Alle otto in punto di un
gelido lunedì mattina, Alec Lightwood aprì la
porta a un uomo dall'aspetto losco, con il viso serio e cupo,
seminascosto da un grande paio di occhiali da sole scuri, e talmente
alto che sembrava occupare quasi tutto il suo pianerottolo.
Alec lo squadrò dalla testa ai piedi, diffidente. Dunque era
lui
l'agente speciale della Marina incaricato di proteggerlo? Sul serio?
No, doveva esserci di sicuro un errore.
"Che cosa vuole?" ringhiò il moro, guardingo, per nulla
intenzionato a nascondere il proprio entusiasmo
nell'aver aperto la porta a un probabile criminale.
L'uomo davanti a lui si accigliò e si portò una
mano sulla fronte. "Può abbassare la voce, per cortesia?"
mormorò, massaggiando la pelle liscia e senza neanche
un'imperfezione.
"Ma.. non stavo urlando." ribatté Alec, abbandonando il tono
aggressivo e fissandolo spaesato.
"Sì, invece. E continua a farlo." sospirò lo
sconosciuto, strofinando gli occhi sotto le lenti scure. "Cominciamo
davvero bene."
Alec sentì l'irritazione tornare a serpeggiargli lungo il
corpo e strinse con forza la maniglia della porta, indeciso: era meglio
sbattergliela in faccia così, a muso duro, o prima tirargli
un calcio all'inguine, sperando di fargli davvero male, e poi chiudere
la porta, barricandosi in casa? Lo sconosciuto era alto, questo era
vero, ma Alec era più muscoloso e sarebbe stato un gioco da
ragazzi piazzargli un calcio deciso nei testicoli.
Il nuovo arrivato fece schioccare il collo a destra e a sinistra, con
un gemito che Alec catalogò come indecente, poi
avanzò di un passo, avvicinandosi pericolosamente al moro,
sfilandosi gli occhiali e sbattendo più volte le palpebre,
come se la pallida luce del giorno gli desse fastidio.
Era davvero alto, addirittura più di Alec che superava
abbondantemente il metro e ottanta, e il moro si ritrovò a
dover alzare lo sguardo per guardarlo in volto: una rarità,
visto che solitamente era lui a spiccare su tutti e a dover sempre
abbassare la testa per parlare con il proprio interlocutore.
Lo sconosciuto aveva un fisico asciutto e longilineo e indossava un
pesante giubbotto di pelle nera con le borchie, mentre le gambe
chilometriche erano nascoste sotto un paio di jeans strettissimi che
gli fasciavano le cosce come una seconda pelle. Alec non si
fissò su quel particolare. Assolutamente no.
Aveva la pelle di una deliziosa sfumatura color caramello e i capelli
neri, le cui punte erano colorate di un rosso sgargiante, erano tenuti
su da una generosa dose di gel. A giudicare dalla quantità
spropositata di orecchini, anelli, braccialetti e collane che aveva
addosso, doveva avere un debole per quella chincaglieria.. oppure
faceva il venditore ambulante di quella roba, a tempo perso, e la
indossava come modello. Chi poteva dirlo con sicurezza?
Quando sollevò lo sguardo, dal suo attento e minuzioso
esame, e lo portò all'altezza degli occhi, dal taglio
orientale e dalle lunghe ciglia nere, Alec si ritrovò
davanti le due iridi più straordinarie che avesse mai visto:
un verde-dorato così intenso da lasciarlo quasi senza fiato
e che, ne era certo, faceva strage di cuori un giorno sì e
l'altro pure. Quegli occhi, che gli ricordavano nitidamente una
prateria irlandese inondata dal sole, erano semplicemente bellissimi,
nonostante ora lo stessero fissando appannati e iniettati di sangue,
come se il proprietario di tale magnificenza fosse andato a dormire
molto tardi. O non ci fosse andato per niente.
Alec sbatté le palpebre più e più
volte. No, era impossibile che quell'individuo, a metà
strada tra un Dio greco, sceso sulla terra per mandargli completamente
in tilt gli ormoni, e un delinquente della peggior specie, fosse l'uomo
mandato da suo padre. Magnus Bane era un efficiente e integerrimo
agente speciale della Marina Militare, non un probabile sexy serial
killer con la barba sfatta e i postumi di una sbronza colossale!
