zalva
So think of me and
get on your way
Stavolta sono veramente nei guai: non avrei mai pensato di
essere arrestato e finire sulla volante della polizia, non per una
stronzata
del genere almeno. Sono sempre stato un individuo particolare e
irrequieto, ho
combinato non so quante bravate nella mia vita, ho rubacchiato qua e
là,
imbrattato muri e non sono mai stato beccato. Fino a oggi.
Osservo le vie – quelle che ormai, da navigato ragazzo di
strada quale sono, conosco a memoria – che scorrono fuori dal
finestrino e mi
domando quando potrò calcarle di nuovo, quanto questo stato
di arresto si
prolungherà. In genere me la cavo bene con le parole e la
persuasione, devo
solo sfoggiare il mio sorriso e il mio fascino per convincere la
polizia a
rilasciarmi, ma non posso negare che sotto stress tendo a cedere e non
rispondere delle mie azioni. Devo mantenere la calma, sì,
devo prendere dei
respiri profondi e convincermi che la situazione non è poi
così grave come
sembra.
Sposto lo sguardo sull’agente che staziona sul sedile del
passeggero, colui che mi ha arrestato, che si è presentato
come agente
Meddows-Taylor: avrà all’incirca una
trentina d’anni o poco più, porta i
capelli biondi non troppo corti e ordinati e sotto l’uniforme
blu scuro sembra
avere un fisico asciutto. A essere sincero, essere in stato
d’arresto in
compagnia di un tipo del genere non è affatto male, devo
ammettere che è
piuttosto carismatico e di bell’aspetto.
“Ragazzino, che hai da sogghignare?” mi apostrofa
proprio
l’agente che stavo osservando di sottecchi, lanciandomi
un’occhiata in tralice
dallo specchietto retrovisore.
Solo adesso mi rendo conto che ho messo su un sorrisetto
idiota, così cerco di tornare serio e scuoto il capo.
“No, niente…”
“Stai pensando a un modo per farla franca?” mi
domanda
ancora l’agente, voltandosi appena per potermi osservare
meglio.
Quegli occhi chiari, così duri e imperscrutabili, lo rendono
ancora più affascinante… ah, ma che mi prende?
Non posso pensare delle cose del
genere su uno sbirro, lui è il mio nemico!
Sorrido. “No, anche perché mi hai ammanettato
e… cazzo,
questi affari danno fastidio!” esclamo, facendo tintinnare
appena le manette
che mi serrano i polsi.
“Invece a quel pover’uomo dava fastidio il fatto
che gli
stessi per rubare la macchina. Quindi, come la mettiamo?”
ribatte
Meddows-Taylor, rimettendosi dritto sul sedile.
“Andiamo, era solo uno scherzo, tra l’altro non
è stata
nemmeno un’idea mia” cerco di sminuire la cosa,
utilizzando un tono di voce
allegro e conciliante. Dopotutto questo biondino mi sta simpatico, se
riesco a
ingraziarmelo riuscirò a uscire indenne da questa situazione.
“Ah, sì? Quindi avevi dei complici,
interessante” commenta
il poliziotto alla guida dell’auto, un tipo anonimo che non
ho avuto il tempo
di guardare in faccia.
Ecco, mi sono fottuto con le mie stesse mani, non dovevo
fare accenno al fatto che fossimo un gruppo di persone. Le regole della
strada
sono chiare: mai infamare e fare il nome dei propri fratelli
quando si
finisce nei guai.
“No, beh, non intendevo quello” borbotto,
mordicchiandomi il
labbro inferiore.
Vedo Meddows-Taylor sorridere in maniera quasi
impercettibile, forse pensa che sarà un gioco da ragazzi
farmi confessare la
verità.
“Come ti chiami?” domando, giusto per sviare il
discorso.
