Erano
passati due mesi, due lunghi mesi di navigazione in acque a volte
calme, a volte agitate e a volte tempestose. Il freddo clima del
continente europeo aveva man mano lasciato lo spazio a un tepore
sconosciuto a chi, come lei, non aveva conosciuto altro che la
ventosa e spesso inclemente Cornovaglia. Il caldo si era fatto via
via più intenso, a volte insopportabile di notte nel chiuso
della
sua minuscola cabina e Demelza aveva dovuto lottare strenuamente con
la nausea a causa sia del cambio di clima, sia della gravidanza che
ormai, anche se non era che al quarto mese, era evidente agli occhi
più attenti.
In quei lunghi
sessanta giorni non era quasi mai uscita, se non di sera quando non
c'era in giro nessuno, dalla cabina. Troppo stanca, troppo spossata,
troppo fragile, aveva passato a letto gran parte del tempo in compagnia
di Garrick o di Prudie che non aveva mai smesso di soffrire di mal di
mare e malediva ad ogni ora del giorno quel viaggio. Erano i bambini a
portare loro il cibo, di pessima qualità, cucinato dal cuoco
per i naviganti. Ma erano una benedizione lo stesso, loro che si
prendevano cura di lei e quel cibo spesso pessimo ma mai assente, in
quel mare di incertezza in cui navigava da mesi.
Lei
si sentiva... una crisalide...
Qualsiasi
cosa fosse stata prima, non lo era più. Si era chiusa a
lungo in un bozzolo ed ora sapeva che quel bozzolo che la separava dal
mondo in attesa di rinascere a nuova vita con fattezze nuove, era
destinato a sgretolarsi nel giro di poche ore.
I
bambini, che giocavano per la nave gran parte del giorno, le avevano
comunicato che il capitano della nave aveva annunciato che l'indomani,
al mattino, avrebbero attraccato al porto d'arrivo in Jamaica. Il
viaggio era finito, non sarebbe più stata una crisalide ed
ora la vita e le sue scelte l'avrebbero costretta... a vivere. In
qualche modo, da qualche parte, in un mondo sconosciuto che non
riusciva ancora ad immaginare, in posti e in mezzo a gente sconosciuti.
A
quel pensiero, una grande nausea la invase ancora. Si alzò
dal cuscino e i bambini, che stavano armeggiando con un libro, la
guardarono preoccupati.
“Mamma?”
- chiese Jeremy.
Prudie
si alzò, frizionandole la fronte con un panno bagnato.
“Hai la faccia di una che sta per rimettere anche il pranzo
del suo Battesimo, ragazza”.
Demelza
sospirò, affranta. Santo cielo, aveva bisogno d'aria ma non
aveva voglia di girare per la nave a quell'ora. Anche se era sera, non
era ancora così tardi per trovare il pontile deserto... E
odiava che la gente la vedesse in quello stato. “Parliamo!
Devo tenere occupata la mente”.
“Di
cosa, mamma?”.
Guardò
sua figlia, sempre così entusiasta davanti ad ogni cosa e
con la grinta negli occhi tanto tipica di suo padre. “Della
Jamaica. Di cosa faremo da domani”.
Prudie
annuì. “Sì! Spese! Cibo, da bere, il
rum... Riempie la pancia, dicono... Ed è di ottima
qualità, dicono”.
Jeremy
e Clowance risero davanti alle ottime argomentazioni che avrebbero
fatto bene solo a stessa, di Prudie, ma la piccola aveva idee
più costruttive.
“Esplorare,
mamma! E chiedere di Kitty e Cecily! E cercarle, trovarle e poi magari
iniziare a cercare un posto per noi!”.
Demelza
le sorrise, il senso pratico, sua figlia, l'aveva ereditato da lei.
“Ottima idea, questo mi sembra saggio” - disse,
sentendo la nausea allentare un po' la presa.
