Anna
rientrò alle cinque e mezza del pomeriggio –
mezz'ora più tardi
del solito – e, prima di parcheggiare l'auto,
perlustrò
rapidamente i dintorni, constatando con soddisfazione che non c'era
traccia dell'Audi nera.
Perfetto!
Pensò,
infilandosi con un sorriso tra due innocue utilitarie bianche.
Canticchiando tra sé e sé, la ragazza
recuperò le borse della
spesea e poi si avviò verso casa. Non appena ebbe varcato la
porta
d'ingresso, Cassandra le si fece incontro miagolando, la lunga e
flessuosa coda nera che vibrava di gioia. «Ciao, patatina
mia» la
salutò Anna, prendendola il braccio e dandole un bacio sulla
testolina lucida. «Dov'è finita la tua sorella
antipatica?»
Non
vedendo da nessuna parte Calliope, la ragazza prese a sistemare il
cibo che aveva appena acquistato, stipandolo ordinatamente nella
credenza e nel frigorifero. Sono stata proprio
brava, si
disse, sentendosi estremamente fiera di sé. Ho
comprato un
sacco di frutta e di verdura e gli unici surgelati che ho nel freezer
sono le lasagne e il minestrone che mi ha dato la zia Clara. Sto
finalmente diventando un'adulta responsabile!
Dal
fondo della seconda borsa della spesa, Anna estrasse una confezione
dei croccantini preferiti dalle sue gatte. «Cos'abbiamo
qui?»
canticchiò, scuotendo un paio di volte la scatola di
cartone. Con un
vocalizzo deliziato, Cassandra tentò immediatamente di
arrampicarsi
sulle gambe della giovane, piantando le unghie nel cuoio spesso degli
stivali che indossava e, pochi istanti più tardi, il muso
tricolore
di Calliope sbucò da sotto il divano.
«Ah,
eccoti lì, disgraziata!» l'accolse Anna,
chinandosi per versare una
piccola porzione di crocchette nelle ciotole delle due gatte.
Mentre
le due bestiole mangiavano – con evidente entusiasmo l'una e
con
smaccata degnazione l'altra – la ragazza si mise a carponi
sul
pavimento e sbirciò al di sotto del divano dal quale era
sbucata
Calliope. Oh, porca vacca! Pensò con un
gemito, notando che
la parte inferiore del suo divano nuovo recava già i segni
delle
unghiate che la gatta tricolore gli aveva inferto nel corso di una
singola giornata lavorativa. «Sei proprio stronza»
borbottò,
guardando con astio il più minuto e ostile dei due felini. Devo
assolutamente trovare un modo per limitare i danni, altrimenti nel
giro di un anno dovrò far sistemare la metà dei
mobili, pensò,
rialzandosi e lasciandosi cadere su uno dei cuscinoni di stoffa
ruvida. Come aveva fatto sua madre a contenere i vandalismi di
Calliope, quando ancora vivevano tutte nella stessa casa? Non ne
aveva idea, ma sapeva che, da quando le due gatte avevano raggiunto
l'età adulta, i divani di Daniela non erano stati
danneggiati in
alcun modo.
Lasciando
scorrere uno sguardo vagamente desolato lungo i confini del suo
appartamento nuovo di zecca, Anna si chiese quante fossero le cose
che aveva sempre dato per scontate e che ora, raggiunta
l'indipendenza, avrebbe dovuto imparare a fare da sola, senza
più
poter contare sul sostegno della mamma. Non posso essere
messa
poi così male: a cucinare me la cavo,
pensò, iniziando a tenere
il conto sulle dita distese. Per i piatti, c'è la
lavastoviglie.
La lavatrice è a prova di idiota. Il ferro da stiro intendo
usarlo
il meno possibile – il segreto sta nello stendere bene. I
pavimenti
e il bagno li ho sempre lavati io. Che altro c'era da fare?
Bah!
