a Maggie che sarebbe andata alla base del D.A.O. per rivedere alcune pratiche e che una volta lì ne avrebbe approfittato per fare quella telefonata a Maxwell Lord, ma la verità era che aveva bisogno di aria, di un momento suo per pensare. Sentiva come se qualcosa le stesse sfuggendo di mano. Maggie non la respingeva, si comportava come sempre, ma il fatto che non la tenesse aggiornata su cosa stesse facendo in centrale e del suo rapporto con Charlie Kweskill e Zod, la metteva di malumore e non riusciva a non farglielo notare. Si animava sempre troppo quando li nominava, non voleva. Sapeva che era stata una pessima idea quella di coinvolgerla, lo sapeva. Faora Hui era morta e lei non voleva includerla in quel mondo che l'aveva uccisa. Beh, a quel punto sarebbe stato meglio pensare a Maxwell Lord: era come visualizzarlo che saltellava dalla gioia, all'interno del suo ufficio.
«Uno per me e un altro per la signorina». Alex si voltò alla sua sinistra, ritrovando Carina Carvex intenta a sedersi sullo sgabello. «Con ghiaccio, per piacere», aggiunse rapida, per poi sorriderle. «Combattiamo la calura, eh?! Sembra che questo giugno sia più caldo dei precedenti, non trovi anche tu?».
Alex annuì, lanciandole un'occhiata. «So che è presto per bere, ma non sono in servizio».
«E io non sono John Jonzz», ribatté, facendole l'occhiolino.
«Cosa fai qui?».
«Mh, ti seguivo». Carina la vide ridere così si sentì subito in dovere di specificare per non essere fraintesa: «Dico davvero, ti seguivo. Non era una battuta». Ringraziò il barman e fu lei a ridere, osservando la sua faccia confusa. «Hai vinto, se mi guardi in quel modo non posso che spiegarmi, collega: ero preoccupata per te». Carina abbassò gli occhi e sorrise un poco. «Sei contenta? Sono andata al funerale di Hui l'altro giorno e ti ho vista… Ero lontano, non volevo che la madre se la prendesse anche con me; non mi aspettavo di vederti arrivare ed eri, beh, eri un po'…», arricciò il naso e bevve un sorso, passando a lei la palla.
«Un po' penosa», proseguì Alex, anche lei portando il bicchiere alle labbra.
«No», sorrise, dandole un colpetto. «Penosa mai. Coraggiosa credo ti si addica di più. Sei andata là a testa alta, fregatene del resto. La morte di quella ragazza non è colpa tua: te lo ripeto ancora e te lo posso ripetere all'infinito». Arrossì, voltandosi di scatto. «Guarda cosa mi stai facendo dire, partner», aggiunse, osservandola con la coda dell'occhio mentre abbassava lo sguardo: «per la prima volta, penso ti aver trovato un'amica e», sorrise, «non sopporto di vederti così a terra».
Alex finì il resto del bicchiere in un sorso, sentendo il suo sguardo su di lei. Cosa voleva? Si erano parlate altre volte, molte volte, ma ultimamente sembrava starle addosso come un segugio. Forse era davvero una spia dell'organizzazione, dopotutto. Era così stanca che vedeva complotti ovunque. «Sei il tuo ragazzo…», iniziò, mantenendo basso lo sguardo, «fosse coinvolto in qualcosa di pericoloso-».
«Il mio…? Un assicuratore. Il massimo del pericolo sarebbe stato che gli si bucasse una gomma in autostrada», scherzò ma, vedendo il suo sguardo serio, tornò seria di colpo anche lei. «Oh, ma parli di Maggie? Scusami».
Sospirò. «E di punto in bianco decidesse di tagliarti fuori da quello che gli succede: come la prenderesti?».
Carina scrollò le spalle, ordinando altri due bicchieri al barman. «Non bene. Ma trattandosi della… Di punto in bianco…? Cosa intendi per di punto in bianco, Danvers, dopo il funerale di Hui?». Aspettò che confermasse, bevendo un sorso. «Ha visto com'eri al funerale e ha pensato di tenerti al sicuro. È possibile?», si scambiarono uno sguardo. «Non la conosco bene quanto te, ma è quello che farei io».
Alex finì il bicchiere e non rispose, alzandosi dallo sgabello. Lasciò i soldi sul banco e stava per ringraziarla della compagnia che Carina le disse di riprenderseli, spostando la banconota.
«Offro io, non preoccuparti. Ti ho seguita», alzò le spalle, «è il minimo».
«Ma no», tirò indietro la banconota. «Non ho bisogno-».
«Che sia gentile con te? Danvers, andiamo», scrollò lo sguardo, «Siamo partner e ci sosteniamo a vicenda». Toccò la banconota proprio nell'esatto momento in cui lo fece anche lei e le loro mani si sfiorarono. Un attimo fugace e Carina ritrasse subito la sua, abbassando gli occhi di nuovo, sfoderando un altro sorriso, più impacciato. «Cielo, non vorrei che Maggie Sawyer si faccia idee sbagliate», prese a ridacchiare, ma non rialzò lo sguardo. «Prima ti seguo, poi… beh».
