A/N:
Dopo ventimila ere
geologiche, ho ritrovato questo file sul mio drive, ed ora eccomi qui
con il ventesimo capitolo tradotto! Sono sicurissima che molte persone
saranno giustamente andate avanti con la propria vita, dimenticandosi
di questa storia, ma spero che qualcuno ancora ci sia e che possiate
apprezzare questo aggiornamento! Mi scuso per essere sparita, non ho
mai trovato il tempo di ripescate questa piccola impresa, ma vorrei
vederla completa un giorno, chissà ;)
Vi lascio qui la nota dell’autrice originale tradotta, come
penso farò d’ora in poi, perchè mi sono
ricordata che suggeriva moltissime belle canzoni all’inizio
di ogni capitolo, così potrete avere un’esperienza
completa nella lettura di questa fanfiction.
Trad.
“Se posso suggerire una canzone, e ho il sospetto che si
tratti di un brano già molto apprezzato tra di noi fan,
visto che è presente nella colonna sonora di Deathly Hallows
parte 1. Penso che la conosciate già, “O
Children” di Nick Cave. Adoro questa canzone, e non appena ho
scoperto che era entrata a far parte del film...gahhh...orgasmo
mentale. Nonostante io sappia che l’interpretazione della
canzone sia un po’ oscura, ho sempre pensato che parlasse di
quanto i figli degli adulti siano sempre le vittime innocenti di
qualsiasi guerra, perciò penso si adatti bene a questo nuovo
capitolo. Se qualcuno avesse altre idee, mi faccia sapere nei
commenti!”
Chapter
20: Lacrime
Hermione lesse il paragrafo sul giornale per quella che sembrava essere
la centesima volta, incapace di mettere a fuoco le parole, di
comprenderle.
Il suo sguardo era incollato su una fotografia in particolare tra
quelle che riempivano la prima pagina; ritraeva la famiglia
Finch-Fletch leys —i genitori di Justin— in posa
davanti alla stazione di King’s Cross appena un paio
d’anni prima, quando lei stessa li aveva visti per
l’ultima volta.
Alzò il mento e mise a fuoco a fatica il volto provato della
professoressa McGranitt, sulla lingua una domanda fondamentale, ma
impossibile da pronunciare.
“Justin è—”
“È vivo,” si affrettò a
rispondere lei. “Era in visita dai suoi nonni durante
l’accaduto.”
“Oddio, Justin,” Hermione faticò a
reprimere un singhiozzo. “S-sarà
devastato…”
Lo sguardo le si posò sulle altre fotografie del giornale,
le persone ritratte sorridenti, in movimento, quasi impossibili da
fissare a lungo. Ognuna di quelle foto raffigurava coppie felici e
gioiose, mariti e mogli Babbani, sorrisi che — alla luce
degli ultimi eventi — nascondevano il peso della
consapevolezza del loro futuro.
Ogni singola persona, ogni vita vissuta, sparita in una sola
settimana...tra Natale e Capodanno.
L’articolo di giornale non si era risparmiato nemmeno nel
descrivere le cause del decesso, anticipato da ore ed ore di
maledizione Cruciatus, quando anche gli ultimi sospiri estratti non
servirono più, le loro vite non più utili.
Dispensabili.
Hermione non conosceva di persona quelle famiglie, ma era a conoscenza
delle loro storie.
“Sono tutti genitori di ragazzi nati Babbani, non
è vero?” domandò, senza alcun bisogno
di sentirne la risposta.
“Sì,” la McGranitt annuì,
faticando a sostenere lo sguardo della giovane. Hermione non
riuscì a ricordare un momento in cui la sua professoressa di
sempre avesse mai faticato tanto nel mantenere la sua statuaria
compostezza.
“C’è stata anche un effrazione alla
residenza dei Creevey, sicuramente anche loro presenti nella lunga
lista di Babbani da eliminare. Per un caso fortuito, l’intera
famiglia si trovava in viaggio, riuscendo a sfuggire
all’attacco.”
Hermione osservò un’immagine che prima non aveva
notato; due ragazzini, non più grandi di quindici anni,
frequentanti la scuola di magia in Galles, Bryn Glas. Una lacrima si
depositò sui loro volti ingialliti dalla carta, deformandone
i contorni.
Torturati e uccisi, insieme ai genitori.
“Sono così giovani—”
mormorò. “Troppo giovani.”
“Fatico a comprendere che sia accaduto realmente,”
la McGranitt posò la mano sulla spalla di Hermione,
stringendo leggermente le dita ossute, una calda, ferma rassicurazione
silenziosa. “Nessun essere umano può mai dirsi
preparato a questo genere di orrori, nemmeno quando li ha
già visti accadere una volta. I Mangiamorte—, non
pensavo potessero arrivare a tanto, ancora una volta.”
“Dovremmo poter fare qualcosa,” Hermione
faticò ad alzare la voce, “Dovremmo avere un
piano—”
“C’è solamente un piano di cui vorrei
discutere con te al momento,” la interruppe la Preside.