Jeremy,
dondolando pensieroso le gambe a penzoloni dalla sedia,
lanciò la sua idea. “Potrò lavorare,
mamma?”.
Demelza
sussultò. Jeremy aveva lanciato quell'iniziativa
giocosamente e con entusiasmo, senza rendersi forse conto di quanto la
ferisse pensare che erano soli e che ognuno di loro, anche i bambini,
doveva darsi da fare. Sentì il cuore spezzarsi di nuovo al
pensiero di Ross con Tess, al suo abbandono e alle tante promesse
d'amore infrante. Ma no, non avrebbe permesso che questo rovinasse
più di quanto non fosse già rovinata, l'infanzia
dei suoi figli. Voleva che fossero giocosi e allegri come sempre, che
vivessero quel trasferimento come una grande avventura e che non
perdessero il sorriso che da sempre illuminava i loro volti.
“No, assolutamente!”.
“Ma
mamma” - protestò il bambino - “Tanti
bambini della mia età lavorano, in Cornovaglia! Anche alla
Wheal Grace, in esterno”.
“Sei
troppo giovane, fine del discorso!” - tagliò corto
lei. “E posso occuparmi di voi da sola, non c'è
bisogno che tu faccia nulla finché non ti riterrò
abbastanza grande”.
“Ma
sono grande!”.
“Non
lo sei”.
Imbronciato,
Jeremy picchiò i pugni sulle gambe. “E allora
perché tanti bambini lavorano?”.
In
quel momento, Demelza impallidì. Nelle rimostranze di Jeremy
c'era tanto del Ross che lottava contro le ingiustizie sociali, tanto
del suo fervore per le cause che riteneva giuste e tanto delle lotte in
cui si era impegnato, una delle quali era stata proprio l'abolizione
del lavoro minorile. Chissà se ora che stava tradendo il suo
paese, oltre che loro, avrebbe ancora lottato con coraggio per i
più deboli... “Il fatto che molti bambini
lavorino, non significa che sia giusto. I bambini devono giocare, stare
al sicuro e crescere sani e forti. Molti bambini che iniziano a
lavorare fin da piccoli, finiscono per ammalarsi alle ossa e crescono
deboli. Non voglio che succeda anche a te. Ce la caveremo, come
sempre... Sta tranquillo, amore mio”.
Clowance
la guardò con quei suoi occhi indagatori.
“Davvero?”.
“Davvero”
- disse, cercando di apparire sicura.
Jeremy
le si avvicinò, sedendosi accanto a lei. “Ma io
voglio aiutarti. E anche Clowance. Non lo dici tu che ognuno deve fare
la sua parte? Non c'è più il papà con
noi, non abbiamo i soldi della miniera e in Jamaica come
faremo?”.
Si
sentì commossa dalla maturità di Jeremy e in
fondo suo figlio aveva ragione, erano senza nulla e con un futuro nuovo
da costruire da zero. Poteva fingere di non pensarci ma in cuor suo era
stato il suo pensiero tormentato per quei due mesi di viaggio. Ma non
voleva che fosse un pensiero dei suoi bambini, era lei l'adulta, era
lei che aveva scelto di partire ed era lei che avrebbe dovuto pensare a
tutto. Accarezzò i capelli dei suoi figli, quelli dorati di
Clowance e quelli castani di Jeremy e li strinse a se.
“Dicono che in Jamaica si peschino pesci enormi e che per un
provetto pescatore, sia divertente andare a pesca. Questo farai, con
tua sorella, Jeremy! Pescherai e cercherai ogni tipo di crostaceo
commestibile e assicurerai le nostre cene e i nostri pranzi. E'
importante ed è una cosa che ami fare! E poi, ti ricordi
cosa mi hai promesso?”.
Entusiasta
per la proposta della madre e rinfrancato dal fatto di poter essere
utile, Jeremy la abbracciò. “Quale
promessa?”.
