Griswold
Street è vestita a festa. Lungo i marciapiedi gli alberi
sono avviluppati in ragnatele di luci natalizie e luminose ghirlande a
cascata addobbano gli archetti pensili al pian terreno del The Rowland.
Fuori, sotto la neve, tra gli schermi pubblicitari e le vetrine
interattive dei negozi di Capitol Park il palazzo sfoggia con orgoglio
l’inalterata appartenenza agli anni Venti del secolo passato;
all'interno la lobby sfavilla di sofisticata
contemporaneità: colonne quadrate coperte di specchi, quadri
astratti alle pareti, un lustrissimo pavimento in marmo nero venato di
bianco e... un immancabile controllo di sicurezza
all’ingresso.
Nova passa sotto il metal detector, che non emette nessun bip
allarmato, e poi lascia che l'addetto alla sicurezza, un umano, frughi
nella sua borsa.
«L'androide è suo?» chiede l'uomo,
riconsegnando la borsa.
Nova esita, per una frazione di secondo.
«Sì.»
Connor sta attendendo dietro la linea olografica che chiude l'accesso
al metal detector. La guardia gli fa cenno di venire avanti, come se
rivolgere la parola a una macchina fosse una fatica superflua.
È tardi e poche persone oziano nella lobby. Senza dire
nulla, giornalista e androide raggiungono il banco della reception. Una
ST300 è seduta dall’altro lato. Si attiva con
un sorriso e, gentile come un'assistente di bordo, dà il
benvenuto a Nova e chiede in cosa può esserle utile.
«Devo incontrare Nico Malone.» La reporter nasconde
le
mani nelle tasche del trench e parla con misurata noncuranza.
«È in casa?»
Il LED della ST300 disegna un cerchio giallo. «Al momento il
signor Malone si trova nella propria unità
abitativa.»
«Che sarebbe?»
«Dodicesimo piano. Appartamento numero 0903. Vuole che
annunci la visita?»
«No. Mi sta aspettando.»
«Molto bene.» La ST300 continua a sorridere,
serafica. «Posso vedere un documento di identità
valido?»
«Ehm... sì, certo...»
Nova, trafficando con la borsa, scocca un'occhiata a Connor.
È due passi più indietro, l'aria neutra e assente
di un qualsiasi androide in attesa di ordini.
Oltre
il caotico albero di Natale al centro della sala e oltre i tavoli
deserti
della zona caffetteria, gli ascensori riservati agli umani hanno porte
nere e lucide come pezzi d'onice. Nova schiaccia il pulsante di
chiamata e sul display verticale compare il messaggio che annuncia
l’immediato arrivo dell’ascensore. Le porte si
aprono con un melodioso cicalino.
Nova entra.
Connor la segue.
Lei sfiora il numero 12 sullo schermo tattile, l’androide
raccoglie le mani dietro la schiena e le porte inghiottono la vista
sulla lobby luccicante. Una vocetta elettronica ricorda che all'interno
della cabina è vietato fumare, che al terzo piano si
può godere dei servizi offerti dal centro fitness aperto
ventiquattr'ore su ventiquattro e che l'accesso alla piscina coperta
è gratuito per i residenti.
«Hai preso quello che ti serve?» chiede Nova,
riaffondando le mani in tasca.
Connor sta guardando diritto davanti a sé.
«Sì.»
«Bene...»
«Le probabilità che il piano fallisca rimangono
alte.»
«Un passo alla volta, Connor. E un po’ di ottimismo
non guasterebbe.»
«Malone potrebbe non essere da solo.»
«In quel caso, improvviserò qualcosa...»
«Cosa farà se lui non dovesse accettare di
parlarle? Ha detto di non essere rimasta in buoni rapporti con
lui.»
«Guarda dove vive. Gli piace il lusso. Mi
ascolterà, se gli offro un modo di risparmiare
soldi.»
Connor non controbatte.
Nova non può far a meno di voltarsi a osservarlo.
Il LED dell’androide è bloccato sulla luce gialla.
«Che hai?» chiede lei.
E coglie una serie di rapidissimi battiti di palpebra, prima di
sentirlo
rispondere: «Resto convinto che Nico Malone non sia coinvolto
nell’omicidio. Tuttavia, se la moglie ha detto la
verità,
potrebbe essere pericoloso restare da sola con lui.»
Nova torna a contemplare le porte. In cagnesco, adesso. «Deve
solo provarci ad alzare un dito su di me.» Al momento si
sente capacissima di cavargli gli occhi a mani nude. Umetta le labbra;
è preoccupata, sì, ma non per sé
stessa.
«Senti, Connor... se qualcosa va storto, mi prendo io ogni
responsabilità. Ho sentito come ti ha minacciato Fowler,
questa mattina, alla Centrale.» Con la coda
dell’occhio, vede
Connor girarsi verso di lei.