“Si tratta del piano che tu stessa mi hai proposto, appena
due settimane dopo l’inizio dell’anno
scolastico.”
“Intende il piano di Obliviare i miei genitori e fare in modo
che fuggano dal paese.” Hermione confermò le
parole della Preside, lo sguardo fisso fuori dalla finestra appannata
dalla pioggia, le dita tremanti e il volto pesante, denso di lacrime.
“Ricordo perfettamente il piano.”
La McGranitt trattenne il respiro.
“Hermione—”
“Hanno sempre voluto visitare
l’Australia,” la interruppe lei, distante, le
parole pronunciate quasi senza alcun suono. “Penso...penso
che sarebbero al sicuro laggiù.”
“Comprendo che non sia una decisione facile,”
l’anziana strega corrugò la fronte, sostenendo lo
sguardo di Hermione con i suoi occhi pungenti, celati in maniera quasi
impercettibile da un velo di lacrime. “Ma la situazione sta
degenerando, senza alcun controllo. Al momento, temo che non potremmo
fare altro per mettere al sicuro—”
“Speravo di non dover arrivare a questo,”
confessò Hermione, lasciando che nuove lacrime le
scivolassero sul viso. “So che questa è
l’opzione più sicura, è molto meglio
per loro non sapere...ma è...la cosa più
difficile che abbia mai immaginato di dover fare.”
“Hermione,” la Preside strinse la presa sulla
spalla della giovane, camminando in fronte alla sua figura incurvata
per poterla accogliere in un raro abbraccio. “Forse potrebbe
esserci una via alternativa, forse potremmo—”
“No,” replicò Hermione, la sua risposta
attutita dalla pesante mantella di lana della Preside. “No,
devo essere io a farlo. Sono i miei genitori, lo sono ora e lo saranno
sempre.” Esitò per un secondo
sull’ultima parola, portandosi istintivamente un dito verso
le labbra, torturando nervosamente l’estremità di
un unghia, come faceva da piccola nei momenti in cui perfino le parole
non sapevano descrivere il suo stato d’animo.
“E così sia. Farò tutto ciò
che è in mio potere per poterti essere d’aiuto,
Hermione,” la McGranitt promise, allentando la presa sul loro
abbraccio e scrutando la giovane strega con infinita ammirazione.
“Comprendo la difficoltà che questo gesto
comporta, ma devo dirti Hermione che sarebbe più saggio
poterlo fare il più presto possibile.”
Hermione faticò a rilasciare un singhiozzo.
“Quanto presto?”
“Domani,” annuì la Preside con un
sospiro. “Alle prime luci del mattino, prima ancora che sorga
il sole. Avevo pensato alla possibilità di poter partire
questa sera, ma non credo tu sia nelle condizioni migliori per eseguire
un incantesimo così potente, nonostante le tue
capacità…”
“Sì, certamente…” Hermione
annuì assente, “Lì
convincerò instillando in loro il desiderio di trasferirsi
in Australia, gli darò una nuova identità,
farò in modo che— che si dimentichino di
me…”
"Hermione, tu sai che una volta messo in atto l’incantesimo,
non potrai dire a nessuno dove trovarli, nemmeno a te stessa."
"Lo so."
"Hermione," la Preside sospirò, incontrando lo sguardo della
giovane strega. “Se solo ci fosse un’altra opzione
per garantire la sicurezza dei tuoi genitori—”
“Ma non c’è,” disse lei.
“Va bene, Professoressa. Sapevo quali fossero i rischi quando
le ho esposto il piano. So cosa sto facendo.”
La McGranitt abbassò il viso, abbattuta. “Molto
bene,” dichiarò. “Se ti presenterai nel
mio ufficio domani mattina prima delle sei dovremmo riuscire a farti
uscire dal castello inosservata. Ci
Materializzeremo—”
“Qualsiasi cosa, farò quello che serve.”
Hermione mormorò, ritrovandosi senza alcuna forza per dire
altro. “Dovrei—dovrei andare…”
“Vorresti rimanere ancora per poco? Per riuscire a
riprenderti?” la Preside offrì un posto sulla
vicina poltrona con mani tremanti. “Forse una tazza di
tè e dei biscotti potrebbero—”
“Aiutarmi? Non credo, Professoressa.”
“Lasciami almeno offrirti qualcosa da mangiare, sembri aver
perso parecchia energia—”
“Sto bene,” ribattè Hermione, alzandosi
a fatica dall’antico sgabello cigolante.
All’improvviso, l’enorme ufficio della Preside
sembrava essersi ristretto irreparabilmente, stringendo Hermione in una
morsa fatale, così come i suoi polmoni riuscivano a stento
ad espandersi nel petto. “Dovrei ritirarmi, ripassare
l’incantesimo, e
dovrei—dovrei…”
“Hermione,” disse la McGranitt alle sue spalle,
prima che potesse uscire da quella stanza buia e asfissiante.
“Andrà tutto bene.”