"Che cosa vuole?" ripeté Alec, assottigliando lo sguardo,
sempre più sospettoso.
Per l'angelo, e se le minacce rivolte a suo padre non fossero state per
niente uno scherzo e quel tizio era piombato lì per fargli
del male o, peggio ancora, per rapirlo o ucciderlo? Era un uomo
bellissimo, ok, ma questo non precludeva di certo che potesse anche
essere un pericoloso sicario! Improvvisamente desiderò di
aver controllato dallo spioncino, prima di spalancare con foga la
porta, e soprattutto si maledisse di non aver chiesto a suo padre una
foto del cane da guardia
che avrebbe dovuto proteggerlo, giusto per assicurarsi che quel tizio
davanti a lui fosse davvero chi dovesse essere.
"Bella domanda." rispose l'altro, interrompendo i pensieri frenetici e
deliranti del moro, con una voce profonda e roca che mandò
un lungo e inspiegabile brivido alla colonna vertebrale di Alec. "Al
momento, vorrei un paio di aspirine, una stanza buia e.. trovarmi
ovunque tranne che qui."
"Per l'angelo, che battuta spiritosa!" ironizzò Alec,
portandosi una mano al petto e stringendo maggiormente il pomello della
porta con l'altra. "Le suggerisco caldamente di cominciare dal suo
ultimo desiderio, allora." e detto questo, chiuse l'uscio. O almeno ci
provò, perché lo sconosciuto fu più
lesto di lui e infilò un piede tra lo spigolo e lo stipite.
Alec ridusse gli occhi a due fessure. "Se non toglie subito quel piede,
giuro che glielo spezzo!"
L'altro non si mosse di un millimetro. "Ricominciamo daccapo. Le va?"
"No." rispose Alec, contrariato, tornando a spingere con più
forza contro la porta.
"Mi sta facendo male."
"L'avevo avvertita, no?"
"Lei è.." iniziò l'uomo, bloccandosi subito dopo,
aggrottando la fronte. Si grattò la barba trasandata con una
mano ingioiellata, mentre con l'altra prendeva un foglietto dal
taschino del giubbotto per leggerlo. "Lei è il signor
Alexander Gideon Lightwood?"
Alec decise di ignorare categoricamente il nuovo brivido che gli diede
quella voce non appena pronunciò il suo nome per intero. "Ma
che bravo! Ha fatto i compiti!" borbottò, sarcastico. "Bene,
ora che abbiamo appurato entrambi che conosce il mio nome, anche se ha
dovuto fare lo sforzo di pensarci e recuperare poi un pezzo di carta
quando avrebbe potuto tranquillamente evitarsi la fatica leggendolo
sulla targhetta sopra al campanello.." lo schernì. "Vede?
Proprio qui!" continuò, indicando con un dito il nome
scritto in stampatello su una targhetta dorata. "Cosa stavo dicendo?
Oh, sì! Ora che si è assicurato di avermi
davanti, può anche togliersi dai piedi!" sibilò,
appoggiandosi allo stipite della porta con tutto il proprio peso,
riprovando a sbattergliela sul naso.
Era sicurissimo che sarebbe riuscito a chiudere fuori di casa quel
pazzo psicopatico, ma, ancora una volta, l'altro lo stupì e
Alec sentì improvvisamente la porta muoversi contro di lui.
Quel dannato Ercole sbronzo, e sicuramente sotto steroidi, aveva posato
una mano aperta sullo stipite, spingendolo per evitare che gli si
chiudesse in faccia, e gli bastò fare un piccolissimo sforzo
per schiudere la porta di qualche centimetro. Come poteva essere
più forte di lui? imprecò Alec, mentalmente. Lui
era decisamente più massiccio di quel corpo esile,
dannazione!
"Tenga giù le mani dalla mia porta!" ordinò,
perentorio.
"Mi chiamo Magnus Bane e.."
"Non mi interessa!" tuonò Alec, interrompendolo e
ingaggiando una lotta con quel tizio.
"..mi manda suo padre."
