contest
Burning
like ice
#03.
The wedding (part 1)
Due settimane. Erano passate ben due settimane da quando
avevano trascorso la serata insieme al Vessel Café e di
Todoroki nemmeno l’ombra. Eppure, Momo aveva cercato di
fargli capire in tutti i modi che desiderava un secondo incontro (e un
terzo e un quarto e un quinto…): era stata lei ad invitarlo,
era stata lei a pagare per entrambi, era stata lei a dargli il suo
nuovo numero di cellulare e infine a baciarlo su una guancia (come
fosse riuscita a trattenersi dal gettargli le braccia al collo e
stampargli quel bacio sulle
labbra, Momo proprio non lo sapeva, ma questa è
un’altra storia).
Comunque, anche Todoroki le aveva fatto capire – sia con le
parole che con i gesti – che aveva apprezzato molto la sua
compagnia: aveva sorriso ad ogni sua battuta (cosa veramente insolita
per un tipo serio come lui), le aveva aperto il suo cuore riguardo il
tormentato rapporto con suo padre, l’aveva incoraggiata a
costruirsi un futuro migliore del presente, si era offerto di
accompagnarla a casa nonostante distasse cinquecento metri scarsi dal
bar, le aveva scostato una ciocca dal viso con una delicatezza tale da
lasciarla senza fiato e aveva ammesso apertamente che sì,
desiderava rivederla.
Per tutti questi motivi, Momo non riusciva proprio a spiegarsi
perché Todoroki non si fosse degnato di chiamarla o anche
solo di mandarle uno straccio di messaggio nell’arco di
quelle due settimane. Dopo i primi giorni di silenzio, Momo si era
convinta del fatto che Todoroki avesse molto da fare in agenzia e che
l’avrebbe chiamata non appena avesse avuto un po’
di tempo libero, ma una volta sorpassati i dieci giorni Momo aveva
cominciato ad avere seri dubbi. Oltretutto, una sera l’aveva
intravisto in giro per la città insieme ad alcuni amici e
quella era stata la batosta finale: se Todoroki trovava del tempo
libero per i suoi amici ma non per lei, allora forse a lei non era
veramente interessato.
Possibile che avesse mal interpretato il comportamento di Todoroki nei
suoi confronti? Possibile che non gli andasse di rivederla o anche solo
di risentirla? O che, semplicemente, si fosse dimenticato di
richiamarla?
«Signorina, va tutto bene?», le chiese il fotografo
quella mattina interrompendo le inquadrature. «Non mi sembra
molto in forma oggi».
Seduta sullo sgabello con le braccia dietro la testa, le gambe
sinuosamente accavallate e la luce di numerosi riflettori tutti puntati
su di lei, Momo tornò gradualmente in una posa
più naturale e si lasciò sfuggire un sospiro di
frustrazione. In effetti, nonostante la sua truccatrice si fosse
impegnata per farla bella in vista dello shooting, non era comunque
riuscita a nascondere quel moto di delusione ben evidente sul suo volto
che le faceva aggrottare inconsciamente le sopracciglia e piegare gli
angoli delle labbra all’ingiù.
«Forse sarebbe meglio rimandare ad un altro
giorno», concluse Momo dispiaciuta. Il fotografo
acconsentì e l’intera troupe cominciò a
smontare il set.
Una volta raggiunto il suo camerino, Momo si struccò con
cura, si sciolse i capelli, indossò abiti più
comodi e si abbandonò sulla comoda poltrona di fronte allo
specchio, che le restituì il riflesso del suo volto pulito
ma spento. In effetti, non era da lei abbattersi in quel modo per un
uomo – solitamente, le cadevano tutti ai piedi con uno
schiocco delle dita e in generale non le era mai importato
granché – ma con Todoroki era tutta un’altra cosa.
Non si trattava di semplice attrazione fisica o ammirazione. Il suo
atteggiamento pacato e riflessivo, i suoi modi cortesi ma decisi, i
suoi discorsi ben calcolati e mai banali, così come
l’incredibile forza d’animo che aveva dimostrato
più volte, tanto nella vita quotidiana quanto nei panni
dell’eroe, l’avevano conquistata fin dai tempi
della scuola. E Momo era certa che avrebbe potuto perfino innamorarsene, se
solo Todoroki gliene avesse dato la possibilità.
