chilling adventures of peaky blinders

di katris jackson
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Birmingham, 1924
  • “Dico io, ma stai cercando di prendermi per il culo Far?”- urlava il responsabile della fornace al grosso ragazzo di colore che aveva di fronte. Farrell si chiamava quell’uomo, alto e statuario come uno dei baobab che crescevano nei villaggi Africani da cui i suoi genitori erano arrivati.
  • “Garantisco io per lui, il mio fratellino sembra piccolo, ma lavora duro come tutti noi.”- disse senza incrinare un sopracciglio.
Per il capo cantiere era un po’ difficile credere che quell’affare pelle e ossa, esile come una ballerina fosse uno dei fratelli di Far, gli altri tre avevano la stessa stazza del fratello maggiore, lavoravano come muli e non conoscevano riposo, per questo erano stati bene accolti nella fornace, dove servivano uomini instancabili e ignifughi che fossero davvero disperatamente in cerca di un impiego.
  • “Facciamo che oggi sei in prova smilzo, vediamo come te la cavi con il carbone.”- il capo cantiere prese una carriola di carbone e la mise in mano al ragazzino, lui non emetteva suoni, non tirava nemmeno su lo sguardo per confrontare il suo interlocutore, traballando solo un momento mentre afferrava la carriola, avanzò placido verso le fornaci.
  • “Non farmene pentire Far”- concluse dandogli una pacca sulla spalla.
  • “No signore”- disse lui senza tradire l’armatura di orgoglio glaciale che lo rivestiva
Il ragazzino trasportò la carriola di carbone alla prima fornace, l’operaio in un accordo silenzioso ne rovesciò il contenuto nel fuoco, prese un altro sacco di iuta e il ragazzo se lo caricò sulla spalla dirigendosi verso il fondo della fabbrica, dietro le macchine a cui lavoravano i fratelli martellando acciaio bollente come operai di Efesto. Aprì il sacco che doveva contenere carbone e ne uscì fuori una tenuta da lavandaia, la indossò velocemente, rimuovendo il bendaggio che gli comprimeva il petto e il berretto sotto cui nascondeva una crocchia di ricci castani. La ragazza lavandaia sgusciò sul retro della bottega coperta dal custode a cui aveva allungato due scellini, si diresse spedita verso la casa verde e ritirò un cesto di panni sporchi, poi viaggiò spedita verso la lavanderia. Stese il lenzuolo azzurro sistemando una sterlina sotto la molletta, poi prese il cesto di panni puliti e si avviò sul retro. La lavandaia di turno diede la sterlina al figlio che corse al pub dal padre per dare il segnale di avvenuto pagamento. La ragazza vestita da lavandaia nascose il cesto di panni puliti, da cui aveva estratto un kit per lucidare le scarpe, si tolse il travestimento e, nuovamente vestita come un ragazzetto mingherlino, andò in strada a cercare clienti. I giovani peaky blinders erano molto facili da attirare, soprattutto se erano in vena di sbornie già alle 11 del mattino. Il ragazzetto mingherlino lustrò le scarpe al membro della gang, appuntandogli sapientemente un piccolo nastrino rosso sull’orlo del pantalone. Il barista del pub ricevette la banconota da suo figlio pochi minuti prima che il ragazzo con il nastrino sul pantalone varcasse la soglia, come prevedeva il patto, mischiò il loro whiskey del mattino con del sonnifero casalingo e li servì. Un’ora dopo i giovani adepti dei peaky blinders dormivano beati sui divanetti del pub. Il cameriere, che aveva ricevuto mezza sterlina dal barista, ripulì il tavolo e si assicurò di fare sparire un berretto con la lametta e di consegnarlo al suo capo. Il barista diede al figlio il cappello, il bambino corse come un razzo alla lavanderia e mise il berretto nel cesto di panni puliti. Il ragazzetto mingherlino, liberatosi del kit da lustrascarpe, entrò nella lavanderia, la giovane lavandaia gli consegnò un completo con cappotto appena stirato “ Da consegnare entro le 13” disse lei solenne assicurandosi che le colleghe sentissero, il ragazzetto annuì. Uscì dal retro, indossò il completo, prese dal cesto di panni puliti il berretto e vi nascose dentro la chioma, poi uscì di nuovo in strada.
Thomas Shelby si dirigeva verso il pub con la solita fretta del diavolo, estrasse il porta sigarette e mise in bocca una cicca bianca, poi la accese flemmaticamente. Ripeteva quel gesto ogni volta con la medesima fluidità, come se fosse una sorta di gesto catartico per calmare i nervi, come un rito scaramantico per scongiurare le maledizioni dei suoi molti nemici, o dei suoi molti demoni.
