Eccomi tornata!
Con la lentezza di una
lumaca ubriaca, riesco finalmente ad aggiornare questa raccolta con una
nuova shot collocata un po' più avanti rispetto alla scorsa.
Devo ammettere che in
questi giorni ho riletto più volte i primi capitoli del
manga in cerca di riferimenti temporali un po' più concreti,
ma spesso scarseggiano.
Ad ogni modo questo
ipotetico episodio, che ho interamente inventato escluso un piccolo
accenno ad una scena extra dello special "Servizio Segreto", si colloca
prima del caso della ragazzina ossessionata dall'oroscopo (che mi
è parso di aver capito essere avvenuto circa due anni dopo
l'inizio della collaborazione tra Ryo e Kaori, illuminatemi se
sbaglio^.^").
E' una shot uscita fuori
un po' fluffosa, spero di non aver snaturato troppo i personaggi e di
regalarvi qualche sorriso.
Come sempre ringrazio
anticipatamente chi spenderà qualche ritaglio del suo tempo
per leggere o commentare.
Alla prossima!)
IV
- Risvegli traumatici
La pensilina della fermata era gremita di gente in attesa
o semplicemente in cerca di un riparo da quell’acquazzone
improvviso che aveva offuscato il timido sole primaverile.
Un’umanità variegata si stringeva per ripararsi
dalla pioggia battente: pazienti mamme alle prese con i loro discoli
bambini in braccio o scalpitanti nelle carrozzine, gruppetti di
chiassosi studenti che scherzavano tra loro parlando di compiti e
insegnanti, distinti uomini in giacca e cravatta intenti a consultare
le loro fittissime agende, giovani coppie di innamorati che si tenevano
per mano o si scambiavano tenere effusioni, vecchietti avvolti nei loro
cappotti che si trascinavano dietro carrellini pieni di sacchetti con
le compre della giornata o cagnolini al guinzaglio.
Sembrava che tutti attorno a lei avessero qualcosa di importante da
fare, qualcuno di speciale da amare, una meta ambita da raggiungere.
Kaori si sentì sola e inutile.
Era appena trascorso un anno dalla tragica morte di Hideyuki e poco
più di una settimana dal suo compleanno. Quelle due date,
per un crudele capriccio del destino, erano diventate inscindibili e
lei non aveva avuto alcuna voglia di festeggiare i suoi
ventun’anni, che pertanto erano passati in sordina, senza
nessuno che le facesse gli auguri o le dedicasse qualche pensiero
carino, com’era solito fare il suo caro fratello o qualche
amica del liceo con cui aveva mantenuto i contatti in passato ma che,
adesso che aveva cambiato indirizzo e vita, si era a poco a poco
allontanata fino a scomparire.
L’arrivo di un autobus provocò un certo fermento
tra gli astanti e alcuni ragazzini, slanciandosi per raggiungere
tempestivamente le porte scorrevoli del mezzo, la urtarono facendole
quasi cadere le sacche della spesa, non soffermandosi neppure a
chiederle scusa per quell’irruenza.
Kaori sospirò afflitta: oltre a sentirsi sola, le pareva
anche di essere diventata invisibile.
Il mese poi, era iniziato miseramente, così come si era
concluso quello precedente: nessun agognato “XYZ”
sulla lavagna della pur sempre brulicante stazione. Avrebbe dovuto
arrabattarsi con quanto restava nel fondo cassa che aveva oculatamente
predisposto per tirare avanti fino alla comparsa del prossimo ingaggio,
che, si sperava, sarebbe stato sufficiente a coprire almeno le spese
minime di sopravvivenza.
Gravava tutto sulle sue giovanissime ed esilissime spalle e nonostante
ciò, il suo indisponente coinquilino, nonché
collega, continuava a farla sempre sentire inadeguata, qualunque cosa
facesse o dicesse. Neanche lei si capacitava di essere diventata tanto
resistente e tollerante, anche se tutto lo stress accumulato
nell’ultimo periodo sembrava essersi materializzato con gli
interessi.
