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Autore: RedeNetele    29/11/2019    2 recensioni
A quasi ventinove anni, Anna si trova di fronte a una scelta: lasciare la sua vecchia vita per ottenere un lavoro oppure rimanere disoccupata. Anche se a malincuore, Anna lascia Lorenzo, il suo ragazzo, e si trasferisce a più di duecento chilometri di distanza, nella città che l'ha vista crescere, dove l'aspetta un posto come impiegata nell'ospedale cittadino.
La vita da single è più difficile del previsto, soprattutto se a complicare le cose ci si mettono un vicino di casa ostile, irritante e con due occhi di ghiaccio e il suo cane-killer costantemente a caccia dei gatti di Anna. Ma chissà che non sia proprio Yaroslav, levriero apparentemente bipolare, ad alleviare la solitudine di Anna e a farle vedere sotto una nuova luce anche lo scostante Oleksander?
Ma l'imprevisto è sempre dietro l'angolo e, quando Lorenzo si dimostrerà più tenace del previsto, Anna dovrà fare i conti con l'amore, un sentimento che non ha mai compreso fino in fondo.
Una storia di umani, cani e mostri da sconfiggere.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Anna rientrò alle cinque e mezza del pomeriggio – mezz'ora più tardi del solito – e, prima di parcheggiare l'auto, perlustrò rapidamente i dintorni, constatando con soddisfazione che non c'era traccia dell'Audi nera.

Perfetto! Pensò, infilandosi con un sorriso tra due innocue utilitarie bianche. Canticchiando tra sé e sé, la ragazza recuperò le borse della spesea e poi si avviò verso casa. Non appena ebbe varcato la porta d'ingresso, Cassandra le si fece incontro miagolando, la lunga e flessuosa coda nera che vibrava di gioia. «Ciao, patatina mia» la salutò Anna, prendendola il braccio e dandole un bacio sulla testolina lucida. «Dov'è finita la tua sorella antipatica?»

Non vedendo da nessuna parte Calliope, la ragazza prese a sistemare il cibo che aveva appena acquistato, stipandolo ordinatamente nella credenza e nel frigorifero. Sono stata proprio brava, si disse, sentendosi estremamente fiera di sé. Ho comprato un sacco di frutta e di verdura e gli unici surgelati che ho nel freezer sono le lasagne e il minestrone che mi ha dato la zia Clara. Sto finalmente diventando un'adulta responsabile!

Dal fondo della seconda borsa della spesa, Anna estrasse una confezione dei croccantini preferiti dalle sue gatte. «Cos'abbiamo qui?» canticchiò, scuotendo un paio di volte la scatola di cartone. Con un vocalizzo deliziato, Cassandra tentò immediatamente di arrampicarsi sulle gambe della giovane, piantando le unghie nel cuoio spesso degli stivali che indossava e, pochi istanti più tardi, il muso tricolore di Calliope sbucò da sotto il divano.

«Ah, eccoti lì, disgraziata!» l'accolse Anna, chinandosi per versare una piccola porzione di crocchette nelle ciotole delle due gatte.

Mentre le due bestiole mangiavano – con evidente entusiasmo l'una e con smaccata degnazione l'altra – la ragazza si mise a carponi sul pavimento e sbirciò al di sotto del divano dal quale era sbucata Calliope. Oh, porca vacca! Pensò con un gemito, notando che la parte inferiore del suo divano nuovo recava già i segni delle unghiate che la gatta tricolore gli aveva inferto nel corso di una singola giornata lavorativa. «Sei proprio stronza» borbottò, guardando con astio il più minuto e ostile dei due felini. Devo assolutamente trovare un modo per limitare i danni, altrimenti nel giro di un anno dovrò far sistemare la metà dei mobili, pensò, rialzandosi e lasciandosi cadere su uno dei cuscinoni di stoffa ruvida. Come aveva fatto sua madre a contenere i vandalismi di Calliope, quando ancora vivevano tutte nella stessa casa? Non ne aveva idea, ma sapeva che, da quando le due gatte avevano raggiunto l'età adulta, i divani di Daniela non erano stati danneggiati in alcun modo.

