65 In cui qualcuno potrebbe fare due più due...
65 In cui qualcuno potrebbe fare due più due…
Gwennis si stiracchiò, godendosi il contatto delle pellicce con
la pelle nuda, ed il calore del bozzolo in cui si trovava. Si rese
conto di essere un po’ indolenzita… piacevolmente indolenzita.
Aveva già capito di essere sola sotto le coperte.
Aprì un occhio, soffiando via i riccioli arruffati che le
ricadevano sulla fronte, e si guardò intorno.
La luce filtrava dall’apertura della cascata, confermando che era
ormai giorno fatto. Vide che mancavano gli stivali e gli abiti del suo
Nano, ma giubba e cappa erano lì; il fuoco era stato ravvivato e
scoppiettava allegramente, ma non vi era più legna: facile
immaginare dove lui fosse andato.
Rotolò tra le coperte fino al posto che il Nano aveva
occupato, e che conservava ancora il suo calore. Affondò il viso
nelle pellicce ed aspirò il profumo che era intensamente suo, un
misto di cuoio, di acciaio e di giovane maschio.
E odore di sesso.
Incredibile. Una volta non vedevo
l’ora di poter spalancare le finestre e di cambiare le lenzuola,
per eliminare ogni minimo sentore di quell’odore che odiavo, e
che mi ricordava solo dolore ed umiliazione. Adesso, invece…
Tornò con il pensiero quanto accaduto la note precedente,
ed un brivido di eccitazione le percorse la spina dorsale. Alla luce
del giorno tutto sembrava così diverso… si sentì
avvampare al ricordo di quello che era successo, di quello che lui le
aveva fatto, che lei stessa aveva fatto e consentito di fare!
Ebbene, era una Nana adulta. Non doveva rendere conto a nessuno di quanto faceva o di chi accoglieva nel suo letto.
Aveva ancora davanti agli occhi la vista di lui, vestito solo di
quel suo sorriso malizioso, in tutta la sua gloria di muscoli scolpiti
e riccioli biondi che ricadevano sulle spalle. La luce del fuoco traeva
bagliori dalla peluria sparsa sul petto e sull’addome, facendolo
apparire completamente d’oro.
Si sentiva le orecchie in fiamme.
Per un po’ si crogiolò nella sensazione di benessere che
provava, mentre i suoi pensieri tornavano alla notte precedente, alla
dolcezza ed alla passione del suo compagno di letto, comprendendo
finalmente tutte quelle allusioni e le risatine delle altre Nane
durante le Feste della Sposa, o quando le donne indulgevano a
pettegolezzi. Si sentiva bene.
Dopo un po’, vedendo che lui non tornava, iniziò a pensare
che qualcosa fosse andato storto. Si assicurò di nuovo che
i suoi effetti personali e la sua attrezzatura fosse ancora lì;
ed infatti…
Non può essersene andato senza le sue armi. Ci dorme, anche!
Ridacchiò pensando a qualche momento di imbarazzo, la sera
prima, mentre emergevano coltelli da ogni indumento che si toglieva di
dosso… o che lei gli toglieva di dosso.
Il colore dorato della luce lasciava capire chiaramente che era
piuttosto tardi. Gwennis, ormai nervosa, si vestì
rapidamente; con cautela impegnò il passaggio, rimanendo
nascosta mentre adocchiava la zona davanti alla cascata.
E lui era lì. Un sollievo immenso la invase; stava bene, e non si era perso. Però…
Il Nano sedeva sulla riva della pozza, le gambe ciondoloni quasi fino a
toccare l’acqua; si reggeva le testa con le mani appoggiate alle
ginocchia, e nel complesso era l’immagine dello sconforto.
Cosa gli è successo?
In quel momento il Nano alzò leggermente la testa ed
appoggiò le mani sulle ginocchia. Anche da quella distanza si
vedeva che le dita stringevano convulsamente.
