Queen
“Ragazzi,
ho una notizia grandiosa da comunicarvi!” esclamò
il professor White, sistemandosi con fare agitato la giacca della tuta;
il suo
vocione rimbombò tra le pareti della palestra e
attirò l’attenzione di tutti,
che già si dirigevano all’esterno per tornare in
classe.
Si
trasferisce in Nuova Zelanda?, pensai tra me,
sogghignando appena. Tuttavia seguii i miei compagni, che parevano
estremamente
curiosi e impazienti di sentire l’annuncio.
Dal canto
mio non poteva importarmene di meno, volevo soltanto
tornare in classe e riprendere fiato dopo l’ennesima
estenuante lezione a tema
tennistico.
“Ho
ricevuto dal preside il consenso per organizzare un
torneo di tennis che coinvolge le mie sezioni, ovvero voi e la A!
Giocherete in
doppio, quindi vi dovrete iscrivere in coppia!”.
Ancora
tennis? Certo che quell’uomo era proprio
ossessionato, dall’inizio dell’anno non facevamo
altro.
Si
levò un coro di protesta e, quando feci scorrere lo
sguardo sui volti dei miei compagni, li trovai delusi e annoiati. Cosa
si
aspettavano?
“Avete
tempo fino a giovedì per pensarci e darmi i nomi dei
partecipanti” proseguì il prof. “Intanto
qualcuno si vuole già iscrivere?”
“Prof,
ma non sarebbe stato meglio un torneo di calcio?”
commentò qualcuno.
Lui
sospirò. “Mi deludete, non posso credere che siate
così
poco competitivi. Per il corso A ho già due squadre
iscritte!”
Mi
allontanai di qualche passo, già del tutto disinteressato
alla cosa.
“Professore,
una curiosità.”
Il mio cuore
perse un battito quando udii la voce di Freddie
spiccare su tutte le altre, allora tornai subito a concentrarmi su
ciò che
stava accadendo. Quel ragazzo sapeva sempre come farsi notare,
accidenti… e
ormai la mia infatuazione nei suoi confronti era fuori controllo,
nonostante
fossi consapevole che una figura di spicco come lui non si sarebbe mai
interessata a uno sfigato come me.
Mi concessi
di scrutarlo con la coda dell’occhio e lo trovai
impettito e fiero, con lo sguardo affilato e un sorrisetto beffardo sul
viso.
“Si può sapere da chi sono formate le squadre
dell’altra classe?”
Il prof
abbassò lo sguardo sulla cartellina rossa che
stringeva in mano. “Certo, allora… una
è formata da Sumner e Copeland, l’altra
invece da May e Taylor.”
“Oh-oh!”
esclamò Freddie, per poi incrociare le braccia sul
petto.
Supposi che
fosse profondamente irritato dalla
partecipazione di Brian May insieme al suo amico biondo, dato che
più di una
volta l’avevo sentito parlar male di quel ragazzo; non avevo
ben capito se
avessero litigato, in ogni caso non si sopportavano, la loro
rivalità aveva
fatto il giro di tutta la scuola.
Io conoscevo
Brian May soltanto di vista e non sapevo cosa
pensare di lui.
“Vuoi
partecipare, Mercury? Qualche altro nome?” chiese il
prof White, facendo scorrere lo sguardo tra i volti degli studenti.
Mi morsi il
labbro inferiore e abbassai subito il capo,
sperando di risultare invisibile. Il prof mi aveva detto più
volte che
possedevo un incredibile talento per il tennis e ora avevo paura che mi
prendesse di mira, cercando di convincermi a partecipare al torneo. Non
ne
avevo nessuna intenzione, mi sarei soltanto reso ridicolo agli occhi di
tutti –
soprattutto a quelli di Freddie.
“D’accordo,
vi lascio ancora un po’ di tempo, però pensateci
seriamente. Potete tornare in classe” ci congedò
White dopo una manciata di
secondi di silenzio.
Tirai un
sospiro di sollievo e mi diressi velocemente fuori
dalla palestra, per poi imboccare la strada verso la nostra aula.
Mentre
arrancavo stancamente lungo il corridoio dalle pareti
gialle, qualcuno dietro di me mi afferrò per una spalla e io
sobbalzai, strabuzzando
gli occhi spaventato.
“Ehi,
John, come va?”
Stava
succedendo davvero? Freddie Mercury mi aveva fermato
in mezzo al corridoio e mi stava rivolgendo la parola?! Nonostante lo
conoscessi da anni, da quando ci eravamo ritrovati in classe insieme,
avevamo
avuto a che fare davvero di rado.
Col cuore in
gola e le mani sudaticce strette intorno alle
bretelle dello zaino, mi voltai e rivolsi al mio compagno di classe un
sorrisetto imbarazzato, senza riuscire a sostenere il suo sguardo
né a
proferire parola.
Eravamo
quasi soli, il resto della classe ci aveva superato.
Mi sentivo
morire.
“Senti,
so che io e te non ci frequentiamo, ma devo
chiederti un favore, tesoro” proseguì il ragazzo
corvino, puntandomi addosso
con insistenza i suoi occhi scuri.
Mi costrinsi
a sollevare i miei. “Beh, ecco… io non so se
posso… insomma, dipende da…” cominciai
a balbettare, colto alla sprovvista.
Stavo iniziando a sudare freddo e quello sguardo penetrante non
migliorava
certo la situazione.
“Ma
certo che puoi! Sai, vorrei proprio prendermi una
rivincita su quel May e tu… beh, Deaky,
hai un talento naturale per il
tennis” mormorò in tono suadente, calcando
l’accento sul mio nomignolo. Non mi
aveva mai chiamato Deaky prima di allora.
Un brivido
mi percorse la schiena, mentre Freddie mi si
accostava appena per potermi guardare meglio negli occhi.
“Mi…
mi stai chiedendo di iscrivermi al torneo con te?”
riuscii a bofonchiare, mentre le guance mi andavano in fiamme.
Detestavo
tutto ciò, detestavo essere preda delle emozioni e
non avere il controllo della situazione.
“Esattamente!
Io e te dobbiamo assolutamente battere Brian
May e Roger Taylor!” esclamò con enfasi,
sfiorandomi appena un braccio.
“Allora, ci stai?”
Ci riflettei
su per qualche istante: l’ultimo dei miei
programmi era finire nel bel mezzo di una gara sportiva organizzata
dalla scuola,
con l’attenzione di tutti puntata addosso e la
possibilità di prodigarmi in
eclatanti figuracce – in questo modo avrei messo a
repentaglio la mia già
scarsa reputazione all’interno del liceo –, ma era
Freddie Mercury in persona,
l’oggetto dei miei desideri da anni, a chiedermelo. Magari se
mi fossi reso
disponibile gli avrei potuto fare una bella impressione, magari questo
poteva
essere il pretesto per avvicinarci e allenarci insieme, magari stare al
fianco
di uno come lui mi avrebbe aiutato a uscire dal vortice di solitudine e
anonimato nel quale mi ero sempre crogiolato.