Lasciando scorrere uno sguardo vagamente desolato lungo i confini del suo appartamento nuovo di zecca, Anna si chiese quante fossero le cose che aveva sempre dato per scontate e che ora, raggiunta l'indipendenza, avrebbe dovuto imparare a fare da sola, senza più poter contare sul sostegno della mamma. Non posso essere messa poi così male: a cucinare me la cavo, pensò, iniziando a tenere il conto sulle dita distese. Per i piatti, c'è la lavastoviglie. La lavatrice è a prova di idiota. Il ferro da stiro intendo usarlo il meno possibile – il segreto sta nello stendere bene. I pavimenti e il bagno li ho sempre lavati io. Che altro c'era da fare?

Bah! È inutile preoccuparsi adesso: dovrei avere tutto sotto controllo, almeno a grandi linee. Adagiandosi a occhi chiusi contro lo schienale imbottito, notò che non erano nemmeno le sei, il che significava che aveva almeno un'ora per rilassarsi e dedicarsi a se stessa. Avrebbe potuto leggere il libro che giaceva da troppo tempo abbandonato sul suo comodino, oppure avrebbe potuto prendersi un po' cura del proprio corpo e farsi un minimo di manicure, ma la verità era che era troppo stanca per fare sia l'una che l'altra cosa. Non era abituata a lavorare e, sebbene il lavoro d'ufficio che aveva svolto durante il giorno non era certo il più pesante del mondo, arrivava alla sera stremata e con ben poche energie residue.

Ci vorrebbe qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, riconobbe con una punta di malinconia. Quando aveva accettato il lavoro in ospedale, aveva ingenuamente pensato che Lorenzo non solo avrebbe accettato la sua decisione – come lui le aveva del resto lasciato intendere – ma che si sarebbe addirittura trasferito a Lanzate con lei, avviando quella vita di coppia sulla quale tanto avevano fantasticato. L'appartamento le sarebbe sembrato decisamente meno vuoto, se il ragazzo fosse stato lì con lei: anche se Lorenzo non era mai stato un tipo di tante parole, sarebbe comunque stato una compagnia migliore delle sue due gatte che, per quanto affettuose (almeno nel caso di Cassandra), rimanevano sempre e comunque due bestiole indipendenti e fondamentalmente solitarie.

Dovrei trovarmi qualche amico, rifletté la giovane, soppesando con lo sguardo lo smartphone avvolto in una custodia di similpelle rosa confetto. Ma non era come dire: negli uffici accanto al suo non c'erano ragazze della sua età e Anna sentiva di avere anche poche speranze di fare amicizia con le impiegate allo sportello o con le infermiere, tutte già ben inserite in un giro di conoscenze da cui lei era esclusa e per il quale non sembrava esistere alcuna porta d'accesso.

E pensare che ce le aveva, una volta, le amiche. Quando sua madre l'aveva portata via da Lanzate per iniziare la sua nuova vita con Paolo, però, Anna non era che una bambina, troppo giovane per riuscire a intrattenere con successo delle amicizie a distanza. Ci aveva anche provato, in verità: ricordava ancora le letterine scritte a Marianna e Giada, le sue vecchie vicine di casa, ma queste si erano fatte sempre più rare, fino a scomparire pochi mesi dopo il trasloco.

Ma adesso non c'è più bisogno di affidarsi alla posta tradizionale, pensò la giovane, rianimandosi tutta d'un tratto. Con un mezzo sorriso, afferrò il cellulare e sfiorò l'icona di Facebook, aprendo l'applicazione con una strana trepidazione. Deve per forza esserci un qualche mio vecchio compagno delle elementari, qui sopra, ragionò. Mordicchiandosi pensosamente le labbra, Anna cercò di richiamare alla mente il nome di qualcuno dei bambini con cui aveva condiviso i primi anni della sua lunga carriera scolastica. Certo, la situazione era piuttosto imbarazzante. Come poteva fare per riprendere i contatti con persone con le quali aveva tagliato tutti i ponti da un tempo così lungo? Come diavolo dovrei fare a presentarmi? Se scrivo a quello che è praticamente uno sconosciuto e gli dico “Ciao, ti ricordi di me? Sono la bambina sfigata con cui eri in classe diciotto anni fa!” mi prendono di sicuro per una squilibrata.