Sono all’ottavo piano.
L’ascensore si ferma.
Ad attenderlo c’è un ragazzotto con i capelli
raccolti in un codino da samurai e un auricolare agganciato
all’orecchio sinistro; si piazza tra Nova e Connor,
allontanandoli di prepotenza l’uno dall’altra, e
non degna nessuno dei
due di mezzo sguardo. E sempre ignorandoli, scende al piano successivo.
L’ascensore riprende a salire.
Decimo piano.
Undicesimo piano.
Dodicesimo piano.
\ / / \
Connor
seleziona il –1 sulla pulsantiera e le porte della cabina si
chiudono, separandolo dal corridoio del dodicesimo piano. E dalla
giornalista. Mentre l’ascensore comincia la ridiscesa
silenziosa, un costante tintinno riecheggia all’interno: il
quarto di dollaro volteggia in aria e ricade nel palmo di Connor. Una,
due, tre volte; i movimenti precisi, perfetti, sempre uguali, come
solo una macchina è in grado di eseguire. Sul display il
numero dei piani cambia, veloce. La moneta rotola in equilibrio lungo
le pallide nocche dell’androide.
«Lo Zenosyne ha una rete privata» gli ha detto Nova
Barton, quando il taxi era fermo lungo la Plaza Drive.
«Qualsiasi dispositivo in grado di connettersi, se ne ha
l’autorizzazione, si aggancia in automatico alla rete dello
Zenosyne
nel momento in cui si mette piede negli uffici. Malone non si sposta
mai senza il suo datapad. È probabile che lo avesse con
sé, quando è tornato nel suo ufficio. Sei in
grado di connetterti al datapad e scoprire se era agganciato alla rete
della redazione, ieri sera, attorno all’orario
dell’omicidio?»
Il LED si è acceso violentemente di giallo, mentre Connor
elaborava la richiesta. Ha ricevuto un messaggio di avviso, in merito
alle regole di accesso ai dati personali dettate
dall’American Androids
Act. Ne ha forzato la chiusura, ignorandolo. «Potrei farlo.
Ma con molta probabilità il datapad è protetto
da una password. È una misura di sicurezza che non posso
aggirare.»
Nova Barton è parsa sprofondare nel sedile. Lui
l’ha osservata mordicchiarsi la guancia – ha
imparato a equiparare quel micro-gesto all’atto di pensare
–
e, di riflesso, ha aggrottato la fronte, avviando una ricerca in rete.
«Forse...» ha principiato l’androide, un
istante
prima che, con un ultimo balugino ambrato, il LED tornasse stabile e
la fronte distesa. «Forse esiste un modo per ottenere la
password.»
L’ascensore si ferma.
Connor chiude le dita sul quarto di dollaro.
Le porte si aprono su di un corridoio spazioso e illuminato, senza
finestre né mobili, e con le pareti pitturate di
un bianco ghiaccio.
[ RAGGIUNGI I LOCALI DELLA LAVANDERIA ]
\ / / \
«Come cazzo sei
entrata?»
Nico Malone non ha bell’aspetto. Forse ha bevuto. Di certo
è
stressato. E risulta una creatura assolutamente fuori posto in un
appartamento elegante e minimale come una sala da tè
giapponese. Il direttore dello Zenosyne non indossa una delle sue
cravatte di seta, né una delle costose cinture in pelle; e
la camicia di alta sartoria, con un lembo che penzola fuori dai
pantaloni e le maniche arrotolate sugli avambracci irsuti, ostenta due
grosse macchie sotto le ascelle. Le guance, di solito rasate alla
perfezione, sono scurite da un’ombra di barba; i capelli
hanno smarrito la scrima e ogni singolo ciuffo brizzolato, non sapendo
più da che parte andare, ha preso una direzione a piacimento.
Per Nova, che non l’ha mai visto in uno stato simile,
è il ritratto dell’uomo d’affari che sa
di aver commesso un errore enorme.
«È tutto il giorno che evito la stampa e poi fanno
passare ‘sta troietta!» sbraita Malone, in piedi,
all’estremità di un tavolo da pranzo in acciaio e
cristallo,
le mani serrate sulla spalliera di una sedia.
Alle sue spalle, sulla parete, un trittico di quadri compone
un’unica immagine. Sembra un paesaggio di rocce che
spuntano da un mare di nebbia; ma forse sono soltanto pretenziose
macchie d’inchiostro nero su fondo grigio.
«Servizio di controllo un cazzo! Con quello che pago ogni
mese!»
Nova, all’altra estremità del tavolo, vorrebbe
sdrammatizzare facendo presente che qualcuno l’ha
effettivamente controllata e registrata prima di lasciarla salire. Ma
il sarcasmo resta incastrato in gola. La determinazione traballa.