Demelza
si accarezzò quel ventre che cresceva e che ancora non aveva
imparato né ad accettare, né ad amare.
“Che vi prenderete cura di Isabella-Rose. Conto su di voi per
lei”.
Clowance
annuì, rannicchiandosi fra le braccia di Prudie.
“Sì, ci pensiamo noi alla sorellina!”.
“Lo
giuro” - aggiunse Jeremy, con aria da ometto.
“Bravo,
amore mio” - sussurrò, abbracciandolo di nuovo.
Poi, con rinnovato entusiasmo, iniziò a programmare la sua
vita per evitare di pensare al passato e trovare la forza di guardare
al futuro: trovare Kitty e Cecily, imparare a conoscere quel luogo
misterioso che era la Jamaica, procurare una canna da pesca a Jeremy e
iniziare da lì, passetto dopo passetto, a vivere ancora.
I
bimbi si misero a letto più contenti e all'apparenza
tranquilli e lei, dopo aver letto loro una storia, li
osservò addormentati in quel piccolo lettuccio nell'angolo
della cabina più lontano dall'ingresso, che avevano
condiviso in quei due mesi. Un luogo piccolo, angusto, ma che era
diventato il loro rifugio in quella lunga traversata, che avevano
imparato in un certo senso a considerare la loro casa. Dal giorno dopo
lo avrebbero abbandonato e sarebbe diventata la casa di qualcun altro,
custodendo nuovi sogni e nuove paure.
Quando
anche Prudie si addormentò, decise che era ora della sua
passeggiata serale. Era ormai quasi mezzanotte, la nave era avvolta dal
silenzio e solo il rumore delle onde che si infrangevano sullo scafo
spezzava la quiete della tarda sera.
Di
soppiatto si alzò dal letto, uscì dalla cabina
lasciando Garrick a poltrire sul letto dei bimbi e poi, a piccoli
passi, si diresse sul pontile.
L'aria
era umida e calda, così diversa dal clima ventoso della
Cornovaglia dove anche in estate, di sera, dovevi portarti uno scialle
per coprirti. La Jamaica era diversa, le avevano raccontato che
lì faceva quasi sempre caldo e che solo brevi periodi delle
piogge, violentissime, interrompevano quella perenne estate.
Sul
pontile c'erano alcuni marinai intenti a sistemare e issare delle cime,
che non fecero caso a lei. Gli altri passeggeri, che forse nemmeno
conoscevano il suo volto viste le poche volte in cui si era aggirata di
giorno per la nave, dovevano essere già a dormire.
Si
appoggiò alla balaustra, pensierosa, immaginando l'aspetto
di quell'isola, le persone che vi vivevano e l'esistenza che avrebbe
condotto. Ma anche col pensiero, strisciante, rivolto al passato, alla
sua Nampara, al suo giardino e al suo uomo, l'unico che avrebbe amato
davvero e per sempre, ormai lontani e persi dietro altri amori, altre
sfide e altri orizzonti.
A
quei pensieri, al suo Ross e a Tess nella camera da letto che l'aveva
vista diventare donna e madre, la nausea aumentò e una
lacrima le scivolò sul viso, come spesso accadeva e
permetteva che succedesse quando era sola. Santo cielo, sarebbe mai
passata? Avrebbe mai dimenticato Ross e le tante cose che le aveva
detto e promesso, le tante parole d'amore, le tante battaglie
combattute insieme, fianco a fianco? Avevano condiviso così
tanto nel bene e nel male, avevano rischiato di perdersi tante volte e
avevano superato tutto. Quasi tutto... Ed ora era finita, in un modo
che mai avrebbe potuto accettare, in un modo crudele, con un Ross che
all'improvviso era diventato estraneo e freddo, distante e a tratti
cattivo. Che ne era stato del suo uomo fiero e forte, dal cuore d'oro,
capace di sbagliare ma anche capace di rialzare la testa e rimediare
con amore e passione ai suoi errori? Che ne era stato di quell'uomo che
anche nel giorno in cui era stata un'altra donna e si era concessa a un
altro uomo – e Ross lo sapeva, era certa che lo sapesse
perché lui sapeva leggere dentro di lei meglio di chiunque
– era stato capace di accoglierla in un caldo abbraccio e
dirle, pur senza parlare, che mai l'avrebbe lasciata andare?