“Veramente
io non ho nulla contro Brian e Roger” mormorai
titubante.
“Io
sì! Sono stanco che quel Brian May sia sempre al centro
dell’attenzione e venga osannato da tutti: un ragazzo
intelligente, carino,
sensibile, sportivo, disponibile… stronzate! Sta solo
cercando di fregarmi il
posto e mi ha anche battuto alle Olimpiadi di matematica del mese
scorso, non
posso accettare un’altra umiliazione del genere e
un’altra vittoria da parte sua!”
strepitò lui, gesticolando teatralmente.
Ecco da dove
nasceva tutto quell’odio verso quel ragazzo.
“Quindi
tu vuoi… batterlo per dimostrare di essere meglio di
lui?” riassunsi io.
Freddie
annuì. “Per questo ho bisogno di te, che sei il
più
bravo della classe e potresti sicuramente battere quei due a occhi
chiusi.
Allora, Deaky, che dici? Ti va di darmi una mano
d’aiuto?” concluse, addolcendo
il tono della voce nell’ultima frase e regalandomi poi uno
sguardo colmo di
speranza.
Avevo il
cervello in tilt.
Era
un’idea stupida? Assolutamente sì.
Mi stava
soltanto sfruttando? Molto probabile.
Ma era
Freddie Mercury, il ragazzo per cui avevo una cotta
epocale, e in quel momento riponeva in me tutta la sua fiducia.
Mi ritrovai
ad annuire senza neanche rendermene conto e il mio
gesto di assenso venne accolto da un gridolino vittorioso di Freddie.
“Oh,
grazie di cuore Deaky, sei un amico!”
esclamò,
strizzandomi l’occhio, poi mi superò e mosse
qualche passo verso la nostra aula.
“Allora… ci vediamo alle tre e mezza di questo
pomeriggio al campetto qui
dietro. Puntuale, mi raccomando!” concluse poi, dandomi le
spalle e percorrendo
il corridoio col suo solito passo sicuro.
Tenni gli
occhi fissi sulla sua figura e nel frattempo mi
chiesi se tutto ciò fosse accaduto davvero o me lo fossi
sognato.
Avevo un
appuntamento alle tre e mezza con il ragazzo dei
miei sogni.
Okay, forse
non era proprio così, ma mi piaceva pensarla in
questo modo.
🎾 🎾 🎾 🎾
“Però,
Rog, io non sono molto convinto di questa cosa,
insomma, con la mia altezza potrei al massimo pensare di giocare a
basket, ma
il tennis… non mi trovo molto a mio agio”
borbottò per l’ennesima volta Brian,
sollevando lo sguardo dall’imponente libro di storia che
stava poggiato sulle
sue ginocchia.
Sbuffai e
gli lanciai un’occhiata torva, pur sapendo che non
poteva accorgersene per via dei miei occhiali da sole. “Non
rompere il cazzo,
non ti sai proprio divertire! Per una volta cerca di goderti questa
cosa, non
sentirti sotto esame e accontenta il tuo vecchio amico Roggie, che
è un asso in
questo sport!”
Il mio amico
sospirò pesantemente e perse lo sguardo fuori
dal finestrino, passandosi una mano tra la folta chioma di riccioli.
“Però abbiamo
poco tempo per esercitarci e io ho mille cose per la testa: dopodomani
abbiamo
lo scritto di storia, poi domani pomeriggio ho la riunione dei
rappresentanti e
sul tardi devo passare all’associazione dei cuccioli
abbandonati per definire i
dettagli del pranzo di beneficienza… per non parlare delle
ripetizioni di
matematica per il figlio della signora Evans, non abbiamo ancora
fissato i
giorni!”
Lo stetti a
sentire e ancora una volta mi domandai con
stupore dove trovasse la voglia e la forza per dedicarsi a tutte queste
attività e non dire mai di no a nessuno, io non riuscivo
nemmeno a pensarle
tutte contemporaneamente.
“Non
ti pare di star tirando troppo la corda, Bri?” gli
chiesi, aggrottando le sopracciglia.
Lui mi
lanciò un’occhiata stralunata. “In che
senso?”
Sbuffai e mi
allungai per premere il tasto e prenotare la
nostra fermata. “Nel senso che sei stanco morto e non ti stai
godendo la vita.
Hai diciassette anni, cazzo, non puoi impegnarti sempre per tutti e per
tutto!”
Lui mi
fulminò con lo sguardo. “Dovrei fare come te che
invece rischi di essere bocciato?”
“Ma
io esco tutti i venerdì e i sabato sera. Ritira il
libro, stiamo per scendere” lo avvertii, per poi
stiracchiarmi sul sedile e
mettermi in piedi.
Lasciammo
l’autobus e ci dirigemmo a passo spedito verso il
campetto dietro la scuola, l’unico posto munito di racchette
e palline in cui
avremmo potuto fare un po’ di allenamento, dato che noi non
avevamo l’attrezzatura.
“Comunque,
Roger, io non voglio farti perdere per via della
mia incapacità nel tennis” si incupì
Brian mentre passeggiavamo fianco a fianco
sul marciapiede.
Gli mollai
un’incoraggiante pacca sulla spalla. “Di che ti
preoccupi? Sarò il tuo Roger Federer, se ci sono io non
perderai di certo! Ti
va di essere il mio Nadal?”
Il mio
migliore amico scosse il capo e si portò una mano tra
i ricci ribelli. “Non è un bel complimento, sai,
Nadal sta cominciando a
soffrire di calvizie…”
Scoppiai a
ridere e gli tirai scherzosamente una ciocca di
capelli; sapevo quanto Brian tenesse alla sua capigliatura, era un
argomento di
massima serietà e importanza per lui.
Quando
giungemmo al campetto, però, non lo trovammo deserto
come al solito: tra le due figure slanciate che stavano giocando a
tennis,
riconobbi subito Freddie Mercury, personaggio di spicco della sezione B
e
acerrimo nemico di Brian.
Mi
immobilizzai e diedi di gomito al mio amico. “Guarda un
po’ chi si vede” grugnii.
Lui
sbuffò. “Roger, questa è tutta colpa
tua. Se quel
piantagrane di Mercury si è veramente iscritto al torneo di
tennis, giuro che
mi sotterro!”
Sogghignai.
“E anche se fosse? L’abbiamo battuto alle
Olimpiadi di matematica e lo stracceremo anche questa volta!”
Lui mi
lanciò un’occhiata in tralice. “Io
l’ho
battuto alle Olimpiadi, tu non hai neanche partecipato”
puntualizzò.
