Broken Strings
Non
sapeva quanto tempo fosse trascorso. Era stato così sorpreso
dall’esito del test di gravidanza, da perdere completamente la
cognizione del tempo. John non sapeva che cosa pensare di quella
scoperta inattesa. Si riscosse quando una mano gli sfiorò
delicatamente una spalla. Solo allora si rese conto di essere seduto
sul pavimento del bagno, con la schiena appoggiata alla parete, le
gambe raccolte al petto e le braccia appoggiate sulle ginocchia. In una
mano stringeva ancora il tester, il cui colore blu testimoniava il suo
sorprendente risultato.
“John, stai bene? Sei
chiuso qui dentro da quasi dieci minuti. Ho bussato, ma non mi hai
risposto. Ho temuto che stessi male e sono entrato,” gli stava
dicendo un titubante Mike.
Il giovane Omega alzò
la testa, per guardare l’amico negli occhi: “È
positivo,” mormorò, incredulo.
“Cosa?”
“Il test. È
positivo,” ripeté John, con un po’ più di
convinzione. Era come se dicendolo ad alta voce la gravidanza
diventasse improvvisamente reale.
“Aspetti un bambino? Ma
è fantastico! Congratulazioni, John! Hai visto che ti stavi
preoccupando per nulla?” Sorrise Mike, pieno di entusiasmo.
“Già,” borbottò l’Omega.
“Non sei contento? Avevo
capito che tu e Sherlock voleste dei bambini,” l’euforia
dell’Alfa si ridusse notevolmente, scoraggiata dalla strana
reazione dell’amico.
“Sai che questi test
possono sbagliare. Devo fare il test delle urine, per essere sicuro.
Sì. Deve essere così. Il risultato del test è
sbagliato,” affermò John, in tono deciso, alzandosi e
tornando nello studio. Mike lo seguì, completamente confuso:
“John, scusa, fermati un attimo e parliamo. Perché il test
deve essere sbagliato? Ne hai fatti due. I risultati sono
diversi?”
“No. Sono entrambi positivi, ma sono ambedue errati. Deve essere così. Capisci?”
“A dire il vero, no. Non ti comprendo,” sospirò Mike.
John era tornato a chiudersi
in bagno, ma ne uscì in pochi minuti con una provetta:
“Ora la porto in laboratorio e faccio eseguire il test di
gravidanza. Vedrai che ho ragione e che risulterà
negativo,” sorrise, convinto. Doveva essere così. In quel
modo, Sherlock avrebbe potuto ripudiarlo, ottenendo la propria
libertà per unirsi a Irene. A quel pensiero, una fitta al cuore
trafisse il petto di John. L’aria si bloccò in gola, come
se non trovasse la forza di arrivare fino ai polmoni. L’idea di
perdere Sherlock era straziante, ma John era disposto a tutto, pur di
vederlo felice.
Anche a rinunciare a Sherlock, al suo Alfa, per sempre.
Broken Strings
John arrivò al
laboratorio di analisi leggermente trafelato, seguito da Mike, che
aveva fatto fatica a tenere il suo passo. La stanza era vuota. Il turno
dei tecnici era terminato ed era rimasta solo la responsabile, la
dottoressa Anne Curtis, che stava controllando alcuni risultati per
firmare le risposte, seduta alla scrivania nel suo ufficio. La donna
era una Alfa di mezza età, con corti capelli precocemente
ingrigiti e penetranti occhi neri. Era alta e magra. Portava
all’anulare sinistro la fede del suo primo e unico matrimonio. Il
suo Omega era morto da circa un anno, ma la donna non aveva ancora
superato il trauma per la perdita. Alzò gli occhi dalle carte
che stava leggendo, per osservare con curiosità i due uomini che
stavano entrando nella stanza: “Che cosa posso fare per voi,
signori?” Domandò, con un sorriso cordiale.
“Scusa il disturbo,
Anne, ma potresti eseguire un test di gravidanza? Un mio paziente ne ha
bisogno urgentemente,” rispose John, allungando la provetta.
La donna si alzò dalla
sedia, andando incontro all’Omega e alzando un sopracciglio:
“Un paziente, eh?” Ripeté scettica, prendendo il
contenitore.
“Sì. Un paziente.