Quelle
domande non avrebbero mai avuto risposta e lei non avrebbe mai saputo
nulla di Ross, mai più nulla...
Improvvisamente
una figura veloce schizzò fuori dalle scale, correndo verso
di lei e spezzando quel flusso di pensieri.
Demelza
si asciugò il viso e una bambina dell'età
all'incirca di Jeremy, corse verso di lei tutta trafelata. Capelli
castano chiaro, boccoli tenuti a bada da due trecce, vestita con un
abitino di ottima fattura di colore giallo e verde, era probabilmente
la prima volta che la incrociava in due mesi di navigazione. Certo, lei
non usciva spesso dalla sua cabina, ma probabilmente nemmeno la bambina
era troppo di compagnia. Ricordò che Jeremy e Clowance le
avevano parlato di una strana ragazzina salpata da Belfast, che fosse
lei? E che ci faceva sul pontile in un'ora in cui i bambini di solito
dormivano?
Incurante
del suo sguardo dubbioso e del fatto che fossero due sconosciute, la
ragazzina le si avvicinò. “Mi nasconda e non dica
a nessuno che sono qui!” - chiese, col tono con cui si da un
ordine. E poi, notata una grande cesta di vimini poggiata vicino al
parapetto, ci saltò dentro, rannicchiandosi al suo interno e
celandosi al mondo con uno straccio che trovò all'interno.
Vagamente
interdetta, Demelza non fece in tempo a reagire che altre tre strane
figure comparvero dal fondo del pontile, trafelate e decisamente
preoccupate.
A
guardarli bene erano tre soggetti decisamente strani, esattamente come
la ragazzina nascosta nella cesta e tutta quella situazione: una di
loro era una domestica dal viso smunto, non più giovane,
dalla pelle pallida e dall'espressione talmente inespressiva da
sembrare un fantasma. Gli altri due erano ancora più
strambi. Sembravano fratelli, si somigliavano come due gocce d'acqua,
bassi, tozzi, talmente grassi da sembrare due sfere in movimento,
completamente calvi e con degli occhietti minuscoli molto ravvicinati
fra loro.
I
tre la sorpassarono senza degnarla di uno sguardo, continuando la loro
strana corsa senza fermarsi a guardare attorno. E Demelza
cominciò seriamente a pensare di trovarsi nel bel mezzo di
uno strano sogno...
Fu
solo quando i tre ebbero svoltato l'angolo e furono spariti alla sua
vista, che la voce della ragazzina la riportò alla
realtà.
La
piccola sbucò fuori dalla cesta sedendosi sul bordo,
scocciata e vagamente irritata. "Tre idioti... Come diavolo si fa a
cercare uno che vuole nascondersi, senza fermarsi a chiedere o a
guardare nei posti bui o nei nascondigli?".
Demelza
osservò nella direzione in cui erano spariti i tre e poi la
ragazzina. "Ti stanno seguendo? Ti vogliono fare del male?" - chiese,
preoccupata. Non che la bambina sembrasse indifesa o abbandonata a se
stessa, ma forse spesso le apparenze ingannavano e lei era un'adulta
responsabile, dopo tutto.
La
bambina la guardò esasperata. "Miss Thorpe? Tim e Tom? Farmi
del male? Sono talmente stupidi e noiosi che al massimo avrebbero la
capacità di farmi morire di noia! Cosa che stanno facendo,
fra l'altro!".
Demelza
tirò un sospiro di sollievo. "Li conosci, allora?".