Di suo era sempre stata tendenzialmente ottimista e per niente
superstiziosa, ma si ritrovò a pensare che quel giorno tutte
le stelle si fossero accordate per farle andare storta ogni cosa da che
aveva messo piede fuori dal letto. Già con quel fastidioso
raffreddore aveva dormito ben poco, faticando a trovare una posizione
agevole per non soffocare. In più le era arrivato il ciclo e
così al naso che colava si erano aggiunti anche nausea e
dolori addominali. Avrebbe dovuto fregarsene, una volta tanto, e
rimanere al calduccio sotto le coperte. Ma non ce la faceva proprio ad
oziare, aveva un senso del dovere troppo spiccato, neanche fosse un
vero agente di polizia.
Perciò, ignorando lo stato di malessere generale che
l’attanagliava, aveva raccolto tutte le sue forze e la sua
buona volontà e si era alzata, dirigendosi speditamente in
bagno, pregustando di avere un po’ di soddisfazione dal getto
d’acqua calda per ritemprarsi un po’, ma
già lì era incappata nel primo inconveniente: la
caldaia non funzionava. Era rimasta sotto la doccia gelata non
più di cinque minuti, imprecando contro il mondo intero, per
poi asciugarsi in fretta e furia col phon e imbacuccarsi in svariati
strati di vestiti, concedendosi una veloce colazione prima di uscire
per i soliti giri mattutini che la impegnavano quotidianamente oramai
da diversi mesi.
Per quanto le piacesse molto spostarsi a piedi, svagandosi con ogni
più piccola o pittoresca distrazione che incontrava durante
il tragitto, dai coloratissimi video proiettati sui megaschermi dei
palazzi ai chiassosi venditori ambulanti di cibo da strada, dalle
incantevoli fioriture dei lussureggianti giardini alle insegne dei
cinema e dei teatri tradizionali, proprio quel giorno che non era al
massimo del suo stato fisico era stata costretta a farlo contro la sua
volontà.
Da che aveva preso la patente e aveva avuto una propria indipendenza e
una propria auto, si era disabituata ai viaggi sugli affollatissimi
mezzi pubblici, eppure, non sentendosi di percorrere quella distanza in
quelle condizioni, si era dovuta mescolare ai tantissimi passeggeri che
si ammassavano come sardine a bordo delle vetture.
Il punto in cui abitava, essendo strategico e segreto, non era poi
così ben collegato col resto del quartiere, per cui avrebbe
dovuto fare più soste per tornare indietro.
Appena scesa dal primo autobus, Kaori gettò in un cestino il
fazzolettino con cui si era soffiata dopo l’ennesimo
starnuto, e, pur temendolo, si specchiò nella vetrina di un
elegante negozio di abbigliamento: aveva i capelli tutti arruffati, le
occhiaie, il naso rosso e le labbra screpolate. Si sentiva davvero una
schifezza! E non vedeva l’ora di potersi rintanare in casa,
anche se già il pensiero di dover sottostare ai commenti al
vetriolo di quell’arrogante scansafatiche del suo socio le procurava una
sorta di orticaria.
Si apprestò ad attendere il prossimo mezzo in arrivo,
riparandosi come meglio poté dalla pioggia che seguitava a
scendere con le buste di plastica, dato che non c’era spazio
sotto la tettoia strapiena di persone appiedate come lei.
Al cambiare del semaforo una berlina sfrecciò a gran
velocità vicino al marciapiede, investendo una grossa
pozzanghera la cui acqua sporca si sollevò in una tempesta
di schizzi.
Kaori batté i denti, starnutì e con quel brusco
sussulto il sacchetto con le uova s’infranse per terra,
disseminando una frittata sugli altri pacchettini di alimenti in
offerta che aveva acquistato al supermercato.
In quel momento si sentiva la ragazza più sfortunata di
tutto il Giappone!
Emise uno sbadiglio simile al ruggito di un orso ridestatosi da un
lungo letargo e si stiracchiò per bene allungandosi sul
grande materasso, restando in attesa di captare dei passi svelti e
nervosi approssimarsi alla soglia della sua camera e preparandosi
qualche battutaccia con cui accoglierla.
