Era entrato dalla finestra, come ogni notte. Credeva che ormai la maga
la lasciasse aperta di proposito – dopotutto non sarebbe stato un
problema, per lui, trovare un altro modo per fare incursione in casa
sua.
Da quando la spumeggiante erede Heartphilia si era trasferita a
Magnolia era divenuto un gioco per entrambi: lei sbarrava porte e
finestre, lui si dilettava a passare i pomeriggi a studiare un piano
per poter entrare senza destare sospetti, intrufolandosi come un ladro
accidioso sotto le coperte calde – troppo
calde – che puntualmente finivano a terra a far compagnia al tappeto di
ciniglia. Lucy entrava in camera dopo un bel bagno rilassante,
avvolgeva il bel corpo giovane e sodo con un asciugamano di candido
cotone profumato e si ritrovava a sbraitargli contro attraverso una
serie d’idiomi che ben poco si addicevano alla bocca sottile e votata
ai sorrisi.
Questo, tuttavia, era accaduto prima di tornare dall’isola di Tenrou,
in quel vuoto temporale che ognuno di loro s’era lasciato alle spalle,
ritrovandosi catapultati in una realtà ch’era andata avanti, anche
senza di loro.
Lucy, tra tutti, era quella che aveva pagato di più.
Ripensava allo sguardo che le aveva visto dipinto addosso quando le era
stato detto che suo padre era morto, e ripensava a quanto ingiusti
fossero stati i suoi occhi, che provavano a sorridere nonostante tutto,
incapaci di mostrarsi deboli di fronte agli altri membri della gilda,
perfino di fronte a lui, che s’era d’improvviso offeso per
l’atteggiamento spensierato e iconico di lei. Era stato come se, quel
giorno, Lucy avesse deciso di negargli la presenza della parte di sé
più fragile e spaventata, quella che gli era capitato di vedere poche
volte da quando la conosceva. La stessa che lui avrebbe tanto voluto
incontrare, foss’anche solo per comprendere quanto diversa fosse dalla
maga ch’era solito conoscere.
Se ne stava perso in quei pensieri, mentre si accoccolava accanto al
corpo fresco e placido dell’amica, il cui respiro faceva dondolare
delicatamente una ciocca bionda che le ricadeva scompostamente sulla
fronte alta e rosata. Natsu la carezzò gentilmente portandogliela
dietro un orecchio, mentre si chiedeva se avesse pianto anche quella
notte. Si ricordò di tutte le volte in cui aveva visto le palpebre
rosse della maga ed il lembo del cuscino intriso di lacrime salate e
pastose, ch’imbrattavano soventemente anche il lenzuolo. Eppure, alla
gilda si presentava sempre con un sorriso stampato dipinto sul volto e
quegli occhi – gli stessi
occhi ch’annegavano di dolore quando nessuno li guardava – che
sembravano celare al mondo il più nefasto degli addii.
Natsu la osservava, molto più di quanto non avesse fatto in passato.
Era ciò che la gente comune, quella che era in grado di capire i
sentimenti, definiva preoccupazione.
Lui l’aveva sperimentata tante di quelle volte d’averci fatto il callo,
ma percepiva che questa volta c’era davvero qualcosa di diverso:
un’angoscia inquietante e che non sapeva spiegarsi, mista ad un
terrificante sentimento d’impotenza. Avrebbe potuto salvarle la vita,
certo; avrebbe potuto rincorrerla fino in capo al mondo e riportarla
nel suo luogo felice, avrebbe potuto spezzare la terra ed irrompere nei
cieli se fosse stato necessario. Sarebbe bastato che lei glielo
chiedesse, e lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per quel sorriso.
Ma suo padre. Quello no, non
avrebbe potuto riportarglielo indietro.
La verità era ben palese davanti ai suoi occhi: Lucy non rideva più
com’era solita fare. Perfino quand’era insieme a lui, le gaie avventure
d’una volta non bastavano più a farla andare avanti, troppo impegnata
com’era a guardarsi indietro, a quel vuoto spaventoso che non si
perdonava e che non sarebbe mai stata in grado di perdonarsi. Come se
la colpa fosse la sua, come se avesse potuto farci qualcosa.
Accorto a che non si svegliasse, il giovane mago afferrò la coperta di
pile arancione, coprendole le spalle scoperte e le braccia infreddolite
da quella notte decisamente ventosa, che sferzava violenta contro il
vetro della finestra, dove di tanto in tanto qualche spiffero
prepotente irrompeva dagli infissi malandati. Rimase a fissarla con il
volto poggiato al palmo della mano, chiedendosi se sarebbe mai tornata
a rimproverarlo per entrare in casa sua senza permesso. Lui ci sperava
ogni volta, ma era come se Lucy non s’accorgesse più della sua presenza
e lui aveva colto l’occasione per poter vegliare su di lei almeno
durante la notte, quando si svestiva della corazza del cuore e
permetteva a se stessa quell’attimo di smarrimento che l’accompagnava
per tutto il tempo in cui rimaneva sola.