In fin dei conti, non era di un rifiuto che Momo aveva paura. Avrebbe
preferito di gran lunga sentirsi dire chiaro e tondo di non farsi
troppe aspettative, di non sperare in qualcosa che non ci sarebbe
stato, piuttosto che illudersi che il loro rapporto avrebbe potuto
prendere una piega nuova, diversa. Lo avrebbe accettato, se ne sarebbe
fatta una ragione e sarebbe andata avanti a testa alta, ma fino a quel
momento Todoroki non aveva fatto altro che evitare
l’argomento. Per due lunghe settimane. E come poteva Momo
prendere una decisione – continuare a crederci o lasciar
perdere – se non aveva certezze a cui aggrapparsi?
Momo si chiese soprattutto come avrebbe dovuto comportarsi con Todoroki
il giorno successivo, al matrimonio di Kyōka e Kaminari. Ignorarlo? Far
finta di niente? Provare a chiarire la situazione per mettersi
l’anima in pace?
Di colpo, la porta del suo camerino si aprì rivelando il
volto agitato della signorina Uwabami.
«Chiamata urgente!», disse in fretta e furia la
donna. «Hanno bisogno di noi alla banca!».
Di colpo, Momo sentì la testa svuotarsi di qualunque
pensiero negativo mentre tutta l’amarezza di poco prima si
dissolveva nel nulla, sostituita dal frizzante sapore
dell’adrenalina. Svelta, si legò i capelli nella
solita coda alta, indossò il costume da eroina e
seguì Uwabami fuori dall’agenzia, pronta a fare
ciò per cui si era sempre sentita veramente portata:
rendersi utile per il bene della sua città.
A Todoroki ci avrebbe pensato il giorno dopo.
***
Il mattino dopo, Momo arrivò al santuario
shintoista, un bellissimo edificio dai colori sgargianti in
perfetto stile giapponese, giusto un paio di attimi prima
dell’inizio della cerimonia, ma la colpa di quel disastroso ritardo
non era sua, bensì di Mina e Tōru che l’avevano
fatta attendere in auto per quasi un’ora. Una stramaledettissima
ora in cui Momo si era amaramente pentita di essersi offerta di
accompagnarle e aveva seriamente pensato di mollarle lì a
prepararsi per andare al matrimonio della sua migliore amica da sola.
Come se non bastasse, il loro impetuoso
arrivo aveva attirato l’attenzione di tutti gli invitati, i
quali avevano smesso improvvisamente di chiacchierare tra loro e si
erano voltati contemporaneamente a guardare le tre arrivate: i loro ex
compagni di scuola, tutti riuniti lì per
l’occasione, le fissavano in parte divertiti e in parte
esasperati, mentre i parenti degli sposi non nascondevano né
sguardi piuttosto indignati per il loro tremendo ritardo, né
occhiate melliflue nei confronti della bella e famosa Creati.
L’imbarazzo che Momo provò in quel momento
– nulla a che vedere con la sicurezza con cui si destreggiava
solitamente di fronte alle telecamere nei panni di fotomodella
– passò rapidamente in secondo piano quando si
rese conto che l’unico posto libero tra le prime file era
quello al fianco di una familiare testa per metà bianca e
per metà rossa, dal momento che Mina e Tōru avevano avuto la
brillante
idea di affrettarsi a raggiungere Ochako e Tsuyu. C’erano
alcuni posti vuoti anche nelle ultime file, ma da lì Momo
non sarebbe riuscita a vedere nulla, per cui fu con passo da automa e
sguardo basso che raggiunse silenziosamente (più o meno,
dato che i suoi tacchi risuonavano in modo fastidiosissimo nel silenzio
generale del santuario) il posto accanto a Todoroki e si sedette stando
ben attenta a non spiegazzare il vestito elegante che aveva indossato
per l’occasione. Indirizzò un sorriso di scuse a
Kyōka, bellissima nel suo tradizionale kimono
bianco, la quale le sorrise di rimando per tranquillizzarla
per poi rivolgere l’attenzione al suo futuro sposo,
letteralmente elettrizzato
per l’occasione, come dimostravano le piccole scariche
elettriche che il suo corpo emanava.
Il rito cominciò in quello stesso momento e solo allora Momo
si decise a salutare Todoroki con un «Ciao» di pura
cortesia, limitandosi a guardarlo con la coda dell’occhio.
«Ciao», le rispose Todoroki con tono altrettanto
freddo senza osare guardarla. Per qualche attimo Momo si chiese cosa
pensasse in quel momento, se fosse arrabbiato con lei per qualche
motivo, se si sentisse a disagio tanto quanto lei o se la loro
vicinanza non lo toccasse più di tanto, ma poi si convinse
che non era il momento di pensarci e che avrebbe fatto meglio a
concentrarsi sulla cerimonia.