Sì, perché Anna non era stata una bambina molto popolare, negli ormai lontani anni della sua infanzia. Era piccolina, pallida, timida e perennemente infagottata nei maglioncini che sua madre sferruzzava per lei utilizzando solo la migliore lana biologica, assolutamente ottimi per la salute della sua pelle, ma purtroppo deleteri per la sua già fragile autostima. Il quadro era poi completato da un paio di occhiali spessi come fondi di bottiglia e contornati da un'antiestetica plastica azzurra che le ingigantivano gli occhi e le donavano una perenne espressione da insetto miope.

Sabrina ed Esther! Ecco due persone con cui mi piacerebbe riprendere i contatti! Pensò improvvisamente Anna, ricordando le altre due ragazzine che avevano formato con lei il terzetto di piccole emarginate della sezione C della scuola elementare “A. Manzoni”. La prima era una bimba bionda e socievole, con due grandi occhi azzurri e un sorriso contagioso, ma che aveva il difetto di avere cosce e vita circondate da qualcosa di più della consueta ciccetta infantile: Sabrina era palesemente in sovrappeso e per quel motivo era stata spesso oggetto delle canzonature dei due o tre bulletti che frequentavano la classe di Anna.

Eravamo proprio un bello spettacolo, ricordò Anna con un sorriso carico d'affetto. Io ero cieca come una talpa e Sabry era grassottella, mentre Esther... be', lei combinava le due cose, e per di più era pure di un colore che dava nell'occhio. Anna ricordava ancora la prima volta che la maestra Michela aveva presentato alla classe quella bimba rotondetta, con gli occhiali storti, le treccine e la pelle scura-scura. Era appena arrivata dalla Costa d'Avorio con i suoi genitori, aveva spiegato la maestra, e quasi non conosceva l'italiano. Però aveva imparato in fretta, perché la parlantina proprio non le mancava, e ora che ci pensava Anna ricordava ancora i suoi lunghi monologhi infarciti di erre mosce e neologismi italo-francesi.

Chissà che fine hanno fatto, pensò la ragazza. Spinta dalla curiosità, digitò per prima il nome di Sabrina, della quale ricordava con certezza come si scrivesse il cognome. Eccola qui! Pensò con un fremito di gioia, dopo essere passata in rassegna a un paio di donne che si chiamavano come lei. Era cambiata, naturalmente, ma non c'era alcun dubbio che si trattasse della sua vecchia amica. Nella foto del profilo rideva e sembrava felice: non era dimagrita, ma portava i capelli corti e più biondi che mai, aveva le labbra dipinte di un vistoso rosso ciliegia e indossava un vestito a pois che avvolgeva ed esaltava le curve generose. È bella, pensò Anna, quasi commossa, e sembra anche tanto sicura di sé. Lei, che aveva una figura decisamente più snella di quella di Sabrina, non avrebbe mai osato sfoggiare quell'abito e quel rossetto.

Senza pensarci due volte, le inviò una richiesta di amicizia seguita da un messaggio in cui spiegava di essere da poco tornata in città e di essere quindi desiderosa di ristabilire le vecchie conoscenze.

E chissà se... scorrendo rapidamente l'elenco degli amici di Sabrina, individuò rapidamente anche Esther. Sono fortunata! Si disse Anna. La foto della seconda ragazza era meno chiara di quella della giovane bionda – solo un ritratto in bianco e nero fatto in controluce – ma Anna inviò anche a lei la richiesta di amicizia e lo stesso messaggio che aveva mandato a Sabrina poco prima.