Il biondo lancia un’occhiata esasperata al suo collega,
sbuffa e ribatte col suo solito tono burbero: “Sei serio,
ragazzino? Te l’ho
detto prima: agente Meddows-Taylor”.
“Di nome, intendo.”
“Che te ne importa?”
Mi stringo nelle spalle. “Era giusto per fare
conversazione.”
Sospira. “Mi chiamo Roger, se saperlo ti fa stare meglio.
Invece i tuoi complici come si chiamano?” insinua.
È arrivato il momento di fare il finto tonto: anche se non
mi sta osservando, sbatto le ciglia un paio di volte per assumere
un’espressione innocente. “Quali
complici?”
“Che spiritoso.”
Il silenzio torna a regnare nell’abitacolo e si prolunga
fino a quando non giungiamo presso una grigia struttura che, immersa
nell’oscurità della notte, ha un’aria
spettrale e sinistra.
“Penso che ti converrà confessare, se non vuoi
trascorrere
una notte in cella” afferma l’agente
Meddows-Taylor, prima di scendere
dall’auto.
Ovviamente vengo scortato fino all’entrata
dell’edificio,
proprio come un temibile criminale: il poliziotto biondo mi fa scendere
dal
veicolo e, stringendomi i polsi dietro la schiena, si posiziona dietro
di me e
mi incita ad avanzare, mentre il suo collega che era alla guida ci fa
strada.
Non so cosa mi stia succedendo, ma sentire Roger dietro di
me, così vicino da percepire il suo respiro pesante tra i
capelli e il calore
del suo corpo, e poi le sue mani strette attorno ai miei polsi insieme
alle
manette, talmente forte da farmi quasi male… tutto questo mi
sta facendo uscire
di testa, provo l’istinto di abbandonarmi
all’indietro e incollarmi a lui.
È davvero paradossale, un ragazzo di strada che subisce il
fascino della divisa… ma non ci posso fare niente.
Questa cella è vuota, terribilmente vuota e triste.
È la
prima volta che trascorro la notte in carcere e spero che sia
l’ultima, detesto
tutto ciò.
In fondo ho soltanto diciannove anni, non ho commesso un
vero e proprio reato e sono stato collaborativo: dopo aver fornito le
mie
generalità e i miei dati anagrafici, ho raccontato per filo
e per segno la
vicenda; certo, non ho rivelato chi sono i miei complici e mai lo
farò, ma non
possono trattenermi per questo, tanto non servirebbe a niente
perché non lo
rivelerò mai.
È solo un peccato che a interrogarmi non sia stato
l’agente
Meddows-Taylor, mi sarei divertito un sacco con lui.
Sospiro e mi passo una mano tra i capelli biondi, ancora più
scarmigliati del solito, e le dita mi si impigliano tra le lunghe
ciocche
annodate. Sono davvero in un pessimo stato: i vestiti sgualciti, le
scarpe in
tela sudicie e consumate, il corpo troppo magro e dalle ossa
sporgenti… questa
vita di strada non mi fa affatto bene, sto fisicamente cadendo a pezzi
e so
che, continuando di questo passo, non andrò avanti per
tanto. Forse dovrei
cercare di risalire e salvarmi la pelle, prima che anche la mia anima
venga
corrotta; non posso essere finito in prigione a diciannove anni. Se
oggi la
passassi liscia, quante possibilità avrei di scamparla di
nuovo? Combinerò
qualche altra stronzata e sfuggirò alla polizia una, due,
tre volte… ma poi,
quando mi prenderanno di nuovo, che ne sarà di me?
Scruto per l’ennesima volta le pareti spoglie e scrostate,
la finestrella alta sbarrata da una grata e ascolto il silenzio
surreale di
quel luogo, interrotto solo da echi e rimbombi lontani nei corridoi
oltre la
porta; non voglio vivere in carcere, non voglio rischiare che il mio
futuro sia
racchiuso tra queste quattro mura.
Al solo pensiero, il cuore impenna nel mio petto e sento
mancare il respiro.