Non è necessario che il test e l’esito risultino agli
atti. Penso io a informare l’interessato,” insisté
John, in un tono che non ammetteva repliche.
La donna osservò il
giovane per qualche secondo, come se stesse valutando la richiesta:
“Ti ricordi che l’aborto è illegale, vero,
John?” Chiese, con una punta di tristezza nella voce.
“Nessuno sta pensando di abortire. Questo te lo posso giurare sul mio onore,” la rassicurò l’Omega.
“Confermo,” si intromise Mike.
La donna prese la provetta e
si avvicinò a uno dei microscopi. Il tempo si dilatò
nuovamente per John. Sembrava che si rifiutasse di trascorrere. Avrebbe
voluto mettere fretta alla dottoressa, perché aveva
l’impressione che si stesse muovendo al rallentatore.
L’Omega riuscì a impedirsi di sbuffare o di incalzare la
donna, ben consapevole del fatto che fosse la sua ansia a rallentare il
tempo. Finalmente la Curtis terminò l’analisi e si
voltò verso i due uomini, con un sorriso felice sulle labbra:
“Congratulazioni, John. Stai per avere un bambino,” lo
informò.
John ignorò che Anne
avesse compreso che il paziente fosse lui. Si sedette su uno sgabello,
con un’espressione disperata sul viso.
Mike gli appoggiò una mano su una spalla: “Che cosa sta succedendo, John?”
“Sapete che Sherlock ed
io ci siamo sposati costretti dalla legge, non certo per amore. Avere
un bambino non era una nostra priorità, ma non abbiamo fatto
nulla per ostacolare un concepimento. Abbiamo lasciato che fosse il
fato a decidere se concederci un bambino oppure no. Avremmo accettato
qualsiasi esito. Almeno fino a oggi,” spiegò
l’Omega, con un sospiro.
“E oggi, che cosa è cambiato?” Chiese Anne.
“Oggi Sherlock ha
conosciuto qualcuno di cui potrebbe innamorarsi. Con questa gravidanza,
però, lo sto intrappolando in una unione che lui non ha voluto.
Quella legge è veramente assurda. Su questo pianeta siamo in
tanti, che bisogno c’è di costringere le persone a
sposarsi e a mettere al mondo dei figli? Perché non pensare che
si possa incontrare l’anima gemella a trenta o quaranta o
cinquanta anni?”
“Sei sicuro che Sherlock sia attratto da questa persona?” Domandò Mike.
“Sì,” mormorò John.
“Hai ragione. È
assurdo costringere persone che non si conoscono a sposarsi, ma io vi
ho visti insieme. Ho notato come vi guardate. E ti assicuro, John, che
ho visto coppie che si erano dichiarate eterno amore scambiarsi sguardi
meno complici dei vostri. Non puoi decidere che cosa provi Sherlock.
Devi parlare con lui. Dirgli della gravidanza. Vedrai che ti stai
sbagliando,” ribatté Mike, con veemenza.
“Io non conosco tuo
marito, ma so che questi matrimoni combinati possono creare tanta
insicurezza, soprattutto in un Omega all’inizio della gravidanza.
Sono d’accordo con Mike. Devi avere fiducia nel tuo Alfa e
parlare con lui. Anche io sono sicura che tu stia ingigantendo il
problema, che probabilmente nemmeno esiste. Vedrai che andrà
tutto bene,” concordò Anne, rassicurante.
John passò uno sguardo
da uno all’altra. Forse avevano ragione. Forse si stava
sbagliando. Forse aveva frainteso ciò che aveva visto. Sherlock
era sempre stato comprensivo e disponibile. Avevano sempre affrontato
tutto insieme e lo avrebbero fatto anche questa volta. Mike e Anne
avevano ragione. Doveva parlare con Sherlock. Pieno di ottimismo, John
salutò i due colleghi e tornò a Baker Street, sopprimendo
i propri timori e deciso ad avere completa fiducia nel marito.
Quando entrò nel
salotto, sentì aleggiare nell’aria il profumo di Irene,
mescolato a quello di Sherlock. I due odori si erano fusi in una
fragranza seducente e piacevole. Nell’appartamento regnava il
silenzio.
“Sherlock?”
