It
shouldn't bother me
Jim schiuse appena gli occhi e fece scorrere lo sguardo per
la squallida e spoglia camera d’albergo, illuminata appena
dalla luce
grigiastra del mattino che filtrava dalla tapparella abbassata.
Probabilmente
era ancora presto e si maledisse per essersi già
risvegliato, ma aveva la gola
secca e doveva assolutamente bere un sorso d’acqua;
sicuramente era stato quel
fastidio ad averlo riportato alla realtà.
Il chitarrista serrò nuovamente le palpebre e si
rannicchiò
sotto le coperte, cercando di riprendere sonno.
Roddy, raggomitolato sul bordo del materasso matrimoniale,
gli dava le spalle e non muoveva un muscolo, pareva essere ancora nel
mondo dei
sogni.
Dopo qualche minuto trascorso a rigirarsi e trovare la
giusta posizione, Jim capì che non sarebbe riuscito a
dormire senza prima
dissetarsi; così, senza nemmeno riaprire gli occhi,
allungò il braccio destro
verso il comodino, dove sapeva esserci una bottiglietta
d’acqua, ma nel
compiere quel brusco movimento assestò una forte spallata
alla testiera del
letto in ferro verniciato.
“Cazzo” borbottò tra i denti,
massaggiandosi la parte lesa.
Sperava di non svegliare il suo compagno di band, ma ormai il suo
obiettivo di
fare silenzio era andato a rotoli.
Infatti, come a voler confermare i suoi pensieri, alla sua
sinistra Roddy scoppiò a ridere di gusto.
“Ti ho svegliato?” bofonchiò il
chitarrista, afferrando
finalmente la bottiglia. Si sentiva un po’ in colpa.
“Ero già sveglio da un quarto d’ora, mi
stavo divertendo ad
ascoltarti mentre ti rigiravi come una trottola”
ribatté l’altro con voce
impastata, senza però voltarsi.
“Vaffanculo” borbottò Jim prima di bere
un lungo sorso.
Tornò a sistemarsi sotto le coperte, per nulla intenzionato
ad abbandonare il
calore del letto. Immobile nella sua posizione, sentì Roddy
rigirarsi nel letto
e tirargli con insistenza le coperte.
Sbuffò. “Non hai fatto che levarmi le lenzuola di
dosso per
tutta la notte.”
“Davvero?” Il tastierista si posizionò
su un fianco, in modo
da poter osservare il suo compagno di band – o il poco che
spuntava da sotto le
coperte – poi tirò su col naso un paio di volte.
“Cazzo, che puzza!” esclamò
disgustato.
Jim era perplesso. Senza rispondere, cercò di recuperare
qualche centimetro di coperta per coprirsi meglio, ma nel farlo
urtò col gomito
l’altro ragazzo.
Roddy mugolò in segno di protesta e si massaggiò
distrattamente il costato, dove era stato colpito, poi prese a tastare
con
circospezione il materasso, senza smettere di fiutare l’aria.
Jim non capiva, lui non sentiva niente. Si limitò a restare
immobile e tenere ancora gli occhi chiusi.
“Che cazzo è questo?” sbottò
Roddy, strattonando appena il
cuscino di Jim.
Quest’ultimo si lasciò scappare uno sbadiglio.
“Eh?”
“Hai un maglione sotto il cuscino… e
puzza.” Il tastierista
aveva trovato qualcosa che sembrava la manica di un indumento, era blu
scura e
di un materiale simile alla lana.
Allora il chitarrista capì; profondamente divertito,
aprì
finalmente gli occhi e osservò l’espressione
corrucciata sul viso delicato di
Roddy. “Maglione? Sono le mie calze, Bottum.”
Il tastierista gridò disgustato, poi si lanciò
sul suo
compagno di band per fargli il solletico, disfacendo completamente il
letto e
mandando in fumo le speranze di Jim di riaddormentarsi.
“Brutto bastardo, no, dai!” cercò di
difendersi il più
grande, tentando di divincolarsi e sfuggire all’attacco
dell’amico, ma Roddy
era spietato, lo aveva bloccato sottò di sé e
rideva sguaiatamente mentre lo
torturava con le dita. “Non avrò pace
finché non ti avrò ammazzato. Lo sai,
vero?”
Jim cominciò a ridacchiare a sua volta e tentò di
spingerlo via,
continuando a insultarlo. “Bottum, sei un coglione, basta! Lo
sai che soffro il
solletico!”
“Appunto!” Roddy finì disteso accanto a
Jim, ma non demorse
e prese a fargli il solletico sul collo.
Jim rotolò via, fermandosi poco prima del bordo del
materasso:
era in trappola.