Alex decise di mettere via la banconota e ringraziò in un sussurro. «E-E come vanno le cose tra te e il tuo assicuratore?». Perché aveva come percepito del disagio tra loro, tutto a un tratto?
«Male, effettivamente: ci siamo lasciati. Ieri».
«Come? Mi dispiace». Ne aveva parlato altre volte e le era sembrato un bravo ragazzo.
«Beh, non… È complicato, partner», si era sforzata per sorridere, questa volta: non sembrava da lei. «Non sono la brava ragazza che credi e… se n'era accorto», alzò il bicchiere in mano con un gesto.
Alex scrollò le sopracciglia, formando un sorriso. «Tutti abbiamo un lato di noi che non vorremmo mai far conoscere agli altri. Specie se poi sono persone a cui teniamo».
Carina Carvex scolò il contenuto del suo bicchiere e ne chiese un altro al barman, intanto che annuiva quasi con rassegnazione. «… già. Ho sbagliato tante di quelle cose, che Babbo Natale non mi rivolge la parola da anni. Ma non ero innamorata di lui, forse è meglio così. Non sempre… riusciamo a ottenere ciò che vorremmo. No?», borbottò e poi deglutì, prendendo il nuovo bicchiere e ringraziando con un cenno il ragazzo dietro al bancone.
Alex la ringraziò di nuovo e se ne andò, persa nei suoi pensieri. Carina Carvex amava il sarcasmo, ma lì non ne aveva trovato traccia. E in effetti le era sembrato un discorso strano. Quelle parole, e come si era comportata, sembrava quasi che… No, era fuori discussione: le stava dietro perché interessata? Non era nemmeno la prima volta che nominava Maggie in quel modo ma… no. Allora era certamente una spia che voleva mettere mano all'indagine, perché quello non lo accettava; non anche lei, dopo Max. Come se di problemi non ne avesse già altri. Non anche lei.
Nel frattempo, ripensando alle pillole rosse e a Maxwell Lord, Kara si era fatta una veloce passeggiata fino al campus. Aveva bisogno di allenamento, quindi aveva rifiutato quando Lena si propose per accompagnarla, lasciandola sdraiata a letto per riposare. La ragazza aveva chiamato suo fratello come promesso ma non era riuscita ad ottenere niente, se non l'ennesimo no. Kara si era così imbrunita che Lena le aveva preso il viso con le mani e le aveva fatto una nuova promessa:
«Se anche con Lucy Lane e Maxwell Lord non dovessimo cavare un ragno dal buco, andremo a Metropolis, da Lex», aveva annuito.
«Abbiamo da studiare… E poi la finale-».
«Torneremo in tempo per la finale e possiamo sempre studiare lì», si erano guardate negli occhi.
Kara sapeva di chiederle molto.
Megan aprì la porta della camera al dormitorio con la testa tra le nuvole. John non si era ancora fatto sentire e dalla preoccupazione stava passando lentamente alla rabbia- un rumore. Chiuse la porta dietro di lei con la schiena, setacciando con lo sguardo il tavolo davanti: i due vasetti di fiori erano stati spostati e così anche le sedie. Ancora quel rumore. Avanzò lentamente, scorgendo dall'alto che l'armadio di Kara era aperto. C'era qualcuno e- «Oh, sei tu», si rilassò.
Kara sobbalzò di scatto, sbatté la testa su una mensola dell'armadio e tornò a picchiare le ginocchia contro il pavimento. «Certo che sono io! Abito ancora qui».
«Ne sei sicura? Mh», poggiò la borsa sopra il letto e si passò l'asciugamano che aveva con sé sul volto sudato. «Ti ho coperta col coach, prima. Hai saltato l'allentamento».
«Oh, no», la guardò grave e si portò le mani sui capelli, «Mi era completamente passato di testa».
L'amica scrollò le spalle. «Millard ha creduto alla storia del dentista. Se vuoi essere credibile, dovrai solamente perdere un molare entro domani».
«U-Un molare?», aggrottò la fronte, continuando a trafficare con la testa dentro l'armadio. «Aspetta… domani?», si affacciò di colpo, «Io non…». Oh, era in un bel guaio…
Megan si sedette sul letto a peso morto, sconfitta. «Non ci sarai domani, vero?».
Kara deglutì, abbassando gli occhi e mordendo il labbro inferiore. Diede una nuova occhiata dentro l'armadio, tirando fuori una pila di fogli sparsi: dovevano essere lì. «Forse andrò a Metropolis, domani…», mormorò, sfogliando. «Credo che mi perderò gli allenamenti fino alla partita».
Megan a quel punto si alzò, camminando verso di lei e inginocchiandosi. «Ti coprirò, per quanto potrò», garantì. «Cosa cerchi?».