Gwennis ristette, come raggelata. Le si mozzò il respiro, mentre
un brivido gelido gli scorreva su per la spina dorsale, facendola
tremare. Tutti i suoi campanelli d’allarme suonarono
contemporaneamente, perché, se la posizione delle spalle parlava
di sconforto, quelle mani dicevano un’altra cosa, dicevano rabbia,
e un maschio arrabbiato significa sempre guai, perché se la
prenderà con te, solo perché sei lì, anche se non
hai fatto proprio nulla…
Si accorse che stava andando in iperventilazione, il cuore che batteva
a mille e la paura, quella paura stava per sopraffarla, e…
Cosa sto facendo?!
Gwennis fece un respiro profondo e cercò di calmarsi. Quello
là davanti non è “lui”, è il mio
Nano, quello con cui ho viaggiato per settimane e che non
è mai stato altro che gentile con me, anche quando facevo delle
sciocchezze indescrivibili, anche quando mi comportavo da perfetta
idiota, e invece di risentirsi lui alzava gli occhi al cielo e faceva
la sua battutina, con quel sorrisetto ironico e malizioso così
adorabile…
Devo fidarmi di lui.
Così squadrò le spalle e si incamminò lungo il sentiero.
Cosa mi è successo? Pensava nel frattempo il Nano. Come ho potuto comportarmi così? Cosa stavo pensando? Dov’è finito il mio onore?
Quella mattina si era svegliato nella più assoluta beatitudine,
come non credeva fosse possibile. Poi aveva socchiuso gli occhi, e la
luce del sole che filtrava dalla cascata gli aveva detto che il sole
era sorto da un pezzo.
E la realtà gli era piombata addosso con la violenza di un
carro pieno di mattoni lanciato a gran velocità giù da un
pendio; e vedere Gwennis addormentata al suo fianco, con i
riccioli rossi folleggianti ed un sorriso sulle labbra, come non le
aveva mai visto, era stato il colpo di grazia.
Incapace di rimanere fermo un solo istante, si alzò e si
vestì, riattizzò il fuoco ed uscì in cerca di una
boccata d’aria per schiarirsi le idee.
Era assolutamente disgustato di se stesso, e si sarebbe preso a calci
da solo; e presto il disgusto divenne rabbia. Mentre era intento
ad autoflagellarsi, il suo istinto di guerriero gli disse che qualcuno
si stava avvicinando; ma ci vollero solo pochi istanti per capire, pur
senza guardarsi intorno, che non era un nemico.
Gwennis sedette sulla riva della pozza accanto al Nano, le mani sulle ginocchia.
“Ciao.”
In Nano alzò appena la testa e la sbirciò di sottecchi, distogliendo però subito lo sguardo.
“Non dovresti rivolgermi la parola.” Il tono era sommesso,
sotto il livello della disperazione, ma la voce era venata di rabbia
repressa. Gwennis lo guardò a sua volta, con
cautela.
“Ah, sì?” rispose. “E perché?”
Le parole successive furono soffocate tra le mani.
“Perché non me lo merito.” E continuò in tono monocorde:
“Sono un bastardo. Non ho alcun onore. Non sono meglio di tuo
marito. Mi sono approfittato di te per il mio piacere. Ho creato
aspettative che non posso soddisfare, perché per noi non vi
è alcun futuro e lo sapevo. Ma ho ignorato tutto per
seguire i miei soli desideri. Sono un animale..”
Gwennis lo lasciò continuare su quel tono per alcuni minuti,
perché sembrava aver bisogno di buttar fuori tutta la miseria in
cui si trovava immerso per sua sola iniziativa, poi perse la pazienza,
e lo interruppe nel bel mezzo dell’ennesimo “sono uno
stronzo”.
“Ehi, Mastro Nano, lo sai che stai dicendo un mucchio di
sciocchezze?” Il tono era di quelli sbrigativi, ed ebbe
l’effetto di un secchio di acqua gelata in piena faccia: il Nano
alzò la testa e spalancò gli occhi.