“Steven Adler.” Una voce familiare e tonante si
propaga
fuori dalla mia cella e il mio nome riverbera in maniera sinistra.
È il mio poliziotto.
Cosa vorrà da me?
Mi lascio sfuggire un sorriso mentre la porta della stanza
si apre.
Roger fa il suo ingresso nella stanza e mi lancia uno sguardo
severo e minaccioso, che io ricambio con altrettanta
intensità; l’uniforme blu
scuro mette in risalto la sua bellissima pelle chiara, riesce a essere
attraente anche sotto quella luce artificiale e ostile.
“Ehi, Roger” lo saluto con un cenno, restando
comunque
rannicchiato sulla scomoda sedia in plastica che ormai mi ospita da
chissà
quante ore.
“Allora, hai intenzione di confessare
qualcos’altro? Ci hai
riflettuto?” domanda bruscamente, richiudendo la porta alle
sue spalle per poi
incrociare le braccia al petto.
Scuoto appena il capo. “È stata una mia idea, ero
da solo”
ripeto per l’ennesima volta.
“Sai che potresti restare in carcere per intralcio alle
indagini?”
Abbasso lo sguardo.
“Non è stata una tua idea, vero?” Mentre
mi pone questa
domanda col suo solito tono fermo, Roger fa qualche passo verso di me.
No, non è stata una mia idea, è vero: sono stato
soltanto
una pedina, mi sono offerto volontario per provare a rubare
quell’auto… ma
l’idea era del gruppo, l’auto era per il gruppo. Io
da solo non riuscirei a
fare niente, né in positivo e né in negativo.
“Steven.” Inaspettatamente il tono di Roger si
addolcisce,
forse sta cercando di persuadermi. “So che non è
stata una tua idea, è inutile
fingere. Ho abbastanza esperienza alle spalle per riconoscere quelli
come te,
che mentono per proteggere i loro amici e lo fanno fino alla fine, ma
mi devi
credere se ti dico: quest’alleanza tra di voi è
destinata a finire presto.
Quelli che tu stai proteggendo, se finissero in una situazione del
genere, non
farebbero altrettanto con te, quindi ti conviene confessare prima
che…”
Sollevo il capo di scatto e gli lancio un’occhiata offesa e
ferita. “Non è vero, non lo farebbero mai. Tu non
li conosci.”
Nessuno deve permettersi di insultare i miei fratelli.
Roger sogghigna. “Chi dovrei conoscere? Di chi stiamo
parlando?”
Mi mordo il labbro inferiore; ci sono cascato di nuovo, ho
detto troppo.
L’agente ammorbidisce lo sguardo, i suoi profondi occhi
azzurri sono puntati dritti nei miei. “Tu non vuoi stare qui,
eh Steven? Non lo
meriti.”
Quelle parole, per quanto ovvie, mi colpiscono profondamente
e il mio cuore perde un battito, mentre avverto un fastidioso pizzicore
agli
angoli degli occhi. Per scacciare e nascondere le lacrime, mi metto in
piedi e
mi volto, dandogli le spalle e serrando gli occhi con forza.
“Se mai dovessi
fare i nomi dei miei complici e mi ritrovassi fuori da qui, sarei
completamente
solo, senza amici, senza una famiglia. Sei come tutti gli altri sbirri:
non è
vero che conosci queste situazioni, tu… voi non sapete un
cazzo, non avete idea
di cosa significa vivere così. Sarò un criminale,
ma mai un infame” affermo con
trasporto, cercando di mantenere la mia voce ferma e sicura, ma la
rabbia e la
frustrazione che montano dentro me la incrinano e la distorcono, le
ultime
parole vengono fuori strozzate. Non posso impedire a una lacrima di
rigarmi il
viso e sono felice di dare le spalle a Roger, sarebbe troppo umiliante
mostrarmi
a lui in tutta la mia debolezza. Forse… forse
perché, dopotutto, mi importa
quello che lui pensa di me, ci tengo a fare una bella impressione,
nelle
possibilità e i limiti di un delinquente in stato
d’arresto.