È inutile preoccuparsi adesso: dovrei avere tutto sotto
controllo,
almeno a grandi linee. Adagiandosi
a occhi chiusi contro lo schienale imbottito, notò che non
erano
nemmeno le sei, il che significava che aveva almeno un'ora per
rilassarsi e dedicarsi a se stessa. Avrebbe potuto leggere il libro
che giaceva da troppo tempo abbandonato sul suo comodino, oppure
avrebbe potuto prendersi un po' cura del proprio corpo e farsi un
minimo di manicure, ma la verità era che era troppo stanca
per fare
sia l'una che l'altra cosa. Non era abituata a lavorare e, sebbene il
lavoro d'ufficio che aveva svolto durante il giorno non era certo il
più pesante del mondo, arrivava alla sera stremata e con ben
poche
energie residue.
Ci
vorrebbe qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere,
riconobbe con una punta di malinconia. Quando aveva accettato il
lavoro in ospedale, aveva ingenuamente pensato che Lorenzo non solo
avrebbe accettato la sua decisione – come lui le aveva del
resto
lasciato intendere – ma che si sarebbe addirittura trasferito
a
Lanzate con lei, avviando quella vita di coppia sulla quale tanto
avevano fantasticato. L'appartamento le sarebbe sembrato decisamente
meno vuoto, se il ragazzo fosse stato lì con lei: anche se
Lorenzo
non era mai stato un tipo di tante parole, sarebbe comunque stato una
compagnia migliore delle sue due gatte che, per quanto affettuose
(almeno nel caso di Cassandra), rimanevano sempre e comunque due
bestiole indipendenti e fondamentalmente solitarie.
Dovrei
trovarmi qualche amico,
rifletté la giovane, soppesando con lo sguardo lo smartphone
avvolto in una
custodia di
similpelle rosa confetto. Ma non era come dire: negli uffici accanto
al suo non c'erano ragazze della sua età e Anna sentiva di
avere
anche poche speranze di fare amicizia con le impiegate allo sportello
o con le infermiere, tutte già ben inserite in un giro di
conoscenze
da cui lei era esclusa e per il quale non sembrava esistere alcuna
porta d'accesso.
E
pensare che ce le aveva, una volta, le amiche. Quando sua madre
l'aveva portata via da Lanzate per iniziare la sua nuova vita con
Paolo, però, Anna non era che una bambina, troppo giovane
per
riuscire a intrattenere con successo delle amicizie a distanza. Ci
aveva anche provato, in verità: ricordava ancora le
letterine
scritte a Marianna e Giada, le sue vecchie vicine di casa, ma queste
si erano fatte sempre più rare, fino a scomparire pochi mesi
dopo il
trasloco.
Ma
adesso non c'è più bisogno di affidarsi alla
posta tradizionale,
pensò la giovane, rianimandosi tutta d'un tratto. Con un
mezzo
sorriso, afferrò il cellulare e sfiorò l'icona di
Facebook,
aprendo l'applicazione con una strana trepidazione. Deve
per forza esserci un qualche mio vecchio compagno delle elementari,
qui sopra,
ragionò.
Mordicchiandosi pensosamente le labbra, Anna cercò di
richiamare
alla mente il nome di qualcuno dei bambini con cui aveva condiviso i
primi anni della sua lunga carriera scolastica. Certo, la situazione
era piuttosto imbarazzante. Come poteva fare per riprendere i
contatti con persone con le quali aveva tagliato tutti i ponti da un
tempo così lungo? Come diavolo dovrei
fare a presentarmi?
Se scrivo a quello che è praticamente uno sconosciuto e gli
dico
“Ciao, ti ricordi di me? Sono la bambina sfigata con cui eri
in
classe diciotto anni fa!” mi prendono di sicuro per una
squilibrata.
Sì,
perché Anna non era stata una bambina molto popolare, negli
ormai
lontani anni della sua infanzia. Era piccolina, pallida, timida e
perennemente infagottata nei maglioncini che sua madre sferruzzava
per lei utilizzando solo la migliore lana biologica, assolutamente
ottimi per la salute della sua pelle, ma purtroppo deleteri per la
sua già fragile autostima. Il quadro era poi completato da
un paio
di occhiali spessi come fondi di bottiglia e contornati da
un'antiestetica plastica azzurra che le ingigantivano gli occhi e le
donavano una perenne espressione da insetto miope.