Poi, sentendosi stranamente spossata, Anna si lasciò ricadere contro lo schienale del divano, chiudendo gli occhi per una manciata di secondi. Ecco, io la mia parte l'ho fatta, ragionò, inspirando profondamente. Io la mano l'ho tesa, adesso sta a loro afferrarla e darmi un segnale di qualche tipo.

Riaprendo gli occhi, la giovane curiosò ancora un po' su Facebook, spiando con una punta di vergogna mista a curiosità le vite di quelle persone che un tempo aveva conosciuto e che ora erano per lei dei perfetti estranei. Le foto dei loro profili e le poche generalità elencate sotto a esse erano spesso le uniche informazioni a cui aveva accesso, ma tanto bastavano per tratteggiare un mondo fatto di viaggi all'estero, vacanze in luoghi assolati, matrimoni e bambini in fasce.

Se uno guardasse il mio profilo, che idea si farebbe di me? La fotografia con la quale si presentava al mondo la ritraeva seduta al tavolino di un bar qualsiasi, in una giornata d'inverno qualsiasi, con un berretto con il pompon calcato sulla testa e gli occhiali un po' appannati a causa della condensa. Quel pezzo di gomito che si vede al margine della foto appartiene a Lorenzo, ma nessuno può saperlo. Non sembrava una giovane donna di ventotto anni: sembrava piuttosto una ragazzina immersa in un'eterna adolescenza.

Provando un vago senso di fastidio verso se stessa, la ragazza lasciò cadere il cellulare sul divano, poi lo riprese solo per guardare che ore fossero. Quasi le sette, constatò, stupendosi di quanto in fretta fosse passato il tempo. È ora di iniziare a preparare qualcosa per cena. Magari potrei scongelare una delle porzioni di lasagne che mi ha dato la zia Clara. O magari meglio una vaschetta di minestrone, che è più leggero.

Anna si alzò e raggiunse il frigorifero, ma non appena distese il braccio per raggiungere la maniglia del freezer, un rumore la bloccò. Era una porta che sbatteva, quella? Si chiese, incuriosita. La ragazza rimase in ascolto, immobile con la punta delle dita appoggiata alla plastica fredda, fino a quando udì un suono molto simile a dei passi provenire dall'altra parte della parete. Viene dall'appartamento dello squilibrato dell'Audi, comprese, rendendosi conto solo in quel momento che l'appartamento di Oleksander era separato dal suo solamente da una fragile parete di mattoni.

Perfetto! Pensò Anna, levando gli occhi al cielo e aprendo bruscamene la porta del congelatore. Non mi ero accorta che l'isolamento acustico facesse così schifo: si sente praticamente tutto!

La giovane pescò da uno degli scomparti del freezer un contenitore di plastica monoporzione, lo scoperchiò e annusò con cautela la poltiglia verdastra che sua zia Clara vi aveva versato qualche giorno prima. Microonde, compi il tuo miracolo! Pensò, infilando l'intero contenitore nel piccolo forno argentato posto accanto al frigorifero. E, per favore, non fondere la plastica. Era una plastica adatta alla cottura nel microonde, quella? Non ne aveva idea, ma sua zia l'avrebbe sicuramente messa in guardia, se non fosse stato così. No?

Anna stava ancora meditando su quale fosse la temperatura migliore da impostare – scongelamento o qualcosa di più? – quando un nuovo rumore metallico la fece sobbalzare. Cosa diavolo...? Calliope e Cassandra, che si erano raggomitolate insieme su uno dei cuscini del divano, levarono le teste, perfettamente sincronizzate, e si guardarono attorno con allarme e astio. Èè un cane che abbaia, comprese, aggrottando la fronte, e il rumore viene proprio dall'appartamento di quello là.

E, almeno a giudicare dal modo in cui abbaiava, non sembrava nemmeno un cane piccolo, come un pinscher o un chihuahua, il che significava che Francesco ci aveva visto giusto, quando ne aveva stimato le dimensioni basandosi semplicemente sulla capienza della ciotola in giardino.