Eppure, mentre comincio a tremare per la tensione e scaccio
bruscamente quella goccia salata dalla mia guancia, spero con tutto il
mio
cuore che Roger mi si avvicini e mi abbracci, mi calmi e mi consoli.
Voglio le
sue attenzioni, il suo calore e soprattutto un punto fermo a cui
potermi
appigliare, adesso che il mondo mi sta crollando addosso per la
milionesima
volta durante la mia breve vita.
“Steven, girati. Guardami.” Roger muove qualche
altro passo
verso di me e mi sfiora appena la spalla. Nella sua voce non
c’è traccia della
solita ostilità, è come se per un istante si
fosse liberato dal suo ruolo di
poliziotto burbero.
Ci impiego qualche secondo a prendere coraggio, ma infine mi
volto r mi costringo a sostenere il suo sguardo, giusto per scorgervi
le sue
emozioni. Lo trovo inaspettatamente limpido, sincero, intenerito; il
suo è lo
sguardo di un padre che sta per parlare a un figlio.
Un’altra lacrima mi scorre sul viso e stavolta non posso
fare niente per nasconderla.
“Steven, tu non appartieni al mondo della strada, questa non
è la vita adatta a te e devi assolutamente uscirne in
qualche modo. I buoni
soccombono, lo sai? Anch’io un tempo ero così,
tu… sei proprio come me da
giovane” mormora.
“Cazzo, come faccio?” mugolo, tirando su col naso
come un
bambino. Mi vergogno immensamente e sento il viso andare in fiamme.
“No, non ti devi vergognare. Senti…”
cerca di consolarmi
lui, posandomi una mano sul braccio. Incredibile, fino a poco fa mi
sbraitava
contro e mi sommergeva di domande, ora mi si rivolge come fossi un
cucciolo
terrorizzato e non più un accusato di tentato furto.
Averlo così vicino, sentire la pressione della sua mano
attraverso la giacca leggera che indosso, mi fa perdere la testa: senza
neanche
rendermene conto, mi fiondo tra le sue braccia e mi aggrappo a lui,
cominciando
a singhiozzare senza controllo e stringendomi al suo petto. So che sto
sbagliando e che ora mi respingerà, del resto è
un poliziotto in servizio e si
è appena ritrovato uno sconosciuto addosso, ma avevo bisogno
di sentire per un
istante quella sensazione di sicurezza e calma che solo lui, col suo
atteggiamento integro, mi ha saputo trasmettere.
Ma Roger non mi spinge via e, dopo qualche istante di
esitazione, mi avvolge in un affettuoso abbraccio e mi stringe a
sé,
accogliendo le mie lacrime e il mio disperato bisogno
d’affetto. Mi ci voleva
questo suo gesto per rendermi conto di quanto sono fragile.
“Ehi, Steven, è tutto okay” mormora,
cullandomi dolcemente e
accarezzandomi i capelli con movimenti veloci e fuggevoli. Ha un che di
rude e
maldestro, qualcosa di talmente genuino da farmi commuovere.
Nonostante la drammaticità del momento, non posso fare a
meno di pensare che ci sono riuscito, oh sì! Sono tra le
braccia di questo
schianto, in un modo o nell’altro ci sono arrivato, e il mio
corpo ne gioisce:
la pelle mi si infiamma, ogni muscolo prende a guizzare e un istinto
viscerale
e irrefrenabile mi suggerisce di approfittare della situazione. Cerco
di
trattenermi, ci provo in tutti i modi, mentre pian piano i singhiozzi
si
affievoliscono e le lacrime si asciugano sulle mie guance.