Lei è nella fossa del leone – o
dell’orso, considerata la stazza di Malone – ed
è
sola.
Tredici piani la separano da Connor e l’unica altra presenza
nell’appartamento è una AJ700 la quale, dopo
averla fatta
entrare, si è ritirata sotto l’arco che unisce il
soggiorno
alla cucina con espressione apatica sul volto familiare. [1]
Nova si morde una guancia. Forte. Fino a sentire dolore. Davanti a lei
c’è l’assassino di Walty. Non
è
il momento di avere paura. È il momento di portare avanti il
piano. «Sono venuta solo per chiedere scusa» butta
fuori.
Avrebbe preferito bere acqua di fogna. Si sforza di mostrare un faccino
rammaricato e di torcersi a dovere le mani, un po’ per
restare nella parte e un po’ per nascondere il tremore.
Nico Malone, però, non la sta nemmeno guardando,
né sembra averla
sentita. «Falla uscire!» urla, rivolto
all’androide domestico. «E non ti azzardare mai
più a far entrare qualcuno senza avvertirmi prima! Mi hai
capito bene, pezzo di plastica del cazzo?»
La AJ700 si scusa, promette che l’errore non verrà
ripetuto
e si avvicina a Nova. Le chiede seguirla.
Ma Nova la ignora.
«Malone, la supplico...»
Ora lo sguardo dell’uomo saetta su di lei. E Nova distingue
un lampo di lucida soddisfazione
attraversare gli occhietti grigi, infossati in quella faccia larga,
dello
stesso colore di una ciambella che non è stata fritta
abbastanza
a lungo.
«Sì. Lo fate tutti. Alla fine.»
«Mi dia un’altra possibilità.»
«No!»
«Avrei dovuto accettare la sua proposta dell’altro
giorno.»
«Troppo tardi!»
«Ma lei è un professionista e io ho ancora tanto
da imparare.»
«Pensi di essere la prima puttana che torna da me a
piagnucolare? Sparisci!»
«Mi dia almeno il modo di dimostrare la mia buona
volontà. Voglio aiutare... voglio contribuire! Non chiedo
nemmeno un dollaro in cambio.»
«E che avresti da contribuire tu?»
«Stavo pensando...» mormora Nova «che
dopo il brutto incidente di ieri notte...»
Malone diventa più bianco del pavimento smaltato.
Nova abbassa lo sguardo sulle proprie mani. La pelle sulle nocche
è arrossata, ma lei continua a torturarle, lentamente, con
insistenza. Prende un respiro, e rialza cautamente lo sguardo. Deve
essere
convincente, e allo stesso tempo, sembrare mite e servizievole.
«Quando le indagini saranno concluse e gli androidi
ritrovati, ci sarà un processo. Questo lo sa anche lei,
Malone. Sono sicura che immagina già che la Cyberlife
cercherà di ridimensionare le proprie
responsabilità. L’omicidio è avvenuto
nella sua
redazione e per mano di androidi che appartengono legalmente a lei.
Potrebbero puntarle il dito contro, accusandola di essere stato
negligente e non essersi accorto in tempo dei malfunzionamenti nelle
macchine.»
Malone tace. La sta fissando, sempre pallido, con una vena rigonfia,
piccola e biancastra come una larva, sotto l’occhio
destro.
«In una situazione del genere, sarebbe utile poter dimostrare
di essere un capo che ha a cuore il bene e l’interesse dei
suoi
dipendenti. Sarebbe utile poter dimostrare a una giuria che conosceva
Zachary Walton come fosse stato... non so, un amico. Un figlio,
magari.»
«Dove cazzo vuoi andare a parare?»
«Io conoscevo bene Zachary. Potrei fornirle tutte le
informazioni di cui avrebbe bisogno.»
Silenzio.
Che cosa sta meditando Malone? Di buttarla fuori
dall’appartamento a calci? Di
stringerle le mani attorno al collo? Oppure sta realmente soppesando
l’idea di usarla
per rafforzare il proprio abili?
La sedia sobbalza.
Malone lasciato la presa dalla spalliera e si avvicina.
Nova indietreggia.
Ma la grossa mano dell’uomo scatta verso il suo gomito.
Malone
la trascina verso il divano di pelle bianca smerigliata, che deve
costare quanto l’affitto due mesi del suo bilocale su Wade
Street; è come avere il braccio incastrato tra le portiere
di un’automobile e Nova non ci prova nemmeno a opporsi.
«Siediti.»