Fortunatamente il cane smise subito di abbaiare e Anna si scoprì a tendere le orecchie per cogliere qualcosa di quello che stava accadendo nell'appartamento accanto. Se ascoltava bene, riusciva a sentire un borbottio basso e immaginò che Oleksander stesse dicendo qualcosa al cane. Quasi se lo immaginava, alto, spigoloso e accigliato come le era apparso quella mattina, ma con addosso giacca e cravatta. Perché uno che guida una macchina del genere non può che indossare giacca e cravatta e fare un lavoro estremamente noioso, rifletté la ragazza, cercando di non pensare alle ore che aveva trascorso inserendo all'interno del gestionale i dati dei questionari di gradimento.

Era il tipo di persona che parlava con gli animali? Magari si era anche accucciato per guardare il cane negli occhi e fargli due carezze? Ma chi se ne frega, si riscosse Anna. L'importante è che impari a parcheggiare come Dio comanda e che lui e il suo coinquilino a quattro zampe non facciano troppo chiasso.

Anna tornò al microonde e impostò una temperatura a caso, ma non poté impedire alla sua mente di interrogarsi anche su un'altra questione: chissà se c'era anche un coinquilino a due zampe? Una fidanzata, magari, o una moglie? Prima che l'uomo rientrasse pochi minuti prima – ammesso che fosse davvero lui e non un fratello, un amico o magari un compagno – non aveva colto alcun suono che lasciasse presagire una presenza umana, ma era pur vero che non si era accorta nemmeno dell'effettiva esistenza del cane, prima che questo iniziasse ad abbaiare.

Quanti anni avrà quel tipo? Si chiese, ripercorrendo mentalmente gli avvenimenti di quella mattina. Se doveva giudicare dal suo aspetto fisico, gli avrebbe dato trent'anni, forse qualcosina di più, ma non molto. A quell'età la gente vive ancora da sola? Si chiese, prima di rendersi conto che era una domanda stupida, perché lei di anni ne aveva ventotto e da poco più di un mese era a tutti gli effetti una donna single. Per non dire “zitella”, la stuzzicò una vocina che assomigliava stranamente a quella della zia Clara.

Anna scrollò la testa come per schiarirsi le idee. Ma quale zitella! Si riprese, apparecchiando rapidamente la tavola e stappando anche una delle bottiglie di vino rosso che aveva comprato quel pomeriggio. Dove stava scritto che, raggiunta una certa età, si doveva per forza di cose trovare un compagno di vita? La decisione di lasciare Lorenzo era stata sofferta, ma non era qualcosa di cui si era mai pentita. Era stata una scelta giusta, quella di mollare tutto e di iniziare una nuova avventura a Lanzate.

Però spero che Sabrina o Esther mi contattino presto, perché a lungo andare la solitudine potrebbe diventare un problema.

Estraendo il minestrone ormai fumante dal forno a microonde, Anna lo versò in una fondina e poi si sedette al tavolo. Rigirandosi lentamente in bocca la poltiglia densa, Anna fece un rapido inventario mentale delle famiglie che vivevano nel suo stesso complesso. C'erano i signori Rocca, che erano sposati e avevano due ragazzini adolescenti. Sopra di loro abitavano due coniugi anziani. Nella villetta da parte c'erano due sposini con una bimba di pochi anni e l'altro appartamento era vuoto, com'era vuoto quello sopra di lei. Non sapeva chi vivesse nell'appartamento sopra a quello di Oleksander ma, a giudicare dai panni stesi sul balconcino, doveva trattarsi di una famiglia di almeno tre persone.

Speriamo anche che il tipo dell'Audi non sia né fidanzato né sposato, si scoprì a pensare tra un boccone e l'altro. Anche se non c'era una spiegazione perfettamente razionale a quella sensazione, Anna trovava stranamente confortante il fatto di sapere di non essere l'unica a non avere un compagno: era come se quella consapevolezza la cullasse e le dicesse che no, non era troppo tardi per rifarsi una vita sociale soddisfacente.

Con una smorfia di vago disappunto, la ragazza si versò un mezzo bicchiere di vino e lo usò per diluire un po' i pensieri che le affollavano la testa.

   
 
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