"Sì,
sono la mia domestica e le mie due guardie del corpo! Hanno tre
cervelli che, sommati, non fanno un cervello normale. Tim e Tom quando
parlano sembrano due bambinetti di due anni, Miss Thorpe... lei al
massimo dice 'Signorina, vuole qualcosa?', 'Signorina, vuole
coricarsi?', 'Signorina, vuole pranzare?'. Ecco, il massimo delle mie
conversazioni, da quando sono partita, è di questo livello.
Sto impazzendo! E ora tocca a me far impazzire loro, è
l'ultima sera che posso farlo prima di arrivare da mio padre".
Demelza
si accigliò. Quella ragazzina aveva circa l'età
di Jeremy ma una capacità di dialettica notevolmente
superiore a quella di suo figlio. Sembrava viziata e piuttosto portata
al drammatizzare le situazioni, impertinente e risoluta. Ma
decisamente, per fortuna, non in pericolo... Di fatto, se non aveva
interpretato male la situazione, non aveva davanti che una bambinetta
viziata che cercava di attirare l'attenzione in qualsiasi modo. "Beh,
sono dei domestici. Si prendono cura di te e cercano di farlo con
rispetto".
"Sono
tre idioti! Voi, se cercaste qualcuno, vi limitereste a correre come
loro, come tre scemi, in tondo su una nave? Se uno vuole nascondersi,
di solito sceglie gli angoli bui! I nascondigli... Oppure, visto che vi
siete incrociati, potevano chiedere se mi avevate notata da qualche
parte... Stupidi, decisamente tre stupidi!!!".
Demelza
si grattò la guancia, in effetti non poteva darle torto. "E
perché ti nascondi da loro?" - chiese infine, per porre fine
a quella strana situazione.
Lei
fece un sorrisetto irriverente. "Voglio che provino un pò di
paura! Di mio padre, intendo...".
"Che
vuoi dire?".
"Non
mi trovano, potrei benissimo essermi gettata dalla nave, in pasto agli
squali o nelle grinfie dei pirati. E sarebbe colpa loro che non hanno
vigilato su di me... E voglio che ci pensino e che pensino che se fosse
così, quando mio padre lo saprà li
frusterà a morte".
Deglutì.
Santo cielo, era piuttosto diabolica e dotata di una mente contorta.
"Ma per fortuna, tu sei quì. E non nella pancia di uno
squalo...".
"Ma
loro non lo sanno" – le rispose la piccola, sicura. "Lo
sapete, ho passato DUE mesi su questa nave, con quei tre. Ho letto
tutti i libri che mi sono portata per il viaggio nell'assoluto
silenzio, chiusa in cabina, mentre loro al mio fianco si crogiolavano
nel nulla della loro esistenza vuota. Ma coi libri da leggere, li
notavo poco! Non ho più nulla da leggere adesso, ho letto
tutto e senza distrazioni, che faccio? Girare sulla nave, no grazie,
piena di poveracci selvaggi. Con tutto il rispetto per voi, signora...
E in cabina ci vivo con tre MUMMIE! Sto diventando pazza, sto per avere
un esaurimento nervoso, sto per urlare e svegliare tutta la nave che
non ce la faccio più e che la mia vita, fino all'approdo in
Jamaica, è simile all'inferno in terra".
Ammutolita,
Demelza ci mise un attimo a trovare le parole per risponderle. Santo
cielo, quella bambina e le sue parole erano come un fiume in piena!
Dubitava fortemente che quella ragazzina sapesse cosa significasse
vivere una vita d'inferno e forse il massimo che le era capitato era
davvero un pò di noia, ma aveva un modo di esprimere i
concetti davvero singolare e a tratti geniale e divertente da
osservare, per chi non ci era coinvolto direttamente. "Ecco...
Domattina attraccheremo. Cerca di sopportarli ancora qualche ora e
poi... raggiungerai tuo padre e tua madre? Giusto, ho capito bene?".