Roger ancora mi tiene stretto a sé, mi sussurra di stare
tranquillo e pare instancabile, non molla la presa finché
non mi sente più
rilassato e calmo. Il contatto con lui è come un sedativo,
riesce a farmi
scordare perfino del luogo in cui siamo e della mia situazione in
bilico; è il genere di persona che ti ubriaca
con la sua presenza, come se
all’improvviso i contorni del mondo si cancellassero e i
colori iniziassero a
girare tutti insieme.
Sciolgo la nostra stretta
per poterlo guardare negli occhi e, in
preda alla dolce follia che quest’uomo riesce a instillare in
me, scatto in
avanti e premo le mie labbra sulle sue, frantumando i rigidi confini
che
definiscono i nostri ruoli e le nostre differenze.
Roger è caldo e accogliente, anche stavolta non mi respinge
e anzi, affonda le dita tra i miei capelli per attirarmi più
vicino e prorompe
con foga nella mia bocca, impossessandosene con voracità e
arroganza, come se
gli fosse sempre appartenuta.
Lascio giocare insieme le nostre lingue mentre mi aggrappo con
forza alla sua giacca blu e alle sue spalle.
Quando ci separiamo, respiro affannosamente e ho la fronte
imperlata di sudore, ma sul mio viso è tornato il mio solito
sorrisetto
impertinente, segno che il momento cupo di prima è passato.
“Però! Sai il fatto tuo, ragazzino”
ansima Roger,
sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Non vedo l’ora di replicarlo” affermo in
tono malizioso.
Lui continua a far scorrere le dita tra i miei capelli con
fare distratto e mi guarda con un’espressione indecifrabile.
“Già, sei proprio
uguale a com’ero io” riflette tra sé e i
suoi splendidi occhi azzurri vengono
percorsi da un lampo di nostalgia.
Sorrido e poi mi sporgo nuovamente verso di lui per
intrappolargli le labbra in un bacio rovente, che mi carica di
eccitazione.
Anche stavolta Roger ricambia e mi stringe a sé con
possessività, così mi
accorgo che anche lui mi desidera.
Quando, a corto di fiato, siamo costretti a staccarci
nuovamente, aggrotto le sopracciglia. “Staremo
esagerando?” domando con poca
convinzione.
“Qui sono io che comando e sono io a decretare quando si
esagera” dichiara in tono autoritario, ma il suo sguardo
è ammiccante.
Mi allontano di qualche passo, scombussolato, e mi accomodo
sull’unica sedia presente nella stanza. Sono stordito e la
realtà mi piomba
addosso con forza: ora che ho baciato questo poliziotto, cosa
succederà? Sono
ancora in stato d’arresto, ma forse c’è
un modo per poter sfruttare questo
strano legame a mio favore… o forse Roger mi vuole soltanto
comprare e
corrompere, è per questo che ha ceduto così
facilmente.
Lui mi si avvicina e si apposta alle mie spalle, poi prende
a giocare con i miei capelli; rabbrividisco ogni volta che i suoi
polpastrelli
arrivano a pochi millimetri dalla mia nuca, senza mai sfiorarla.
“Ci stai
pensando?” mi chiede.
Socchiudo gli occhi, sempre più ubriaco della sua presenza.
“A cosa?”
“A quello che ti ho detto prima. Non sto scherzando, Steven:
mi dispiacerebbe che tu commettessi lo stesso errore che commettono in
tanti,
che ti rovinassi con le tue stesse mani. Dal primo momento, da quando
ti ho
arrestato e da quando ho incrociato per la prima volta i tuoi
occhi… insomma,
mi sono accorto che in te c’era qualcosa di buono.”
Inclino il capo all’indietro in modo da posarlo sul suo
petto. “Mi stai comprando?”
“Ti sto salvando.” Mi posa un dito sulle labbra e
ne traccia
teneramente il profilo.