“Ma…”
“Niente ma.” La voce di Gwennis si alzò di
un’ottava. “Non credo di aver mai sentito un tale cumulo di
idiozie dopo quel venditore di argenteria che sosteneva che il
metallo era naturalmente verde.”
La vena di rabbia era ormai evidente, ed il Nano ebbe il buon senso di non replicare.
“Vediamo, da che parte comincio? Primo, non paragonarti mai
più a mio marito. Tra voi c’è la stessa differenza
che esiste tra un brillante ed un mucchio di letame.”
Il Nano deglutì ed aprì la bocca per obiettare, ma lei lo fulminò con un’occhiata.
“Secondo, non ho idea di quali aspettative vai blaterando.
Non ho nemmeno avuto il tempo di pensare che vi possa essere, un
futuro, quindi tranquillo: non hai deluso niente. Terzo: non ti
sei approfittato di nessuno! Non sono una bambina. Ho fatto quello che
volevo ed ho dato quello che volevo, e sapevo perfettamente cosa
stavo facendo, quindi smettila di insultare la mia intelligenza. A
questo proposito, ti dirò che ho avuto molto più di
quanto io abbia dato, e passo a spiegare perché al momento
mi sembri piuttosto ottuso.”
Gwennis riprese fiato. Era davvero arrabbiata, ed il Nano parve
rendersene conto, perché si limitò a guardarla ed a
subire la ramanzina in silenzio. La Nana riprese a bassa voce:
“Prima dimmi una cosa sola: quello che è successo tra noi,
ieri notte, è stato importante, per te? O è stata solo
una bella esperienza divertente?”
“Mahal, Gwennis!” la voce del Nano era altrettanto sommessa. “Certo chè è stato importante! Tu sei importante! E’ proprio per questo che …”
Lei alzò una mano per interromperlo.
“Va bene.” Trasse un sospiro profondo e continuò.
“ Tu non ti rendi conto di cosa abbia significato per me quello
che è accaduto la notte scorsa. Ho passato gli ultimi anni a
credermi una nullità. Anche dopo che lui se n’è
andato, sono rimasta come chiusa dentro una boccia di vetro, da cui
vedi tutto ma sei distaccata. Non ho mai permesso che nessuno si
avvicinasse a me, perché non volevo sentirmi dire
che ero una delusione, non volevo sperare che ci fosse qualcosa per me
per poi scoprire che, per causa mia, niente poteva funzionare.”
“Ma la notte scorsa ho scoperto che non era così. Che
potevo anch’io permettermi di avvicinare qualcuno, che avrei
potuto essere all’altezza e non deludere nessuno… che
qualcuno può essere interessato a me e per le giuste ragioni,
che anch’io ho qualcosa da dare e da sperare. Stamattina mi
sono svegliata come una Nana nuova, quindi anche se per te fosse stata
solo una bella notte, anche se non ci sarà più
niente per noi… non posso far finta che non mi dispiaccia, ma in
ogni caso io sarò comunque in debito con te. Sono riuscita
a spiegarmi?”
Il Nano aveva ascoltato in silenzio, commosso. Quando lei tacque, le
prese le mani tra le sue e la guardò negli occhi, addolorato.
“Sei meravigliosa,” sussurrò “ed è per
questo che mi dispiace tanto che non ci possa essere un futuro per
noi… perché sei la cosa più bella che mi sia mai
capitata in tutta la mia vita.”
“L’ho detto prima e lo confermo: per me è
già tantissimo quello che mi hai dato la scorsa notte, Mastro
Nano. Però … però visto quello che mi stai
dicendo, qualcosa direi che me la devi: una spiegazione. Perché
dici che non puoi darmi un futuro?”
“Non posso darti un futuro perché non ho un passato.”
Gwennis fissava sbalordita il Nano biondo, che era rimasto in silenzio dopo aver vuotato, finalmente, il sacco.
“Di tutte le cose che avevo pensato, questa… questa proprio no.”
Il Nano annuì, con aria sconsolata.