Hermione trasalì alle parole d’incoraggiamento, e
si chiese cosa spingesse le persone ad augurarsi così
prontamente promesse tanto futili e inconsistenti nei momenti
più bui. Lei era una persona troppo razionale per poter
anche solo tentare di rimanere ottimista, e sapeva benissimo che la
possibilità che l’incantesimo della Memoria
potesse essere rimosso era pari al cinquanta percento, senza inoltre
considerare la possibilità che la guerra fosse vinta dalla
metà giusta, e che lei riuscisse effettivamente a ritrovare
i suoi genitori, in un futuro talmente lontano che immaginarlo era
quasi impossibile.
Il dubbio più atroce era un’altro; se lei fosse
morta in questa guerra, i suoi genitori avrebbero mai, anche solo in un
infinitesimale angolo del loro cuore, sentito la sua mancanza?
“Sarò puntuale domani, Professoressa.”
mormorò Hermione. “Buonanotte.”
Hermione si precipitò fuori dalla stanza prima che la
McGranitt potesse trovare altri modi per consolarla, le gambe che a
fatica la reggevano in piedi in una corsa disperata verso il dormitorio.
Corse attraverso i corridoi deserti, noncurante delle ombre sinistre e
dei sospiri che il vento rilasciava attraverso le antiche mura.
Arrivata di fronte al portone, borbottò incoerente la parola
d’ordine, grata che l’incantesimo avesse colto le
sue parole al primo tentativo.
Si chiuse la porta alle spalle con un colpo secco, sconvolgendo per un
terrificante secondo le vetrate di tutto il dormitorio. Hermione
trattenne il fiato, sperando che Draco non si insospettisse ed
emergesse dalla sua stanza.
Finalmente sola, si strofinò gli occhi noncurante del
rossore che già le bruciava il viso appesantito dagli eventi
che una singola testata di giornale era riuscita a provocare. Si
strinse le dita dietro la nuca, sforzandosi di non piangere,
sforzandosi di respirare...
Era così arrabbiata con se stessa; questa sua idea, tanto
semplice quanto impensabile… avrebbe dovuto prepararsi
meglio all’eventualità che arrivasse questo
momento, il momento in cui avrebbe dovuto dire addio ai suoi genitori
per sempre…
Il peso di ciò che stava per fare formò una morsa
asfissiante sul suo cuore, ed Hermione si chinò in avanti,
cercando di trovare un senso a tutto ciò.
Tutti coloro che possedevano un posto nel suo cuore se ne stavano
andando uno dopo l’altro, Harry, Ron, i suoi
genitori… Era impensabile pensare a quali nomi si sarebbero
aggiunti alla lista di lì a poco…
“Granger?” la voce di Draco la scosse dai suoi
pensieri. “Che cosa fai lì al buio?”
Hermione si raddrizzò, cercando di asciugarsi le lacrime
senza che gli occhi di Draco percepissero il movimento.
Si trovava sul ciglio della porta, studiandola con occhi sospettosi che
la fecero sentire vulnerabile e completamente spoglia di fronte a lui,
come se potesse leggere, anche solo guardandola, tutto quello che lei
stava tentando disperatamente di nascondergli.
“Nulla,” sussurrò lei, schiarendosi la
gola non senza attirare una leggera alzata di sopracciglio da parte del
giovane che le stava di fronte. “Nulla, io stavo
solo—
“Non sembra così irrilevante come dici,”
Draco commentò, insicuro su quanto potesse scavare senza che
Hermione si indurisse a tal punto da impedirgli di scoprire qualunque
cosa fosse successa. “Mi è sembrato di vedere
delle lacrime sul—”
"No,” ribatté lei all’istante. Troppo
velocemente. Evitò il suo sguardo inquisitore e si
avvicinò alla sua stanza. “Devo occuparmi di
alcune cose—”
"Un momento,” rispose Draco, più svelto nel
raggiungere la porta. “Mi stai nascondendo
qualcosa—”
"Lasciami passare—”
"No," rispose lui, deciso. "Non mentirmi—”
"Draco, lo giuro," lo avvisò lei, seppur con voce debole.
"Se non mi lasci passare—”
"Dimmi soltanto che cosa ti è accaduto," persistette lui,
tentando di immettersi tra lei e la parete. "Qualcuno ti ha fatto del
male? Sei stata ferita?"
"No, Draco," Hermione scosse la testa, indietreggiando. "Spostati, ti
prego—”
"Non finchè non mi dici che cosa è
successo—”
"LASCIAMI ANDARE!" urlò lei, scacciando via la mano di Draco
appoggiata alla maniglia. "PERCHÉ NON VUOI ASCOLTARMI?"
"Si può sapere qual’è il tuo problema?"
urlò di rimando lui, la confusione negli occhi. "Ho soltanto
chiesto—”
"Non farlo!" ribatté lei, approfittando della distanza di
Draco dalla porta per riuscire ad entrare nella sua stanza.
“Vorrei soltanto essere lasciata sola—”
"BENE!"