Quella voce bassa e roca, a causa dello sforzo che lo sconosciuto stava
compiendo per non farsi sbattere la porta sul naso, sembrò
accarezzare Alec come una piuma, tanto che il suo corpo si
irrigidì in risposta. Trasse un respiro profondo, per
calmarsi, ma fu un errore colossale: il profumo dell'uomo, un odore
intenso e speziato che Alec non riuscì a decifrare, lo
avvolse e gli invase i polmoni in modo così violento che,
preso alla sprovvista, diminuì inconsapevolmente la forza
che stava imprimendo sul pezzo di legno che stava spingendo, con
l'unico risultato che la porta, sotto la pressione del marine, si
spalancò di botto e andò a sbattere con forza
contro la parete laterale dell'ingresso.
Il rumore secco rimbombò nella testa ancora annebbiata di
Magnus, arrivando quasi a ucciderlo. Si portò entrambe le
mani alle tempie, massaggiandole nuovamente. "Sialan [ndr.
Dannazione].." farfugliò, sofferente.
Alec lo fissò, torvo, ponderando l'intera situazione: quel
tizio era ovviamente reduce da una sbornia epocale, non ispirava la
benché minima fiducia, emanava pericolo da tutti i pori e
aveva più l'aria di un drogato in astinenza che di un
militare. Sì, ok, era anche attraente, sexy e con una voce
dannatamente eccitante, e forse era addirittura l'uomo più
bello che avesse mai incontrato in vita sua, ma non era assolutamente
questo il punto! Il punto era che, per fare un piacere a suo padre,
aveva ceduto a scatola chiusa alle sue insistenze, ma qualcosa gli
diceva che, se avesse dato un'occhiata a quell'affascinante ubriacone
ambulante prima di ingaggiarlo, Robert Lightwood non sarebbe stato
così felice di saperlo solo con lui, ventiquattro ore su
ventiquattro.
Prese un bel respiro e lo fissò con lo sguardo
più truce che riuscì a fare. "Se ne vada."
ordinò, senza mezzi termini.
Il bel viso di Magnus si accigliò. "Mi scusi, eh, ma guardi
che sono qui per fare un piacere a suo padre!" comunicò.
"Credevo che le avesse spiegato la situazione." mormorò,
dubbioso.
"Oh, sì, l'ha fatto." confermò Alec, facendo
spallucce. "Solo che non mi interessa!"
"In che senso non le interessa?" chiese Magnus, sempre più
confuso.
"Senta." sospirò Alec, strizzandosi con forza la radice del
naso. "E' tutto un grosso equivoco, davvero. Non ho bisogno di lei.
Torni da dove è venuto."
"Oddio, magari potessi." esalò Magnus, alzando gli occhi al
cielo ed entrando nell'appartamento senza tanti complimenti.
"Oh, ma prego! Si accomodi pure e faccia come se fosse a casa sua!"
esclamò Alec, indispettito, con un ampio gesto delle braccia.
Magnus sorrise, procedendo nel guardarsi attorno, con blanda
curiosità, e Alec seguì il suo sguardo.
L'appartamento era minuscolo, vecchiotto e composto da una piccola
cucina, un soggiorno, due camere da letto, un bagno e un minuscolo
balcone. L'impianto elettrico era stato rifatto di recente, ma il
pavimento di legno scuro aveva bisogno di una buona levigata. Sulle
pareti, colorate di una calda tinta ocra e con qualche crepa qua e
là che il colore non era riuscito a coprire del tutto, erano
appesi diversi quadri e qualche foto era stata posta sopra ai mobili in
legno di mogano. Un divano in tessuto rosso carminio, che aveva visto
giorni migliori, era piazzato davanti a un piccolo televisore e a un
tappeto colorato e un po' sfilacciato, mentre una poltrona sbilenca,
che sembrava sul punto di rompersi da un momento all'altro e su cui vi
erano stati buttati dei vestiti alla rinfusa, era stata relegata sotto
la finestra che dava sulla strada.
Alec adorava la sua casa, che era sua, solo sua, e che non voleva
dividere con nessuno.. men che meno con uno strano individuo dalla
dubbia sanità mentale!
"Lei vive davvero qui?" chiese Magnus, sorpreso, continuando a
guardarsi attorno con aria esterrefatta.
"Sì. Ha qualche problema?" rispose Alec, piazzandosi le mani
sui fianchi e irrigidendosi tutto per quel tono che sembrava un insulto.