“Non mi hai mai detto il tuo nome, quindi mi sono
scervellata per indovinarne il motivo… ma non ricordi proprio
niente, facce, nomi, luoghi? Sai fare un sacco di cose! “
“Non so nemmeno io come funziona. So combattere, seguire le
tracce, andare a caccia… ma non ricordo un solo nome. Facce
sì, molte; nei sogni, o quando ho avuto la febbre, o anche in
altri momenti, mi tornano in mente piccoli episodi, come barlumi di una
storia; vedo persone che so che sono importanti per me..” al Nano
tremò la voce “.. ricordo colline e boschi, ma
che sia dannato se so dare un nome a qualcuno di loro!”
Gwennis stava pensando.
“Ma se tornassi tra i Nani, qualcuno magari ti
riconoscerebbe… mi hai detto che hai combattuto nella grande
battaglia, quella te la ricordi?”
Il Nano riflettè.
“Qualcosa… ricordo di combattere…
Non erano solo i suoi occhi: tutti i
suoi sensi erano assediati da quella miriade di sensazioni
violente. Certo, quello che vedeva era sconvolgente, ed in
qualche modo del tutto irreale: il sangue scorreva a fiumi, gocciolava
dalle lame, si raccoglieva in pozze sotto i corpi, scorreva in rivoli,
tanto che la terra non riusciva ad assorbirlo. Ad ogni colpo della sua
spada, sangue nero ed altre cose, che preferiva non osservare da
vicino, schizzavano, e si mescolavano al fango. Tutti quelli che
vedeva, amici e nemici, gli sembravano coperti di sangue, di fluidi non
identificati, e dell’onnipresente fanghiglia fatta di
terra, pioggia e nevischio; si ritrovò ad osservare come il
sangue schizzasse a volte in spruzzi, altre volte in gocce, o
addirittura come una nebbiolina rossastra, o nera. Notò il
rumore che faceva quando raggiungeva una corazza, o un’altra
parte di armatura. Ecco, i rumori: le urla dei feriti, i gemiti dei
morenti, i ruggiti, i grugniti di fatica e di rabbia… il
tonfo sordo della freccia che affondava nella carne, o il sibilo della
lama che calava… il clangore delle armi che si scontravano con
forza, degli scudi infranti… una cacofonia che assediava le sue
orecchie e gli penetrava nel cervello. Era passato il momento dei canti
di guerra, ora c’era solo spazio per la lotta, fino
all’ultimo.
E gli odori. Il sudore. Il sangue,
che gli lasciava in bocca il sapore del metallo.
Quell’insieme di tanti effluvi che non si poteva definire altro
che odore di morte.
Il suo corpo combatteva, senza
fermarsi, un affondo, una parata, rotola e rialzati, muovi i piedi,
dietro di te! Attenzione! L’adrenalina correva dentro di lui, e
gli impediva di sentire la stanchezza, il dolore e la sete terribile:
niente poteva fermarlo. La sua mente… era come se non riuscisse
a credere alle sensazioni che riceveva. Come se tutto questo non
stesse accadendo a lui, ma vi assistesse, in qualche modo, che non
riusciva a comprendere. Tutto era alieno. Tranne un particolare.
I nemici cadevano di fronte a lui, ma
il suo sguardo guizzava sui suoi compagni, persone che gli erano
care, e il suo cuore sussultava ogni volta che li vedeva parare un
colpo: terrore e sollievo, attento! Scampato pericolo!
Da quanto tempo combatteva? E quanto ancora?
E poi accadde.
In mezzo a tutto quel frastuono,
sentì distintamente il tonfo del metallo che affonda nella
carne. Un grido soffocato, un lamento, una voce nota. Girò
appena il capo e lo vide.
Un secondo lungo quanto
l’eternità. La spada che scivolava dalle dita
improvvisamente prive di forza. Sangue, sangue ovunque. Gli occhi
improvvisamente enormi, spalancati sotto la visiera
dell’elmo… vide in quegli occhi che conosceva meglio dei
suoi lo stupore, poi il dolore, atroce, devastante…
Ed infine la luce che svaniva, come la vita che fluiva via dal corpo snello che si afflosciava al suolo…
“Va tutto bene, mastro Nano?”