Chiamò John, mentre una strana agitazione si impossessava di
lui. Nessuno rispose. “Sherlock?” Riprovò, andando
in camera da letto. Era vuota. Il dottore si rese conto di avere
trattenuto il fiato, fino a quel momento. Aveva temuto di trovare il
marito a letto con Irene, l’uno fra le braccia dell’altra.
Il fatto che la casa fosse vuota, spazzava via le previsioni più
nere di John, anche se la solita vocina fastidiosa ipotizzava che i due
Alfa fossero usciti insieme a pranzo, per festeggiare il loro amore
appena sbocciato. L’Omega stava per mettersi a cercare un
eventuale messaggio lasciato dal marito, quando sentì qualcuno
correre lungo la scala. La porta si spalancò e un trafelato
Sherlock irruppe nel salotto, come una folata di vento: “Lei
è qui?”
“Irene Adler?” Domandò John, interdetto.
“Certo che sto parlando di Irene Adler! Di chi altro potrei chiederti?” Ribatté Sherlock, furioso.
“Io vi ho lasciati qui e
sono andato al lavoro. Sono appena rientrato e non c’era nessuno.
Che cosa è successo?” Spiegò l’Omega,
tentando di non fare trapelare l’irritazione che provava.
“Se ne è andata!
– sbottò Sherlock, muovendosi irrequieto per la stanza e
alzando le braccia in alto, con un gesto irritato – Doveva
cambiarsi e le ho detto che poteva usare la nostra camera da letto. Ci
stava impiegando troppo tempo, così ho bussato, ma lei non mi ha
risposto. Quando ho aperto la porta, ho trovato la stanza vuota e la
finestra spalancata. Irene è fuggita!”
Sentire il marito pronunciare
il nome della donna fu una coltellata al cuore. John notò anche
che Sherlock era più preoccupato che arrabbiato: “Sono
certo che la signora Adler sia in un luogo sicuro. Mi è sembrata
una donna che sappia come prendersi cura di se stessa. Avrà un
posto in cui rifugiarsi fino a quando le acque si saranno calmate. Si
metterà presto in contatto con te,” rassicurò il
marito.
“Non sappiamo con chi
abbiamo a che fare. Potrebbe essere già nelle mani di chi le
stava dando la caccia e io non posso aiutarla!” Ringhiò
Sherlock.
“Dov’è il tuo cappotto?” Domandò John, notando che il marito non lo aveva indosso.
“Non lo so! Che
importanza vuoi che abbia? Devo trovare Irene! Forse Mycroft mi
può aiutare. Attraverso le sue telecamere, sparse per la
città, il mio grasso fratello ficcanaso vede tutto ciò
che accade a Londra. Stavolta potrebbe tornarci utile,”
borbottò, estraendo il cellulare dalla tasca della giacca.
John serrò le labbra,
per non ribattere bruscamente all’Alfa. Andò in camera da
letto, non sapeva nemmeno lui perché. La finestra era ancora
spalancata e entrava un vento gelido. Il tempo stava per cambiare. Si
avvicinavano nubi minacciose, che promettevano di portare una fitta
coltre di neve sulla città. Tornando verso la porta, notò
il cappotto del marito appeso al gancio posto sull’uscio. Lo
prese e lo portò con sé in salotto: “Il tuo
cappotto è qui. Forse la signora Adler ha lasciato qualche
indizio.”
Sherlock prese il cappotto
dalle mani di John e frugò nelle tasche. Il dottore vide il
marito impallidire. Quasi vacillando, il consulente investigativo si
lasciò cadere sulla sua poltrona.
“Che cosa c’è?” Chiese l’Omega, preoccupato.
Sherlock estrasse qualcosa
dalla tasca in cui era infilata la mano. John fissò il cellulare
senza capire. Che cosa c’era di così preoccupante in quel
semplice oggetto, ormai diffusissimo? Sussultò al suono
dell’arrivo di un messaggio. Il cellulare che Sherlock stringeva
in mano, però, non si illuminò. Fu allora che John
comprese la reazione del marito. Quello non era il suo cellulare. Era
quello di Irene Adler. Il prezioso telefono in cui la donna aveva
rinchiuso tutti i propri segreti. E l’assicurazione per la sua
sopravvivenza.
“Irene mi ha lasciato il
suo cellulare. Vuole dire che pensa di non riuscire a sfuggire a
chiunque la stia perseguitando. Forse ha registrato i segreti della
persona sbagliata e ora pagherà con la vita la sua
avventatezza,” mormorò, sconvolto.