Natsu odiava vederla in
quello stato, eppure non poteva scrollarsi di dosso la piacevole
sensazione che quella parte della maga, così dolcemente fragile, fosse
solo per lui: tutti potevano vedere Lucy, ma quel frammento nascosto e
squisitamente egoistico era per lui solo. Quell’esclusività non
riusciva proprio a disprezzarla, al contrario. Delle volte sembrava
quasi sguazzarci dentro.
Il perché non gli era dato sapere.
Non era bravo a comprendere le emozioni, tantomeno a spiegarle: non
riusciva a dar loro dei nomi, così se gli fosse capitato di provare
rabbia sarebbe bastato fare a pezzi un tronco d’albero o prendersi a
cazzotti con Gray, ma di certo nessuno l’avrebbe mai sentito dire “sono
arrabbiato”. Perché Natsu era fatto così, non etichettava ciò che
provava, ma agiva secondo la propria corrente emotiva. La stessa che,
in quel momento, aveva lasciato che le sue forti braccia stringessero
il corpo al suo fianco, che d’improvviso gli era parso più magro di
come lo ricordava. Lucy era solita arrabbiarsi quando lui la canzonava,
ricordandole dei due chiletti che aveva preso negli ultimi mesi prima
della partenza sull’isola, eppure il mago non poteva fare a meno di
notare la curva delle costole sotto le sue dita, che involontariamente
avevano toccato la pelle fresca dell’amica. Al contatto con
l’epidermide liscia e pallida, Natsu non poté rimanere indifferente,
sorprendendosi di quanto fosse piacevole poterla tenere stretta in
quell’abbraccio gentile. Non gli capitava spesso – mai – di potersi prendere cura di
lei, poiché la maga puntualmente gli diceva che non v’era nulla per cui
valesse la pena preoccuparsi. Come se lui avesse davvero potuto
bersela, quella sciocca bugia.
Soffermò lo sguardo pece sul viso contrito della giovane, poi sulle
ciglia folte e umettate da piccoli cristalli di lacrime, mentre le
sopracciglia s’aggrottavano in preda ad un incubo improvviso, l’unico
posto in cui Natsu non era in grado di proteggerla. Se ne stava in
silenzio, ad osservarla mentre le gocce diafane scendevano a bagnarle
le guance arrossate e il mento assottigliato, asciugando di tanto in
tanto i rivoli che fluivano copiosi attraverso le palpebre serrate. Una
lacrima, tra tutte, arrestò la sua improvvisa corsa sulla riga sottile
che separava le labbra della maga, lì dove il respiro fluiva affannoso
fuori per condensarsi nell’aria della stanza. Era la prima volta che il
dragon slayer vi faceva caso: la bocca di Lucy era affilata e tinta di
un naturale rossore che la faceva sembrare molto più carnosa di quanto
in realtà non fosse.
Senza neppure rendersene conto, abituatosi ormai ad essere il
silenzioso confortatore a quelle lacrime prepotenti, si ritrovò a
sfiorarle le labbra con il pollice per asciugare l’ennesima
indesiderata ospite. Quando toccò quasi con timore l’orlo rosa, si
soprese di quanto fosse morbido e liscio, come se stesse toccando una
coperta di velluto.
Non s’interrogò molto su quello che stesse facendo: Natsu non era il
tipo da pensare troppo alle cose. Quando aveva voglia di fare qualcosa,
la faceva e basta, con la stessa ingenuità e naturalezza di un bambino
– e per molti il dragon slayer lo era ancora. Per cui non vi fu
imbarazzo neppure nel momento in cui si ritrovò a sfiorare quel soffice
tessuto epidermico con la propria bocca, ch’era più spigolosa e secca
rispetto a quella dell’amica.
Certo, in quel modo non avrebbe dovuto preoccuparsi di svegliarla ogni
qualvolta che una lacrima decideva di sostare proprio lì. E si ritrovò
a baciarla ogni volta, senza che gli venisse mai in mente che fosse
qualcosa di assurdo. Era come bere goccia a goccia da una brocca col
beccuccio troppo stretto, solo che si scoprì a trovarlo molto più
piacevole e, nel giro di qualche lacrima, si ritrovò a dispensarle baci
anche su una bocca perfettamente asciutta. Il perché non se lo
chiedeva, mentre premeva le sue labbra contro quelle della maga.
In quel modo non avrebbe dovuto preoccuparsi di svegliarla ogni
qualvolta che una lacrima decideva di sostare proprio lì. E si ritrovò
a baciarla ogni volta, senza che gli venisse mai in mente che fosse
qualcosa di assurdo. Era come bere goccia a goccia da una brocca col
beccuccio troppo stretto, solo che si scoprì a trovarlo molto più
piacevole e, nel giro di qualche lacrima, si ritrovò a dispensarle baci
anche su una bocca perfettamente asciutta. Il perché non se lo
chiedeva, mentre premeva le sue labbra contro quelle della maga, perché
in ogni caso non sarebbe stato in grado di darsi una risposta.