Quella notte, in sogno, era successo di nuovo. Alle più
spinte fantasie erotiche aventi per protagoniste donne conosciute o
immaginarie, si erano sovrapposte le immagini concrete, angoscianti e
feroci della guerra e aveva finito per svegliarsi di soprassalto, la
gola arida e la fronte imperlata di sudore.
Anche se la sua virilità adesso torreggiava fiera da sotto
il lenzuolo, rammentandogli che era ancora vivo e godeva di ottima
salute, quegli incubi gli lasciavano dentro un persistente malumore che
negli ultimi mesi aveva imparato a riversare sulla sua irascibile
coinquilina.
Era un gioco innocente cui lei non si sottraeva, anzi gli rispondeva
sempre a tono e quella sua schiettezza gli piaceva parecchio, sebbene
talvolta fosse sin troppo violenta nelle sue esternazioni, e le sue
ossa doloranti ne sapevano qualcosa.
Non aveva cognizione di che ore fossero di preciso, ma qualcosa gli
suggeriva che quella mattina i suoi squillanti rimbrotti stavano
tardando a fare capolino.
Tese le orecchie, carpendo solo l’incessante scrosciare della
pioggia sui vetri.
I minuti scorrevano imperterriti. Cinque. Dieci. Quindici.
Mezz’ora.
Ryo cominciò a chiedersi che cosa mai la stesse impegnando a
tal punto da ignorarlo, da ignorare il suo dovere di dargli la sveglia.
Non che, il più delle volte, se non si era sbronzato per
bene, gli occorresse realmente: il suo organismo era regolato
da un orologio biologico praticamente perfetto, e il suo infallibile
sesto senso lo avvertiva se nei dintorni c’erano seri
pericoli alla sua incolumità.
Oltremodo piccato, si risolse ad alzarsi da solo e presentarsi di sotto
così com’era, nudo come un verme, per reclamare le
sue attenzioni. Ma ciondolando per l’appartamento si rese
conto che non percepiva la sua presenza. Valutò che magari
fosse salita in terrazza a stendere i panni, o meglio a ritirarli,
visto quanto forte stesse diluviando. La temperatura era scesa, si
disse che non era il caso di beccarsi qualche accidente,
perciò prima di andare a controllare
s’infilò un paio di pantaloni e una maglia.
Anche lì su però non c’era nessuno,
eccetto due piccioni che, bagnati e infreddoliti, si erano appollaiati
nella rientranza della porta finestra.
Ridiscese al piano inferiore dove non trovò nessuno di quei
bigliettini che era solita attaccare su qualche pensile per informarlo
di qualche uscita prolungata o di cui non avevano discusso. Per di
più in cucina non gli aveva neanche lasciato niente di
pronto per la colazione, perciò forse significava che non
aveva avuto intenzione di assentarsi più del consueto. Era
sempre così precisa e premurosa, nonostante la sgarbatezza
con cui la trattava.
Certo fuori non era ancora buio, ma comunque non era da lei ritirarsi
così tardi, con quel tempaccio che stava imperversando, poi,
era da pazzi restare in giro a fare chissà cosa.
Era quasi ora di pranzo, oramai. Per scrupolo verificò anche
se ci fosse linea nella cornetta del telefono, constatando che
funzionava perfettamente.
La situazione incominciava ad impensierirlo. La sua
mentalità investigativa si mise ad elaborare una serie di
scenari, più o meno preoccupanti, dal più banale
contrattempo che poteva capitare a chiunque al più funesto
incontro con qualche tipo poco raccomandabile. Oltre ad essere una
principiante, quella ragazza era anche una vera testa calda e inoltre
non gli era parso che avesse una bella cera la sera precedente.
Detestava l’idea di avercela sulla sua già sudicia
coscienza.
Imbracciò la fondina e afferrò
l’impermeabile dall’attaccapanni
all’ingresso, cercando freneticamente le chiavi della mini.
Temporeggiò ancora qualche minuto, camminando in tondo per
il salone, sorvegliando dalla finestra il piazzale sottostante. La
strada era deserta e allagata.
Un fulmine si abbatté sull’antenna del palazzo
prospiciente, sprigionando scintille.