“Non puoi esserne
sicuro, Sherlock. Forse lei ha lasciato qui il telefono affinché
tu lo custodissi. Probabilmente starà aspettando di valutare le
offerte dei diversi acquirenti e verrà a prenderlo quando
dovrà consegnarlo al vincitore dell’asta,” John
tentò nuovamente di rassicurare il marito.
“Come fai a non capire?
Troveremo presto il cadavere di Irene Adler! La sua morte sarà
il segno ineluttabile del mio più grande fallimento. Avrei
dovuto proteggerla. Invece lei si è consegnata al suo carnefice
per salvare noi,” ribatté Sherlock, in tono duro e gelido.
Con un gesto secco, lanciò il cappotto sulla poltrona di John e
fissò il cellulare di Irene come se volesse carpirne i segreti.
John osservava l’Alfa, con il cuore che batteva impazzito.
L’espressione ad un tempo atterrita e dura di Sherlock faceva
capire all’Omega quanto tenesse alla donna scomparsa. Non ci
voleva la mente geniale degli Holmes per comprendere che Sherlock si
fosse innamorato di Irene e che fosse disperato per la sua scomparsa.
“Il telefono è
protetto da una password. Riuscirò a trovarla e ad accedere ai
segreti di Irene. Quando saprò che cosa nasconde questo
cellulare, capirò chi la abbia uccisa e gliela farò
pagare,” sibilò Sherlock.
John si portò una mano
al ventre. Non poteva sentire muovere il bambino. Lui era solo un
minuscolo ammasso informe di cellule, che appartenevano sia a John sia
a Sherlock. Eppure, l’Omega sapeva di non potere rivelare la
notizia all’Alfa. Sentiva che non era il momento. Non poteva
distrarre il marito dal suo caso. Forse Irene era ancora viva e poteva
essere salvata. John se lo augurava, perché così avrebbe
potuto affrontare la sua rivale ad armi pari. Lottando per conquistare
il cuore di Sherlock con una antagonista pericolosa, ma viva. Forse
Irene era veramente morta e John doveva lasciare che il marito trovasse
il suo assassino, ottenendo giustizia per la bella Alfa. Solo
così Sherlock poteva lasciarsi il ricordo di quella donna alle
spalle e continuare con la sua vita.
“Non
è un bugia. È solo una piccola omissione. Rinviare
l’annuncio è un peccato veniale. Non può fare del
male a nessuno,” si disse John, per convincersi che la sua
decisione fosse giusta. Sapeva che stava facendo la cosa sbagliata.
Sapeva che era errato avere dei segreti con il proprio partner. Eppure,
in quel momento non vedeva altre possibilità. Nascondere
l’esistenza del loro bambino era l’unico modo che avesse
John per dimostrare a Sherlock il proprio amore. L’Omega
sussultò leggermente.
Amore.
Quella parola lo colpì
come un pugno nello stomaco, togliendogli il fiato. Lo folgorò
con la potenza del suo significato. Era inutile nascondersi. Non poteva
continuare a mentire a se stesso.
John amava Sherlock.
Era un sentimento cresciuto
nel corso del tempo. Iniziato come una forma di profonda amicizia e
grande rispetto, che si era lentamente evoluto, fino a diventare vero
amore. E per amore di Sherlock, John era disposto a qualsiasi cosa.
Anche a perdere se stesso.
Angolo dell’autrice
Uno dei due (ovviamente John,
visto che è quello che sta raccontando la storia) ha finalmente
ammesso di essere innamorato dell’altro. Naturalmente non poteva
essere tutto semplice. Non potevano parlarsi sinceramente o non
sarebbero stati loro. Inoltre, confessiamolo: a noi Johnlocker non
piace vincere facile. Ci sarà un po’ da penare, ma
sappiamo già che andrà a finire tutto bene.
Grazie a chi stia leggendo il racconto e la serie.
Grazie a chi stia segnando la storia in qualche categoria.
Un grazie speciale a emma_stone, paffy333 ed emerenziano per i commenti ai capitoli precedenti.
A domenica prossima. Perché sappiamo tutti che non ci siamo davvero liberati di Irene Adler. Giusto?
Ciao!
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