Draco ribatté a voce più alta
dall’altra parte della parete, il suo tono acceso dalla
sensazione di rifiuto. “SE VUOI RIMANERE SOLA, ALLORA RIMANI
CHIUSA LI DENTRO SENZA DIRE UNA PAROLA! PERFETTO!”
Hermione sbattè la porta con un colpo definitivo, mormorando
sottovoce un incantesimo silenziatore. Sentiva che la tristezza provata
poco prima nell’ufficio della Preside stava ritornando,
più intensamente di quanto potesse immaginare; Draco non
avrebbe mai potuto comprenderla.
Non poteva affrontare anche lui in questo momento; doveva concentrarsi
al massimo sulla questione più importante, perciò
rifiutò che i suoi pensieri si impantanassero ulteriormente,
non quando sua madre e suo padre stavano per dimenticarsi per sempre
della sua esistenza.
Priorità,
priorità, priorità.
Inspirò a fatica, sentendo le prime lacrime porsi sulle sue
guance ancora umide. Cercò di ignorare l’istinto
di soccombere alla propria debolezza e afferrò il libro di
incantesimi, sfogliando le pagine con dita tremanti.
Aveva letto quei volumi antichi milioni di altre volte, i paragrafi
sbiaditi dal tempo, le pagine dalle orecchie piegate e consunte dal
passaggio di ogni studente nel corso del tempo, con la presunzione di
conoscere ad occhi chiusi qualsiasi formula.
Quella sera, tuttavia, nessun incantesimo sembrava rimanere impresso
nella sua memoria per più di pochi secondi, ogni passaggio
sfocato davanti ai suoi occhi lucidi, letto un milione di volte senza
mai acquisire un significato.
Hermione fece tutto il possibile per rimanere composta e concentrata,
nonostante alcune lacrime testarde tradissero il suo tormento.
Quando, a mezzanotte, decise di aver fatto tutto il possibile per
prepararsi, si rifugiò sotto al piumone senza neanche
trovare la forza per spegnere la luce.
I suoi movimenti, apatici e inerti, mentre cercava di riporre il
pesante libro sul tavolo a fianco del letto, si interruppero di scatto
mentre Hermione rilasciava l’ultimo sospiro carico di pianto
di quella serata.
Strinse le palpebre, cercando di non pensare al fatto che i suoi
genitori si sarebbero dimenticati della sua esistenza entro sei ore...
La sua mente scivolò alla sua conversazione con Draco, quasi
accidentalmente, chiedendosi se avrebbe potuto far andare le cose
diversamente.
Non sapeva se avesse fatto la scelta giusta ad allontanarlo, ma
ciò di cui era certa era che quella notte più che
mai, la solitudine sarebbe tornata a farle visita.
***
Draco picchiettò nervosamente le dita contro il ruvido legno
della scrivania.
Lo scontro con la Granger lo aveva lasciato in uno stato di
inspiegabile frustrazione, costringendolo ad attraversare futilmente la
minuscola stanza da letto a grandi passi, avanti e indietro, in un
inutile tentativo di sfogo.
Non sapeva quale parte del loro scambio assurdo lo avesse innervosito
di più; il modo in cui lei lo aveva trattato, o il fatto che
non avesse la più pallida idea del perchè la
Granger fosse tornata nel loro dormitorio in quello stato.
Diamine,
quanto avrebbe voluto avere con sé la sua bacchetta in quel
momento.
Gli sarebbe bastato un semplice incantesimo per poter scavalcare
quell’inutile porta chiusa e pretendere una spiegazione,
nonostante ancora cercasse di nascondere a sé stesso il
forte senso di protezione che si celava dietro questo suo bisogno di
risposte.
La sola idea che qualcuno potesse averle fatto del male, fisicamente o
emotivamente, lo scaldò a tal punto da fargli pulsare il
sangue nelle vene.
Non aveva idea da dove venisse questo intenso bisogno di sapere se la
Granger fosse in pericolo, ma lo stava facendo impazzire.
Aveva bisogno di sapere chi, o cosa, l’avesse sconvolta a tal
punto da impedirle di parlare con lui.
Doveva saperlo.
I suoi occhi glaciali studiarono amareggiati la sua stanza vuota.
Aveva passato sempre meno sere da solo nella sua stanza e quando
accadeva, si trattava di una decisione volontaria, dettata dal
buonsenso e dalla necessità di separarsi almeno per un
momento dalla presa che la Granger aveva sulla sua sanità
mentale.
Le proteste nella sua mente si facevano sempre più flebili
col passare del tempo, e il pensiero di passare la notte in completa
solitudine quella sera, lo fece sentire freddo e irrigidito.
Appoggiò con rassegnazione la fronte alle nocche e
rilasciò un pesante sospiro.
Ebbe come la sensazione che quella notte gli incubi sarebbero tornati a
fargli visita.
***
Il colore del cielo mattutino attraversava una tenue sfumatura di
viola, nell’esatto momento in cui la McGranitt le
materializzò entrambe all’inizio della strada dove
Hermione aveva passato tutta la sua infanzia.