Mi strinsi
nelle spalle. “Fa lo stesso. Allora, andiamo o
dobbiamo stare qui in veste di spettatori?”
“Ora
ci sono loro a occupare il campo… tra l’altro, chi
è
quel tizio che sta giocando con lui?”
Mi sporsi in
quella direzione per riuscire a vedere meglio:
era un tipo dai capelli castano chiaro abbastanza lunghi, ma mi dava le
spalle
e non riuscivo a vederlo in viso. “Non ne ho la
più pallida idea” ammisi.
Proprio in
quel momento i due ragazzi si avvicinarono a
bordo campo e recuperarono le loro borse abbandonate sulla diroccata
panchina
in ferro addossata alla parete dello stanzino degli attrezzi.
“Hanno
finito!” esclamai, afferrando Brian per un braccio e
trascinandomelo appresso.
Non avevo
paura di affrontare Mercury e chiunque gli
ruotasse attorno, anche perché sapevo che in ogni caso non
poteva competere con
Brian, il mio amico era migliore in tutti i sensi e
quell’idiota era davvero
presuntuoso a credere di poterlo superare.
Freddie
Mercury ci vide avvicinarci a passo di marcia, ma ci
ignorò finché non gli fummo praticamente a
fianco; fino a quel momento si
adoperò per tamponarsi con gesti meticolosi e teatrali il
sudore con un
asciugamano, scambiando qualche parola con il suo amico dai lineamenti
dolci e
lo sguardo sfuggente.
Una volta
accanto a loro, mi schiarii la gola. “Ciao,
Freddie Mercury! Allora, come te la passi?” esordii in tono
di scherno,
afferrando una delle racchette che stazionavano sulla panchina, per poi
farci
palleggiare sopra una pallina.
Il ragazzo
dai capelli corvini, che sfoggiava una leggera
canottiera bianca nonostante l’aria fresca di marzo, mi
guardò con sufficienza.
“Brian, Roger… gira voce che vi siete iscritti al
torneo di tennis, eh?”
Annuii con
vigore. “Anche tu e il tuo amico…” Mi
voltai
verso il ragazzino castano e schioccai le dita.
“John”
mormorò lui.
“Ah,
ecco! Tu e John sarete i nostri sfidanti!”
“Già!
Sai com’è, c’è chi
è bravo con la matematica e chi
invece…” insinuò Freddie, lanciando
un’occhiata di fuoco a Brian.
Quest’ultimo,
come ogni volta che si trovava di fronte al
suo nemico, stava già cominciando a perdere le staffe. Non
era facile farlo
arrabbiare, ma Freddie Mercury aveva questa capacità.
“Cos’è,
la sconfitta fa male?” sibilò, ricambiando lo
sguardo.
“Avrai
modo di provarla sulla tua pelle, May” ribatté il
corvino, indossando la giacca e dandoci le spalle per afferrare la sua
bottiglietta d’acqua.
Intanto
John, evidentemente a disagio, si era allontanato di
qualche passo e fissava con intensità lo schermo del suo
cellulare, come se lo
volesse bucare con gli occhi. Mi faceva pena.
“Che
cosa vuoi da me, Freddie?” sbottò Brian con fare
esasperato.
Freddie
tornò a rivolgersi a lui. “Da te? Niente, tesoro.
Non ho bisogno di qualcosa in particolare per riuscire a dimostrare
quanto
valgo.”
“Oh,
mi sa che qualcuno qui è geloso” insinuai.
“E
non di certo io” puntualizzò subito lui,
inforcando i
suoi occhiali da sole. “Vedete, ragazzi,
c’è una cosa che non avete ancora
capito: non importa se si vince o si perde, l’importante
è farlo con stile. Le
piccole vittorie si dimenticano, la leggenda resta”
dichiarò in tono solenne.
Mio dio,
questo suo modo di fare pieno di sé mi faceva rivoltare
lo stomaco. Sapevo che quella non era la mia battaglia, ma affilai lo
sguardo e
scandii ogni parola con rabbia: “Sei ridicolo, Mercury.
Dovresti smetterla di
camminare a un metro da terra, perché sei una persona come
tutte le altre,
anzi, che dico? Sei un pezzo di merda, quindi sparisci e preparati a
essere
stracciato, tu e il tuo scagnozzo leccaculo!”. Gettai uno
sguardo carico
d’astio anche a quell’altro ragazzino.
Lui lo
sostenne per un istante, poi chinò il capo subito
dopo con le guance in fiamme.
Freddie si
voltò dal suo amichetto John, lo afferrò per un
polso e lo trascinò via, dirigendosi fuori dal campetto.
Quando ci passò
accanto, i suoi occhi fiammeggianti si posarono su di me e
sibilò in tono
minaccioso: “Non ti permetto di insultare in questo modo me o
le persone che
frequento. Chiaro?”.
Gli risi in
faccia, per nulla turbato dalle sue parole.
I due si
allontanarono di tutta fretta e non si accorsero
del gestaccio che rivolsi loro, anche se io sperai fino
all’ultimo che si
voltassero.
Brian
sbuffò e si lasciò cadere sulla panchina,
sconfitto.
“Non ne posso più. Non capisco perché
mi odia, cos’ho fatto?”
Presi posto
accanto a lui con fare rilassato, osservando le
nuvole grigie che si andavano ad addensare in cielo. “Che te
ne fotte?
Sicuramente è geloso di te e dei tuoi successi, come vedi
non accetta che
qualcuno lo superi e sia più importante di lui. Ma io, fossi
in te, non mi
porrei troppi problemi.”
“Detesto
la sua presunzione. Ma almeno mi lasciasse in
pace…”
Gli battei
amichevolmente una mano sul ginocchio e gli
sorrisi. “Su, Brimi, scarichiamo un po’ la tensione
con una bella partita a
tennis, vedrai che dopo starai molto meglio!” Mi misi in
piedi e mi stiracchiai,
poi attesi che anche lui facesse lo stesso.
“Spero
che tu abbia ragione” bofonchiò il mio amico in
tono
lugubre.
🎾 🎾 🎾 🎾
Il tetto
malconcio dello stanzino sembrava volerci cadere
addosso, sotto il peso dell’acquazzone che si stava
riversando all’esterno;
l’umidità era talmente pungente da conficcarmisi
nelle ossa e io temetti che
potesse addirittura rovinare le pagine del quadernetto su cui stavo
scribacchiando.
“Cazzo!
Possibile che debba per forza scatenarsi il diluvio
universale quando noi ci stiamo allenando?” sbottò
Freddie, scaraventando la
racchetta dentro l’apposito contenitore e prendendo posto
accanto a me sulla
vecchia panca addossata alla parete.