Mugolo appena e gli afferro la manica, strattonandola per
farlo chinare; lui subito mi asseconda e le nostre labbra si incontrano
per
l’ennesima volta. Quando il bacio si interrompe, Roger mi
trascina via dalla
sedia e mi abbraccia stretto, facendomi seppellire il viso
nell’incavo del suo
collo. Io vi poso le labbra con delicatezza e annuso il suo odore
mascolino e pungente
che mi fa girare la testa, mentre lui con movimenti frettolosi e rudi
mi
accarezza i fianchi.
“Steven.” Mi lascia un bacio sopra
l’orecchio. “Non mi hai
risposto.”
Mi allontano da lui e un’idea mi balena in testa,
così
sorrido e lancio a Roger uno sguardo infuocato. “E se, per
esempio…” comincio,
facendo un passo verso di lui, “tu mi rilasciassi in cambio
di un po’ di
divertimento?” Gli poso una mano sul cavallo dei pantaloni,
dove la sua
eccitazione pulsa con vigore, e mi lecco le labbra con fare malizioso.
A quel contatto, gli occhi di Roger si socchiudono appena e
lui è costretto a inspirare bruscamente; posso leggere il
desiderio sul suo
viso, forse potrebbe davvero cedere.
E sarebbe fantastico, mi basterebbe realizzare uno dei miei
sogni erotici per tornare a essere libero.
Ma lui riprende il controllo della situazione, mi afferra
per le spalle e mi allontana da sé, fissandomi dritto negli
occhi. “Razza di
puttanella, pensi che mi venderei così?” mi
rimprovera, ma la sua voce è venata
da un pizzico di malizia.
Sospiro. “Non ti piacerebbe?”
“Cazzo se mi piacerebbe, ma questo non c’entra
niente col
tuo rilascio!”
Sono esasperato, non so più che fare e cosa pensare.
“Sai cosa devi fare, Steven.” Roger lascia scorrere
le mani
dalle mie spalle fino alle braccia e infine mi stringe le mani.
“So che non
confesserai mai i nomi dei tuoi complici, non ha senso parlarne. Potrei
mettere
una buona parola per te, ma tu mi devi fare una promessa: che
cambierai, che
lascerai quest’ambiente malsano che ti ostini a chiamare casa.
Se questa
volta ti lascerò andare, non voglio mai più
incontrarti in questa situazione. È
chiaro?”
Sbatto le palpebre un paio di volte, incredulo. Non posso
credere che abbia parlato con tale trasporto e sentimento, come
se… se tenesse
davvero a me.
Deglutisco a fatica, profondamente colpito, e decido che sì,
ci voglio provare. Sono meglio di questo povero carcerato che si
è ritrovato in
questa cella con gli abiti consunti, sono meglio di quel teppista dalla
chioma
bionda che sguscia nell’oscurità della notte. Non
lo faccio solo per avere la
libertà di uscire da questa cella, ma anche per la
libertà di essere una
persona migliore.
Se Roger crede in me, nonostante mi conosca da così poco
tempo, forse lo dovrei fare anch’io.
Annuisco con gli occhi lucidi. “Te lo prometto”
affermo, la
voce rotta dall’emozione.
Roger sorride – è la prima volta che glielo vedo
fare – e mi
attira a sé, stringendomi in un abbraccio e lasciandomi un
fugace bacio tra i
capelli.
Cammino sotto la leggera pioggia primaverile, con la giacca
stretta attorno al corpo e le scarpe in tela mezzo rotte che si
inzuppano
d’acqua. Sono le nove del mattino e io sto morendo di fame e
di sonno, questa
notte in carcere mi ha distrutto.
Mi lascio alle spalle la struttura che mi ha ospitato, ma
ciò che ho vissuto lo porterò sempre con me, nel
mio cuore e nella mia memoria.
Alla fine Roger l’ha fatto, ha insistito per il mio rilascio
ed è riuscito a ottenere ciò che voleva.