“Non devi mai più lasciare certe schifezze sul mio
letto!” sbottò Roddy, poi si avventò
nuovamente su di lui e Jim fu costretto ad
aggrapparsi alla sua maglia per non cadere a terra. Una volta ritrovato
l’equilibrio, spinse via il tastierista con più
forza, sfinito, e si voltò
dall’altra parte, dandogli le spalle. Non sopportava quando
qualcuno gli stava
così addosso, era una persona riservata di natura, e poi
ultimamente condividere
la stanza con Roddy lo metteva a disagio.
“Dai Jim, non fare l’orso, stavo
scherzando!” esclamò il
tastierista, mettendosi in ginocchio sul materasso e avvicinandosi
nuovamente. Lo
guardò dall’alto in basso, un sorriso appena
accennato sulle labbra e alcune
ciocche bionde e scompigliate che gli coprivano gli occhi.
“Lasciami in pace” borbottò Jim,
coprendosi anche il viso
con le coperte.
“Ah, che palle! Dovrei essere io quello incazzato, lo sai?
Le tue calze puzzano terribilmente.” Roddy afferrò
i due indumenti e li lanciò
maldestramente sulla valigia di Jim, abbandonata in un angolo della
stanza.
Ma lui non rispose e non si mosse.
Roddy allora si sdraiò di nuovo accanto a lui e
tentò di
levargli le coperte di dosso. In fondo si divertiva un sacco con Jim,
era
sempre così serio e chiuso e lui adorava cercare di portarlo
fuori dal suo
guscio.
Ma Jim si allontanò ulteriormente da lui, rannicchiandosi su
se stesso.
“Cos’è, ora mi eviti pure? Non avrai
mica paura che io ci
provi con te!” scherzò Roddy con una risatina.
Tutti sapevano che era attratto
dai ragazzi, non era un problema e lui stesso sfruttava la cosa per
fare
battute e scherzarci su.
Era sicuro che Jim avrebbe mugugnato e risposto con uno dei
suoi soliti commenti laconici, ma il chitarrista non reagì,
rimase in silenzio,
come se non sapesse cosa ribattere.
Dal canto suo, Jim fu grato alle coperte che ancora gli
nascondevano il viso, dal momento che era arrossito. Roddy era andato a
toccare
un tasto dolente, forse proprio il motivo per cui provava tutto quel
disagio.
Non voleva ammetterlo a se stesso, si faceva schifo a formulare
pensieri del
genere, ma la verità era che
l’omosessualità di Roddy gli metteva ansia,
soprattutto quando si trovavano da soli. Conosceva ormai da anni il
tastierista, sapeva che non avrebbe mai compiuto un gesto avventato nei
suoi
confronti, ma il suo inconscio gli giocava spesso brutti scherzi e lo
metteva
sempre in allerta quando il biondo era nei paraggi.
Se ne vergognava, non lo avrebbe mai ammesso.
Ma il suo silenzio valse più di mille parole per Roddy: il
sorrisetto sulle sue labbra si spense pian piano e le sue sopracciglia
si
aggrottarono appena; si rimise seduto sul letto e lanciò uno
sguardo al
chitarrista. “Merda, non lo starai pensando sul
serio!”
Quella era una delle tipiche situazioni che Jim avrebbe
evitato a tutti i costi. Ostentando noncuranza e sperando che questo
servisse a
portarlo fuori dai guai, bofonchiò: “Non sto
pensando a niente”.
“Lo so, hai il cervello troppo piccolo per poterlo
fare” lo
prese in giro Roddy, poi tornò serio. “Dai,
girati. Altrimenti chiamo Mike e ti
saltiamo entrambi addosso.”
La minaccia parve funzionare – vedere Mike Patton di buon
mattino era l’ultimo degli interessi di Jim, e sapeva che
Roddy avrebbe
mantenuto la parola – e il chitarrista si costrinse a
dissotterrare il viso
dalle coperte, anche se non osò guardare l’altro
negli occhi.
Il tastierista sorrise e si sporse per osservarlo. “Senti
Jim, tu sei senz’altro un uomo affascinante e sicuramente
molte ragazze cadono
ai tuoi piedi, ma non sei decisamente il mio tipo. E anche se lo fossi,
ormai
per me sei come un fratello e io non farei mai qualcosa che tu non
vuoi. So che
avere un amico gay può essere strano, ma non voglio che
pensi qualche stronzata
sul mio conto, ormai ci conosciamo da anni e mi dà fastidio
che tu abbia dei
dubbi su di me. Insomma, dormi tranquillo, non ti
stuprerò.” Concluse il
discorso con una risata, poi si tuffò nuovamente tra le
lenzuola e, come a sottolineare
il concetto, si accoccolò accanto a lui ma non fece
nient’altro, non allungò le
mani, si limitò a stargli vicino, contro la sua schiena.