Deglutii a
vuoto – averlo così vicino mi faceva tremare da
capo a piedi – e continuai a risolvere gli esercizi di fisica
che ci erano
stati assegnati per il giorno seguente. Dal momento che io e Freddie
eravamo
costretti a stare nel ristretto spazio dello stanzino degli attrezzi e
la
situazione era imbarazzante, avevo ben pensato di distrarmi e
rifugiarmi nei
compiti, almeno avevo la scusa per non parlarci.
Era il terzo
giorno consecutivo di allenamenti e le cose non
stavano andando come avevo immaginato: gli scambi di battute ci
tenevano
occupati, stavamo agli estremi opposti del campo e non c’era
quasi mai
occasione di chiacchierare e costruire un legame.
Ma cosa mi
aspettavo, che Freddie cadesse ai miei piedi dopo
un quarto d’ora?
“Metti
via quel quaderno, è già abbastanza noioso
così. Ci
manca solo che mi ignori anche tu!”
A quelle
parole il mio cuore perse un battito ed ebbi giusto
il coraggio di scrutare Freddie con la coda dell’occhio.
“Non posso presentarmi
domani a scuola senza aver fatto gli esercizi” farfugliai.
“E
chi lo dice?”
Sospirai.
“Fred, da giorni ci stiamo allenando come dei
matti, neanche ci stessimo preparando per Wimbledon, e da giorni io
torno a
casa talmente stanco che non riesco ad aprire i libri. Non
voglio… andare male
a scuola per un…” Mi interruppi e mi portai una
mano davanti alla bocca. Avevo
esagerato? Freddie poteva essersela presa per quelle parole.
La mia
capacità di rovinare tutto colpiva ancora. Perfetto.
“Cioè,”
mi affrettai ad aggiungere, “non voglio dire che non
tengo a questo torneo, però… insomma, non pensare
che…”
Il ragazzo
accanto a me prese a ridacchiare e mi posò una
mano sul braccio.
Stupito da
quel contatto, mi voltai di scatto e il quaderno
mi scivolò dalle ginocchia. Nonostante la penombra di
quell’angusto stanzino,
captai la scintilla che percorse gli occhi scuri e profondi di Freddie
e un
brivido mi corse lungo la schiena.
Mi ricordava
lo sguardo che mi aveva rivolto due giorni
prima, poco prima di difendermi apertamente davanti a Brian e Roger e
poi
trascinarmi via dal campo. Non avevo fatto che pensarci nelle ultime
quarantotto ore.
Il mio cuore
batteva a mille, Freddie era così vicino…
“C’è
una cosa che adoro di te, Deaky, ed è questo tuo fare
riservato e insicuro. Sei sempre sulla difensiva, ti devi sempre
giustificare
anche se nessuno ti accusa.”
Trattenni il
fiato. Dove voleva andare a parare?
“Ora
tu hai cercato di giustificarti perché ti sei reso
conto di aver detto qualcosa di poco carino a tuo parere, e avevi paura
che mi
fossi offeso.”
Deglutii a
fatica. Beccato.
Come faceva
a leggermi nell’anima in quel modo?
“E
so anche cosa pensi di tutta questa faccenda, ovvero che
ti ho chiesto di iscriverti al torneo con me solo perché sei
il più bravo della
classe nel tennis e ora sei convinto di dovermi compiacere in tutto e
per
tutto. È così?”
Cercai di
distogliere lo sguardo e abbassare il capo, ma lui
fu più veloce di me e mi bloccò il mento con due
dita, facendomi sobbalzare il
cuore.
“No,
guardami. Voglio che tu sappia che non è così;
sono un
narcisista, è vero, ma non sono uno stronzo.
C’è qualcosa nei tuoi occhi
ingenui, nelle tue guance sempre rosse per l’imbarazzo e nei
tuoi movimenti
goffi… c’è qualcosa che mi parla, mi
intriga, che mi ha portato a scegliere proprio
te.”
Dalle sue
iridi liquide e dalle sue parole sussurrate a
pochi centimetri da me traspariva una serietà, una
sincerità che mi spiazzò.
E
quand’è che avevo cominciato a tremare? Quando la
gola mi
si era fatta così secca?
Mi
baciò. Non seppi spiegarmi come né quando, ma
d’un tratto
le labbra morbide di Freddie furono sulle mie e le sue mani mi
trascinarono con
delicatezza più vicino a lui, mi strinse a sé e
rimase immobile così per alcuni
istanti, senza staccarsi. In attesa.
E io,
immensamente stupido come al solito, non ebbi la forza
di reagire, rimasi impalato a tremare come una foglia, con lo
scrosciare della
pioggia che mi riempiva le orecchie e l’ansia che mi inondava
il cuore.
Freddie
interruppe quel contatto e mi scrutò attentamente
negli occhi; per la prima volta dai suoi era scomparsa ogni traccia di
arroganza e sicurezza, sembrava quasi… titubante.
“Troppo?”
mormorò.
Troppo
poco!, gridavano la mia mente e il mio corpo,
che avevano atteso quel momento per anni interi e ora non si
accontentavano di
quel bacio a fior di labbra.
Ma non
riuscivo a parlare, tanto ero incredulo e in stato di
shock. Così mi limitai a compiere l’unico gesto
che mi veniva spontaneo in quel
momento: mi gettai tra le braccia di Freddie e lo strinsi forte a me,
beandomi
del suo calore e sperando di riuscire a placare i miei patetici
tremiti.
Immersi il viso nella sua spalla e inspirai il suo profumo che negli
ultimi
giorni avevo imparato a conoscere e amare.
Lui si
lasciò sfuggire una risatina – forse era
intenerito?
– e ricambiò senza esitare, facendo scorrere le
dita tra i miei capelli
scompigliati. “Oh, Deaky…”
Rischiavo di
sciogliermi ogni volta che pronunciava Deaky
con quell’inflessione così dolce e fluida,
scorreva proprio bene tra le sue
labbra.
“Non
so cosa succederà, ma va bene così”
mormorò lui,
lasciandomi un bacio tra i capelli.
In quel
momento il piccolo e umido casotto degli attrezzi mi
pareva un angolo di paradiso.
🎾 🎾 🎾 🎾
Mancavano
cinque giorni al weekend in cui si sarebbe tenuto
il torneo di tennis, ma io e Brian non saremmo stati coinvolti nella
prima
giornata, dal momento che l’altra squadra della nostra
sezione – formata da
Stewart e Gordon – avrebbe sfidato una coppia della sezione B
formatasi
all’ultimo momento e composta da Terry Kath e Danny
Seraphine, due tizi che
conoscevo solo di vista.
Quel
pomeriggio non ero tornato a casa e, dopo un veloce
pranzo al sacco, mi ero recato al campetto dietro la palestra in attesa
di
Brian; in questo modo avrei potuto assistere agli allenamenti di
Freddie
Mercury e il suo amico, giusto per capire il loro livello di
preparazione.