Sabrina
ed Esther! Ecco due persone con cui mi piacerebbe riprendere i
contatti! Pensò
improvvisamente Anna, ricordando le altre due ragazzine che avevano
formato con lei il terzetto di piccole emarginate della sezione C
della scuola elementare “A.
Manzoni”.
La prima era una
bimba bionda e socievole, con due grandi occhi azzurri e un sorriso
contagioso, ma che aveva il difetto di avere cosce e vita circondate
da qualcosa di più della consueta ciccetta infantile:
Sabrina era
palesemente in sovrappeso e per quel motivo era stata spesso oggetto
delle canzonature dei due o tre bulletti che frequentavano la classe
di Anna.
Eravamo
proprio un bello spettacolo,
ricordò Anna con un sorriso carico d'affetto. Io
ero cieca come una talpa e Sabry era grassottella, mentre Esther...
be', lei combinava le due cose, e per di più era pure di un
colore
che dava nell'occhio. Anna
ricordava ancora la prima volta che la maestra Michela aveva
presentato alla classe quella bimba rotondetta, con gli occhiali
storti, le treccine e la pelle scura-scura. Era appena arrivata dalla
Costa d'Avorio con i suoi genitori, aveva spiegato la maestra, e
quasi non conosceva l'italiano. Però aveva imparato in
fretta,
perché la parlantina proprio non le mancava, e ora che ci
pensava
Anna ricordava ancora i suoi lunghi monologhi infarciti di erre mosce
e neologismi italo-francesi.
Chissà
che fine hanno fatto, pensò
la ragazza. Spinta dalla curiosità, digitò per
prima il nome di
Sabrina, della quale ricordava con certezza come si scrivesse il
cognome. Eccola
qui!
Pensò con un fremito di
gioia, dopo essere passata in rassegna a un paio di donne che si
chiamavano come lei. Era cambiata, naturalmente, ma non c'era alcun
dubbio che si trattasse della sua vecchia amica. Nella foto del
profilo rideva e sembrava felice: non era dimagrita, ma portava i
capelli corti e più biondi che mai, aveva le labbra dipinte
di un
vistoso rosso ciliegia e indossava un vestito a pois che avvolgeva ed
esaltava le curve generose. È bella,
pensò Anna, quasi commossa, e sembra
anche tanto sicura di
sé. Lei,
che aveva una figura
decisamente più snella di quella di Sabrina, non avrebbe mai
osato
sfoggiare quell'abito e quel rossetto.
Senza
pensarci due volte, le inviò una richiesta di amicizia
seguita da un
messaggio in cui spiegava di essere da poco tornata in città
e di
essere quindi desiderosa di ristabilire le vecchie conoscenze.
E
chissà se...
scorrendo rapidamente l'elenco degli amici di Sabrina,
individuò
rapidamente anche Esther. Sono
fortunata! Si
disse Anna. La
foto della seconda ragazza era meno chiara di quella della giovane
bionda – solo un ritratto in bianco e nero fatto in
controluce –
ma Anna inviò anche a lei la richiesta di amicizia e lo
stesso
messaggio che aveva mandato a Sabrina poco prima.
Poi,
sentendosi stranamente spossata, Anna si lasciò ricadere
contro lo
schienale del divano, chiudendo gli occhi per una manciata di
secondi. Ecco, io la mia parte l'ho fatta,
ragionò,
inspirando profondamente. Io la mano l'ho tesa, adesso sta a
loro
afferrarla e darmi un segnale di qualche tipo.