L’ultima volta che ho incrociato i
suoi occhi li ho trovati pieni di aspettative e di speranze, di fiducia
nei
miei confronti e di sincero affetto. Mi mancano già, quei
meravigliosi occhi
chiari.
Non so se riuscirò a mantenere la promessa che gli ho fatto,
non so se ne sarò in grado o se la vita di strada mi
inghiottirà così come mi
ha sputato fuori e catapultato tra le braccia di quello splendido
poliziotto
biondo. Mentre cammino per il marciapiede fradicio, ho i capelli pieni
di
pioggia e la testa piena di sogni e paure.
Comunque andrà, non posso che essere grato a Roger,
l’unico
che ha saputo capire di cosa realmente avessi bisogno, quando nemmeno
io me ne
accorgevo: un po’ di affetto. Forse è presto o
forse è stupido, ma sento che il
mio cuore gli appartiene.
Mi auguro soltanto che, se mai ci dovessimo incontrare di
nuovo, le manette non simboleggino il mio stato
d’arresto…
Sogghigno tra me mentre ci penso e non posso impedire al mio
cuore di accelerare i suoi battiti, sincronizzandosi al ticchettio
della
pioggia.
♠
♠
♠
Prompt
32 (della chalenge Slot Machine!):
Un
personaggio a vostra scelta finisce in carcere per una notte. Si
innamora di 6 (Roger), il poliziotto che l’ha arrestato.
Prompt
4 – lista Citazioni (della Infinity Prompt Challenge):
«È
il genere di persona che ti ubriaca con la sua presenza, come se
all’improvviso i contorni del mondo si cancellassero e i
colori iniziassero a
girare tutti insieme.»
–
Lauren Oliver, Before I Fall
Alloooora…
come giustificare questa cosa surreale a cui vi
ho appena sottoposto? Eheheheh ^^”
Facciamo che
prima di tutto spiegherò la genesi di questa
shot: un pomeriggio mia madre stava guardando CSI New York in TV, serie
che io
non seguo, ma a un certo punto ho cominciato ad ascoltare
distrattamente e ho
sentito due cose che mi hanno colpito: c’è un
agente/detective Taylor (che mi
ha subito fatto pensare a Roger) e uno dei sospettati della puntata si
chiamava
Steve (che mi ha fatto pensare a Steven). Così, facendo due
più due, mi è poi
tornato in mente questo prompt della challenge di Juriaka che avevo
inizialmente scartato ed è scattata la scintilla per questa
storia folle su una
ship piuttosto folle (ma che qualcuno ha pure finito per shippare per
colpa
mia… ehehm, vero Carmaux? XD).
Non chiedetemi
come sia possibile e cosa mi sia preso,
perché non ve lo so spiegare :P
Piccole notine
per spiegare a tutti ^^
Roger si
chiama “agente Meddows-Taylor” perché il
suo nome
intero è, appunto, Roger Meddows-Taylor.
Ho rispettato
la vera differenza di età tra i due personaggi:
Rog è nato nel ’51, Steven nel ’65,
dunque hanno quattordici anni di differenza
(in realtà tredici e mezzo). A parte questo, tutto il resto
è frutto della mia
immaginazione, come in una storia AU che si rispetti :)
Le immagini
che ho messo in cima dovrebbero rispecchiare più
o meno il mio immaginario in questa storia, per esempio quella di Roger
è dell’84
– niente uniforme, ma vabbè, fate finta che ce
l’abbia XD
E infine, il
titolo della storia è un verso tratto dal testo
di “Last Cup Of Sorrow”, fantastico brano dei Faith
No More *-*
Grazie di
cuore per aver letto ed eventualmente apprezzato,
un grazie particolare a Juriaka e Harriet per i prompt super ispiranti
e… beh,
a mia madre per la puntata di CSI :’D
Alla prossima,
spero di avervi intrattenuto con una
piacevole lettura!!! ♥
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