Notò con le proprie antenne da soldato e con la coda dell’occhio il giovane peaky blinder che lo seguiva con passo fiero, che non sembrava particolarmente interessato a nascondere il fatto che lo stesse seguendo. Tommy lo ignorò.
La ragazza nel completo da peaky blinder seguiva Thomas Shelby sulla strada per il Garrison, a pochi passi dall’uscio si sfilò il berretto e sciolse i ricci castani, poi si sistemò bene la visiera sulla fronte e varcò l’uscio.
Tommy entrò nel pub e ordinò il suo solito whiskey, una ragazza vestita come i suoi scagnozzi lo affiancò al bancone, “lo stesso per me!” disse con una nota di saccenza, Tommy la degnò al più di uno sguardo sorpreso e di un sopracciglio sollevato, prese il suo bicchiere e si sedette ad un tavolino da solo per consultare un giornale. La ragazza prese il suo bicchiere ed andò a sedersi di fronte a lui, Tommy lasciò cadere il lembo superiore del giornale solo per lanciarle uno sguardo penetrante; non gli capitava spesso, ma non incrociò occhi intimiditi al suo cospetto, ma due pupille brillanti come ambra che lo sfidavano con l’arroganza vivace di chi è consapevole della propria intelligenza.
  • “Mi scusi…”- disse lui masticando la sigaretta e protendendosi verso la ragazza vestita da uomo.
  • “Non si preoccupi Mr. Shelby, non ho l’abitudine di offendermi per le formalità..”- disse lei protendendosi a sua volta verso il suo interlocutore, allungò una mano delicatamente, come per accarezzare un mastino feroce e gli sfilò la cicca dalle labbra, quindi si mise a fumare allungandosi sullo schienale.
Tommy era così colto di sorpresa da non essere certo di sapere come reagire. Sgranò gli occhi batte le palpebre e ripeté il suo gesto di scongiuro come i passi di un valzer.
  • “ Non so cosa voglia esattamente lei da me signorina, ma posso dirle di non essere interessato, sono qui per affari…”
  • “Anche io Mr. Shelby, e non vedo in che modo possa dichiarare di non essere interessato ad un’offerta che non ha ancora ascoltato…”
  • “Affari?”- rispose Thomas lasciandosi sfuggire una risatina.
  • “ Esattamente. Anche se non si tratta precisamente di un’offerta, in quanto non c’è alcuna possibilità che lei rifiuti l’accordo.”
  • “Come fa ad esserne sicura?”
  • “Mi creda, conosco molto bene il suo gioco, ma questa volta il mazzo non é stato truccato da lei…”
Thomas preferì non proferire parola, per non tradire la propria curiosità o la propria insofferenza. La ragazza vestita da uomo continuò.
  • “Lei Mr, Shelby sta per appropriarsi delle fornaci sulla sponda ovest del fiume, e sta per nominare me sua socia al sessanta percento, caccerà gli attuali macellai che la possiedono e la gestiscono con le peggiori maniere che conosce, e poi si farà da parte lasciando che io mi occupi del resto…”
Thomas sbottò in una risata di scherno “Questo è una specie di scherzo? Perché non ho tempo da perdere…” fece per alzarsi.
  • “Lei non rifiuterà la mia offerta Mr, Shelby, perché io ho qualcosa che lei desidera disperatamente…”
Thommy non avrebbe saputo dire che cosa lo spinse a fermarsi, girare sui tacchi e piantarsi di fronte quella misteriosa donna d’affari che lo aveva approcciato, schiacciò la sigaretta e mise le mani sui fianchi spazientito: “Cosa?”- sibilò.
La donna se ne stava adagiata comoda sulla sedia come un gatto capriccioso, le gambe fasciate da pantaloni maschili accavallate sinuosamente, il suo sguardo da serpe domestica brillava eccitato per aver catturato l’attenzione della preda; estrasse un ritratto dalla tasca del suo cappotto.
  • “Ha mai visto questo ritratto Mr. Shelby? Saprebbe dire chi è la donna nel mezzo…. E cosa indossa?
Thomas sentì il sangue gelarsi in ogni singolo capillare del suo corpo, ogni nervo di cui aveva percezione si tese dolorosamente, il calore del suo corpo si concentrò dentro la sua testa e gli stritolò le meningi…
  • “Cosa diavolo stai cercando di fare?”- sputò a denti stretti avvicinando minacciosamente il viso ad un pollice di distanza dal naso della ragazza.
Lei aspirò un tiro di sigaretta, avvolse i loro occhi in una nuvola di fumo bianco, le iridi di Thomas sembravano riempire l’aria di cariche elettriche.