Riaprendo
gli occhi, la giovane curiosò ancora un po' su Facebook,
spiando con
una punta di vergogna mista a curiosità le vite di quelle
persone
che un tempo aveva conosciuto e che ora erano per lei dei perfetti
estranei. Le foto dei loro profili e le poche generalità
elencate
sotto a esse erano spesso le uniche informazioni a cui aveva accesso,
ma tanto bastavano per tratteggiare un mondo fatto di viaggi
all'estero, vacanze in luoghi assolati, matrimoni e bambini in fasce.
Se
uno guardasse il mio profilo, che idea si farebbe di me? La
fotografia con la quale si presentava al mondo la ritraeva seduta al
tavolino di un bar qualsiasi, in una giornata d'inverno qualsiasi,
con un berretto con il pompon calcato sulla testa e gli occhiali un
po' appannati a causa della condensa. Quel pezzo di gomito
che si
vede al margine della foto appartiene a Lorenzo, ma nessuno
può
saperlo. Non sembrava una giovane donna di ventotto anni:
sembrava piuttosto una ragazzina immersa in un'eterna adolescenza.
Provando
un vago senso di fastidio verso se stessa, la ragazza lasciò
cadere
il cellulare sul divano, poi lo riprese solo per guardare che ore
fossero. Quasi le sette, constatò,
stupendosi di quanto in
fretta fosse passato il tempo. È ora di iniziare a
preparare
qualcosa per cena. Magari potrei scongelare una delle porzioni di
lasagne che mi ha dato la zia Clara. O magari meglio una vaschetta di
minestrone, che è più leggero.
Anna
si alzò e raggiunse il frigorifero, ma non appena distese il
braccio
per raggiungere la maniglia del freezer, un rumore la
bloccò. Era
una porta che sbatteva, quella? Si chiese, incuriosita. La
ragazza rimase in ascolto, immobile con la punta delle dita
appoggiata alla plastica fredda, fino a quando udì un suono
molto
simile a dei passi provenire dall'altra parte della parete. Viene
dall'appartamento dello squilibrato dell'Audi, comprese,
rendendosi conto solo in quel momento che l'appartamento di
Oleksander era separato dal suo solamente da una fragile parete di
mattoni.
Perfetto!
Pensò
Anna, levando gli occhi al cielo e aprendo bruscamene la porta del
congelatore. Non
mi ero accorta che l'isolamento acustico facesse così
schifo: si
sente praticamente tutto!
La
giovane pescò da uno degli scomparti del freezer un
contenitore di
plastica monoporzione, lo scoperchiò e annusò con
cautela la
poltiglia verdastra che sua zia Clara vi aveva versato qualche giorno
prima. Microonde, compi il tuo miracolo!
Pensò, infilando
l'intero contenitore nel piccolo forno argentato posto accanto al
frigorifero. E, per favore, non fondere la plastica. Era
una
plastica adatta alla cottura nel microonde, quella? Non ne aveva
idea, ma sua zia l'avrebbe sicuramente messa in guardia, se non fosse
stato così. No?
Anna
stava ancora meditando su quale fosse la temperatura migliore da
impostare – scongelamento o qualcosa di più?
– quando un nuovo
rumore metallico la fece sobbalzare. Cosa diavolo...? Calliope
e Cassandra, che si erano raggomitolate insieme su uno dei cuscini
del divano, levarono le teste, perfettamente sincronizzate, e si
guardarono attorno con allarme e astio. È
… è un cane
che abbaia, comprese, aggrottando la fronte, e il
rumore viene
proprio dall'appartamento di quello là.
E,
almeno a giudicare dal modo in cui abbaiava, non sembrava nemmeno un
cane piccolo, come un pinscher o un chihuahua, il che significava che
Francesco ci aveva visto giusto, quando ne aveva stimato le
dimensioni basandosi semplicemente sulla capienza della ciotola in
giardino.
Fortunatamente
il cane smise subito di abbaiare e Anna si scoprì a tendere
le
orecchie per cogliere qualcosa di quello che stava accadendo
nell'appartamento accanto. Se ascoltava bene, riusciva a sentire un
borbottio basso e immaginò che Oleksander stesse dicendo
qualcosa al
cane. Quasi se lo immaginava, alto, spigoloso e accigliato come le
era apparso quella mattina, ma con addosso giacca e cravatta. Perché
uno che guida una macchina del genere non può che indossare
giacca e
cravatta e fare un lavoro estremamente noioso,
rifletté la
ragazza, cercando di non pensare alle ore che aveva trascorso
inserendo all'interno del gestionale i dati dei questionari di
gradimento.