«Dei certificati… Potrebbero essere importanti». Maxwell Lord le rilasciava un certificato ogni volta che andava da lui per gli esami e le toglieva il sangue: chissà che non potessero rivelarsi utili per convincere Lex.
«Aah, finalmente», sospirò Maxwell, per telefono. Alex lo mise in vivavoce, seduta sul lato del guidatore in auto: ferma lì, poteva ancora guardare Carina Carvex seduta davanti al banco del bar. «Mi fa piacere sentirti. Cosa posso fare per te, Alex?».
Si era memorizzata un discorso che aveva ripetuto fino a poco prima di comporre il numero, ma al momento esatto in cui lui rispose, lo ebbe già perso. «Emh…». Tanto valeva andare dritta al punto. «So che ti sembrerà improvvisato, ma… devi fermare l'accordo sulle pillole. Non puoi venderle».
Forse lui doveva essersi sorpreso, poiché rispose non prima di lunghi e silenziosi secondi. «Ah… Così tua sorella è riuscita a metterti in mezzo? Per meglio dire, entrambe le tue sorelle. Loro e le loro amiche non hanno fatto altro che cercare di ostacolarmi, prima al locale a Gotham City, poi qui. Sapevi che hanno fatto irruzione alla Lord Technologies e sono riuscite a rubarmi qualcosa?».
«Sì, io…», abbozzò una risata che cercò di dissimulare, attenta con lo sguardo a Carina Carvex che usciva dal bar, prendendo un cellulare e rimettendoselo in tasca: la vide guardare a destra e sinistra e dopo attraversare la strada davanti a lei, così cercò di nascondersi, abbassandosi sotto il volante.
«Oh, dunque ne eri al corrente», sembrò sbalordito. «Non dovrei ricordartelo io, ma sei un'agente».
«Un'agente federale», ribatté, rialzando la testa e accendendo il motore per seguirla: era a piedi, perfetto. «Non ci occupiamo di piccoli furti. E tu non hai denunciato, mi pare».
Lui ridacchiò. «Touché, Alex Danvers», esclamò. «Non volevo metterle nei guai per una cosa da nulla. Ma ammetto che questo loro cercare di mettermi il bastone tra le ruote inizia a darmi fastidio».
Carina Carvex riprese in mano il cellulare: Alex la vide cercare qualcosa e portarselo all'orecchio, per poi rimetterlo subito via. Passeggiava, non aveva fretta. «A metterle nei guai… E io che credevo non volessi semplicemente la polizia tra i piedi mentre procedevi con i tuoi loschi affari».
«Loschi? Mi ferisci», cantilenò.
La seguì fino a una chiesa. Alex assottigliò gli occhi mentre la vide dare una monetina a un uomo che mendicava davanti al passaggio, chino ai suoi piedi. Carina Carvex entrò dal portone e lei fermò la macchina dall'altro lato della strada, lasciandosi andare a uno sbuffo seccato. «Beh, le ragazze non cercano di metterti il bastone tra le ruote perché sei loro antipatico-».
«Sono antipatico?».
«Un po'. A volte. Ma non è questo, Maxwell: Lena ha analizzato le pillole e la formula che ti hanno rubato e ha scoperto che potresti creare notevoli danni ai militari. È molto rischioso, per questo devi annullare tutto».
«Sì… sono a conoscenza di questo inconveniente: si parla di una minoranza ristretta e sono sicuro di poter risolvere prima di siglare l'accordo», spiegò, «Ci sto lavorando ormai da tempo e sono a una svolta, non sono uno sprovveduto. E questo grazie anche al contributo di tua sorella, certo. Parlo della bionda».
«Mia sorella?», Alex si voltò verso il cellulare di scatto. «Cosa c'entra?».
«Kara non te ne ha parlato?», intonò gioviale. «È curioso come proprio lei che è stata la prima a venirmi contro, sia stata anche l'unica ad avermi dato un serio aiuto per quanto riguarda la realizzazione di questo principio in più che sto sviluppando come rimedio. Kara è parte di quella ristretta minoranza».
Alex provò un brivido. «A-Arriva al dunque, Maxwell: come ti è stata d'aiuto mia sorella?». La rivide nei suoi pensieri, a come fosse agitata e insistente per fermare quell'accordo. Non voleva crederci.
«Mi dispiace, non avrei voluto essere io a dirtelo, pensavo ne aveste già parlato: Kara ha assunto le mie pillole rosse per un periodo, facendomi da cavia. Mi è stata davvero molto utile e non finirò mai di ringraziarla». Alex restò immobile, a bocca aperta. «Se me lo avessi chiesto, invece di partire in quarta, ne avremo parlato tranquillamente e magari davanti a un buon caffè».
«Devo… Devo andare». Deglutì e mise su una faccia seriosa, rimettendo in moto la macchina e staccando la telefonata. L'auto si allontanò svelta e, dopo poco, Carina Carvex uscì dal portone della chiesa, con le mani nelle tasche dei pantaloni e guardando in sua direzione. Sorrise divertita, tenendola d'occhio fino a sparire.