"Il divano è orribile e qualsiasi commento sulla poltrona
sarebbe sprecato." argomentò Magnus, spietato, senza
nascondere una smorfia. "Forse se la facesse sparire, il salotto
migliorerebbe, ma non ne sono affatto sicuro." continuò,
tamburellando l'indice sul mento, come se stesse prendendo in seria
considerazione l'idea di buttare la poltrona giù dalla
finestra. "Uhm.. no. Sono certo che farebbe prima a bruciare tutto. O a
trasferirsi." concluse, scrollando le spalle.
Alec strinse le dita, arpionando i propri fianchi, irritato. "Bene, ora
che ha potuto esprimere la sua discutibile
opinione sul mio appartamento, può anche.."
"Non c'è niente da discutere, signor Lightwood." lo
interruppe Magnus, alzando un indice con fare saputello. "Mi creda
quando le dico che il suo salotto è davvero brutto!"
esclamò, scuotendo piano la testa. "Oh! E comunque, che le
piaccia o meno, io da qui non me ne vado."
"Come osa? Il mio salotto non è affatto brutto!"
replicò Alec, indignato. "E non mi piace per niente l'idea
di averla qui!" continuò, stizzito.
"Sì, beh, se crede che al sottoscritto diverta l'idea di
vivere in questo tugur.. ehm.. in questo appartamento.." si
corresse, virgolettando l'ultima parola con le dita. "..si sbaglia di
grosso, cocco!"
ribatté Magnus, ironico.
"C-cocco?"
balbettò Alec, scioccato. "Come si permette?"
tuonò, subito dopo, ergendosi in tutta la sua altezza. "Ho
un nome, maleducato che non è altro! Non sono il cocco di nessuno,
io! Chiaro?" sottolineò con fervore.
Magnus sorrise, trovando adorabili le gote arrossate di indignazione
del ragazzo. "Ah. Quando è così, allora le chiedo
scusa." mormorò, alzando le mani in segno di resa.
"Vada a farsi fottere."
"Uhhh, siamo un po' volgari, non trova?" chiese Magnus, piegando la
testa, con un sorriso sornione. "Senta, signor Lightwood, è
bene che si ficchi in testa una cosa: per qualche tempo io e lei
dovremo vivere sotto lo stesso tetto. Questo." aggiunse, indicando il
soffitto. "Quindi veda di essere un po' più gentile."
L'espressione impertinente con cui l'uomo gli fece quel discorsetto,
irritò Alec oltre ogni misura. "Guardi che.."
iniziò, mentre l'altro gli rivolgeva uno sguardo e un
sorriso paziente, quasi stesse ascoltando le lamentele di un bambino.
"..chiamo mio padre!" esclamò, con enfasi.
"Faccia pure. E lo saluti da parte mia." rispose Magnus, scrollando le
spalle e voltandosi per dirigersi verso il divano.
Alec strinse i pugni. "Anzi, sa una cosa? Chiamerò il suo
superiore per lamentarmi del suo operato!" lo minacciò,
annuendo convinto. "Già! Ahn-ahn! Può scommettere
che lo farò! Come la mettiamo adesso? Eh?"
domandò, sfrontato.
Magnus si accigliò, mentre con l'indice e il pollice alzava
leggermente un angolo di un cuscino del divano, esaminandolo
attentamente, come se si aspettasse di veder spuntare fuori, da un
momento all'altro, qualche bestiaccia strana. "Cioè vuole
chiamare i proprietari della Fairmont
Hotels and Resorts?" chiese, sovrappensiero, continuando a
ispezionare minuziosamente il resto del sofà. "Buona
fortuna!" ridacchiò, con un sorriso canzonatorio,
lasciandosi finalmente cadere tra i cuscini del divano e allungando le
gambe davanti a sé.
Questa volta fu Alec a rimanere spaesato. "Fairmont Hotels and Resorts?"
chiese, con aria smarrita.
Magnus annuì, aggiustando il sedere, sul cuscino su cui era
seduto, con un cipiglio concentrato. "Lavoro per loro. Testo i loro
hotel di lusso in giro per il mondo e.. Dio, come diavolo fa a stare
seduto su una roba del genere?" chiese, continuando a dimenarsi per
trovare la comodità desiderata.
"Ma.. ma mio padre mi ha detto che lei è un agente speciale
della Marina Militare e.."