Era una parola che nessuno mai gli aveva insegnato. Non ne conosceva il
nome, né il significato.
Se avesse avuto la possibilità di etichettarla, allora forse quello
stringere Lucy a sé e baciarla avrebbero assunto una connotazione del
tutto nuova. Ma Natsu non si scompose affatto, neppure quando si rese
conto dell’improvvisa vampata di calore che gli percorse le guance e la
fronte. Avrebbe potuto trovare altre giustificazioni, ma non voleva.
Tutto ciò che stava accadendo era qualcosa che lo faceva star bene, del
resto non gli importava poi granché.
La sentì mugolare assonnata all’ennesimo, innocente tocco, e la vide
schiudere delicatamente le palpebre. Si aspettava che lo sgridasse da
un momento all’altro, ma la bionda si limitò a sbattere lentamente le
ciglia, mentre gli occhi opachi e in preda al dormiveglia tentavano di
mettere a fuoco la persona di fronte a sé.
– Natsu, – uggiolò e, prima che il mago potesse risponderle,
s’abbandonò al dolce bacio.
Il silenzio nella stanza venne interrotto dagli schiocchi sempre più
incontrollabili dei due compagni, le cui labbra si staccavano solo per
pochi istanti, in trepidante attesa di ritrovarsi, di cercarsi con
sempre più crescente necessità. Natsu sentì la partner schiudere
leggermente gli angoli della bocca, e in quell’istante percepì
l’incessante bisogno d’esplorarla con la propria lingua, che si ritrovò
presto al calore delle pareti calde e accoglienti. La strinse a sé,
incatenandola al suo corpo in preda ad un'insolita arsura, che
s’accresceva ai guaiti sommessi della giovane.
Sentì le dita affusolate della maga sfiorargli delicatamente la sciarpa
d’Igneel mentre le gambe snelle s’incastravano tra le sue e Natsu non
poté fare a meno di rimanerne sorpreso, sconcertato, forse anche
spaventato: non era così sciocco da non capire cosa stesse succedendo,
ne aveva sentito parlare tante volte dagli altri membri della gilda,
eppure non vi aveva mai prestato orecchio, troppo preso dalle missioni
e dalla voglia di migliorarsi.
Non era in grado di usare paroloni o di lasciarsi trasportare da
assurde romanticherie. Ciò che provava per Lucy non era traducibile
attraverso lemmi scontati e monotoni, ma passava attraverso di lui
ogniqualvolta che le proprie labbra s’increspavano su quelle della
ragazza bionda: era il voler renderla felice ad ogni costo, e quella
felicità rendeva lui completo. Niente di più semplice.
A poco a poco la maga s’assopì di nuovo, vittima del sonno e dei troppi
baci che Natsu le aveva dispensato per tutto il viso. Il mago rimase a
contemplare il suo volto assonnato per tutta la notte, perfino quando
le prime luci del mattino sfavillarono prepotenti sull’acqua del fiume,
che rifletteva i raggi del sole sulla finestra della casa. Socchiuse
gli occhi, cercando di abituarsi alla fioca luce del mattino, ma senza
neanche rendersene conto serrò delicatamente le palpebre e
s’addormentò, concedendosi al calore del bel corpo della giovane al suo
fianco.
***
– Ho fatto un sogno strano, la notte scorsa.
Lui ed Happy si fermarono ad ascoltarla, mentre uno strano rossore
prendeva vita dalle guance imbronciate della maga.
– Che sogno? – domandò l’exceed, a bocca piena.
La bionda si voltò verso il mago, sorridendogli timidamente: – Ho
sognato che ci baciavamo. Ehi, Natsu, non ti sembra assurdo?
A ben ripensarci, forse quella notte era stata un po’ assurda. Scoppiò
a sghignazzare, tornando padrone di sé per evitare che lei
s’insospettisse. – Come se potesse mai accadere!
Lucy s’accigliò, allontanandosi imbronciata, mentre farneticava frasi
sconnesse e ingiuri contro il dragon slayer che rimaneva a fissarla dal
tavolo poco distante.
– Natsu, – lo chiamò Happy, un po’ preoccupato, – non hai intenzione di
dirglielo?
Il mago abbassò lo sguardo, mentre un sorriso colmo di serenità si
dipingeva sul suo volto. – No.
– Perché?
Non sapeva spiegarlo, e si limitò a dirgli: – Perché dovrei ricordarle
una cosa simile?
Happy lo squadrò perplesso, prima di tornare al suo succulento pesce
del mattino. Probabilmente non gliel’avrebbe mai detto, ma andava bene
così.
Fin quando fosse riuscito ad essere il suo sogno, gli incubi non
sarebbero più tornati da lei.