C'era stato un periodo, e lo ricordava bene, in cui Kara si comportava in modo strano, diverso dal solito. Pensava fosse perché lei e Lena non stavano insieme e aveva scoperto il collegamento dei Luthor e l'organizzazione, ma a quanto pareva c'era dell'altro a scombussolarle la testa. Maledizione; strinse per bene il volante, girando a una curva. Doveva saperlo in quel modo? Da Maxwell Lord? Le inviò un messaggio per sapere dove si trovava e accelerò. Una volta al dormitorio, salì le scale con il cuore che le batteva in gola e ogni volta che deglutiva le bruciava. Era arrabbiata, ma soprattutto spaventata. Era una parte di quella minoranza? Poteva farle molto male e lei non aveva pensato di includerla. Maggie la stava tagliando fuori, Kara lo aveva fatto prima di lei. Era già stremata da quella situazione, non poteva sopportare oltre. Bussò e attese. Bussò di nuovo, più forte, e Megan le aprì. La salutò e si buttò dentro, trovando la sua sorellina sul pavimento tra un letto e l'altro immersa in un mare di fogli e foglietti. «Cosa cavolo stai facendo?».
«Sto… cercando delle cose», affermò senza guardarla, leggendo un foglio e mettendolo alla sua sinistra. Megan le si sedette vicino, ricominciando ad aiutarla. «Perché sei corsa qui? Hai parlato con Lord?».
«Oh sì, ci ho parlato con Lord», si portò le braccia a conserte. «Spero tu non sia tanto impegnata da non poter rispondere a questa domanda: le pillole di Lord, per quanto tempo?».
Megan la guardò curiosa e Kara spalancò gli occhi, sbiancando. Pian piano, alzò la testa verso la maggiore. «Ah… Ops».
«Ops?», sollevò un sopracciglio.
«Te… Te lo ha detto lui?». Si tirò in su gli occhiali, nervosa. «Ma certo», strinse i denti, «Te lo ha detto per sviare l'argomento accordo con Lane».
«E tu invece quando pensavi di dirmelo? Avrei preferito- Accidenti a te, Kara», si interruppe e ansimò, fino a inginocchiarsi e abbracciarla di colpo, sotto lo sguardo perplesso di Megan che, facendo finta di estraniarsi, continuava a smistare fogli. «Per fortuna stai bene… Sei stata-così-sconsiderata», dopo le batté contro una spalla e Kara si lamentò, cercando di tirarsi indietro. «Non so cosa farei se ti capitasse qualcosa, lo sai».
«Scusa, sorellona».
«Scuse non accettate: sono contenta che stai bene, ma sono lo stesso molto arrabbiata. Se me lo avessi detto, avrei saputo cosa rispondere a Lord e alla sua sfacciataggine. Dovremo essere una squadra, noi due. Ti sarei stata vicino e- oh», le balenò il pensiero, «immagino l'abbia fatto Lena», concluse, vedendola arrossire. Kara fece una smorfia, annuendo. «Per questo sei così», aggrottò lo sguardo e strinse i denti, «così testarda dal fermare quell'accordo a ogni costo? Cosa ti ha fatto?».
Kara abbassò la testa e Megan scrutò il suo sguardo, continuando a controllare i fogli uno dopo l'altro. «Ero… molto arrabbiata», si limitò e i suoi occhi si posarono su un foglio in particolare: ne aveva trovato uno, finalmente. Lo prese e glielo passò, lasciando che si sistemasse meglio con le ginocchia. Mentre sua sorella era impegnata con la lettura di quelle analisi, Kara riprese a parlare, fissando un punto vacuo nella stanza. «Ho commesso un gravissimo errore», deglutì. «Non mi sentivo bene, non riuscivo a dormire e volevo solo… non pensare. Dovevo essere lucida, capitemi», scosse la testa, «perché non potevo permettermi di abbassare la guardia ed ero così presa da me stessa che… A-Avevo già preso una di quelle pillole, al suo locale a Gotham. Era stata Roulette a mettermela nel bicchiere. Quelle mi avrebbero permesso di concentrarmi senza pensare alle cose che affollavano la mia testa e l'ho aiutato. Maxwell Lord mi ha dato quelle pillole perché io gliele ho chieste», si voltò verso Alex, sguardo duro. «L-L'ho aiutato a realizzarle senza nemmeno rendermi conto dello sbaglio che stavo commettendo! Non voglio che quelle pillole create anche grazie a me finiscano nelle mani sbagliate, Alex! Se quei militari dovessero sentirsi male… Sono pericolose e-e lo erano ancora prima che diventassero come quelle controllate da Lena e Lex. Devo fermarli».
Alex abbassò il foglio e dopo gli occhi, riabbracciando sua sorella. «Ce ne sono altri?», glielo indicò. «Vi aiuto». Vide Kara sorriderle e ringraziarla, portando un po' di quei fogli dalla sua parte.
Megan, che fino a quel momento era stata zitta, passò loro un foglio con le analisi. «Dunque… ti drogavi?».