"Ex." rispose Magnus, distrattamente, alzandosi per sprimacciare con
energia il cuscino. "Demi
Tuhan, è pieno di bitorzoli questo coso!"
"Cosa?"
"Questo affare deve essere buttato! Ecco cosa!"
"Lasci in pace il mio cuscino!" ordinò Alec. "E.. che
significa ex?"
"Sono un ex agente speciale, signor Lightwood." precisò
Magnus, osservando con aria truce il cuscino che proprio non ne voleva
sapere di collaborare e diventare un minimo più comodo. "Sul
serio, come accidenti riesce a sedersi sopra a questa robaccia?"
chiese, rivolgendogli un breve sguardo ammonitore, mentre si piantava
le mani sui fianchi.
"Lei.. lei è un ex
militare?" chiese Alec, ignorandolo e sbarrando gli occhi a quella
scioccante notizia.
"Ahn-ahn." rispose Magnus, tranquillo, ributtandosi, poco convito,
nuovamente sul divano. "Ho lasciato il servizio più di otto
anni fa." spiegò, asciutto, sbuffando a più non
posso per la scomodità del divano. "Santo cielo,
è come sedersi per terra, su tanti piccoli sassi!"
protestò, dimenando nuovamente il sedere.
Alec trattenne il fiato. Suo padre l'aveva ingannato, quindi! O, peggio
ancora, non era a conoscenza della china presa da quell'individuo, che
non era più un militare!
Cercò di pensare velocemente a un modo per liberarsi di
quell'individuo, che si stava agitando sul suo divano come se avesse un
ragno infilato nelle mutande. "Chiamo la polizia e la faccio
arrestare!" lo minacciò a un tratto, serio.
Magnus interruppe lo scontro con il divano e sorrise, scuotendo la
testa. "E con quale scusa? La
guardia del corpo assunta da papino non mi piace? Crede
davvero che verrebbero? Andiamo!" ridacchiò, muovendosi un
altro po'. Con un sospiro rassegnato, si afflosciò sullo
schienale e sbuffando a più non posso maledisse il divano,
calandosi gli occhiali da sole sul naso e incrociando le braccia al
petto.
Alec batté un piede a terra, indispettito oltre ogni dire, e
decise quindi di passare alle maniere forti pur di sbarazzarsi di
quell'individuo irritante. "Senta, delinquente da strapazzo, alzi
immediatamente il culo dal mio divano e se ne vada o le garantisco che
la sbatto fuori a calci. E non sarà affatto piacevole!"
Magnus abbassò leggermente gli occhiali sul naso, mentre un
lento sorriso divertito nasceva sulle sue labbra. "Sono un ex militare,
signor Lightwood, mentre lei è un semplice civile. Pensa
davvero di riuscire a mettere in atto la sua minaccia?"
"Vada a farsi fottere!" sibilò nuovamente Alec, dopo un
lungo momento, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Magnus scosse la testa. "Signor Lightwood, sul serio, dovrebbe rivedere
il suo linguaggio. E' troppo scurrile." lo apostrofò, con
fare paternalistico, tornando a inforcare gli occhiali. "E, tanto per
essere chiari, mi è stato affidato un incarico.
Resterò qui fino a quando sarà necessario. Che
lei lo voglia o no."
Alec stava misurando la stanza a grandi passi e in lungo e in largo,
mentre, con il telefono incollato all'orecchio, sibilava come un
serpente a sonagli contro lo sfortunato malcapitato che si trovava
dall'altra parte della linea e che aveva avuto la iella di rispondere.
Stava fumando dalla rabbia.
Però, pensò Magnus, sprofondato nello scomodo
divano che gli stava martoriando le natiche e la schiena, con le
braccia incrociate al petto e la testa leggermente piegata di lato,
mentre lo guardava con interesse, non era niente male. Anzi, a dirla
tutta, abbigliamento da barbone a parte, era molto più che niente male!
Alexander Gideon Lightwood era un bocconcino inaspettatamente
appetitoso e.. non era decisamente un moccioso!
Non se ne era accorto subito, preso com'era dalla forte emicrania che
gli aveva martellato la testa da quando si era svegliato quella mattina
fino a dieci minuti prima, quando finalmente era riuscito a buttare
giù due pastiglie, ma ora che finalmente il dolore si era
attenuato e la nebbia nella sua mente si era diradata, vedeva tutto
più chiaramente e.. Dio, cosa non avrebbe potuto fare a quel
sedere tondo e perfetto e a quella bocca peccaminosa!