Ryo inspirò, rilassando i nervi che si erano subito
allertati a quella stimolazione. Arrendendosi al suo giudizio interiore
e armandosi di freddezza, si decise a uscire per rintracciarla.
Era arrivato a scendere la seconda rampa, quando dalla tromba delle
scale gli giunse l’eco di alcune suole inzaccherate in
avvicinamento accompagnato dal risuonare di starnuti e lamenti che
riuscì facilmente a collegare alla sua recalcitrante
aiutante.
Come punto da una tarantola, batté in ritirata, sfruttando
tutta la sua comprovata abilità nell’essere
silenzioso e sapersi muovere con estrema velocità per
rientrare, senza farle scoprire che stava per gettarsi alla sua ricerca.
Corse verso la sua camera e si spogliò, optando per un
abbigliamento più casalingo che non le destasse il sospetto
si fosse svegliato da molto. Guardandosi allo specchio si
spettinò un po’ il ciuffo e si diede dei
pizzicotti sulla faccia per farla apparire sgualcita.
Intanto la porta di casa si aprì e si richiuse con un gran
tonfo, così scese per andarle incontro, stropicciandosi le
palpebre e grattandosi le parti basse.
La ragazza, alle prese con le pesanti sacche della spesa, non si
accorse neanche della sua sagoma ritta sulle scale che la osservava,
lui invece notò quanto fosse tutta tremante e gocciolante.
Seguì il tracciato delle goccioline che disseminava sul
parquet fino a raggiungerla in cucina, ritrovandola a sistemare
barattoli e confezioni tra il frigorifero e le dispense.
«Kaori! Dove diavolo eri finita? Vuoi farmi morire di
fame?!», la richiamò con insolenza, accorgendosi
allora del suo intenso pallore. Faceva quasi spavento.
Lei gli rivolse due occhi velati e mogi, estraendo un fazzolettino di
carta inzuppato dalla tasca del giubbotto e tamponandosi il viso
sciupato: «Ho bucato una gomma ed ho dovuto lasciare
l’auto a chilometri da qui. Mentre attraversavo un incrocio
mi si è rotto l’ombrello, il terzo autobus che ho
preso ha subito un tamponamento e per finire uno stronzo col bolide mi
ha pure fatto il bagno!», frignò esacerbata,
sturandosi il naso.
L’espressione di Ryo si rasserenò
impercettibilmente, apprendendo che non le fosse capitato niente di
grave. Si sforzò di tacere e restare serio, ma quella
sequela di disavventure che gli aveva raccontato era troppo esilarante:
«Sei proprio la regina degli sfigati!», non
riuscì a trattenersi dal commentare, scoppiando a
sghignazzare indelicato.
Un lampo d’irritazione contrasse i lineamenti già
alterati di Kaori: «E tu il re degli antipatici! Brutto
egoista insensibile! Non t’importa niente di me!»,
s’imbizzarrì, rincorrendolo con un martello di
medio tonnellaggio, che all’evenienza era comparso tra le sue
mani.
Lui, avvantaggiato dalla sua insolita lentezza e imprecisione nei
movimenti, schivò diversi assalti, e quasi stava per farla
vincere, quantomeno per non sentirla più strillare, al che
la ragazza, giunta al centro del salone, si fermò
barcollando e ricadde a gambe all’aria, sotto il peso di
quell’arma impropria.
Ryo rimase in guardia, sospettando che stesse fingendo per sferrargli
un attacco a sorpresa. Esitò qualche secondo nel considerare
l’ipotesi di lasciarla lì in mezzo, a macerare nel
suo brodo, o forse sarebbe stato più corretto dire nel suo
muco, visto quanto era raffreddata.
Ma alla fine il suo buon senso prevalse: non era mica così
cattivo come lo dipingeva lei!