Pinzarono tutti i fogli interessati, con il logo della Lord Technologies bene in vista. Erano quasi le diciotto e Alex decise di riportare Kara in villa, sperando di andarsene in tempo per l'arrivo della loro madre dall'aeroporto. Sarebbe andata a salutare lei e Lillian l'indomani, aveva già sufficienti parenti da sostenere per un'unica giornata. Al suo fianco, Kara era di nuovo soprappensiero e fissava il finestrino: aveva provato a telefonare a quella Lucy Lane e, per quanto infastidita dal tema della conversazione, le era stata a sentire, ammettendo di non saperne molto e che ne avrebbe parlato a suo padre; il problema arrivò poco più tardi, quando la chiamò lei per dirle che l'uomo era stato a una dimostrazione e che ne era entusiasta tanto che non avrebbe bloccato per niente al mondo quell'accordo. Ma Alex sapeva che, per quanto avrebbero tentato di buttarla giù, la sua sorellina non si sarebbe arresa. «Ehi», attirò la sua attenzione. «Devi promettermi una cosa, Kara. Anzi, dobbiamo promettercela entrambe», aggiunse, guardando avanti. «Lo so che non sono stata un'ottima sorella a nasconderti del mio lavoro; che ti ho tenuto nascosta una cosa grandissima, anche se per te, e mi dispiace, Kara, lo so che… che è una cosa che ti è rimasta impressa, anche se è passato del tempo. Abbiamo cercato di tornare come prima, ma…», la stava guardando, la intravedeva con la coda dell'occhio. «Adesso, facciamolo davvero… Finiamola di comportarci così».
Kara serrò le labbra. «Come quando non mi hai detto della pistola di Lena?».
L'altra fece una smorfia con le labbra. «Era giusto che te ne parlasse lei, ma sì… okay. Non importa se tutte e due abbiamo tante cose che ci riempono le giornate, io… rivoglio mia sorella», puntualizzò e le sembrò che sorridesse.
Arrivarono in villa a momenti e spalancarono gli occhi quando si accorsero di un'auto parcheggiata al centro del vialetto: Ferdinand l'autista stava tirando giù i bagagli. Era troppo tardi.
«Le mie ragazze», all'ingresso, Eliza corse in loro direzione tenendo le braccia spalancate e le abbracciò insieme, stringendole. Le due ricambiarono lentamente.
«Non vi aspettavamo prima delle diciannove, diciannove e venti», Alex controllò l'orologio.
«L'aereo ha fatto presto», sorrise la donna, accogliendo nelle mani il viso di una e poi dell'altra. «Guadatevi. Mi siete mancate così tanto».
Dietro di lei, Lillian stava dando indicazioni a Ferdinand su dove posare i bagagli, e dietro di lei ancora, Lena cercava di parlare a Kara con gli occhi. Indigo era poco più indietro, verso il divano. Si teneva ben distante dalla scena, subendo crampi allo stomaco dal panico che non poteva esternare.
Lillian si avvicinò per salutarle e Kara ne approfittò per svignarsela non appena la donna abbracciò Alex.
«Indigo ed io abbiamo sistemato un po' la camera in cui dorme», Lena bisbigliò a Kara non appena l'ebbe vicina, prendendola a braccetto. «Ho detto alle nostri madri che è un'amica, non sanno che dormirà qui. Mia madre prima la fissava, non so quanto potrà-».
«Oh, lo devo dire…», la voce di Eliza la interruppe e tutti si voltarono verso di loro, mettendole in imbarazzo. «Sono tanto fiera di voi, ragazze», sorrise e corse ad abbracciarle di nuovo, con le lacrime agli occhi. Lillian invece preferì non esprimersi, proseguendo a dare ordini a Ferdinand.
Indigo aveva il respiro affannoso e sperò che nessuno se ne accorgesse. L'autista non la guardò neppure un istante, facendo il suo lavoro senza dire una parola. Lei non faceva a meno che pensare all'incidente, all'avvertimento, alle sue mani grosse e pesanti che le stringevano le caviglie, al panno contro la bocca per farle perdere conoscenza. Perché lui, perché lì… Chiuse gli occhi, ricordando il momento in cui scappò dall'incidente.
«Le signore stanno per tornare e io sarò di nuovo in servizio», le aveva detto col solito tono, «Tu dovrai fingere di non avermi mai visto. Sono il loro autista». Ferdinand aveva abbassato la testa e si era mosso per tornare indietro, ma lei aveva trovato il coraggio di fermarlo:
«Il loro autista? Lavoro per lui o per loro?».
Lui aveva sorriso per la prima volta. «Per chi paga».
Indigo deglutì e tornò un altro passo indietro, sbattendo sul divano e finendo per sedercisi e spalancare gli occhi, adocchiandolo. Quell'uomo fingeva perfino meglio di come riuscisse lei. Lena si voltò e le fece uno strano sguardo, come se si stesse chiedendo cos'avesse. Doveva essere pallida. Si sentiva come dentro a una gabbia e, in un attimo, le mancò il fiato. Doveva allontanarsi e doveva farlo subito. Si rialzò e, a passo felpato, dietro a tutti, raggiunse le scale. Non si accorse dello sguardo di Alex e dopo quello di Kara che la seguirono. La trovarono appoggiata contro una parete in corridoio, che si reggeva il petto. Ma i loro sguardi sembravano tutto fuorché premurosi.
«Cerchi qualcosa?», attaccò Kara, avvicinandosi.
«Ti sei persa?», le fece invece Alex, «Perché noi siamo tutti di sotto».
Indigo cercò di calmare il proprio cuore, di ritrovare la sua sicurezza. Prima o poi, sapeva che sarebbe successo, anche se non poteva lodare il loro tempismo. Sfortunatamente, non poteva proprio dire loro la verità. «Dovevo cambiare aria. C'è troppa gente e non mi piacciono i luoghi affollati».
«Eppure lo spazio è grande», sospirò Kara, guardando la sorella.
«È ora di tirare fuori il sacco, Indigo», sollecitò lei, vicino. «Perché non ci parli del tuo garante».
«Di come non sei scappata da lui. E di cosa vuole da Lena, una volta per tutte», concluse l'altra, seria.
«Non so di cosa cavolo state parlando, voi due».
«Oh, noi crediamo tu lo sappia eccome», insisté Kara.
«Perché tutta questa attenzione su di me, adesso? È tornata vostra madre». Le sorelle la guardarono duramente e Indigo non resistette alla tentazione di formare un sorriso, mostrando loro che non aveva paura, che non era pronta a lasciarsi sopraffare. «Adoro i team-up. Ma purtroppo per voi non ho nulla da dirvi, dolcezze, la mia versione già la conoscete».
«E andrebbe bene se non fosse una bugia», intervenne Alex, intanto che Kara rifletteva sul da farsi.
«Lavori ancora per lui, lo sappiamo. Facciamo così: noi non ci arrabbiamo, okay? Vogliamo solo-».
«Okay?», chiese incerta la maggiore, «Non ci arrabbiamo?».
Kara serrò le labbra con forza e non cedette, diretta a Indigo: «Non ci arrabbiamo! Vogliamo solo la verità, sapere che cosa vuole da lei perché, beh, perché se è vero che ci tieni, allora ce lo dirai. Ricordati che io so qualcosa che tu non vuoi che Lena sappia: non vorresti che fossi costretta a parlarle di quelle foto».
Indigo spense a breve il suo sorriso, ma si rafforzò la sua sicurezza quando intravide dietro di loro Lena, con le braccia a conserte.
«Kara?». La voce era austera ed entrambe si fermarono come colte sul fatto, ma lo sguardo di Lena restava focalizzato solo su una delle due sorelle. «Ti avevo chiesto di lasciarla stare», scosse la testa con delusione. «So di quelle foto, me lo ha detto. Lei ci parla con me e mi ascolta».
Kara impallidì e per un attimo Alex si sentì di troppo. Lena si voltò per tornare alle scale intanto che Indigo sorrideva a Kara con pura soddisfazione, avanzando un passo verso di lei, gongolando: «Ho giocato d'anticipo, scusa. Ti aspettavi davvero che mi sarei lasciata ricattare da te?». Le sorpassò sbattendo di proposito contro le loro spalle, camminando in mezzo, per poi scendere le scale a fianco dell'altra, sperando che quel Ferdinand se ne fosse andato.
«Non volevo... non volevo ricattarla», brontolò. «Sembrava un ricatto?».
«Eh, sì. Sembrava proprio un ricatto, sorellina», sollevò le spalle.