Dewi gli aveva descritto il figlio di Robert Lightwood come un ragazzo
fragile e bisognoso di aiuto, e Magnus aveva pensato di dover fare da
balia a un individuo gracilino e petulante, con il moccio al naso e
terrorizzato dalla sua stessa ombra. Invece, a giudicare dallo
"spettacolo" che si stava godendo in quel momento, il moro era tutto
fuorché una damigella
in pericolo!
Alexander viveva da solo in un orrendo appartamento in un tranquillo
quartiere di Manhattan e fisicamente era poco più basso di
lui, ma più muscoloso e con delle spalle ampie e larghe, a
cui ci si sarebbe attaccato volentieri per interessanti
attività verticali
e, soprattutto, orizzontali.
Aveva una delicata pelle color alabastro, lineamenti del viso che uno
scultore avrebbe volentieri immortalato su un blocco di marmo e
sfoggiava una folta e disordinata massa di capelli neri come
l'inchiostro, in cui moriva la voglia di infilare le mani per saggiarne
la consistenza. I fianchi snelli e le gambe lunghe erano fasciati da un
paio di jeans logori e stracciati, che Magnus non avrebbe usato neanche
per fare la cuccia a un cane randagio, e un maglione dal colore
indecifrabile, ma che, tirando a indovinare, una volta doveva essere
stato nero, e.. demi
surga, era un buco quel sfilacciamento sulla spalla?
Magnus scosse la testa e alzò lo sguardo per osservare la
parte più incredibile di quel ragazzo, ossia i suoi
meravigliosi occhi, che erano di un blu talmente vivido e intenso da
desiderare di annegarci dentro e che ti fulminavano e ti lasciavano
stecchito a terra con un battito di ciglia.
C'era poco da dire: Alexander Lightwood era davvero bello. Aveva un
pessimo carattere, una lingua affilata come un rasoio e si vestiva come
un senzatetto, certo, ma era innegabilmente attraente e sexy e.. Dio,
quel sedere l'avrebbe mandato al manicomio, ne era certo! Magnus
continuava a fissarlo avidamente, immaginando scenari, uno
più sconcio dell'altro, in cui riusciva a mettere le mani su
tutto quel ben di Dio, mentre il ragazzo, completamente ignaro della
direzione del suo sguardo, marciava da una parete all'altra del salotto.
"In riunione?" esclamò Alec. "No, senta, devo parlare con
lui. Adesso. Per cortesia, me lo passi e.. sì!
Sì, mi ha capito benissimo! Voglio parlare con lui! Ora!"
pretese, alzando di poco il tono della voce. "Cosa significa che non
può proprio passarmelo? Senta signor.. come diavolo si
chiama?" sibilò, arrabbiato. "Perfetto. Senta, David, o me
lo passa subito o giuro che entro mezzogiorno lei sarà
disoccupato. Sono stato chiaro?" minacciò, gelido. Poi una
pausa. "Sì, resto in linea. Grazie."
"E' inutile." provò a dire Magnus.
"Stia zitto. Nessuno ha chiesto il suo parere." lo apostrofò
Alec, girandogli le spalle e dando inconsapevolmente all'altro
nuovamente modo di guardargli il sedere.
"Alexander, non riuscirai a liberarti di me." lo avvertì
Magnus, allungando le gambe sul tavolinetto davanti a lui.
Visto che avrebbero vissuto insieme per chissà quanto tempo,
aveva deciso che tanto valeva entrare in confidenza fin da subito e
passare direttamente a darsi del tu, perché mantenere un
certo distacco, quando avrebbero dovuto condividere gli stessi spazi,
sarebbe stato impossibile.
Alec si girò per guardarlo, fulminandolo con lo sguardo.
"Tolga subito quei luridi stivali dal mio tavolino!"
ringhiò, feroce. "E non mi chiami Alexander!"
Magnus alzò le mani. "Ok. Ok. Non ti scaldare. Alex, allora?"
"Per lei sono il signor Lightwood!" pretese Alec, tornando a voltarsi,
in attesa di una risposta dall'altra parte della linea. Fece un salto e
gridò, sorpreso, quando si sentì sfiorare la
pelle sulla spalla. "C-cosa fa?!"