Ormai era consolidato che i due si allenavano ogni pomeriggio prima di
noi, li
incrociavamo sempre quando giungevamo sul luogo.
Presi posto
sulla panchina diroccata e controllai
l’orologio: non erano neanche le tre. Portai fuori gli
auricolari e decisi di
ascoltare un po’ di musica per ammazzare il tempo.
Qualche
minuto più tardi una figura ormai familiare
svoltò
l’angolo e si arrestò non appena si accorse della
mia presenza: si trattava di
John Deacon, il timido scagnozzo di Mercury.
Accennai un
sorriso; dopotutto quel ragazzo mi piaceva e mi
stava simpatico, mi sentivo quasi in colpa a essermela presa con lui la
prima
volta che l’avevo visto. Non era come Freddie, era molto
più riservato e si
faceva i fatti suoi, non sembrava avere nulla contro di noi nonostante
fossimo
i nemici.
Lui strinse
forte una bretella dello zaino, fino a farsi
sbiancare le nocche, e mosse qualche passo incerto verso di me.
Mi sfilai un
auricolare. “Vieni, siediti. Non mordo mica,
anche se potrebbe sembrare.”
John si
morse il labbro e mi raggiunse sulla panchina,
sedendosi all’estremo opposto rispetto a me.
“Ciao.”
“Ciao”
risposi, allungando le gambe e stiracchiandomi
appena.
“Come…
come mai già qui?” domandò con un filo
di voce.
“Mah,
non avevo niente da fare questo pomeriggio e ho deciso
di passare di qua in anticipo. Tu invece stai aspettando Mercury,
vero?”
“Sì.
quindi… vedrai i nostri allenamenti?”
Annuii
distrattamente. “Ti dà fastidio?”
John perse
lo sguardo davanti a sé. “No, a me non cambia
niente.”
Trascorse
qualche istante di silenzio nel quale soppesai le
parole che avrei voluto dire: quel ragazzo sembrava così
fragile che avevo
paura di spezzarlo con la sola forza delle parole, era la prima volta
che mi
fermavo a riflettere prima di aprir bocca.
“A
te non cambia nulla… ma a Freddie potrebbe dar fastidio,
giusto?”
“Beh…
non lo so, ma spero che non se la prenda, non vorrei
che si scatenassero dei litigi inutili.”
“Ma
tu da che parte stai?” gli chiesi di getto. In effetti
non avevo ben capito quale fosse la sua posizione, qualche volta aveva
rivolto a
me e Brian dei timidi sorrisi.
Lui
finalmente sollevò lo sguardo e sostenne il mio.
“Da
nessuna. Cioè, è solo un torneo scolastico, non
una guerra nucleare” commentò
con un sorriso.
Ricambiai.
“D’accordo. Ti prometto che quando
arriverà
Freddie non dirò e non farò nulla per provocarlo.
Sai, neanche io voglio
litigare, è solo che mi dà fastidio quando
Freddie si accanisce contro Brian.”
John non
ribatté e allora tornai a rilassarmi, canticchiando
tra me la canzone che stavo ascoltando.
“Oh,
ma è… sono i Foo Fighters?” si
illuminò il ragazzo
accanto a me, sporgendosi leggermente nella mia direzione.
“Sì,
Wheels, la mia canzone preferita dei Foo.”
Sorrise.
“È anche la mia preferita!”
Il suo
entusiasmo genuino mi lasciò strabiliato, era assurdo
come una semplice canzone fosse stata in grado di farlo aprire
così.
Scollegai le
cuffie e lasciai che le note del brano si
diffondessero dal mio cellulare.
John era
tutto un sorriso e prese ad agitare la testa a
tempo senza nemmeno accorgersene, i lunghi capelli gli accarezzavano le
spalle.
Sembrava un bambino la mattina di Natale, era dolcissimo.
“Sai,
suonavo sempre i Foo Fighters quando da piccolo mi
cimentavo con la batteria” raccontai.
“E
non hai continuato?” indagò curioso.
Scossi il
capo. “Però mi piacerebbe riprendere, ho ancora la
batteria a casa… mi devo solo ricordare come si
monta” spiegai con una risata.
John
ridacchiò a sua volta, ma il suo viso si congelò
in una
smorfia quando Freddie si materializzò dietro di lui e lo
afferrò per una
spalla, fulminandomi con un’occhiata.
Incredibile,
non me n’ero accorto.
Affilai lo
sguardo e lo trucidai a mia volta, poi mi
ricordai della promessa fatta a John e decisi di lasciar perdere:
niente
discussioni quel pomeriggio.
“John,
andiamo a prendere l’attrezzatura”
sentenziò Freddie,
strappando letteralmente il suo amico dalla panchina. Si diressero
verso
l’ingresso dello stanzino, ma prima di entrarvi il corvino si
voltò e sibilò:
“E non importunarlo, lascialo stare. Intesi?”.
Mi strinsi
nelle spalle e guardai altrove, infilandomi di
nuovo gli auricolari.
Ma
c’era quel mezzo sorriso che non voleva abbandonare le
mie labbra e quella sensazione di calore e dolcezza che mi scorreva
nelle vene.
Wheels
stava volgendo al termine, ma io la feci
ripartire daccapo.
Non mi
chiesi perché, ma mi andava.
🎾 🎾 🎾 🎾
“Non ci credo, l’ha fatto
davvero!” Freddie scoppiò a ridere
quando adocchiò Roger dall’altra parte del campo,
vicino ai suoi compagni di
squadra.
Il biondo, in occasione della semifinale, aveva
indossato
una maglietta verde che sul retro riportava la scritta «ROGER
MEDDOWS-FEDERER,
IL LEGGENDARIO TENNISTA DELLA SEZIONE A».
Risi a mia volta e mi domandai come sarei
riuscito a
concentrarmi alla vista di quelle parole sulla t-shirt del mio
avversario. Era
troppo esilarante.
“Ragazzi, dieci minuti e si inizia.
Preparatevi e scendete
in campo” ci intercettò il prof White,
raggiungendoci in poche falcate. “Siete
carichi?” chiese, squadrandoci da capo a piedi.
“Sempre carichi. Vinceremo”
affermò Freddie gonfiando il
petto.
“Cercate di fare meglio di noi
ieri” commentò Danny
Seraphine con una risata. Lui e Terry, il suo migliore amico, si erano
accomodati
per terra, intenzionati a godersi la partita dopo essere stati
stracciati da Sumner
e Copeland il giorno precedente. Sapevano benissimo di non poter
competere, si
erano iscritti solo per divertimento e avevano finito per divertire il
pubblico,
facendo i buffoni come al solito.
“Batteremo Brian May e Roger Taylor,
arriveremo in finale e ci
vendicheremo da parte vostra sconfiggendo anche quegli altri
due!” esclamò
Freddie, strizzando l’occhio a Danny e Terry.