La
bimba alzò le spalle. "Solo mio padre, Viktor Copper. E'
l'uomo più ricco e potente della Jamaica, lo temono tutti".
"E
tua madre? E' rimasta in Inghilterra?".
La
bimba ci pensò un pò prima di rispondere, ma poi
alzò le spalle con noncuranza. "E' morta che avevo due anni.
Stava scendendo le scale di casa con mio padre ed è caduta.
Ha picchiato la testa ed è morta da stupida, come dice mio
padre spesso. Era molto impacciata, come Tim e Tom, dice lui. Poi ho
vissuto coi nonni a Belfast mentre mio padre faceva fortuna
quì e ora che sono morti anche loro, lo sto raggiungendo".
Demelza
si accigliò, sembrava spigliata anche nel racconto di fatti
così dolorosi... Non conosceva quella bambina né
suo padre, ma quella strana storia su sua madre le risultava un
pò stonata e davvero strana. Di solito una donna non muore
cadendo dalle scale... Ma non erano affari suoi e di problemi ne aveva
già troppi di suo per preoccuparsi della vita di una bambina
sfacciata e viziata.
La
piccola la fissò incuriosita. "Aspettate un bambino?
Raggiungete vostro marito?".
"No,
l'ho lasciato in Inghilterra. Sono partita coi miei figli e il mio cane
per vivere nuove avventure in Jamaica, soli con la nostra unica
domestica" – rispose, con la stessa sincerità che
aveva usato lei poco prima, cercando di apparire altrettanto sicura di
se stessa.
Questo
lasciò la sua piccola interlocutrice a bocca aperta e senza
parole. Ma durò un attimo...La piccola fece per dire
qualcosa ma fu bloccata di nuovo.
I
suoi tre 'inseguitori' aveva fatto il giro della nave e, girando in
tondo, erano tornati davanti a loro. E stavolta la piccola fuggitiva
non ebbe il tempo di nascondersi di nuovo.
"Signorina
Lilith" – ansimò la domestica.
"So
come mi chiamo, smettila di ripetere il mio nome come una scimmia!" -
rispose la piccola, a tono.
"Sei
scappata, non si fa! Tim si è preoccupato!" -
mormorò in tono stentato uno dei due uomini tondi, dall'aria
forse davvero poco intelligente.
"Anche
Tom si è preoccupato" – aggiunse l'altro.
E
Demelza si rese conto che non sembrava brillare di intelligenza nemmeno
lui.
"Perché
sei scappata?" - chiese la domestica, mentre Demelza si sentiva di
troppo in quella assurda situazione.
La
bambina, Lilith, divenne rossa dall'ira. Picchiò il piede
per terra, incrociò le braccia e guardò i tre con
aria furente. "Perché mi ANNOIO! E voi siete le tre persone
più noiose del mondo! E son due mesi che non ho una
conversazione decente con qualcuno, a parte stasera in cui ho parlato
con una sconosciuta più di quanto abbia fatto con voi da
quando abbiamo lasciato Belfast! Ora urlerò,
sveglierò tutta la nave coi miei strilli e quando tutti
saranno svegli, darò la colpa a voi!".
La
domestica pallida, divenne ancora più pallida. "No, vi prego
Miss Lilith. Che possiamo fare per farvi divertire?".
Lilith
la guardò con aria di sfida, avvicinandosi di alcuni passi.
"Sali sul parapetto e buttati di sotto. E fatti mangiare dagli squali!
QUESTO SAREBBE UN GROSSO CAMBIAMENTO, IN QUESTO MARE DI NOIA! Questo mi
divertirebbe...".