Si riusciva a sentire il cigolio distante della bicicletta che
consegnava i giornali, le voci soffuse e sovrapposte delle massaie che
si salutavano dalle rispettive finestre, il borbottio irregolare del
vecchio furgoncino che distribuisce il latte nel quartiere.
Il pesante strato di neve che si adagiava su qualsiasi cosa, il pallido
grigiore di quella fredda giornata, e il dolore che scalfiva il suo
cuore, quasi impedirono ad Hermione di compiere i suoi prossimi passi.
Scorse la sua casa al di là della strada, sorpresa nel
vedere le luci della cucina già accese a quell’ora
del mattino. Sapeva che i suoi genitori erano persone mattutine, ma in
cuor suo, avrebbe sperato di poter compiere la sua missione mentre si
trovavano ancora immersi in un profondo sonno inconsapevole.
"Sei sicura di potercela fare, Hermione?" le chiese la Preside, il
volto coperto da un pesante mantello scuro.
"Sono sicura," annuì Hermione, lo sguardo fisso verso la
porta principale
La McGranitt sospirò, stringendo la spalla di Hermione.
“Molto bene,” disse. “Rimarrò
in questa posizione, per quando sarai di ritorno. Se hai bisogno di
aiuto, se senti di non potercela fare da sola—”
“Ce la farò,” rispose Hermione.
“Tornerò presto.”
Inspirò a lungo, fino a riempirsi i polmoni della gelida
aria mattutina, prima di materializzarsi nella sua camera da letto con
un colpo secco.
Ogni cosa era come l’aveva lasciata l’ultima volta;
il suo letto perfettamente piegato, la sua fedele coperta di pile
colorato ai piedi del letto, gli unici libri che non si trovavano nel
suo dormitorio ad Hogwarts, impilati in una pila ordinata sul comodino.
Hermione si leccò le labbra distrattamente, studiando i
poster rimasti attaccati alla testata del suo letto sin da quando aveva
dodici anni, e l’ostinata macchia di succo di frutta rimasta
impressa sulla moquette, reduce dal momento in cui aveva scoperto di
possedere poteri magici.
L’intera stanza era piena di ricordi, pensieri del passato.
Il pensiero sconvolgente di quello che stava per fare fu interrotto da
un movimento ai piedi del suo letto.
“Crooks,” sussurrò lei, la voce carica
di affetto, inginocchiandosi e prendendo in braccio il morbido gatto,
stringendolo al petto. “Mi sei mancato, piccolo.”
Il gatto color carota acceso strusciò il muso contro la sua
guancia, le sue fusa un sottofondo nostalgico che la riportarono alle
lunghe serate d’estate, passate nell’attesa del
ritorno ad Hogwarts.
"Tornerai a vivere con me al castello," gli disse, ponendogli un
leggero bacio in mezzo alle orecchie prima di sentire i passi dei suoi
genitori al piano di sotto. “Ora ho bisogno che tu esca,
Crooks, va bene? Ti verrò a prendere presto, coraggio
vai...”
Hermione adagiò Crookshanks sul piumone, osservandolo mentre
saltellava via dalla stanza con movimenti languidi e silenziosi. Diede
un ultimo sguardo alla sua camera e si diresse verso il corridoio,
trattenendo a stento le lacrime.
Attuò un incantesimo silenziatore per celare i propri passi,
scendendo le scale, accarezzando con la punta delle dita le vecchie
fotografie appese al muro.
Le voci dei suoi genitori trascinarono Hermione come un incantesimo
verso il salotto.
Il sottofondo familiare del notiziario televisivo riempì
istantaneamente la stanza, ed Hermione si voltò verso il
salotto, trovando i suoi genitori seduti sul divano, mentre si
versavano il solito the mattutino e ascoltavano le ultime notizie.
L’odore di toast bruciacchiato le riempì le
narici, ricordandole quanto potesse essere maldestro suo padre a volte
— soprattutto nel preparare la colazione — e di
come sua madre mangiasse tutto senza lamentarsi perché gli
voleva troppo bene per farglielo notare.
Hermione esitò sul ciglio della porta, paralizzata
dall’angoscia. Cercò di scacciarla via, per avere
la mente il più libera possibile. Voleva farlo subito, prima
che potessero accorgersi della sua presenza e imprimere i loro sguardi
confusi per sempre nella sua memoria.
Finalmente, alzò la mano tremante e strinse la presa sulla
bacchetta, preparandosi.
“Vi amo così tanto, così
tanto—” sospirò, la sua voce coperta dal
volume della televisione. Una singola lacrima si fece strada sul suo
viso nell’esatto momento in cui Hermione chiuse gli occhi e
si concentrò sull’incantesimo con tutta la forza
che possedeva.
"Obliviate."
Non avrebbe voluto farlo, ma non riuscì a non aprire gli
occhi subito dopo; vide scomparire se stessa dalle fotografie
appoggiate al caminetto quasi all’istante, come se potesse
fisicamente sentire se stessa rimossa dalla memoria dei suoi genitori.