Alex se ne andò poco dopo. Eliza e Lillian provarono a invitarla a cena, ma ne aveva già una molto impegnativa ed era in ritardo. Maggie l'avrebbe uccisa se l'avesse lasciata sola con loro. L'indomani le due donne si sarebbero trasferite per l'estate in casa Danvers-Luthor ed Eliza si infastidì non poco quando le dissero che non ci sarebbero state poiché avevano in programma di andare a Metropolis. Senza dimenticare che entrambe avevano ancora impegni con l'università e sarebbe stato meglio non muoversi, per essere più vicine. Lillian non insisté come se, da parte sua, non fosse poi un dramma, al contrario. Dopotutto notarono come si sentì un po' a disagio per tutta la cena, non mancando di concentrare il suo sguardo a Indigo un po' troppo a lungo. Con la scusa di doverla salutare, dopo cena, Lena accompagnò la ragazza fuori, lasciando Kara a rimuginare.
Era infastidita dal suo comportamento ma non poteva non ammettere che, in fondo, se lo aspettava, ripensando alla faccenda delle pillole rosse e al suo temperamento. E proprio ripensando a quello, e a Lillian al fianco di Eliza, che iniziò a pensare. Aprirono il cancello e restarono lì fuori qualche minuto, in silenzio, fregandosi le braccia per via del fresco vento leggero. Kara si sentiva responsabile per quelle pillole, voleva rimediare a un terribile sbaglio. Lena ingurgitò saliva, fissando con severità un albero, in lontananza. Ripensò alla pennina usb e a quelli dei suoi genitori, sbagli terribili e ingiustificabili. Guardò Indigo e vide che stava per aprire bocca, così la anticipò: «Devo chiederti… un favore».
Lei si fece curiosa. «Qualsiasi cosa».
Forse spettava a lei non rimediare, ma cancellare quegli sbagli che erano molto più che sbagli. «Quando puoi», la guardò negli occhi, «devi contraffare i dati sulla chiavetta che riguardano i miei genitori. Non dovranno risultare colpevoli. So che Clark Kent e Lois Lane hanno fatto una copia».
Indigo sorrise. «Ci penso io. Con una connessione a internet, arrivo ovunque. Lo sai». Il piano del suo angelo custode era vicino a compiersi, pensò.