Malone la lascia andare e lei, ignorando il dolore al braccio,
obbedisce: prende
posto al centro del divano, tenendo lo sguardo sul tavolino da
caffè,
tra il divano e due nere e severe poltrone, in stile Le Corbusier; sul
piano trasparente ci sono tre anoressiche statuine di ebano
vagamente antropomorfe. Ma, nonostante gli occhi bassi, Nova
è consapevole della posizione della porta
d’ingresso alla sua sinistra; della porta a scorrimento in
vetro smerigliato alle sue spalle; del mobile bar incassato nella
parete a destra; dell’assenza di librerie nella stanza
e… di
non aver intravisto il datapad da nessuna parte.
Malone sistema in poltrona la sua nervosa e sudaticcia mole.
«Apri bene le orecchie, puttanella. Se stai cercando di
fregarmi, ti farò pentire di aver messo piede qui dentro.
Quindi ora non te ne vai fino a quando non abbiamo sistemato questa
storia.»
Nova annuisce. Strofina i palmi lungo le cosce. Guarda oltre la
poltrona, verso le finestre che si affacciano sul Capitol Park
illuminato.
«Ehm... posso...»
«Cosa?» grugnisce Malone.
Nova getta un’occhiata timida e calcolata al mobile bar.
«Penso che sarebbe più facile per me parlare di
Zachary, e di tutto il resto, se...» Parla come se avesse il
fiato corto. «Un bicchiere sarebbe di aiuto, ecco. Tutto
qui.»
Una smorfia di fastidio impasta i lineamenti di Malone. Poi, soffia. Si
agita sulla poltrona e allenta il colletto della camicia.
«Portami del Bogart’s. Liscio.»
Nova guarda Malone. Sta dando ordini a lei, non alla AJ700. Con calma,
lasciando la borsa sul divano, la reporter si alza e raggiunge il
mobile bar; sa
che Malone la sta osservando ed è come muoversi con il laser
di un cecchino puntato alla schiena. Dev’essere
così che gli piacciono le donne, pensa Nova. Supplicanti e pronte a servirlo.
Apre le ante del mobile bar. L’interno è rivestito
di
specchi, e luccica come la vetrina di una gioielleria. Prende due
bicchieri dal piano più alto e la bottiglia di
whiskey da quello centrale; per un attimo, osservando la raffinata
etichetta nera, prende anche lucidamente in considerazione
l’idea di
mandare all’aria il piano e fracassare la bottiglia in testa
allo
spreco di atomi che occupa la poltrona, se si azzarda a chiamarla
un’altra volta puttana.
Riempie il primo bicchiere. Riempie il secondo.
Una volante della polizia passa a sirene spiegate sotto le finestre del
palazzo, percorrendo veloce Griswold Street. Poi,
l’acciottolio della bottiglia rimessa al suo posto e il
sibilo delle ante richiuse.
Nova torna verso il divano. Porge un bicchiere a Malone, che quasi
glielo
strappa di mano, e tiene l’altro per sé.
Ma il nervosismo la tradisce. Urta il ginocchio contro il tavolino da
caffè. Metà del whiskey finisce sul trench e
l’altra metà sul costoso pavimento di Malone.
«Che cazzo combini?» ruglia l’uomo.
Nova tampona il bicchiere con la manica, per evitare che altro liquore
goccioli sul pavimento, e si prodiga in pigolii di scusa.
«Emma!»
La AJ700 è subito accanto a loro.
«Pulisci questo casino!»
L’androide si allontana con il bicchiere di Nova; poi, prima
che Malone abbia il tempo di tracannare tutta la sua parte di
whiskey, è di ritorno con un panno in
microfibra che, a giudicare dal vago odore di ammoniaca, è
imbevuto di detergente.
«Avete... avete una lavanderia?» azzarda Nova.
«Eh?»
«Nel palazzo, intendo.... c’è un
servizio di
lavanderia, vero? È... è che questa stoffa
è di
pessima qualità. Resterà macchiata, se non la
pulisco subito. E poi rischio di sporcarle il divano.»
Malone la insulta a mezza bocca, inghiotte quel che resta del whiskey,
rumorosamente, quasi con furia. La mano e il bicchiere vuoto ciondolano
oltre il bracciolo della poltrona. «Scendi in
lavanderia.» Sta parlando con Emma. «Pulisci la
giacca. E sbrigati!»
«Sì, Nico.»
Nova sfila il trench, lo affida a Emma, stiracchia verso il basso
l'orlo del
pullover blu a costine. Ha scelto una maglia dal colletto alto per
nascondere i lividi sul
collo, ma ormai le è chiaro che a Malone non sarebbe
interessati, così come non gli interessano i lividi sul suo
viso. La giornalista si rimette a sedere sul divano, e spia Emma di
sottecchi.
L'androide è all'ingresso e c’è un
display per lo sblocco della
serratura accanto alla porta. La AJ700 spoglia la mano destra della
pelle sintetica e, invece di digitare un pin, appoggia il
palmo sopra lo schermo. Lo scanner emette
un debole segnale acustico. La porta si apre ed Emma esce
dall’appartamento.