Rimasero entrambi immobili e in silenzio per tutta la durata della
cerimonia a sorbirsi da una parte i pianti di commozione di Ochako e
Mina, e dall’altra gli scatti d’ira di un
impaziente Bakugō che Midoriya cercava invano di calmare, mentre la
giovane coppia di fronte a loro si prometteva amore eterno nel modo
più vero e assoluto possibile.
Al momento del bacio – l’unico in cui Kaminari
smise di emettere elettricità da tutti i pori per potersi
avvicinare alla sua amata – a Momo sfuggì
un’unica lacrima solitaria, prontamente asciugata con un
fazzoletto per evitare che il trucco le colasse dagli occhi
impasticciandole il viso. Era veramente, veramente felice per la sua
migliore amica e non avrebbe lasciato che il dispiacere per
ciò che non era successo con il silenzioso uomo seduto al
suo fianco le rovinasse quella bellissima giornata.
Dopo la cerimonia, gli auguri agli sposi e le foto, Momo
andò a recuperare Mina e Tōru affinché si
recassero insieme presso il ristorante in cui si sarebbe svolto il
ricevimento. Ad accoglierle fu un locale immenso provvisto di grandi
vetrate e fontane con giochi d’acqua danzanti, come aveva
espressamente richiesto Kaminari – Momo ricordava che Kyōka
avrebbe preferito qualcosa di più ridimensionato, in
linea con la sua indole riservata, ma Kaminari aveva insistito per
regalarle il “matrimonio del secolo” e Kyōka non
era proprio riuscita a smorzare il suo entusiasmo.
La sala adibita al ricevimento era stata riccamente decorata per
l’occasione: gli invitati avrebbero preso posto ai larghi
tavoli rotondi sparsi per la sala, mentre agli sposi spettava il tavolo
più piccolo posizionato proprio al centro
affinché avessero una visione generale dell’intero
ricevimento. In un angolo della sala, una rockband intratteneva gli
invitati con brani movimenti e moderni su richiesta di Kyōka, che aveva
ereditato la passione per quel genere musicale dal padre.
Momo fu contenta di ritrovarsi seduta al fianco di tutte le sue ex
compagne di classe, anche perché da quella posizione poteva
godersi perfettamente il quadretto romantico al centro della sala:
Kaminari aveva finalmente smesso di elettrizzarsi ed ora conversava
tranquillamente con la sua neo moglie, la quale aveva abbandonato lo
scomodo kimono della cerimonia per indossare un vestito molto
più semplice dai colori scuri, i suoi preferiti. Per Momo,
l’unica nota dolente in quel quadretto era la figura di
Todoroki che intravedeva oltre la spalla di Kaminari: seduto
compostamente al tavolo dei ragazzi, Todoroki, spalle dritte e sguardo
fiero, scambiava di tanto in tanto qualche parola con Midoriya o si
lasciava andare ad una delle sue brevi risate sommesse ascoltando
Kirishima raccontare, forse, vecchi aneddoti risalenti ai tempi della
scuola. Era bellissimo nel suo smoking grigio e Momo si
ritrovò a rimpiangere tutti i film mentali che si era
costruita per quel giorno tanto atteso prima di scoprire che, in
realtà, a Todoroki non importava poi così tanto
di lei.
«Ohi, Yaomomo, tutto bene?», le chiese Mina
toccandole con gentilezza il braccio, avendo forse notato il suo
sguardo perso.
Momo annuì sforzandosi di sorridere. «Sono solo un
po’ stanca».
Più volte quella mattina si era ripromessa di non perdersi
in pensieri inutili e frustranti, ma puntualmente ci ricascava dentro
non appena i suoi occhi si posavano sull’elegante figura di
Todoroki. Doveva necessariamente distrarsi con qualcos’altro,
altrimenti non sarebbe riuscita a godersi veramente quella giornata.
«E tu, Mina? Novità con Kirishima?»,
buttò lì la prima cosa che le venne in mente per
animare la conversazione. In realtà, Momo non sapeva se Mina
e Kirishima fossero solo buoni amici o qualcosa di più, ma
aveva sempre pensato che con la loro frizzante allegria avrebbero
formato una bellissima coppia. Di sicuro a Mina Kirishima non era
indifferente, mentre era sicuramente più difficile decifrare
l’interesse di Kirishima, dal momento che sembrava ronzare
più intorno a Bakugō che alle ragazze.
«COOOSA?», esplose Ochako con gli occhi a cuore,
avendo captato le parole di Momo. «Mina! Ti senti con
Kirishima e non ci racconti nulla?!».