***


Eliza e Lillian dormivano, erano andate a letto presto dalla stanchezza, Indigo era chiusa nella sua cameretta, a chiave, e dopo essere uscita dal bagno, Kara rientrò nella camera di Lena. Chiuse la porta piano, iniziando a camminare verso il letto a tentoni, per via del buio: aveva già spento tutto, si aspettava i libri al centro del copriletto. Un passo troppo corto e mise male un piede, facendo scivolare il tappeto e sbattendo le ginocchia contro il legno del letto. Imprecò in silenzio, passando dall'altra parte. Allora gattonò fino al suo lato, infilandosi sotto il lenzuolo. Pensò che Lena doveva essere ancora stanca e dormire ma, appena si sistemò, le braccia dell'altra la raggiunsero. Si voltò per ritrovare il suo viso, cercando di capire se fosse arrabbiata. «So che-».
Lena la interruppe subito, diretta: «Non chiedermi scusa».
«Oh… Okay?!».
«Ti avevo chiesto di lasciarla stare e non lo hai fatto, non voglio le tue scuse perché so che lo rifaresti. Va bene», sospirò infine con pesantezza, continuando a parlare a bassa voce. «Non posso farci niente, Kara, sei inamovibile: fino a quando non ti sarai assicurata al cento per cento che lei è a posto, continuerai a stare in guardia. Una delle cose che più amo di te è il non arrenderti», le accarezzò una guancia, sorridendo. «È importante per te e non voglio cercare di cambiarti. Per questo ti ho suggerito di andare da Lex, perché lo so, non puoi farne a meno. Ti chiedo solo una cosa».
«Lo farò! Sono stata avventata, con Alex, e vedrò di stare più attenta a lei, so che ci tieni e Indigo… Indigo… la sopporto, diciamo, non è-», si mangiò le parole, «Ma voglio assicurarmi che non ci tradisca perché lei è qui e… e noi parliamo di cose importanti e… Vuoi che non abbia ascoltato quando parlavamo di Lane, delle pillole e di Lex?». Prese fiato. Lena la guardava attentamente. «Voglio assicurarmi che sia dalla nostra parte, che sia dei nostri».
«È qui da un po', Kara».
«E non è successo nulla, lo so, ma potrebbe non voler dire niente. Perché se lei sta fingendo e-e non è solo per cosa parliamo davanti a lei, okay? Ma…», si morse il labbro inferiore, «le vuoi bene. E non potrei sopportare che ti ferisca». La verità, nient'altro che la verità spogliata di tutto il resto.
Lena smise di accarezzarle la guancia e avvicinò il viso al suo per baciarla. Lenta, le prese un labbro e dopo l'altro, mentre entrambe socchiudevano gli occhi e si lasciavano andare, inspirando. Si portò sopra di lei e Kara la strinse sui fianchi. «Hai ragione», riprese ad accarezzarle la guancia, «Le voglio bene». Abbassò gli occhi e appoggiò la testa sotto il suo mento, lasciandosi abbracciare. «Non sono molte le persone che possono dirsi mie amiche e lei ha conosciuto mio padre; mi piace parlare con lei, Kara, e mi ascolta, mi supporta… Mi fido di lei. Ciecamente. Capisco il tuo volermi proteggere, ma cerca di capire che se Indigo mente e mi prende in giro…», disse in un brusio, «sarà stata mia la decisione di fidarmi».
Indigo contrasse le labbra, ascoltando la lontana voce di Lena attraverso il suo cellulare. Era seduta sul letto, seria.
«Non tua», mormorò Lena attraverso l'apparecchio. «Non devi proteggermi dalle mie decisioni, o dai miei sbagli, anche se… lo apprezzo. E non sai quanto ti amo per averlo detto», prese una pausa e l'audio registrò il rumore di qualcosa che si spostava. La voce si fece ancora più tenue, quasi difficile da comprendere. «Ascoltami, accetta le mie decisioni anche se non ti piacciono e, se poi avrò sbagliato, stammi vicino. Avrò bisogno di te».
Indigo strinse il telefono con rabbia e interruppe l'applicazione. Allora spense il monitor e lo gettò a terra, facendolo volare contro un piccolo armadio. Diamine, pensò, stringendo gli occhi e passandosi una mano sulla fronte. Era una spia, le avrebbe portato sofferenza. Quando aveva lasciato la casa di Carol e Noah, era convinta che sarebbe bastato starle vicino per salvaguardarla, ma ora che c'era tanto vicina il pensiero le provocava un fastidio mai provato. Le avrebbe fatto del male e non poteva farci niente.
Kara accettò, lasciandole un caldo bacio sui capelli.
«E se invece a sbagliare dovessi essere tu…», proseguì Lena, rialzando la testa per adocchiare il suo viso, «lo accetterai, mi dirai che mi ami», la intravide sorridere, «mi ricorderai quale persona meravigliosa io sia», allora Kara rise, «e io ti bacerò, Kara Danvers. Ti bacerò tantissimo. Perché sei fatta così e io amo quel così».
«Non dobbiamo aspettare che mi sbagli su qualcosa per dirti che ti amo e che sei una persona meravigliosa», contestò veloce e la strinse più forte; chiusero gli occhi e aprirono la bocca per cingersi in un lungo bacio. Kara infilò la mano destra sui suoi capelli corvini, accarezzandola.
«Ti sei fatta male?».
La guardò e increspò la fronte.
«Le ginocchia», sussurrò e l'altra rise, buttando la testa all'indietro. «Un bel tonfo».
«E aspetti ora per preoccupartene?».
«Prima dovevo fare quella arrabbiata». Riabbassò la testa, appoggiandola di nuovo sotto il suo mento.
Restarono così, in silenzio e quasi sul punto di prendere sonno, intanto che i pensieri affollavano le loro menti stanche.
«Le voglio bene anch'io».
La sua voce era stata quasi un soffio, ma sicura. Lena decise di non dire niente e, rialzando appena la testa, le stampò un bacio su una spalla, richiudendo gli occhi.































***

Ed eccoci tornati! Vi è piaciuto il capitolo? Con questo, ritorniamo di pieno ritmo alla trama principale, seguendo i punti di vista di vari personaggi e loro problematiche:
Maggie pare si sia decisa a voler tagliare Alex dai risvolti della sua missione e quest'ultima non la prende proprio bene, finisce per parlarne con Carina Carvex e dopo fa una scoperta non felicissima su Kara da Maxwell Lord. Che dite, lui gliel'ha detto con innocenza o lo ha fatto di proposito? E che dire invece di Carvex? Fingerà, non fingerà? Sappiamo che lavora per Zod, però. E povero assicuratore!
Lillian ed Eliza sono tornate a casa e Lena, pensando proprio anche alla sua madre adottiva e al matrimonio delle due, ha ben chiesto a Indigo di cancellare le prove che vedono lei e Lionel immischiati in brutti affari nell'organizzazione. Si tratta di passato, dopotutto, no? Suo padre è morto e non può più pagare, mentre Lillian si sta rifacendo una vita molto diversa… D'altra parte, far cancellare quei dati è ammettere che erano colpevoli e Indigo è convinta che sia un segnale del compimento del piano del suo angelo custode che vuole mettere la ragazza contro i Luthor. E Indigo in realtà non è che ne sia poi entusiasta; pensava sarebbe stato facile restarle vicino al momento del crollo, ma Lena si fida e lei sta entrando in crisi perché sa che la farà soffrire. Indigo non vede vie d'uscita!
E qui abbiamo Kara che vorrebbe proteggere Lena anche dalle sue stesse decisioni e affetti. Non le dispiace avere Indigo in giro e ormai lo ha praticamente ammesso, ma non riesce a fidarsi di lei e ci si mette anche Alex a darle manforte. Senza dimenticare il suo temperamento verso quelle pillole che sente quasi come una sua responsabilità. Quell'accordo va fermato! Ma ci riusciranno o sarà troppo tardi?
E ora parliamo di Ferdinand: autista di fiducia dei Luthor, incubo di Indigo, che offre servigi a… chi paga. Parole sue. Ve l'aspettavate?


Nota ~

- Ferdinand. Ovviamente.
So del doppiogiochismo di questo personaggio da un beeeel po' di tempo, ma lui era un'ombra, un personaggio sempre presente a cui nessuno mai ha fatto caso, neanche voi lettori, eppure c'è un punto particolare nel capitolo 53. Di piani segreti e traumi di cristallo che è strano, ma a cui nessuno ha badato.