Sapendo di aver a disposizione solo pochi minuti prima che la loro
nuova memoria prendesse forma e nuove informazioni si creassero,
Hermione rimase comunque pietrificata vicina alla porta del salotto.
La tentazione di sporgersi verso di loro e dargli un ultimo abbraccio
d’addio era talmente forte, e ci volle ogni briciolo di
autocontrollo per riuscire a staccare gli occhi da quella scena.
Hermione si poggiò una mano sulla bocca e accarezzando
l’aria, la sporse verso i suoi genitori. “Prometto
che vi troverò quando tutto sarà
finito.”sospirò, voltandosi e chiudendo la porta
d’ingresso alle sue spalle.
Era tutto finito.
Niente più famiglia. Niente più Harry e Ron.
Guerra.
Cercò di crollare al suolo al pensiero di non avere
più una famiglia che sapesse di lei e le volesse bene, il
pensiero di aver dovuto dire addio alla sua infanzia così
bruscamente…
Crookshanks la aspettava paziente seduto sul muretto
d’ingresso, il muso leggermente piegato quasi mostrando
preoccupazione.
Piegandosi per accoglierlo tra le sue braccia, lo strinse come non mai,
mentre si voltava a guardare per l’ultima volta la sua casa.
Sentiva che il suo corpo non avrebbe potuto sopportare ancora per molto
i suoi gemiti soppressi, ma vedendo la McGranitt che la aspettava in
fondo alla via, decise di aggrapparsi a tutta la forza che aveva in
corpo per non crollare.
“È stato molto veloce,” la professoressa
commentò, estendendo il braccio e dando a Crookshanks un
leggero buffetto. “Com’è
andata?”
“Bene,” rispose Hermione. “È
andato tutto come previsto.”
“Come ti senti?”
“Sto bene”, mentì, alzando il mento per
dare più convinzione alle sue parole. “Dovremmo
tornare indietro prima che qualcuno possa vederci.”
***
Hermione si scusò velocemente e corse verso il dormitorio,
cercandi disperatamente un po’ di solitudine, per
allontanarsi il più possibile dallo sguardo pieno di pena e
commiserazione che la McGranitt continuava a rivolgerle da quando erano
tornate al castello. L’unica cosa che desiderava in quel
momento era di chiudersi in una stanza nel mezzo del nulla e urlare a
squarciagola, fino a non avere più voce, ma le gambe le
cedettero non appena mise piede nel dormitorio.
Crookshanks balzò giù dal suo grembo mentre
Hermione si accasciava al pavimento, lasciandosi scivolare contro la
pesante porta di mogano. Si strinse le gambe al petto e
abbandonò la fronte alle ginocchia, arrendendosi
all’inevitabile consapevolezza di ciò che era
appena accaduto, piangendo senza controllo. Il gatto le
strofinò il muso contro i jeans, i suoi miagolii che
coprivano appena i suoi singhiozzi, ma lei lo notava a malapena, il
volto coperto dai jeans ormai zoppi di lacrime, cercando invano un
qualsiasi pensiero felice a cui aggrapparsi.
Draco la trovò in quello stato, una figura distrutta e
tremante che lo immobilizzò sul colpo. Il suo innato
pregiudizio si scontrò ancora una volta con la forza di
questo nuovo sentimento, una battaglia silenziosa nella sua testa, ma
all’ennesimo singhiozzo della ragazza, i suoi piedi balzarono
in avanti senza nemmeno avere il tempo di rendersene conto, o di
contestare il motivo del suo gesto.
Si accasciò di fianco a lei e la studiò
titubante, cercando un qualsiasi indizio sul suo stato
d’animo, ma l’unica cosa che riusciva a notare fu
la grossa massa di pelo arancione ai suoi piedi.
“Sei ferita?” mormorò dubbioso, ma lei
non gli diede nessun segno di aver percepito la sua presenza.
“Granger, cosa c’è che non va?”
Niente. Nemmeno un cenno.
Draco raccolse ogni briciolo di pazienza che poteva riuscire a
mantenere, scostandole lentamente qualche riccio scomposto dagli occhi,
così da poter vedere meglio il suo viso. C’era
qualcosa di profondamente impenetrabile nella sua espressione
devastata, qualcosa che gli fece sentire uno spasmo inspiegabile allo
stomaco, e lo sconvolse a tal punto da non riuscire quasi a
comprenderlo.
"Granger," Draco provò di nuovo. “Di che si
tratta?"
Ancora nulla.
Con uno sbuffo pieno di frustrazione, lasciò che le sue dita
le accarezzassero leggermente il collo con movimenti lenti e
rassicuranti. “Hermione,” sospirò.
“Dimmi cosa vuoi che faccia.”
Finalmente, vide qualcosa; una minuscola scintilla nel suo sguardo
perso gli fece capire che l’aveva sentito. Trattenne il fiato
mentre lei si voltò quasi impercettibilmente, mormorando
parole incomprensibili.
“La mia...la mia stanza...” riuscì a
dire con voce flebile.