Mina arrossì lievemente sulle gote, rivolgendo al contempo
un’occhiata di rimprovero a Momo che rise tra sé e
sé. «Io non mi sento con Kirishima»,
specificò l’eroina dal volto e dai capelli rosa
confetto.
«Ceeerto»,
finse Ochako. «Ed io non sono innamorata di
Dek–!». Quando Uravity si rese conto della
verità che aveva appena ammesso ad alta voce di fronte a
tutte, arrossì violentemente e si tappò la bocca
con entrambe le mani.
«Questa non è una novità,
Ochako-chan», le fece notare molto limpidamente Tsuyu,
provocando l’ilarità delle altre che scoppiarono a
ridere trovandosi estremamente d’accordo.
«Oh, i-insomma! Non era di me e Deku-kun che stavamo
parlando, ma di Mina e Kirishima!», esclamò Ochako
cercando di ridarsi un contegno. «Avanti, Mina, sputa il
rospo! … Senza offesa ovviamente, Tsuyu-chan», si
affrettò a precisare rivolta a Froppy, che
minimizzò con un cenno della mano.
«Ve l’ho detto, tra e me Kirishima non
c’è nulla!», sbottò Mina.
«Quindi…», si intromise Tōru con sguardo
ammiccante (non che potessero vedere davvero il suo
sguardo, ma era questo che lasciava intendere il tono allusivo della
sua voce). «Ci stai dicendo che non sai se
Kirishima può irrigidire a proprio piacimento anche
il–?».
«HAKAGURE TŌRU!», esplose a quel punto Mina, ormai
non più rosa confetto ma rossa come un pomodoro.
Momo scoppiò a ridere, seguita a ruota dalle altre. Non
ricordava che Tōru fosse così sfrontata e non
pensava minimamente che la sua domanda di poco prima avrebbe scatenato
una simile conversazione. Un po’ le dispiaceva aver messo in
difficoltà la povera Mina, ma in realtà trovava
il tutto estremamente divertente. E da quel preciso momento, tra piatti
prelibati, qualche bicchierino di sakè, musica rock a tutto
volume e piacevoli chiacchiere tra amiche, Momo sentì che la
giornata stava migliorando a vista d’occhio,
tant’è che in quelle ore non pensò a
Todoroki nemmeno per un momento.
Il momento assolutamente più emozionante fu quando Kyōka,
sotto gli occhi esterrefatti e innamorati di Kaminari,
abbandonò il loro tavolo e raggiunse la rockband dichiarando
al microfono che aveva una sorpresa in serbo per gli invitati, ma
soprattutto per il suo sposo.
Si fece portare infatti la sua chitarra e, accomodandosi su uno
sgabello, cominciò a suonare e cantare un pezzo molto
particolare, sicuramente di sua invenzione, a metà tra un
brano rock e una canzone d’amore. Parlava infatti di due
ragazzi che si erano conosciuti a scuola, che all’inizio non
si erano piaciuti, ma che poi si erano riscoperti molto più
simili di quanto avrebbero mai pensato, tanto da innamorarsi
l’uno dell’altro.
Kyōka suonava con un sorriso emozionato stampato sul volto e Kaminari,
seduto al tavolo con gli occhi puntati su di lei, sembrava pendere
dalle sue labbra, assorbendo ogni nota e ogni accordo di quella
meravigliosa canzone a lui dedicata. Quando Kyōka terminò,
Kaminari le andò subito incontro per abbracciarla e baciarla
sotto i fischi e gli appalusi degli invitati, ringraziandola per la
sorpresa assolutamente inaspettata e gradita.
Momo si stava asciugando la seconda lacrima di commozione di quella
giornata, quando la rockband – approfittando del fatto che i
due sposi se ne stessero stretti l’uno all’altro
– decise di cambiare totalmente genere musicale mettendo un
lento in sottofondo per far ballare tutte le coppie della sala.
Di fatti, agli sposini si aggiunsero da un lato i genitori di Kyōka e
dall’altro quelli di Kaminari. Gradualmente, molte altre
coppie di invitati raggiunsero il centro della sala.
Senza quasi accorgersene, Momo si ritrovò praticamente da
sola al tavolo: Midoriya, seppur profondamente imbarazzato, aveva
trovato il coraggio di invitare Ochako e lo stesso avevano fatto
Kirishima con Mina e Mashirao con Tōru, e infine anche Tsuyu aveva
trovato il suo cavaliere.