Ecco, non c'era Marielle, e nemmeno Ingrid, ma per poco non le sorprese l'autista di famiglia, Ferdinand. Credevano non lo avrebbero rivisto finché Lillian ed Eliza non fossero tornate dal loro viaggio di nozze e per poco Kara non cadde in un'aiuola per scansarsi in tempo da Lena e non ripetere la briosa esperienza avuta con la giardiniera. Ne uscì che aveva sbagliato giorno, convinto che le signore sarebbero tornate quella mattina.
«Figurati», incalzò Lena, mettendo le braccia a conserte. «Ti avrebbe chiesto di andarle a prendere all'aeroporto».
Lui abbassò la testa, sospirando appena. «Ha senza dubbi ragione, signorina Luthor».
Chiese loro se volessero essere accompagnate e, a risposta negativa, se ne andò quasi con la coda tra le gambe.

Ferdinand passava come l'ennesimo caso di personale dei Luthor che si trovava lì per caso e oh, per poco non le beccava, ma Ferdinand non stava lavorando per i Luthor in quel periodo perché Lillian ed Eliza non c'erano, non poteva essere un caso come la giardiniera, a meno che non fosse una persona sbadata e avesse davvero sbagliato giorno, ma…

Voce da soprano, adatta al suo fisico possente. Kara rise, poiché da quando lo conosceva, quella era la prima volta che lo sentì parlare tanto a lungo, mentre Lena era convinta che la vacanza di Lillian avesse sbalzato la sua routine: non era solito sbagliare giorni, era sempre stato molto attento e preciso.

Ferdinand non sbagliava. La risposta era già lì: non sbagliava. Si trovava lì per una ragione ben precisa, infatti, ed era parlare con Indigo prima del suo ritorno in servizio, ma pensava di trovarla da sola: Kara e Lena dovevano uscire e Indigo doveva aspettare Alex in villa.

Videro arrivare Alex in auto quando loro uscivano, quella di Ferdinand ancora vicina. Si salutarono, prendendo la direzione opposta.

Lui era lì. Stava aspettando che le due si allontanassero ma Alex era arrivata troppo presto, rovinandogli i piani. Per il resto, Indigo non era mai sola e lui non aveva scuse per presentarsi in villa e parlarle.
Potrei inoltre dire che sembrava quasi una “forzatura” per fare la scenetta, l'autista che sbaglia giorno e casualmente per poco non scopre le protagoniste in effusioni intime, ma le forzature cerco di smussarle quando mi servono alla trama e in questo caso nemmeno serviva alla trama, quindi il suo essere lì serviva ad altro. Occhio a queste cose perché mi piace giocarci :P (A meno che non siano errori… e quello può sempre essere XD)
Ma lo so, lo so, Ferdinand è un personaggio “ombra” anche perché è un OC, magari lo si considerava solo come un personaggio di sfondo e non “giocabile”. Anche se, poco a poco, ho tentato di dargli importanza e una caratterizzazione, basta anche solo pensare al capitolo 19. Qualcosa da nascondere, in uno scambio di battute tra Kara e Lena.

«Ferdinand lavora anche nelle feste?», chiese allora Kara, abbassando ancora di più la voce squillante quando lo vide raggiungerle.
«Vive solo, non ha famiglia a cui tornare», le rispose, scrollando le spalle, «Gli chiediamo se è disponibile e lui si fa trovare pronto».

Perché cercare di caratterizzare un personaggio di sfondo? Lo sapevo già durante quei capitoli, ovviamente, molto prima perfino di sapere che avrei aggiunto Indigo alla fan fiction, per dirne una.
Per il resto, oggettivamente non credo ci siano altri momenti in cui avreste potuto “captare” qualcosa di strano sul suo personaggio, o non mi vengono in mente. O meglio sì, ce n'è uno, fa sempre parte del suo doppiogiochismo, ma riguarda altro e… stay tuned!
Che poi accidenti, la rivelazione di Ferdinand sarebbe dovuta avvenire in un altro contesto com'era stata concepita agli inizi, ma vabbeh, se ci sarà, resterà sempre una rivelazione ma solo per i personaggi, presumo.


E ora eccoci qui. Avrei voluto pubblicare almeno un altro capitolo prima di annunciare la pausa ma non ho fatto in tempo e, siccome anche il titolo ancora non mi convince e potrei cambiarlo in corso d'opera, non ve lo posso rilasciare come al solito. Sorry.
E allora pausa, si va in pausa! Una pausa a tempo indeterminato, come avevo spiegato. Conto di pubblicare il capitolo successivo a questo appena potrò e, chissà, potrei tornare prima ancora di aver finito di scrivere tutto quando mi andrà! Semplicemente. Per questo tenete d'occhio l'introduzione alla fan fiction perché lo scriverò ovviamente lì e, forse forse, se interessa (e se mi viene in mente, soprattutto XD), potrei scriverlo nelle mie storie su Instagram al profilo 'dragonmanuart'. Giusto perché è più pratico! Occhio, non vi sto chiedendo di seguirmi, potete anche solo controllare le storie ogni tanto, anche perché lì pubblico solo disegni e potrebbero non interessarvi ;)

E vi lascio così, senza un titolo, ma con un grazie e a un alla prossima ~





GOOD NEWS, PEOPLE! Our home sta tornando: il capitolo 59, Il prezzo da pagare, sarà disponibile sabato 7 marzo :3 Non mancate!





   
 
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