Solo un
movimento alle sue spalle attirò la sua attenzione:
Dazai Osamu si voltò appena in tempo per scorgere il viso
affannato e senza fiato del suo nuovo sottoposto.
"Dazai-san!"
Di tutte le persone che conosceva Nakajima Atsushi era di
sicuro quella
più facile da leggere tra loro; non che per lui, ex Demone
Prodigio della Port Mafia, ci fossero particolari
difficoltà, ma
il ragazzo in questione mostrava sempre una naturalezza disarmante, di
quelle capaci di strapparti un sorriso per la loro
genuinità.
Soprattutto quando poi si gli si presentava davanti armato
di quello
sguardo misto tra il terrorizzato, lo spaesato e lo smarrito,
accompagnato dall'immancabile fiatone per aver corso da destra a
sinistra.
"Atsushi-kun! Sembra che finalmente tu mi abbia trovato!"
Esordì, soffocando quella voglia di ridere e prenderlo
in giro.
Il ragazzo sollevò le spalle drizzandosi sulla
schiena.
"Signor Dazai è tardi! Perché non
torna nel suo appartamento?"
L'uomo non riuscì a trattenersi e
portò
le nocche delle dita alle labbra; non rise per non sbigottirlo
ulteriormente, ma contenersi gli costò davvero parecchia
fatica.
"Sto solo bevendo qualcosa da solo, c'è qualche
problema con questo?"
Le braccia di Atsushi tornarono subito ad afflosciarsi
contro i fianchi.
"E me lo dice così? Come se non fosse un
problema?"
Mormorò ad alta voce demoralizzato, ripercorrendo con la
mente
tutta la fatica fatta per cercarlo e ringraziando mentalmente Kunikida
per essergli andato in soccorso, dandogli quella soffiata su quel bar
sito nei bassifondi delle strade di Yokohama.
Dazai poté solo immaginare tutta la fatica e lo
stress di cui il
ragazzo si era fatto carico per riuscire a scovarlo, ma non si sentiva
in colpa. Al contrario, trovava la cosa estremamente divertente.
"Beh, visto che ora sei qui, che ne dici di farmi
compagnia?"
Gli occhi di Atsushi si spalancarono più del
possibile:
da un punto di vista esterno non c'era nulla di male in quella domanda,
anzi fu la cosa più naturale che qualcuno avrebbe potuto
chiedere. Ma il signor Dazai era un enigma vivente, un calcolatore nato
e ogni sua parola e azione venivano prese in considerazione come un
secondo fine; Atsushi lo aveva imparato standogli accanto
perciò
avvertì un senso di spiazzamento e di stupore, al punto tale
da
non riuscire a dargli una risposta immediata.
"Mmm..."
Disagio era ciò che provava. Averlo trovato era
già
abbastanza per lui, ma restare anche in sua compagnia, per giunta in un
bar a bere, era qualcosa di davvero inaspettato.
"Dai! Ti assicuro che in questo bar servono anche
analcolici." Lo
esortò nuovamente l'altro, mostrando ancora quella
disinvoltura
che tutto sembrò tranne che sincera. Allora, il
più piccolo,
annuì e adocchiò il primo sgabello libero,
sedendosi
lentamente sopra, sollevando le mani e poggiandole entrambe con i pugni
chiusi sopra il legno del bancone.
"Dunque..." Iniziò a parlare nuovamente in
imbarazzo, per poi notare di non essere ascoltato.
Stranamente il signor Dazai gli apparve sorpreso.
"Hai scelto quella
sedia."
Mormorò ancora stupefatto e Atsushi lo guardò non
capendo. "Voglio dire... potevi scegliere di sederti ovunque, di non
sederti affatto, oppure di andartene, ma tu hai scelto proprio quella
sedia!"
Staccando gli occhi da lui il nuovo arrivato dell'Agenzia
preferì
guardarsi le mani, solo allora notò un
bicchiere ripieno di liquore intoccato e un libro poggiato
lì a
fianco.
Era un libro di letteratura straniera, non l'aveva mai
letto,
ne era sicuro, eppure il titolo non gli era nuovo; forse gli era
capitato di trovarne una copia nella biblioteca del suo orfanotrofio.
Già, là c'erano tanti libri.
"Non capisco..." Mormorò ancora assorto, non in
risposta al suo superiore, ma per la situazione in generale.
Dazai prese un sorso dal suo bicchiere, scrollando di poco
le spalle.
"Non serve che tu lo faccia." Lo rassicurò.
"Davvero."