Se nell’arco delle ultime ore Momo era riuscita a non pensare
a Todoroki nemmeno per un attimo, fu proprio in quel momento che si
ritrovò con gli occhi fissi sulla sua figura
dall’altro lato della sala. Todoroki aveva abbandonato la
pesante giacca grigia sullo schienale della sedia rivelando una camicia
di colore blu scuro e una cravatta bianca. Anche lui sedeva al tavolo
da solo, dal momento che metà dei ragazzi erano impegnati a
ballare e gli altri erano usciti fuori a fumare.
A Todoroki le sigarette non erano mai piaciute, Momo se lo ricordava
bene e forse ora ne capiva anche il motivo. Più che per una
questione di salute, Todoroki sembrava (forse inconsciamente) andare
contro tutto ciò che fosse caldo o infuocato per via
del tormentato rapporto con suo padre e il Quirk da lui ereditato:
beveva tè rigorosamente con
ghiaccio, preferiva la soba tiepida piuttosto
che bollente, indossava sempre abiti dai colori freddi e non
avrebbe fatto uso di sigarette e accendino nemmeno se lo avessero
pagato. Tutto quadrava, ora. Oltretutto, Momo proprio non ce lo vedeva
con una sigaretta tra le dita – quella era
un’immagine che si addiceva più ad uno come Bakugō
e infatti Momo ne ebbe la conferma guardando attraverso le vetrate del
ristorante, oltre le quali il re
delle esplosioni fumava piuttosto felicemente la sua
adorata sigaretta con la speranza, forse, di calmare i nervi sempre
rigidi.
Se lo sentiva, Momo, che Todoroki l’avrebbe invitata a
ballare: al di là della serata che avevano trascorso insieme
due settimane prima, al di là dell’interesse o del
disinteresse nei suoi confronti da un punto di vista sentimentale,
Todoroki si era sempre dimostrato gentile
con lei e Momo era certa che non l’avrebbe lasciata da sola
mentre tutte le sue amiche si divertivano in pista. Di fatti, quando
l’eroina tornò a guardare il tavolo al quale
Todoroki era seduto, notò che era completamente vuoto.
«Yaoyorozu».
Veloce e silenzioso, Todoroki aveva approfittato di quel suo momento di
distrazione per fare il giro dell’intera sala e giungere al
suo fianco. Quando ruotò la testa di lato e
incrociò il suo sguardo, Momo sentì la testa
svuotarsi di ogni pensiero che non fosse Todoroki e i suoi profondi
occhi eterocromatici puntati su di lei e la sua carnagione chiara che
contrastava con il blu della camicia e la sua mano destra protesa verso
di lei per invitarla a ballare.
«Ti va?», le chiese soltanto, le labbra strette in
una linea dura e lo sguardo imperturbabile.
E come avrebbe potuto, Momo, rifiutarsi di stare stretta al costante
oggetto dei suoi pensieri?
Dimenticando improvvisamente gli ultimi giorni trascorsi tra mille
dubbi e pensieri amari, l’eroina si limitò a
posare la mano su quella fresca di Todoroki e a lasciarsi guidare in
pista, dove Mina – stretta a Kirishima – le fece
prontamente l’occhiolino, poco prima che Momo si ritrovasse
incollata al petto ampio di Todoroki, con la mano che era stata
artefice dell’invito posata proprio al centro della schiena
scoperta.
Rossa in volto per il sakè, l’emozione e
l’imbarazzo, Momo sapeva che in quel modo sarebbero giunti
ben presto alla resa dei conti, ma per il momento non voleva godersi
nient’altro che quel lento ballo da sogno con Todoroki.
Note dell'autrice:
Ve l'aspettavate un risvolto del genere, con Todoroki che NON
richiamava Momo? Spero di avervi sorpresi :D
Lo so, in questo capitolo non succede molto tra loro due, ma volevo
inquadrare bene la situazione del matrimonio (e infatti ho provveduto
anche a mettervi un paio di link per farvi vedere come funziona il
matrimonio tradizionale in Giappone, paese che amo; infatti ho studiato
giapponese all'università). Nel prossimo capitolo scopriremo
perchè Todoroki non ha richiamato Momo... voi nel frattempo
cosa ne pensate? Sarà successo qualcosa?
Gli accenni alle varie coppie (tranne la KamiJiro, che adoro) sono per
pure esigenze di copione: in realtà non shippo
particolarmente nessuna delle altre coppie che ho citato, ma volevo
dare un po' di colore alla conversazione tra amiche in modo da
far distrarre Momo.
GRAZIE a
chi segue e recensisce la storia, a presto!
Soly Dea
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