Jim prese un profondo respiro e cercò di placare il leggero
tremore che gli scuoteva il corpo. Era sempre così quando si
sentiva in ansia,
sembrava grande e grosso e invece si lasciava turbare da eventi del
genere. Non
era disturbato dai continui scherzi e insulti di Mike Patton, il loro
nuovo
cantante, e non faceva una piega quando si ritrovava solo contro il
resto della
band a difendere il suo lavoro e le sue idee artistiche, ma qualsiasi
questione
riguardante la sfera delle emozioni lo mandava nel pallone.
Roddy poi era il suo esatto opposto: era minuto, aveva i
capelli chiari che gli incorniciavano il viso pulito e dolce, era
sensibile,
aperto, sorridente e dotato di un grande senso dell’umorismo
che gli permetteva
di sdrammatizzare su qualsiasi cosa. Lui al contrario era scuro,
d’aspetto e di
carattere, e non si capacitava come loro due potessero ancora andare
d’accordo.
Ma il contatto con Roddy dopotutto non gli dispiaceva.
Certo, lo metteva a disagio, ma non poteva neanche negare che fosse
piacevole.
Era dura da ammettere.
Poteva derivare da una carenza d’affetto, si
ritrovò a
riflettere.
“Hai smesso di farti le paranoie?” Roddy ruppe il
silenzio,
ponendo quella domanda con genuinità e leggerezza.
“Mmh” mugugnò Jim, non sapendo bene cosa
rispondere. Tuttavia
si voltò, si mise supino e lanciò una fugace
occhiata al suo amico.
“Però adesso mi devi spiegare come ci sono finite
le tue
calze sotto il cuscino” cambiò discorso il
tastierista, sperando di stemperare
l’atmosfera. Sapeva che Jim quel giorno aveva già
fatto un grande sforzo,
doveva essere terribile per una persona così introversa
vivere un momento di
tensione come quello.
Il chitarrista sospirò. “C’è
un motivo, okay? Non è solo per
il fatto che sono disordinato.”
“E sarebbe?”
Jim arrossì. “Devo proprio dirtelo?”
“Certo. Altrimenti posso sempre chiamare Mike e chiedergli
di torturarti finché non sputerai il rospo” lo
minacciò Roddy con un sorriso
beffardo.
“E va bene! Ho sempre i piedi freddi, quindi le metto sotto
il cuscino per riscaldarle prima di indossarle” ammise in
imbarazzo.
L’altro scoppiò a ridere. “Il burbero
metallaro Jim Martin
con i piedi freddi?!”
Indispettito, il chitarrista gli si avvicinò e lo
bloccò per
un braccio. “Vuoi provare?” sussurrò,
per poi posargli la pianta del piede
gelido sul polpaccio.
Colto alla sprovvista, Roddy gridò e lo spinse via, poi si
accanì contro di lui per cercare di buttarlo giù
dal letto, spingendolo verso
il bordo. Jim ridacchiava sotto i baffi e cercava di bloccargli i
polsi, ma
infine, quasi fuori dal perimetro del materasso, fu costretto ad
aggrapparsi a
lui per non ruzzolare giù.
“Ti avverto, se mi fai cadere ti trascinerò
giù con me” lo
ammonì Jim.
Roddy ebbe pietà e, afferrandolo per le braccia, lo trasse
nuovamente verso il centro del letto, poi lo lasciò andare,
posizionandosi a
pancia in su per riprendere fiato dopo la lotta. Trascorso qualche
minuto,
rotolò nuovamente verso il suo amico che gli dava le spalle,
ritrovandosi con
le dita incastrate nei suoi ricci scuri. Fece scorrere la mano tra le
ciocche
del chitarrista e andò a impigliarsi in una miriade di nodi
più o meno
intricati.
“Ahi! Cazzo, fai piano, Bottum” si
lamentò lui.
“Hai un campo di battaglia in testa”
replicò Roddy,
prendendo a snodare i capelli con delicatezza.
Jim venne percorso da un brivido: adorava quando qualcuno
giocava con i suoi capelli. E stavolta, anche se si trattava di Roddy,
non
riusciva a ritrarsi o farsi prendere dall’ansia, era soltanto
rilassante.
“Forse sono così incasinati perché qualcuno
mi ha
aiutato a scompigliarli, prima saltandomi addosso e facendomi il
solletico, poi
cercando di sfrattarmi dal letto” commentò ironico.
“O forse è l’umidità della
sera” ribatté Roddy in tono
innocente.