Le si accostò, accovacciandosi cautamente al suo fianco,
dandole dei colpetti su una spalla con la punta delle dita,
sollecitazione a cui lei non reagì, gemendo appena, la bocca
socchiusa e gli arti scomposti. Sembrava proprio svenuta. Calibrando
ogni gesto affinché risultasse quasi impalpabile, si
azzardò a far scorrere un braccio sotto la sua nuca madida
che gli bagnò la manica della felpa, mentre con
l’altra mano le tastò delicatamente la fronte,
appurando che scottava, a differenza del resto del suo corpo, che,
seppure infagottato in quei vestiti grondanti, era congelato.
«Stupida testona», bisbigliò seccato, ma
anche ammirato dalla sua cocciutaggine. A volte si comportava proprio
come una bambina sfrontata, credendo di essere invulnerabile, e invece
adesso stava combattendo contro un subdolo e microscopico nemico
interno che forse aveva sottovalutato.
Malgrado cominciasse a divincolarsi, la sollevò in quattro e
quattr'otto dal pavimento e si affrettò ad andare a
depositarla in un luogo più comodo e asciutto.
Una piacevole e rassicurante sensazione di tepore le avvolgeva le
membra, che sentiva molli e pesanti, rendendola incapace di muoversi.
Era leggermente accaldata e sudata, soprattutto dietro il collo, sotto
le ascelle e tra i seni. Provando a rigirarsi per cambiare posizione e
cercare tastoni sul comodino un bicchiere d’acqua per
sciacquarsi il palato asciutto, avvertì di avere le
articolazioni tutte intirizzite.
Una fastidiosa emicrania rendeva i suoi sensi confusi e ovattati, ma
era abbastanza lucida da riconoscere di trovarsi nella sua stanza e nel
suo letto. Bevuti due sorsi abbondanti, anche la sua memoria si
schiarì: complice la febbre alta, doveva aver fatto un sogno
abbastanza realistico e alquanto snervante, in cui gliene capitavano
davvero di tutti i colori!
Era stato stancante anche solo sognarle certe situazioni assurde e
scalognate, e ora non aveva proprio voglia di uscire da quella bolla di
tranquillità e riservatezza per affrontare
un’altra giornata che sarebbe stata sicuramente impegnativa.
Si sentiva ancora uno straccio strizzato.
Stava lasciandosi tentare dalla tentazione di rimandare i doveri che la
aspettavano, che subito un discreto ma deciso bussare alla porta fece
sfumare quella prospettiva.
«Avanti», borbottò di riflesso, anche un
po’ stranita.
Dallo stipite si affacciò adagio il profilo alto e
dinoccolato del suo coinquilino.
Kaori strabuzzò gli occhi: «Ma … Ryo!
Avevamo fatto un patto, che non saresti mai entrato in camera
mia!», gli rammentò paonazza.
«Hai detto “avanti”»,
annotò semplicemente lui, infilando una gamba, ma restando
ancora a metà tra l’uscio e il corridoio.
La ragazza scivolò giù, tirandosi le coperte sul
naso: «Beh, non potevo sapere che fossi tu».
«Stai delirando? Chi ti aspettavi? Siamo in due in questa
casa!», la fece sentire ancora una volta sciocca lui, sebbene
in quel caso avesse ragione a canzonarla.
Si rimise a sedere, sempre stando attenta a mantenere la trapunta fin
sotto il mento, davanti a cui lui le piazzò una scodella,
che prima di entrare aveva occultato dietro la schiena.
«Ecco. Mangia che sei deperita», la
esortò spiccio, piantando un cucchiaio dentro quella specie
di pappone. «Ma non ti ci abituare» la
avvertì drizzando un indice, col tono di chi stesse
dialogando con un animale.
Kaori allungò le braccia per raccogliere quella ciotola che
scoprì essere ripiena di riso in bianco, rimescolandolo e
trovandolo scotto e tutto attaccato: «Non basterebbe una vita
intera ad abituarsi alla tua pessima cucina», lo
screditò, stizzita ma in fondo anche un po’
colpita da quel suo inedito slancio di compassione nei suoi riguardi.
«Ha parlato la chef stellata!», sbottò
schifato lui, incrociando le braccia, «Fortuna che io ho uno
stomaco forte, sennò sarei ogni giorno
all’ospedale a fare le lavande gastriche»,
blaterò con spocchia e ostentato vittimismo.