“D’accordo,” mormorò Draco,
prendendole il braccio e poggiandolo gentilmente sulle sue spalle, una
mano sulla sua schiena e una al di sotto delle ginocchia.
Si alzò in piedi portandola con sé, tenendola
stretta mentre si dirigevano verso la sua stanza.
Ogni suo sospiro e gemito vibravano contro il suo petto mentre Draco
faticava a dirigerla verso il bagno e poi verso il letto.
Si sedette sul bordo, osservando Hermione chiudersi in se stessa come
un riccio, il corpo rivolto verso la parete opposta, impenetrabile.
“Voglio...stare s-sola.” Gemette Hermione, notando
appena Crookshanks balzare sul letto e raggomitolarsi ai suoi piedi.
Draco strinse le labbra. “Granger, non penso che
sia—“
“Per favore, Draco.”
La disperazione nella sua voce lo fece rabbrividire, così
decise di allontanarsi lentamente da lei e assecondare la sua
richiesta, voltandosi per uscire dalla stanza. Rimase sul ciglio per un
secondo, voltandosi oltre le spalle e osservando Hermione raggomitolata
in se stessa. Ebbe la sensazione, in quel momento, di non aver mai
avuto così tanta consapevolezza nei confronti di
un’altra persona prima d’ora.
Che Salazar potesse fulminarlo, non sarebbe più riuscito a
fare altrimenti ormai.
Scuotendo leggermente il capo, chiuse la porta alle sue spalle,
chiudendo la Granger nella stanza, riuscendo a sentire deboli gemiti
provenire dall’altro lato della parete.
Quel pianto lo perseguitò per il resto della giornata.
***
Erano quasi passate le tre del mattino quando Draco decise che ne aveva
abbastanza.
Dopo aver passato ore intere in attesa di un segnale, pensando ad ogni
spiegazione che potesse giustificare la tristezza della Granger, il
dolore pulsante alla testa era diventato insopportabile, e la sua
tolleranza per quell’assurda situazione si era ridotta in
briciole.
Sapeva che avrebbe dovuto essere sensibilmente delicato nel suo
approccio se avesse voluto scoprire la ragione del suo comportamento,
ed in un assurdo momento di riflessione, si era persino apprestato a
farle una tazza di tisana rilassante.
Dopo un paio di tentativi falliti, si diresse verso la porta della
camera da letto, un vassoio traballante tra le mani, una tazza, due
biscotti e una testa piena di domande. Non appena aprì la
porta, alla vista di lei chiusa a riccio sul letto, una spiacevole
sensazione di freddo improvviso gli attraversò la spina
dorsale.
Hermione però si accorse della sua presenza, e si
sforzò di mettersi in posizione seduta, muovendo le coperte
e i cuscini che la circondavano come un muro di protezione. Le labbra
screpolate iniziarono a tremarle senza emettere un suono, come di norma
faceva in momenti di estremo nervosismo, e la sua postura era floscia e
sconsolata, ma furono gli occhi, lo sguardo, a far perdere un battito a
Draco. Aveva smesso di piangere, ma le guance rosse erano piene
dell’ombra di vecchie lacrime, i suoi occhi distanti erano
disperatamente profondi; di una bellezza disperata e distrutta, quasi
come di un guscio senz’anima.
Con un sospiro, si avvicinò lentamente a lei, appoggiando il
vassoio sul comodino e sedendosi al suo fianco, ma fu come se lei non
lo vedesse affatto.
“Avanti, Granger,” disse, il tono più
carico di preoccupazione di quanto volesse lasciar intendere.
“Dammi un segnale. Sei più forte di
così.”
Hermione non batté nemmeno le palpebre.
“Che cosa è successo?” domando, provando
un approccio diverso. “Si tratta di...di Potter e
Weasley?”
Silenzio, solo silenzio e lo stesso sguardo vuoto.
“Per la miseria, Hermione,” sbuffò,
prendendole il volto tra le mani e forzandole lo sguardo.
“smettila di ignorarmi e dimmi cosa diavolo è
successo.”
Hermione chiuse gli occhi e Draco contrasse la mascella, in attesa,
carico di tensione. Avvicinando il volto al suo, poggiò la
fronte a contatto con quella di Hermione, sfiorando lentamente il
pollice sulla sua guancia, per asciugare il corso di una nuova lacrima
che le attraversava il viso.
“Torna da me, Granger,” sussurrò,
“Io…” Salazar, perdonami. “Io
ho bisogno di te.”
Un enorme senso di sollievo lo pervase quando Hermione aprì
gli occhi e lo fissò per la prima volta da quando era
entrato nella stanza. Sbattè le palpebre ed aprì
la bocca lentamente, mentre Draco la osservava in assoluto silenzio,
non osando muovere un muscolo per paura che la Granger tornasse al
precedente stato catatonico.
“Mia madre e mio padre non hanno idea di chi io
sia,” mormorò finalmente, e il sopracciglio di
Draco si accigliò confuso. “I Babbani
sono...sempre più in pericolo di morte, tutti questi
omicidi...ho dovuto assicurarmi che potessero salvarsi..."