Magnus lo fissò a bocca aperta. "Per tutti i diavoli! E'
davvero un buco!"
"C-cosa???"
"Il tuo maglione ha un buco!"
"Stia lontano da me!" strillò Alec, puntandogli l'indice
contro e allontanandosi bruscamente da lui.
Magnus scosse piano la testa, esterrefatto, poi tornò a
sprofondare tra i cuscini del divano. "Un barbone! Ho a che fare con un
barbone!" borbottò, scioccato.
Alec gli lanciò un'occhiata omicida, alzando il dito medio e
sventolandoglielo contro con tutta la rabbia che gli ribolliva in corpo.
Magnus ridacchiò davanti a quel gesto infantile e gli fece a
sua volta la linguaccia. "Tanto per la cronaca, guarda che ci ho
già provato anch'io a sganciarmi da questa situazione
assurda, ma è stato inutile."
Alec aggrottò la fronte. "Ci ha provato anche lei?" chiese,
abbassando la mano.
"Non penserai che mi stia divertendo, qui, vero?" chiese Magnus,
alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.
Il pomeriggio prima, infatti, quando si era incontrato con suo padre
per avere tutti i dettagli della "missione", Magnus aveva provato per
più di un'ora a tirarsi fuori da quell'impegno, ma aveva
fallito miseramente. Sua madre si era intromessa come suo solito ed era
riuscita a impedirgli di scappare dalla città, con il primo
aereo, per non fare più ritorno.
Alec lo guardò, sempre più confuso, e
coprì con una mano il ricevitore del telefono.
"Perché ha accettato di venire, allora?"
"Non ho accettato. Sono stato incastrato." precisò Magnus,
intrecciando le mani dietro la testa.
"Incastrato?" ribatté Alec, incredulo.
"Fidati." lo rassicurò Magnus.
"E' proprio questo il punto. Io non
mi fido. Di lei men che meno." scandì Alec,
serissimo.
"Libero di farlo, ma sappi che, se avessi rifiutato l'incarico, sarebbe
stata la mia fine. Capisci?" gli confidò l'uomo, con un
sospiro, porgendo il labbro in un broncio infantile.
Alec lo fissò, impassibile. "Sta cercando di farmi pena? Sul
serio?"
"Funziona?" gli chiese Magnus, con un sorriso malandrino, piegando la
testa.
"No." rispose Alec, lapidario.
Magnus sospirò. "Andiamo, Alexander, non ti sembra di esag.."
"Le ho detto di non chiamarmi Alexander!"
strillò Alec, esasperato. "Se proprio vuole essere poco
professionale, mi chiami Alec." dichiarò, voltandogli poi le
spalle, indispettito. "Sì? Pronto? Sì, sono
ancora qui! Sì!" esclamò a un tratto, quando
l'interlocutore ritornò da lui. "Come sarebbe a dire che non
può proprio venire al telefono? Gli ha detto che sono suo
figlio e.. Senta, David, lei.. Cosa? No! Non ho intenzione di prendere
un appuntamento e.. Ohhh, lasci perdere, ok? Sì,
sì, le ho detto di lasciare stare. Ci parlerò
più tardi! Grazie e buona giornata." esalò,
spazientito, chiudendo la conversazione e fissando, con palese
ostilità, l'uomo che aveva preso residenza sul suo divano e
che lo guardava di rimando con un enorme sorriso stampato sul volto.
"Che ne dici di ricominciare da zero?" gli chiese Magnus, alzandosi in
piedi e porgendogli una mano. "Magnus Bane, piacere di conoscerti."
Alec incrociò le braccia al petto e fissò quella
mano come se fosse un orribile mostro a tre teste.
"Andiamo, Alec, guarda che sarebbe molto più facile per
entrambi se ti rassegnassi all'idea di avermi qui con te." lo
sollecitò Magnus, con un sorriso.
"E se la pagassi il doppio di quanto le dà mio padre, per
togliersi dai piedi?" chiese improvvisamente Alec, alzando lo sguardo e
guardandolo speranzoso. "Giuro che non lo direi a nessuno! Lei potrebbe
tornare alla sua vita di sempre e io alla mia."