Lei deglutì un boccone insapore, sbirciandolo di sbieco. Non
conosceva alcuna decenza nell’esibire certi comportamenti da
depravato anche davanti a degli sconosciuti, eppure sembrava che
ammettere di aver compiuto un piccolissimo atto di gentilezza per lei,
con cui oramai conviveva da un anno, lo imbarazzasse.
«Grazie», gli sorrise allusiva, continuando a
centellinare quei chicchi gonfi e pallidi, sotto il suo sguardo
apparentemente disinteressato, che si spingeva oltre la visuale offerta
dalla finestra, striata dal piovasco alimentato dal vento.
«Comunque se stavi così male, perché mai
sei dovuta uscire lo stesso con questo tempo da cani?»
Il suo tono ora pareva quello di un padre che riprendeva una figlia
disubbidiente.
«Mi avresti rimproverato di essere una femminuccia svogliata
perché mi lascio abbattere da un insulso
raffreddore», ribatté ostinatamente lei.
Ryo mosse lievemente le spalle, come se si fosse lasciato andare ad una
risatina interna: «Non potrei mai pensare una cosa simile su
di te» respinse quell’accusa, voltandosi e
guardandola con una strana intensità «Non hai
niente di femminile, tu».
Kaori sentì un fremito di rabbia scuoterla tutta, le sue
gambe impulsivamente scalpitarono, le mani cercarono di impugnare
qualcosa da sbattergli sulle gengive, per toglierli quel ghigno
insopportabile, ma era ancora troppo debole, ebbe un capogiro e non
riuscì ad evitare di ricadere sul materasso, mentre lui si
appropinquava indefesso alla porta.
All’improvviso il suo cervello ricollegò i
frammenti di quelli che erroneamente aveva scambiato per ricordi
onirici. Era tutto vero, aveva affrontato una serie di imprevisti
quella mattina, e per di più aveva rischiato di buscarsi un
malanno, bagnandosi dalla testa ai piedi. Si accorse di un particolare
agghiacciante: era in pigiama.
«Quindi … mi hai spogliata tu?», ebbe
quasi paura a domandargli.
L’incedere disinvolto dello sweeper si arrestò,
colpevolmente. Sperava di poter sorvolare su quel dettaglio
compromettente, invece si era fregato con le sue stesse parole,
volgendole quella critica. Avrebbe potuto inventarsi qualche
giustificazione, ma non gli sovvenne nulla di diverso dalla
verità.
«Ho dovuto. I tuoi vestiti erano fradici, non potevi tenerli
indosso», si limitò a rispondere con faccia di
bronzo.
Se possibile, le guance di Kaori divennero ancora più
bollenti: «Potevi svegliarmi, razza di pervertito! Non te ne
sarai approfittato, vero?»
Il suo socio non si tradì, mostrandosi piuttosto insultato
da quell’insinuazione: «Per chi mi hai preso?! Non
sono così disperato! E poi lo sai che per me sei come un
fratello minore», le ribadì senza alcun
tentennamento né malignità.
Kaori tacque, non sapendo se sentirsi denigrata o lusingata da quella
considerazione. Pareva sincero mentre ne parlava. Forse davvero lei non
gli suscitava alcun turbamento. Magari anche il fatto che quel giorno
sotto i vestiti indossasse la pancerina, i calzettoni e una maglia di
cotone poteva aver inibito le sue pulsioni.
“Hai dei mutandoni orrendi”, biascicò
tra sé e sé Ryo, ripensando a quanto fosse stato
sfortunato a dover svestire proprio una donna così poco
sensuale come lei, malgrado poter sfiorare quelle gambe così
lunghe e affusolate non gli fosse tanto dispiaciuto e si fosse beccato
anche un bel pugno, nonostante lei fosse semicosciente.
«Piuttosto, cerca di rimetterti presto, che mi servi
attiva», deglutì risoluto, sviando quegli
insensati rimuginamenti.
La socia si rianimò, riacquistando il suo solito puntiglio:
«Ci puoi giurare. Non intendo lasciare la virtù
delle donne di questa città alla mercé della tua
incontenibile libidine», gli assicurò, simulando
un perfido sorrisetto e gettando nel fondo del bicchiere una pasticca
di aspirina.