Era
il tipo di persona che parlava con gli animali? Magari si era anche
accucciato per guardare il cane negli occhi e fargli due carezze? Ma
chi se ne frega, si riscosse Anna. L'importante
è che impari
a parcheggiare come Dio comanda e che lui e il suo coinquilino a
quattro zampe non facciano troppo chiasso.
Anna
tornò al microonde e impostò una temperatura a
caso, ma non poté
impedire alla sua mente di interrogarsi anche su un'altra questione:
chissà se c'era anche un coinquilino a due zampe?
Una
fidanzata, magari, o una moglie? Prima che l'uomo rientrasse
pochi minuti prima – ammesso che fosse davvero lui e non un
fratello, un amico o magari un compagno – non aveva colto
alcun
suono che lasciasse presagire una presenza umana, ma era pur vero che
non si era accorta nemmeno dell'effettiva esistenza del cane, prima
che questo iniziasse ad abbaiare.
Quanti
anni avrà quel tipo?
Si chiese, ripercorrendo mentalmente gli avvenimenti di quella
mattina. Se doveva giudicare dal suo aspetto fisico, gli avrebbe dato
trent'anni, forse qualcosina di più, ma non molto. A
quell'età la gente vive ancora da sola? Si
chiese, prima di rendersi conto che era una domanda stupida,
perché
lei di anni ne aveva ventotto e da poco più di un mese era a
tutti
gli effetti una donna single. Per non dire
“zitella”,
la stuzzicò una vocina che assomigliava stranamente a quella
della
zia Clara.
Anna
scrollò la testa come per schiarirsi le idee. Ma
quale
zitella! Si
riprese,
apparecchiando rapidamente la tavola e stappando anche una delle
bottiglie di vino rosso che aveva comprato quel pomeriggio. Dove
stava scritto che, raggiunta una certa età, si doveva per
forza di
cose trovare un compagno di vita? La decisione di lasciare Lorenzo
era stata sofferta, ma non era qualcosa di cui si era mai pentita.
Era stata una scelta giusta, quella di mollare tutto e di iniziare
una nuova avventura a Lanzate.
Però
spero che Sabrina o Esther mi contattino presto, perché a
lungo
andare la solitudine potrebbe diventare un problema.
Estraendo
il minestrone ormai fumante dal forno a microonde, Anna lo
versò in
una fondina e poi si sedette al tavolo. Rigirandosi lentamente in
bocca la poltiglia densa, Anna fece un rapido inventario mentale
delle famiglie che vivevano nel suo stesso complesso. C'erano i
signori Rocca, che erano sposati e avevano due ragazzini adolescenti.
Sopra di loro abitavano due coniugi anziani. Nella villetta da parte
c'erano due sposini con una bimba di pochi anni e l'altro
appartamento era vuoto, com'era vuoto quello sopra di lei. Non sapeva
chi vivesse nell'appartamento sopra a quello di Oleksander ma, a
giudicare dai panni stesi sul balconcino, doveva trattarsi di una
famiglia di almeno tre persone.
Speriamo
anche che il tipo dell'Audi non sia né fidanzato
né sposato,
si scoprì a pensare tra un boccone e l'altro. Anche se non
c'era una
spiegazione perfettamente razionale a quella sensazione, Anna trovava
stranamente confortante il fatto di sapere di non essere l'unica a
non avere un compagno: era come se quella consapevolezza la cullasse
e le dicesse che no, non era troppo tardi per rifarsi una vita
sociale soddisfacente.
Con
una smorfia di vago disappunto, la ragazza si versò un mezzo
bicchiere di vino e lo usò per diluire un po' i pensieri che
le
affollavano la testa.
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