Magnus lo guardò per un lungo momento, in silenzio, quasi
stesse ponderando la proposta, e Alec rimase in trepidante attesa, con
il fiato sospeso. Dopo un interminabile minuto, l'uomo scosse con
decisione la testa. "Niente da fare. Noi due resteremo insieme fino a
quando la faccenda delle e-mail minatorie non sarà
sistemata."
Alec roteò gli occhi e sbuffò esasperato.
"Allora, che ne dici? Tregua?" propose Magnus, porgendogli nuovamente
la mano.
Alec fissò di nuovo la mano tesa, mordicchiandosi il labbro
inferiore, indeciso, valutando velocemente tutti i pro e i contro di
quella situazione. Per il momento c'era ben poco che potesse fare e
continuare a comportarsi come un bambino di cinque anni non sarebbe
servito a niente, a parte rendersi ridicolo agli occhi dell'uomo
davanti a lui. Dopo un lungo momento, sospirò,
abbassò le spalle e, con aria rassegnata, gli porse la mano.
"Tregua, ma a una condizione."
"Spara." rispose Magnus, stringendogli la mano.
"Non mi tenti." ironizzò Alec, con uno strano luccichio
negli occhi, interrompendo il breve contatto che, incomprensibilmente,
gli aveva fatto partire una scarica di adrenalina lungo tutto il corpo.
Magnus sorrise divertito. "Sai che cominci a piacermi?"
"Ohhh, stia zitto o potrei montarmi la testa!" rispose Alec, roteando
gli occhi, con un accenno di sorriso storto sulle labbra.
"Accetterò la sua presenza." riprese, poi, con tono
ragionevole. "E le permetterò di venire a lavoro con me e
seguirò tutti i consigli che mi darà per
proteggermi. Durante il giorno."
"E di notte?"
"E di notte si toglie dai piedi." spiegò Alec, risoluto.
Magnus si massaggiò il mento, ponderando le parole
dell'altro. "Sarei tentato, davvero, ma devi rivedere le tue
condizioni."
"Perché?" chiese Alec, sbalordito. Gli sembrava un piano
perfetto, per l'angelo! Perché quel rompiscatole non era
d'accordo?
"Perché ho giurato di starti appiccicato come un francobollo
fino a quando non sarai definitivamente al sicuro. Ed è
esattamente quello che intendo fare."
"Ohhh, andiamo! Non è affatto necessario!" si
lagnò Alec, allargando le braccia. "Non sono in pericolo!"
"Non faccio io le regole, dolcezza." sentenziò Magnus,
scrollando le spalle.
"Non mi chiami dolcezza!"
sbuffò Alec, spazientito. "Senta, questa casa è
troppo piccola per due persone." spiegò poi, tentando di
essere convincente. "Ci daremmo solo fastidio a vicenda!"
"Ho vissuto in condizioni peggiori." replicò Magnus,
scrollando le spalle con un sorriso che la sapeva lunga.
"Non saprei dove farla dormire!" tentò, allora, Alec.
"Non hai due camere da letto?" chiese Magnus, con aria furba, inarcando
un sopracciglio.
"No!" mentì spudoratamente Alec.
Magnus sorrise. "La camera degli ospiti andrà benissimo."
"Andrà bene per lei, ma non per me!" ribatté
Alec, piazzandosi le mani sui fianchi.
"Pazienza. Il tuo parere, in questa faccenda, non conta."
"C-cosa?" esalò Alec, spalancando gli occhi, sorpreso. "Le
ricordo che questa è casa mia!"
"Sì e io sono tuo ospite."
"Contro la mia volontà."
"Non è importante."
Alec sbuffò nuovamente esasperato. Era inamovibile,
dannazione! "Detesto questa situazione." decretò,
contrariato.
"E' una cosa che abbiamo in comune." affermò Magnus,
scrollando le spalle e facendogli l'occhiolino. "Forse saremmo una
buona squadra, se seppellissi l'ascia di guerra."
"Ne dubito fortemente!"
Magnus divenne serio. "Alec, credimi, sarei felicissimo di togliermi
dai piedi.."
"E allora lo faccia, per la miseria!" gridò Alec, gettando
la testa all'indietro per l'esasperazione.
"..ma ormai sono qui." continuò Magnus, ignorandolo e
andando a sedersi di nuovo sul divano bitorzoluto. "E ci
resterò per un bel po'. Rassegnati."
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