Lui si riscosse.
”Sì… ho ricordato un brutto momento, ma forse era
solo un incubo indotto dalla febbre. Però Lirien mi ha detto che
siamo stati tutti presi prigionieri verso la fine della battaglia,
quindi sì, c’ero.”
“La mia Signora mi aveva detto che l’unico esercito di Nani
che ha combattuto era quello dei Colli Ferrosi, perché gli altri
sono arrivati dopo, quindi basterà andare nei Colli
Ferrosi e chiedere a Lord Dàin: di sicuro riconoscerà uno
dei suoi soldati, e se non lo farà lui… avrai avuto dei
commilitoni, no?”
Il Nano taceva. Poi disse piano:
“Forse. Ma questo non cambia il fatto che non so nulla di me.
Potrei essere un assassino condannato, o un farabutto… o la
feccia della società, un Nano di infimo livello, senza arte
né parte… del tutto indegno di te!”
Gwennis sbuffò.
“Ma quante sciocchezze. Ti ho osservato, sai, più di
quanto tu non pensi; e le mie conclusioni sono molto diverse.” Ed
espose al Nano tutte le considerazioni che aveva fatto sul suo
abbigliamento, sul suo atteggiamento e soprattutto sul suo
linguaggio.
Il Nano fissò divertito la sua compagna.
“E tutto questo solo ascoltando come parlo?”
“Puoi anche scherzarci, ma è la verità. Dimmi che sbaglio.”
Il Nano ricordò anche quello che aveva detto, tanto tempo prima, Thorbag.
“Il capo tribù degli orchi di Gundabad mi disse
qualcosa. Sono quasi convinto che alla fine lui abbia
davvero scoperto chi sono… disse, più o meno…Un
guerriero addestrato. Troppo giovane per essere un veterano che
ha imparato in mille battaglie; sei un Nano di nobile stirpe che
ha avuto maestri d’armi fin da bambino.”
“Direi che si accorda bene con quello che pensavo io, no?”
“In ogni caso”, concluse Gwennis, “non mi sembra ci
siano problemi insuperabili. Andremo da Lord Dàin. Se salta
fuori, come io penso, che hai una famiglia ed un posto decente nella
società dei Colli Ferrrosi, bene; altrimenti verrai ad Erebor
con me. Parleremo con la mia Signora e vedrai che ti troveremo qualcosa
da fare; come minimo, la Guardia avrà bisogno di guerrieri
addestrati come te. E per quanto riguarda noi, mi sembra un po’
presto per parlarne, ma vedremo.”
Il Nano era ancora titubante.
“Possibile che sia così facile?”
La ragazza lo fissò.
“Mi sembra che sia tu che vuoi fare il difficile. Usa la logica.”
Gwennis si alzò e si incamminò verso la caverna, ma visto che lui non la seguiva, si fermò.
“Allora? Se non ti muovi a trovare quel maledetto Elfo, non
potremo mai andarcene da questa foresta dimenticata da Mahal, e non
andremo né ai Colli Ferrosi né da nessuna parte.”
“Aspetta!”
Il Nano si alzò e la rincorse.
“E… se fossi sposato?”
“Allora, Mastro Nano, dovrai prendere qualche decisione.”
Con quelle parole gli voltò le spalle ed entrò nella grotta.
Il Nano ristette, ancora un po’ frastornato.
Battuto dalla logica. Non ci posso credere.
Angolo dell’Autrice
Yeee! Meglio tardi che mai, no?
Angolo del Grazie
Laurerindorean, Inuiascia, Vajra, Gli_estel94, GothicGaia… spero di non aver dimenticato nessuno…
Tutti i lettori … ci siete ancora, là fuori?
Ed infine, dulcis in fundo, la mia vecchia amica Yavannah, sempre acuta e sensibile come poche. Grazie.
Bacio
Idril
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