Draco non disse una parola, perchè non aveva idea di cosa
avrebbe potuto dire. Aveva domande, certo, mille domante, ma il suo
istinto gli intimava di aspettare, almeno fino a che la Granger non se
la fosse sentita di spiegare più nel dettaglio.
Si mosse in visibile imbarazzo sul letto, spostando il suo peso da una
molla all’altra.
Confortare le persone non era mai stato il suo forte, perciò
pensò che la soluzione migliore fosse quella di
non peggiorare la situazione già delicata facendo uscire
dalla bocca concetti che non sapeva come esprimere.
Avvicinandosi a lei, si fece spazio al suo fianco, circondando la sua
figura esile con il braccio sinistro, stringendola delicatamente.
Quando Hermione poggiò la testa contro il suo petto, Draco
rilassò il suo corpo, sollevando i piedi da terra e
stendendoli sul letto, stringendo a sè la giovane con un
sospiro. Hermione parve fondersi con lui, in cerca disperata di calore
umano e vicinanza. Sporgendosi verso destra, Draco afferrò
la tazza di tè e gliela porse.
“Bevi qualcosa,” le disse. “Non hai
mangiato nulla.” La guardò attentamente mentre si
portava la tazza alle labbra, sorgeggiando lentamente, mormorando
compiaciuta e guardandolo di traverso. “Che
c’è?” domando lui.
“Questo tè è molto buono,”
gli rispose Hermione, lasciandosi sfuggire un sorriso nel vedere
l’espressione fintamente disinteressata di Draco.
“Se lo dici tu,” borbottò, senza
riuscire a mantenere quell’espressione a lungo.
“Granger, io—”
“Sai qual’è la cosa peggiore?”
lo interruppe lei, la sua voce un misto di tristezza e risentimento
“Non avrei mai...non avrei mai pensato di poter odiare
qualcuno con tutta me stessa. Intendo, odiarli a tal punto da
desiderare la loro morte.”
Draco rabbrividì al tono della sua voce, ma decise di non
interrompere il suo pensiero, se questo poteva in qualche modo aiutarla
a liberare la sua mente oppressa dal dolore. Le sue dita
giocherellavano distrattamente con un ciuffo di capelli castani che gli
ricadeva sul petto mentre la ascoltava aprire la sua anima a lui con un
solenne livello di fiducia.
“V-Voldemort ha distrutto così tante vite e
famiglie,” continuò, alzando il mento e fissandolo
con sguardo determinato. “La famiglia di Harry, di
Neville…” continuò, prendendogli la
mano. “Persino la tua.”
Draco lasciò che un sospiro gli uscisse dal petto, un
sospiro che non sapeva stesse trattenendo, con una stranissima
sensazione pesante nel petto. “Granger—”
“Lo odio,” sbottò lei, nuove lacrime che
le solcavano il viso. “Lo odio così
tanto—”
“Granger, respira,” la istruì deciso,
seppur un po’ sollevato di poter risentire finalmente della
vita, del fuoco, nelle sue parole. “Tieni, bevi
dell’altro tè…”
“Grazie,” rispose lei, e Draco scattò
sorpreso. “Per avermi ascoltato...mi sento meglio
ora.”
Draco annuì e si accigliò segretamente nel notare
una minuscola lacrima farsi strada sulla sua stessa guancia. Mentre
ascoltava il ritmo sincronizzato dei loro cuori vicini nella
stanza vuota, si voltò per stringere i loro volti in un
breve ma rassicurante bacio. Evidentemente, la sua malinconia era ben
lontana dall’essere passata per sempre, ma Draco sapeva che
la sua strega l’avrebbe sconfitta a tempo debito, sapeva
quanto fosse forte.
“Cosa vuoi fare adesso?” le chiese.
“Sono stanca,” Hermione confessò,
giocando nervosamente con le dita e incrociando il suo sguardo in un
modo che ormai aveva cominciato a riconoscere, come quando stava per
ricevere una domanda alla quale probabilmente non avrebbe saputo
rispondere.
“Resteresti con me finchè non mi sarò
addormentata?”
Esitò per un momento, per poi annuire gentilmente,
abbassandosi più verso il cumulo di coperte che creavano un
nido intorno alla Granger, e posizionando la sua testa contro il suo
cuore pulsante. Permettendole di sprofondare il suo volto e qualche
lacrima testarda nel suo maglione, Draco si rese conto di non aver mai
fatto una cosa del genere prima d’ora; semplicemente
addormentarsi insieme senza la stanchezza e la frenesia di un
post-incontro che fluttuava nell’aria consapevole fra loro.
Se qualcuno avesse mai osato chiederglielo in futuro, avrebbe risposto
che quello fu il momento in cui si rese conto che i suoi sentimenti per
la Granger avevano raggiunto un livello potente, ed estremamente
pericoloso.
Così forte, da poter onestamente ammettere a se stesso, di
ritrovarsi cieco di fronte alle differenze di sangue tra di loro.
Semplicemente, non gliene importava più nulla.
***
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