Con uno sbadiglio, Jim si mise supino, ma raccolse i suoi
capelli con una mano e fece in modo che rimanessero a disposizione del
tastierista; quest’ultimo si stava divertendo un mondo a
giocarci con movimenti
misurati e attenti, facendovi scorrere in mezzo le dita esperte.
Accadde tutto così spontaneamente che nessuno dei due ebbe
il tempo di chiedersi come fosse possibile: Roddy si
accoccolò con la testa
sulla spalla del chitarrista, accanto a lui, e continuò a
giocare con i suoi
capelli.
Jim venne invaso da una punta d’ansia, ma stavolta la
scacciò e cercò di non pensarci troppo. Qualsiasi
fosse il significato di quel
gesto e qualsiasi conseguenza avrebbe avuto, in quel momento stava bene
e
decise di non chiedersi il perché.
Poteva capitare, qualche volta, di non avere il controllo
della situazione.
Poteva capitare, qualche volta, di mandare al diavolo i pregiudizi
e lasciarsi coccolare.
♥
♥
♥ ♥ ♥
Alloooooora,
come motivare questo strambo e delirante
esordio nella categoria dei Faith No More? Non lo so nemmeno io, ma a
mia
discolpa (???) vi posso solo dire che è tutta colpa di Kim,
che mi ha ispirato
con ben due storie: prima nella sua shot Swallow
ha accennato al fatto che Roddy e Jim condividessero il letto
matrimoniale
(anche se nella sua storia non è questa la coppia, ma
sorvoliamo!) e poi nella
sua drabble Puzze
sospette (da cui ho ripreso
l’intero dialogo delle calze, grazie Kim
per avermi permesso di prendere spunto), dove ha sviluppato
ulteriormente
questo aspetto del letto condiviso!
Non so
assolutamente come me la sono cavata con la
caratterizzazione, non ho per niente dimestichezza con questi
personaggi e ho
deciso di utilizzare la terza persona perché ancora non me
la sentivo di
immergermi nei pensieri di uno dei due. Tuttavia ho voluto provare
l’impossibile, non solo ispirata da Kim, ma anche dal
pacchetto del contest
“Generi a catena”, fornitomi dalla cara GiuniaPalma:
Genere: fluff
Prompt: "Non avrò pace
finché non ti ammazzo. Lo sai, vero?"
Grazie anche
a te, Palma, per il pacchetto assolutamente
fantastico che hai suggerito *-*
Come avrete
notato, questa bizzarra coppia non è ancora una coppia
a tutti gli effetti, ma ho deciso di raccontare un momento precedente a
qualsiasi cosa possa capitare (o che magari non capiterà
mai, chissà), in cui
le cose non sono ancora molto definite… perché
AMO i rapporti non definiti, è
una cosa che mi fa uscire di testa *____*
Ora
è il caso di dare alcune spiegazioni per chi non conosce
la band, ma ha deciso ugualmente di addentrarsi in questa lettura:
-
La storia
è ambientata intorno al 1989/1990,
periodo in cui i Faith No More hanno cominciato ad avere successo a
seguito di The
Real Thing,
il loro primo album con Mike Patton come cantante.
-
Jim Martin
è stato il chitarrista della band
fino al 1993, quando infine se n’è andato per via
di divergenze artistiche. A
un certo punto lui ha smesso di andare d’accordo con tutta la
band, ma i
conflitti sono nati soprattutto con Mike Patton, dato che il cantante
gli ha
spesso giocato degli scherzi anche sul palco (una volta gli ha spalmato
una
fetta di pizza in faccia). Ecco perché Roddy lo minaccia di
chiamare Mike XD
-
Sempre parlando di
Jim, è stato dichiarato tante
volte che lui era quello chiuso e introverso della band. Spero di
essere
riuscita a evidenziare questo fattore ^^
-
Parlando invece di
Roddy, è vero che il
tastierista è gay, ha fatto coming out nella prima
metà degli anni Novanta ma
il resto della band l’ha sempre saputo. Il fatto che questa
cosa mettesse Jim a
disagio è una mia licenza poetica!
-
Il titolo della
storia significa “non dovrebbe
darmi fastidio” ed è un verso del brano A Small Victory dei FNM, tratto
dall’album Angel Dust
del 1992 (l'ultimo con Jim). Non l'ho scelta a caso, mi piace
l'atmosfera di quella canzone unita a questa storia e penso sia un
ottimo esempio di come tastiera e chitarra si amalgamano bene - eeeeh,
vedi, anche nella musica, mica solo nella mia testa *-* XD
Dovrebbe
essere tutto, spero che ora tutti i vostri
eventuali dubbi siano stati chiariti :)
Grazie mille
per aver dato un’occhiata a questa storia e
spero di avervi strappato un sorriso! :3
Alla
prossima!!! ♥
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