«Ripensandoci, riposati pure quanto ti pare!», si
congedò Ryo con una grassa risata, sfregandosi le mani con
fare malandrino.
Kaori sospirò rassegnata, ingerendo la medicina.
Quell’uomo sapeva essere davvero esasperante nella sua
immaturità, aveva seri problemi a rapportarsi normalmente
con le persone, soprattutto se donne, ma per qualche motivo irrazionale
che ancora faticava a comprendere, sin dal primo battito di ciglia
aveva sentito che su di lui poteva fare affidamento, che ci sarebbe
stato se lei ne avesse avuto davvero bisogno.
Sfinita ma rincuorata da quella consapevolezza, sprofondò
nel cuscino e si riaddormentò.
Tre di giorni più tardi era già tornato tutto
più o meno alla normalità. Le era bastato
riguardarsi e assumere qualche antibiotico per rimettersi
rapidamente da quell’influenza passeggera. Nonostante le
tonsille un po’ infiammate e le narici ancora ostruite le
dessero qualche noia, si sentiva molto meglio ed era predisposta ad
affrontare un nuovo incarico, con tutte le annesse complicazioni del caso.
Aveva delle sensazione positive, per cui, tra mille proteste, aveva
svegliato in anticipo anche il suo collega, chiedendogli di
accompagnarla alla stazione, con la scusa che la sua auto era ancora
parcheggiata dal meccanico.
Tornando di corsa nella sua camera per recuperare i documenti dalla
borsa, con la coda dell’occhio scorse sul letto qualcosa che
non ricordava di aver lasciato in giro. Lei era sempre ordinatissima.
Appurò che si trattava di una lunga sciarpa di un bel giallo
canarino, intessuta con una lana pregiata.
A passo di carica si diresse nella stanza di Saeba, ancora intento a
scegliersi con tutta calma una camicia dal guardaroba: «Ne
sai qualcosa del perché questa si trova sul mio
letto?», lo interrogò fumantina.
«È tua», sillabò quello con
tono piatto ed evasivo, guardandola distrattamente.
Forse pensava che stesse farneticando, ma oramai si era ripresa
praticamente del tutto, non poteva imbrogliarla rifilandole fesserie
per nascondere i suoi misfatti. Chissà a chi
l’aveva sottratta, sperando che lasciandogliela lì
in bella vista, lei potesse scambiarla per roba che le apparteneva.
«No, non è mia. Non ho mai avuto una sciarpa di
questo tipo», insistette ad affermare, accecata da un
imprevisto attacco di gelosia. Ma Ryo non fece una piega,
abbottonandosi i polsini e indossando una giacca sportiva, evitando
ancora di incrociare le sue pupille acute che imperterrite lo sondavano.
Kaori, non paga di quella reticenza, lo tallonò mentre usciva
con indifferenza dalla stanza. Un’altra ipotesi osò pian piano
solleticarla, facendole palpitare un moto di tenerezza nel
petto.
«Vuoi dire forse che è un regalo? Per me? Ma il
mio compleanno è già passato …
», gli ricordò con una punta di tristezza,
continuando a lisciare quel morbido tessuto di cui si era già innamorata.
Lo sweeper afferrò le chiavi della mini, scoccandole uno
sguardo esterrefatto: «Che vai a pensare! Non è un
regalo. Te l’ho presa perché ho pensato che ti
sarebbe potuta servire. Sono giorni che ti lagni di avere il mal di
gola», asseverò prosastico, esortandola poi a
sbrigarsi, già pentito di quella levataccia.
La ragazza si avvolse con soddisfazione la sciarpa attorno al collo e
lo precedette cominciando a scendere le scale, non senza avergli
prima indirizzato un'occhiata perspicace.
E di nuovo quel sorriso dolcissimo, da sbriciolare le pietre.
Ryo, serrando l’uscio di casa, si disse che non provava alcun
sentimento romantico per lei, ma che forse stava cominciando ad affezionarsi un po' troppo
a quel tipino puntiglioso.
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