Quest’ultimo sorrise ampiamente.
“Buona fortuna allora, vi
massacreranno!”
Freddie mi afferrò per il polso e mi
trascinò dietro l’ormai
familiare stanzino degli attrezzi, borbottando qualche scusa sulla
preparazione
degli atleti; in realtà sapevo bene quali erano le sue reali
intenzioni.
Una volta lontani da occhi indiscreti, Freddie
posò le mani
sui miei fianchi e mi scrutò negli occhi con
intensità, le labbra a pochi
centimetri dalle mie.
Mi si mozzò il respiro, come ogni
volta. Nonostante stessimo
vivendo quella sorta di relazione indefinita da quasi due settimane,
non avevo
ancora fatto l’abitudine a quel brivido che mi scorreva lungo
la schiena quando
mi stava così vicino.
“Tesoro… quasi mi piange il
cuore all’idea che non ti vedrò
più giocare ogni giorno, darti lo slancio mentre rispondi a
una battuta, con la
maglietta che ti si attacca addosso e i muscoli che
guizzano…” mormorò, gli
occhi languidi e pieni di desiderio, mentre le sue dita percorrevano il
mio
fianco destro.
Mi sentii andare a fuoco e d’istinto mi
sporsi per
lasciargli un bacio sulle labbra. Lui mi attirò di
più a sé e approfondì quel
contatto, ribadendo ancora una volta che gli appartenevo tramite la sua
passionalità. Per me era uno shock fare i conti con la sua
irruenza, ma dovevo
ammettere che non mi dispiaceva e pian piano anche io stavo portando
fuori un
lato di me che non era mai emerso prima.
Mugolai appena e poi mi separai da lui. Avevamo
il fiato
corto e nessuna voglia di tornare dagli altri.
“Comunque vada, Deaky, è
stata l’esperienza migliore della
mia vita” mormorò Freddie, sistemandomi una ciocca
di capelli dietro
l’orecchio.
Inarcai un sopracciglio. “Non ti
interessa più di battere
Brian May?”
“Ma certo che sì!
Però, male che vada, ho guadagnato te.”
Mi sciolsi in un enorme sorriso e gli regalai un
ultimo
dolce bacio, prima di allontanarmi e dirigermi verso il campo.
Freddie mi seguì, sgranchendo i
muscoli di spalle e braccia
e facendo scrocchiare le ossa.
Mentre io mi posizionavo discretamente nella mia
porzione di
campo e giocherellavo col manico della racchetta, lui faceva un
ingresso
trionfale: avanzava lentamente, gonfiando il petto e mettendo in
risalto le
braccia lasciate libere da una canotta bianca.
Per fortuna era una giornata tiepida e
soleggiata, la
primavera si faceva finalmente avanti.
Osservai distrattamente Brian e Roger –
il leggendario
tennista della sezione B – prendere posto
dall’altra parte della rete e
scambiarsi qualche battuta incoraggiante.
A quel punto il prof White non perse tempo e
prese a parlare
in un rudimentale megafono – la scuola non aveva abbastanza
fondi per fornirci
un impianto di amplificazione – presentando le squadre e
ricordando che la
coppia vincitrice avrebbe dovuto sfidare Copeland e Sumner nella finale
del
giorno seguente.
Quando i nostri nomi vennero enunciati, si
levarono grida di
giubilo e di approvazione da parte del pubblico e io sprofondai in un
mare di
imbarazzo, rendendomi conto che ormai non sarei più tornato
indietro, ero sotto
i riflettori, davanti a tutto il liceo.
Non mi restava che giocare al meglio.
“Ehi, John.”
Sollevai lo sguardo e mi ritrovai faccia a faccia
con un
sorridente Roger dall’altra parte della rete.
“Buona fortuna.”
Accennai un sorriso. “Grazie, anche a
te.”
La partita cominciò con il servizio
per la nostra squadra e
il primo a battere fu Freddie, che eseguì un ottimo lancio a
cui Roger rispose
prontamente, nonostante la pallina fosse in territorio di Brian;
tuttavia il
ragazzo riccio non sembrava essere per nulla a suo agio, non aveva i
riflessi
pronti e sembrava muoversi goffamente in campo.
Il suo essere maldestro si concretizzò
quando diverse
palline gli passarono accanto senza che lui riuscisse a ribattere
dignitosamente, facendoci vincere il primo game con 40-15.
“Uno a zero per Mercury e Deacon, primo
game conquistato per
il primo set!” annunciò White al megafono,
facendomi sobbalzare.
“Brian, che cazzo fai? Ma la vedi la
pallina?” sentii
sbraitare Roger.
“Vedrai che le cose andranno meglio ora
che batteremo noi”
tentò di rassicurarlo il suo amico, poco convinto.
Ridacchiai e mi preparai a ricevere.
Effettivamente il secondo game ci diede
più filo da torcere
perché Brian, grazie alla sua altezza, riuscì a
mettere a segno diversi ace,
lanciando la pallina così in alto che non potemmo
intercettarla. Gli fummo alle
calcagna, arrivammo a 40, ma vinsero il game col vantaggio.
Uno pari per il primo set.
Io e Freddie ci scambiammo un’occhiata
eloquente.
“Riesci a saltare più in
alto e prendere quella diavolo di
pallina?” mi chiese.
Gli sorrisi. “Lasciami fare, sto
scaldando i motori” lo
rassicurai.
“Sei una scheggia.” Mi
strizzò l’occhio.
Guadagnammo il primo set senza troppa fatica:
Roger e Brian
si fermarono a tre game, mentre noi conquistavamo il sesto.
“Pausa!” annunciò
il prof al megafono, poi ci indicò un
punto – la solita panchina diroccata – in cui
avremmo potuto trovare acqua,
tovaglioli per tamponare il sudore e perfino qualcosa da mangiare. Ci
fiondammo
tutti e quattro in quella direzione, così Freddie,
ritrovandosi proprio accanto
ai suoi avversari, non si fece sfuggire l’occasione e prese a
fissare Brian,
ridacchiando apertamente.
“Che ridere, Mercury”
borbottò lui in tono piatto mentre si
sistemava i ricci scompigliati. Avevo il dubbio che quella capigliatura
gli
avesse impedito qualche volta di vedere la pallina, dato che qualche
ciocca gli
cadeva sempre sugli occhi.
“Che ti avevo detto? La sconfitta
brucia, vero?” lo
punzecchiò il mio compagno di squadra.
Dal canto mio, sospirai e presi un lungo sorso
d’acqua,
sperando di riportare il mio corpo a una temperatura normale. Non ero
particolarmente
stanco, ma molto accaldato.
“La partita non è ancora
finita, siamo solo al primo set.”
“E pensi davvero di avere qualche
speranza?”