  • “Questo è il vantaggio che trarrebbe dal nostro accordo Mr. Shelby. Conoscere una verità che le sta soffocando il cuore, l’unica colpa che le tormenta l’anima nonostante le mille che dovrebbero inondare la sua coscienza. Mr. Shelby, io non ho molto da offrirle in termini di denaro, se non quel quaranta percento che la Shelby’s Company Limited acquisirebbe al termine dell’affare; ma ho da offrirle forse la soluzione alla sua dannazione…”
Il cuore di Thomas batteva come quello di un cavallo da corsa, un milione di scenari si affollavano nella sua testa e si rendeva conto che stava cedendo alla debolezza di cancellare dalla propria coscienza la macchia di colpa per la morte di sua moglie. La donna della foto, che assomigliava vagamente a sua sorella Ada, reggeva sulle gambe un bambino che sarebbe potuto essere  Tommy stesso all’età di sei o sette anni; una bimba, che avrebbe spacciato per la figlia di Arthur, stava tra la donna e quello che sarebbe potuto essere Arthur in persona, sull’estrema sinistra era immortalato Jhon, o un ragazzo troppo simile a lui. La donna della foto indossava una collana, la collana che Thomas rivedeva nei suoi incubi più oscuri, adagiata sul corpo esanime della sua innamorata, la collana di zaffiri che aveva preso dai russi.
  • “Certe maledizioni viaggiano per mezzo mondo e per mezzo secolo pur di ritrovarci… quando c’è di mezzo il Diavolo…”- continuò mistica la donna vestita da uomo.
Thomas esplose come un petardo, agguantò il collo esile della ragazza e lo strinse ferocemente: “Stai cercando di fottermi? O di farmi impazzire ? Chi ti manda, CHI?”- gridò attirando gli sguardi di tutto il locale, ruggendo furiosamente ad un millimetro di distanza dal viso di lei.
  • “Lei non mi ucciderà… preferisce avere anche il più piccolo barlume di speranza di redimersi, che mettere al sicuro tutto il resto. Per quello che vale per un uomo come lei, può fidarsi di me… non ho intenzione di tradirla… ma nemmeno io credo alle storie sulla fiducia…”- la donna vestita da uomo sfiorò delicatamente il polso di Thomas, la sua voce calma e suadente vece sciogliere la morsa intorno alla sua gola, si svincolò dalla presa facendo scivolare le sue spire altrove. “ la mia offerta è equa… e allettante. Mr. Shelby, mi aspetto una risposta e di incontrarla presto per definire meglio i nostri piani… sono sicura che sarà un’esperienza, per entrambi.”
Si alzò spingendo indietro la sedia, si arrotolò i capelli dentro il berretto e si diresse alla porta.
  • “Perché il travestimento?”- chiese Tommy prima che lei si allontanasse ancora.
  • “Crede davvero che i suoi cani da caccia avrebbero permesso ad una ragazza nera di muovere un passo a meno di un miglio da lei Mr. Shelby? Così si sottovaluta, ha delle ottime guardie… soprattutto nell’ultimo periodo.”
Thomas non disse niente, continuò a fissarla…
  • “Può trovarmi nel quartiere nero Mr. Shelby, chieda di Arabella.”- si stirò la visiera in segno di commiato ed uscì.
Thomas si accinse a ripetere il suo gesto di scongiuro. La campanella del Garrison suonò nuovamente, Arabella varcò spedita la soglia, arrivò davanti  lui e gli sfilò dalle labbra la sigaretta che aveva appena acceso, poi uscì… definitivamente.
…pochi giorni dopo…
Il quartiere nero per certi versi era il peggiore di Birmingham, per altri il migliore. Nessun altro angolo della città, nemmeno Small-Heat conosceva uno squallore simile, eppure nessun’altro posto era così allegro e vivace. I bambini riempivano le strade con le loro voci e i loro giochi, in ogni postribolo c’era musica che suonava e la puzza di fogna era coperta con successo dall’odore di cibi poveri ma speziati. Thomas avanzava in quei vicoli come un’animale fuori dalla sua gabbia per la prima volta, un po’ insicuro, ma senza far venir meno la propria indole sprezzante e sospettosa.
Una donnona vestita con abiti tradizionali si agitava su un uscio richiamando i bambini in un’altra lingua, Thomas si avvicinò e le chiese di Arabella, la donna lo squadrò con occhi analitici, poi si fece mezza risata incredula: “Dannazione, quella ragazzina si che sa il fatto suo! Mi aveva avvertito che ti saresti fatto un giro dalle nostre parti una di queste sere… Beh, la casa di Arabella è la terza su quel vicolo a sinistra, buona fortuna con quella matta!” – per niente rassicurato, Thomas si congedò e si diresse dove gli era stato indicato.