Lo sguardo di Atsushi si spostò dalle sue mani a
lui, fino al bicchiere che
sembrò non appartenere a nessuno e al romanzo che pareva
messo
lì per un motivo preciso. Collegò tutto questo e
qualcosa
nacque nella sua mente, forse era qualcosa di azzardato da dire, ma...
doveva provare.
"Qui si sedeva forse quella persona di cui mi ha parlato
quella volta al cimitero?"
In un primo momento non ricevette risposta, ma solo un
fruscio
proveniente dalla sua sinistra. Le braccia di Dazai si piegarono e le
mani ora sostenevano il mento in una postura completamente interessata.
"Che cosa te lo fa pensare?"
Era certo che non ci sarebbe stata alcuna risposta diretta,
era
consapevole persino che avrebbe finito per mettersi ancora
più
in difficoltà in quella situazione, però non
poteva
nemmeno scappare: che figura ci avrebbe mai fatto? Dove erano finiti i
suoi propositi di affrontare tutto di petto?
La via della sincerità non era forse la
più facile da percorrere?
"Beh, il tono che ha usato adesso è lo stesso che
usò allora." Gli fece notare, sottolineando come la sua voce
tendeva sempre
a diventare più malinconica e dolce quando ricordava quella
persona.
Finalmente Dazai rise con gusto, spazzando via quella
nostalgia che
lo aveva portato quella sera a rifugiarsi in quel bar pieno di ricordi
legati al suo passato. Accanto a lui il suo subordinato continuava a
guardarlo con la bocca semiaperta, sperando di non aver riaperto ferite
ancora schiuse. "Se ti dicessi che è così, che la
persona che si sedeva
su quella sedia è effettivamente chi stiamo parlando che
cosa
faresti?" Gli domandò fissandolo intensamente negli occhi;
in
verità l'invito a restare era partito solamente con
l'intenzione
di giocare un po' con lui, di studiare le sue reazioni, di metterlo in
imbarazzo perché lo trovava carino vederlo nel panico, ma
non
voleva spingersi oltre.
Forse anche Atsushi andava oltre le sue
aspettative e la risposta che ne sarebbe seguita avrebbe determinato la
verità su questo.
E a capo chino, con le palpebre che si disturbavano tra il
libro e
l'evitare il contatto visivo, Atsushi soffiò delicatamente
la sua
opinione.
"Mi chiederei se avessi il diritto di stare qui."
La musica del locale si spense e le luci si affievolirono,
guardandosi
attorno Dazai notò che la maggior parte dei clienti se ne
era
già andata e che il proprietario del bar aveva
già
iniziato a spazzare il pavimento e pulire i tavoli. Effettivamente
l'orologio, che segnava ormai l'una di notte, metteva in mostra anche
l'orario
di chiusura.
Alzandosi lasciò scivolare sul banco delle
banconote per pagare, facendo un cenno al proprietario che di
lì
a poco se ne sarebbero andati anche loro due.
"Un'ottima risposta, Atsushi. Chissà magari in
futuro avremo
modo di riparlarne meglio. Sarebbe davvero interessante se lo
facessimo. Oh, a proposito del libro: è tuo, te lo regalo."
Alzandosi in fretta per seguirlo il ragazzo
afferrò il volume in
questione e salutò il padrone del bar con un piccolo
inchino,
raggiunse infine Dazai fuori trovandolo sotto una delle luminarie
addobbate
per Natale, qualche fiocco di neve cadeva dal cielo sciogliendosi a
terra a contatto con l'asfalto.
Dopotutto era dicembre, uno dei mesi più gelidi
dell'anno.
"Aspetti! Come sa che non ho mai letto questo libro prima
d'ora?"
Dazai gli sorrise, nascondendo le mani nelle tasche
dell'impermeabile per proteggerle dal freddo.
"Non lo sapevo. L'ho semplicemente intuito, sappiamo tutti
che ti piace
leggere."
Atsushi lo girò e rigirò tra le mani
più
di una volta, ammirandone la copertina e sfogliandone qualche pagina,
lasciandole scorrere sotto i suoi polpastrelli.
"Andiamo ora? Fa
davvero freddo stanotte, poi sono curioso di vedere quale regalo hai
scelto per me."
Se possibile la candida pelle di Atsushi si
colorò di rosso più di quanto il gelo potesse
fare.
E poi il mazzo di fiori, con tanto di dedica a lui
destinato, lo aveva
lasciato al sicuro in un vaso dentro al suo appartamento. Significava
che per darglielo doveva invitarlo dentro?
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