E
Demelza a quel punto intervenne. Quella bambina era terribile,
insopportabile e di certo quei tre, anche se non particolarmente
svegli, non facevano un lavoro invidiabile. Era indubbiamente una
bambina intelligente, aveva una padronanza di linguaggio notevole per
la sua età ma nessuno pareva averle insegnato il minimo
senso del rispetto per gli altri. Certo, quel viaggio doveva essere
stato pesante per lei ma quel modo di fare che teneva, iniziava ad
irritarla. Di certo non l'avrebbe mai accettato da parte dei suoi figli
e sperava che suo padre, questo potente signor Viktor Copper, la
rimettesse un pò in riga. "Forse ho un'idea migliore, visto
che mi pare di capire che ami leggere".
Lilith
e i tre domestici si girarono. "Cosa?".
Si
mise una mano in tasca dove si trovava un piccolo libro di poesie sul
mare che aveva trovato sul molo, a uno scellino, prima di imbarcarsi
dal porto di Falmouth. "Questo libro forse ti è ancora
sconosciuto. E' piccolo, ci vuole poco a leggerlo tutto ma ti
terrà compagnia fino a che non attraccheremo domani. Ed
eviteremo ai tuoi domestici di farsi mangiare dagli squali per
divertirti...".
Osservò
i tre e loro ricambiarono il suo sguardo con gratitudine. E Demelza si
chiese se per caso non avessero davvero preso sul serio la stramba
pretesa della piccola. No, non erano davvero intelligenti, forse aveva
ragione lei sul serio.
Lilith
prese il libro, osservandolo con bramosìa. "Amo i libri.
Davvero posso tenerlo? E quando potrò ridarvelo?".
"Te
lo regalo! Ma tu promettimi di non maltrattare troppo chi si prende
cura di te".
Lilith
osservò Tim, Tom e Miss Thorpe. Poi sbuffò. "Va
bene... E per il libro, chiedete di mio padre, vi indicheranno dove
viviamo. Ve lo farò avere, se mi darete il vostro indirizzo
o se verrete a cercarmi".
Demelza
le strizzò l'occhio, si era calmata a quanto sembrava. "E'
un regalo, puoi tenerlo".
"Grazie,
allora!". Poi, impettita, guardò i suoi tre poveri
domestici. "Voi, sbrigatevi! Io devo andare a letto e voi dovreste
vegliare su di me e sul fatto che lo faccia! Lo dirò a mio
padre che mi avete permesso di girare sul pontile a mezzanotte. Vi
farà frustare un pò...". E così
dicendo, sparì nelle scale.
La
domestica la ringraziò a sua volta e poi le corse dietro,
seguita da Tim e Tom che, da quel che notava, si muovevano e pensavano
sempre all'unisono.
E
rimasta sola, stranita, si rese conto che per una manciata di minuti
non aveva pensato ai suoi problemi. E che, ironia della sorte, doveva
ringraziare per questo una viziata ed isterica bimbetta...
Si
massaggiò il ventre tornando a voltarsi verso il mare,
immaginando
che da lì in avanti la sua vita sarebbe stata sempre
più stramba e
strana e che la piccola Miss Lilith non era altro che l'antipasto di
ciò che avrebbe visto, incontrato e vissuto. Tutto stava
cambiando,
il mondo, il clima, i paesaggi e le persone attorno a lei. E questo
forse era un bene...
La piccola
Isabella-Rose le diede un piccolo calcetto, quasi impercettibile, che
la fece sussultare. I primi calci erano sempre stati motivo di gioia
per lei quando aveva aspettato i suoi figli, ma ora era diverso. Ora
non era pronta e forse non lo sarebbe stata mai. "Sta ferma, aspetta
ancora un pò a farti sentire. Ho bisogno di altro tempo, ho
bisogno di far finta che almeno tu non esista ancora per un
pò... E' troppo, se ti ci metti anche tu. Sta ferma e
nascosta finché non avrò capito cosa saremo in
questo nuovo mondo chiamato Jamaica".
E
in quel momento si rese conto che, come Lilith, avrebbe voluto gridare
a squarciagola pure lei...
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