“Non mi interessa batterti, Freddie, io
non faccio nulla per
dimostrare qualcosa. Sei tu che porti avanti questa sceneggiata della
rivalità,
ma quando capirai che è tutto nella tua testa e che stai
litigando col vento?”
sbottò Brian, lasciando tutti senza parole.
Anche Freddie ammutolì –
incredibile che proprio lui non
sapesse come ribattere – e forse capì, si rese
conto che quel ragazzo che si
ostinava a odiare non era interessato a competere, non voleva rubargli
la
scena.
Io l’avevo intuito da parecchio tempo,
ma non volevo mettere
bocca in quella questione.
Brian e Freddie si fissarono a lungo, si
fronteggiarono ma
stavolta in maniera diversa, senza dire una parola, e io mi ritrovai a
pensare
che con quello scambio di sguardi si fossero detti più di
quanto avessero mai
fatto nella loro vita.
“La pausa è finita, tutti in
campo!” Il prof White
interruppe bruscamente quel momento cruciale, giungendo alle mie spalle
e
facendomi prendere un colpo.
Quando tornammo a giocare, mi resi conto che
quella breve
pausa non aveva fatto che minare le già dubbie
potenzialità dei nostri
avversari: mentre Brian si lasciava sfuggire le risposte più
semplici da sotto
il naso, Roger cominciava ad arrabbiarsi per l’andamento
della partita e
perdere lucidità e concentrazione.
Io e Freddie non potevamo che sbellicarci ad
ascoltare i
suoi improperi sempre più coloriti alla fine di ogni game.
Il secondo set si concluse con una clamorosa
vittoria da
parte nostra – 6-1 – e una standing ovation da
parte del pubblico.
“Ah, ma vaffanculo!”
strillò Roger con gli occhi fuori dalle
orbite, poi scagliò la racchetta a terra in mezzo al campo e
trascinò via un
mortificato Brian.
Quest’ultimo sospirò, scosse
il capo e commentò: “L’avevo
detto io, che dovevo giocare a basket!”.
Divertito da quella scena, quasi non mi accorsi
dello
sguardo attonito di Freddie mentre osservava gli spettatori e allora
realizzai
che c’era qualcosa di strano.
Affinai l’udito e mi resi conto che
tutti stavano gridando
in coro la stessa parola: “Deacon! Deacon! Deacon!”.
Non potevo crederci.
Stavano acclamando me? Veramente?
Eppure non avevo fatto nulla di speciale, avevo
solo giocato
come mi era venuto spontaneo.
Mi lasciai andare a un enorme sorriso e mi imposi
di
trattenere le lacrime di emozione e incredulità; non mi era
mai capitata una
cosa del genere.
Dopo un primo momento di perplessità,
Freddie si gettò
addosso a me e mi strinse in un abbraccio, il più bello, dal
sapore di vittoria
e soddisfazione.
“Sei arrabbiato perché ti ho
rubato la scena?” mormorai, il
mento posato sulla sua spalla e il viso sepolto nei suoi capelli.
“Sì, cazzo, questa era la mia
vittoria. Ma ti adoro
lo stesso.”
🎾 🎾 🎾 🎾
“Andiamo,
è chiaro come il sole: quei due stanno insieme”
affermò Stewart con sicurezza, sghignazzando appena.
“Cosa
te lo fa pensare, scusa?” ribattei subito, piccato. Il
mio compagno di classe mi stava dando sui nervi.
Anzi, mi
dava sui nervi l’idea che John potesse essere
impegnato.
Ah, ma che
andavo a pensare?
Comunque
Stewart era un idiota, come poteva affermare una
cosa del genere senza prove?
“Forse
tu non hai notato l’abbraccio che si sono scambiati
quando hanno vinto… e non hai notato che si sono messi in
disparte poco prima
della partita…” insinuò lui
sogghignando.
“E
allora? Anche io avrei abbracciato Brian se avessimo
vinto” dissi, incrociando le braccia al petto.
“Invece
hai minacciato di tagliarmi i capelli” intervenne
lugubre il mio amico.
“Assomiglieresti
a Nadal almeno in qualcosa.”
“Senti
un po’, leggendario tennista o quello che
è,
tu mi avevi detto che era solo per divertirsi e che avresti pensato tu
alla vittoria”
si difese Brian.
Intanto
Stewart se l’era svignata e aveva raggiunto Gordon
per prepararsi all’imminente finale.
“Ma
non pensavo che avrei avuto un compagno di squadra
rigido come una quercia” borbottai.
“Almeno
io, sapendo che non sei ferrato, non ti ho coinvolto
nelle Olimpiadi di matematica!”
“Ragazzi!”
Una voce alla nostra destra ci fece sobbalzare,
interrompendo i nostri battibecchi.
Quando mi
voltai, temetti di avere le allucinazioni: si
trattava di Freddie Mercury in persona, che aveva volontariamente
deciso di
rivolgere la parola a noi, poveri plebei.
“Sì?”
rispose prontamente Brian e nel suo sguardo si accese
una scintilla di speranza. Forse credeva che il discorso del giorno
prima
avesse fatto riflettere Mercury? Io non ci avrei giurato.
“Sentite…
Brian, soprattutto tu… riconosco che forse il mio
atteggiamento negli ultimi tempi non è stato dei
migliori…”
Stava
davvero ammettendo di aver sbagliato? Okay, quali
droghe aveva assunto quel giorno?
“E
ciò che mi hai detto ieri mi ha fatto capire che la
nostra non è una vera rivalità, perché
tu non hai mai cercato di superarmi.”
Brian
annuì. “Sì, infatti. Sai, tutte le
attività a cui mi
dedico non sono per compiacere gli altri, ma per farmi stare bene con
me
stesso. Ci tengo a studiare e avere buoni voti, ci tengo ad aiutare gli
altri e
compiere buone azioni, ma non lo faccio perché si parli bene
di me.”
“Lo
so, l’ho capito. E me ne sono accorto anche
perché,
quando io ti lancio delle frecciatine, tu non cerchi mai di
screditarmi, ma ti
difendi e basta.”
Ero
sbalordito, non pensavo che quell’individuo fosse in
grado di capire qualcosa.
“Quindi,
fermo restando che io sono il migliore a
prescindere…”
Ecco, gli
avevo dato troppa fiducia.
“…io
proporrei di instaurare la pace, o almeno una
convivenza civile tra di noi.” Freddie tese una mano a Brian
e per la prima
volta nel suo sguardo lessi disponibilità a fare un passo
indietro.
Brian
sorrise e gli strinse la mano senza esitazioni. “Stavo
aspettando questo momento. Per me è sempre stata pace tra
noi.”
“Ammettilo,
Mercury: è stato John a suggerirti cosa dire e
fare, da solo non ci saresti mai arrivato.” Alla fine non ce
l’avevo fatta, era
stato più forte di me, dovevo per forza intervenire.