Dalla bettola che doveva essere casa di Arabella proveniva un buon odore di stufato e un sacco di voci, dalla finestra che dava sulla strada si vedeva la famiglia strimpellare uno strumento  e canticchiare in una cacofonia indefinita. Una coppia di mezza età ballava una coreografia scoordinata al centro della stanza, quattro ragazzi alti e possenti stavano seduti al tavolo e facevano da accompagnamento ad Arabella che, in piedi sul tavolo, suonava e dirigeva i canti. Il suo sguardo trovò quello di Thomas come se sapesse dove trovarlo nella penombra, come due calamite di poli opposti che si avvicinano abbastanza da attrarsi. Sorrise con occhi felini, si congedò in maniera teatrale dalla famiglia e andò alla porta.
  • “Venga dentro Mr. Shelby, non c’è bisogno che la vedano”- disse sporgendo solo la testa fuori,
Thomas entrò in casa e insieme salirono le scale senza affacciarsi sulla cucina, arrivarono in una piccola mansarda che appariva insieme una camera da letto, l’ufficio di uno stratega e il laboratorio di un meccanico. Arabella si muoveva sicura fra quelli che dovevano essere i suoi attrezzi del mestiere: soldi, marchingegni e documenti di ogni genere.
  • “Non mi sono fatta cogliere impreparata!”- lo sfidò sagace tirandosi su le maniche della camicia. Tommy notò senza sorprendersi che era ancora vestita da uomo, fu certo che per lei quelli erano gli unici vestiti consoni da indossare, aveva pantaloni mogano tirati su con le bretelle e una camicia ingiallita e rattoppata che le conferivano insieme la credibilità di un uomo e la sensualità di una giovane donna, quella sensualità che nasce dal celare le proprie bellezze.
  • “Non sto dicendo che accetto il suo patto…”- disse Thomas per conservare un po' di integrità
  • “Lo so, sono qui per convincerla…”
Arabella tirò fuori piantine e documenti, iniziò a destreggiarsi come una cartografa o una burattinaia tra i fili dei suoi discorsi: parlò di agguati e di spedizioni punitive, di vendette e di vite riscattate; la sua arguzia e la sua intelligenza trasudavano dalle parole e dagli sguardi, una malvagità non voluta si celava dietro i dettagli di un piano perfetto su cui aveva lavorato per i sette anni in cui i fratelli avevano lavorato come schiavi alla fornace, subendo qualsiasi sevizia e ingiustizia per salvare la famiglia dalla fame e dalla strada. Sembrava danzasse senza imbarazzo nel contatto fisico, sollevando il mento del suo possibile socio quando non lo vedeva concentrato, facendosi scivolare intorno a lui per raggiungere questo o quel foglio, permettendosi di colpirlo, di sedersi su un lato della sua sedia, di rubargli una sigaretta… Sfidava lo sguardo di Thomas e le sue domande come se avesse studiato il copione per quella conversazione tutta la vita, sembrava non respirasse quando illustrava i cavilli del contratto che avrebbero sottoscritto insieme come esito del piano e poi quando ore dopo quel groviglio di sotterfugi fu districato si sedette di fronte Tommy, e con occhi imploranti aspettò un verdetto.
  • “Hai preparato davvero una bella scenetta, devo dire che sono impressionato dal lavoro che hai fatto… ma non sono qui per accettare di impiegare uomini e tempo in un colpo che non mi frutterà più denaro di quanto non me ne costi…”- Thomas si accese una cicca bianca ed espirò una nuvola di fumo denso.- “ sono qui perché c’era un particolare nella tua offerta che potrebbe valere  la riuscita del piano..”- fece baluginare i propri occhi tersi nella penombra.
Arabella sogghignò furbescamente, girò dietro una scrivania e ne estrasse una busta…
  • “Ecco il mio pasticcino per attirarla nell’affare, Mr. Shelby”- sventolò la busta come un araldo da guerra.
  • “Una lettera?”- replicò lui scettico.
  • “Una lettera… scritta da Thomas Shelby, il primo della famiglia, nel 1879 sul suo letto di morte. Dice qualcosa a proposito di uno zaffiro, qualcosa a proposito di una donna che ne conosceva i segreti”- avanzò elegante verso il gangster assomigliando ancora una volta ad una serpe che danza al suono del flauto di un incantatore, lui allungò una mano trepidante per la curiosità- “ nah-ah-ah, prima gli affari, poi il pagamento.”- lo ammonì lei.
  • “Come faccio a sapere che non mi stai ingannando? Che quella busta non è un falso o che è semplicemente vuota?”- la interrogò.
  • “Credo che dovrà fidarsi almeno un poco, nel caso in cui sia una fregatura può sempre uccidermi… ma mi creda, il viaggio che intraprenderemo quando aprirà questa busta non sarà semplice come il piano che le ho appena illustrato…”




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