“Roger!”
sbottò Brian indignato.
Ma Freddie
non sembrò arrabbiarsi e scoppiò a ridere,
allungando una mano per attirare a sé John, che intanto si
era silenziosamente
avvicinato a noi. “Il mio Deaky se n’è
tenuto fuori, giuro! Vero, tesoro?”
disse, facendo arrossire vistosamente l’altro.
Il
mio Deaky?!
Tesoro?!
La mascella
rischiò di cadermi a terra. Stewart aveva
ragione, era inutile negare l’evidenza.
Anche se
faceva male.
Anche se
stranamente le mani di Freddie addosso a John e il
sorriso timido e beato di quest’ultimo mi facevano male.
Anche se Wheels
continuava a risuonarmi in testa ogni
volta che posavo lo sguardo su di lui.
“Roggie,
tutto bene?” Brian mi osservò con fare dubbioso.
Caddi dalle
nuvole. “C-certo, alla grande! Dicevamo?”
“Freddie
ha proposto di andare a bere qualcosa tutti assieme
dopo la partita” ripeté il mio amico.
“Per
me non ci sono problemi” risposi automaticamente, senza
neanche rifletterci.
“Ehi,
Mercury, Deacon! Pronti a essere stracciati?”
gridò
Stewart, che si trovava a qualche metro da noi, attirando
l’attenzione di
tutti.
Gordon
accanto a lui sollevò gli occhi al cielo.
Freddie gli
lanciò teatralmente un bacio. “Staremo a vedere,
tesoro!”
“Non
vorrai mica trovarti dei nuovi rivali” sospirò
Brian.
“Macché,
quei due? Figurati, al massimo mi possono
allacciare le scarpe.” Freddie accompagnò le sue
parole con un gesto noncurante
della mano, come a voler scacciare quella possibilità.
“Andiamo?”
mormorò John, lanciando un’occhiata
all’orologio
da polso.
Il corvino
annuì e, prima di allontanarsi, ci scoccò un
ultimo sorriso. “Fate il tifo per noi, mi
raccomando.”
“Ovvio.
In bocca al lupo, ragazzi!” li congedò Brian.
Io mi
limitai a un cenno del capo, ma non potei trattenermi
dal sorridere appena quando John incrociò per un istante il
mio sguardo.
“Rog,
che c’è? Hai una faccia strana”
indagò il mio amico
preoccupato.
Sospirai.
“Niente, lascia stare. È che non riesco a capire
se questa sia una vittoria o una sconfitta” ammisi, e il mio
cuore perse un
battito a quelle parole così tremendamente vere.
♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦
Ragazzi!
Sono davvero felice di essere tornata in questa
categoria dopo decisamente troppo tempo! E per questo devo ringraziare
di cuore
Carmaux per il bellissimo contest che ha indetto, oltre che per il
fantastico
pacchetto da me scelto – che conteneva, appunto, alcune foto
della partita a
tennis realmente giocata dai quattro ragazzi in quel di Ridge Farm, nel
periodo
in cui stavano dando vita al loro leggendario A Night At The
Opera.
Tuttavia
ho deciso di non ambientare la storia in quell’occasione,
ma di sfruttare il tennis solo come contesto per poi costruire una
Modern!AU ^^
così come ho deciso di non rispettare i reali abbigliamenti
dei Queen perché,
daaaai, giocare a tennis vestiti in quel modo è
semplicemente illegale X’D
Adesso
vi lascerò a un mare di doverose note, spero di non
annoiarvi ^^”
-
Comincio subito parlando delle
piccole comparse
provenienti da altre band, che forse alcuni di voi non avranno
riconosciuto!
Allora, Stewart Copeland e Gordon Sumner – conosciuto come
Sting – sono rispettivamente
batterista e bassista/cantante dei Police (so che è
difficile da credere, ma Sting
all’anagrafe si chiama Gordon
Matthew
Thomas Sumner XD), mentre Terry Kath e Danny Seraphine sono
rispettivamente
chitarrista e batterista dei Chicago. Il cammeo di questi ultimi
è un omaggio
alla mia adorata Evelyn, che mi ha fatto conoscere e amare questi
ragazzi ♥
-
Per chi non fosse per nulla
ferrato, Roger
Federer e Rafael Nadal sono due famosi tennisti, tra i due
più forti in circolazione
nell’ultimo periodo, ed è capitato spesso che
giocassero dei doppi insieme
sotto il nome di Fedal (che però sa tanto di ship ahahahah).
Per questo Roger
si definisce Federer (sfruttando l’omonimia) e chiede a Brian
se vuole essere
il suo Nadal XD
-
È vero e anche
piuttosto evidente che ultimamente
Nadal sta avendo problemi con la perdita di capelli, anche se lui cerca
in tutti
i modi di camuffare la cosa XD potete immaginare quanto si sia sentito
offeso
Brian a essere paragonato a lui!
-
Nel caso non la conosceste (cosa
vi siete persi,
COSA), vi lascio il link della bellissima Wheels dei Foo Fighters, che
è anche la
mia loro canzone preferita e da oggi anche la canzone della Dealor
distrutta (muahahahahah
Carmaux mi metterà 0 in gradimento personale…
T.T):
https://www.youtube.com/watch?v=eZIjxGY3Kok
-
Ho cercato di non dilungarmi
troppo sulla descrizione
della partita, sia perché il limite di parole me lo ha
impedito (e forse è
meglio così), sia perché temevo di annoiare e
confondere i non appassionati di
tennis che non conoscono bene le regole. In ogni caso mi sembra giusto
lasciarvi
almeno il semplice regolamento di Wikipedia, giusto nel caso voleste
capire i
(pochi) termini tecnici che ho usato:
https://it.wikipedia.org/wiki/Tennis#Regolamento
-
Ci tengo particolarmente a
spiegare la scelta
del titolo: oltre a riferirsi ovviamente alla famosa canzone dei Queen,
assume due
significati diversi, ovvero il mettersi in gioco (che è il
senso che gli ha
attribuito la band) e anche il giocare il game inteso come game della
partita
di tennis ^^
Bene,
ho finito di pontificare XD
Ora
però si aprono le scommesse: secondo voi chi ha vinto il
torneo tra Copeland-Sumner e Mercury-Deacon? Io non l’ho
specificato perché –
oltre al solito limite di parole, accidenti! – ho ritenuto
inutile allungare il
brodo con un’altra scena, però ho bene in testa
l’esito del torneo e sono
curiosa di vedere cosa ne pensate voi XD
Bene,
dopo tutto questo delirio, ringrazio infinitamente chi
ha avuto il coraggio di giungere fin qui e spero di avervi regalato una
lettura
piacevole :3
Mando
un abbraccio alla giudice, a tutti voi e ci si sente
presto!!! ♥
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