Yes, Sir!

di Red_Coat
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Due giorni dopo …
 
Icicle Inn,
Ore 23:00
 
La divisa ancora ben calzata addosso nonostante tutte le ore di lavoro svolte, Colin riordinò con un sorriso soddisfatto per bene il banco della reception mettendo a posto tutto ciò che non lo era, e preparando infine il registro e tutto l’occorrente per il suo collega del turno di notte.
Era stata una lunga giornata ma non così pesante, e svolgere le sue mansioni al massimo lo aveva riempito di gratificazione. Ora che tutti gli ospiti avevano cenato e si erano chiusi nelle loro camere poteva concedersi un po’ di riposo anche lui, ma il suo collega sembrava tardare.
Guardò l’orologio, corrucciandosi. “Dove accidenti si sarà cacciato?”
Alzò una mano verso la cornetta del telefono, per chiamarlo utilizzando i cellulari che avevano in dotazione, ma proprio in quel momento la porta d’ingresso dell’albergo si spalancò in maniera anche abbastanza violenta, facendolo sobbalzare, e fecero il loro ingresso da essa tre, anzi quattro strani tipi, vestiti in nero e dall’aria abbastanza sinistra.
Erano un ragazzo e tre uomini, il primo e due dei secondi avevano i capelli bianchi come la neve, il quarto invece li aveva neri come le piume di un corvo.
Non lo riconobbe subito perché la sua faccia era parzialmente nascosta dalla spalla del più piccolo, che faceva da capo alla banda e l'unica ciocca bianca si camuffava facilmente; inoltre era svenuto, e a portarlo di peso sulle proprie spalle era quello che sembrava il più forte (e anche il più manesco) dei tre, un tipo dall’aria accigliata e due folte basette che tuttavia sembrava prendere sul serio il suo compito. Lo teneva per entrambe le braccia per evitare che cadesse e nel frattempo gli reggeva le gambe coi gomiti, facendogli assumere una posizione un po’ scomoda anche vista la sua altezza.
Eppure sin da subito gli parve di averlo già visto da qualche parte, ricordandosene quando infine i tre si avvicinarono al bancone. Sgranò gli occhi, rabbrividendo. “Victor Osaka?” pensò, senza parlare.
La sua espressione stupefatta lo fece per lui, ma gli altri sembrarono ignorarlo. Lo guardò meglio, e non ebbe più dubbi. Era il marito della sua amica d’infanzia Hikari, ne fu sicuro anche se erano passati ormai quasi due anni dal loro ultimo ed unico incontro. Ma … lei dov’era? E suo figlio? Che ci faceva da solo lui lì, in quelle condizioni per giunta, e con quei tre tipi loschi?
Un’ombra scura calò all’improvviso nei suoi pensieri: Loro abitavano a Midgar, la città che era stata distrutta dall’apocalisse … che anche lei…?
Un sacchetto pieno di monete piombò sul bancone ad interrompere bruscamente quei suoi pensieri.
 
«Avete modo di chiamare un medico?» gli chiese il ragazzo più giovane dei tre, con un’aria piuttosto autoritaria «Veniamo dal ghiacciaio. Mio fratello si è sentito male mentre attraversavamo la steppa per giungere fin qui.» spiegò brevemente, indicando Osaka con un cenno del capo.
 
“Fratello?”
Colin sgranò nuovamente gli occhi e sbatté un paio di volte le ciglia, incredulo.
In effetti si assomigliavano un po’, ma … non gli aveva mai detto di avere dei fratelli, nemmeno Keiichi aveva accennato a degli zii? In effetti però … non è che fossero rimasti in così buoni rapporti, durante il loro primo soggiorno lì.
La lunga e argentea canna di una pistola gli fu puntata contro da uno dei due giovani uomini, quello dai capelli più lunghi e dall’aspetto all’apparenza più tranquillo.
 
«Allora?» gli domandò, anzi gl’impose, ma continuando a mantenere un tono di voce fin troppo pacato.
 
Colin trattenne il fiato, alzando le mani in segno di resa. Si schiarì la voce, e annuì più volte nel frattempo, inghiottendo a vuoto un groppo di saliva.
 
«C-certo, c-certamente. Perdonatemi, provvederò subito a chiamare il nostro medico di fiducia.» disse afferrando tremante la cornetta del telefono.
«Non serve, chiami questo numero.» disse il più piccolo appoggiando bruscamente un foglietto di carta su cui era scritto un numero di cellulare e un nome.
 
“Yukio Fujita?”
Sorrise. Che coincidenza.
 
«Era proprio ciò che stavo per fare.» annuì, lasciandoli per un attimo sorpresi «Attualmente il dottor Fujita si trova ospite proprio nel nostro villaggio, per far visita ad un’anziana donna malata. Ma … posso chiedere voi come lo conoscete?»
 
Kadaj lo scrutò serio per qualche istante, poi sogghignò.
 
«Tsh!» soffiò infastidito.
«Che domanda idiota!» sbottò Loz.
 
Yazoo fece scattare la sicura della Velvet Nightmare, facendogli immediatamente capire di aver sbagliato a porla. Stava per scusarsi, ma il capobanda non gliele diede il tempo.
 
«Smettila di ciarlare allora, e datti una mossa.» gli ordinò risolutivo «Ci servono anche una stanza, molte coperte e quanto più cibo riuscite a procurarci. Non mangiamo da giorni!»
 
Anche se, almeno per quanto riguardava loro tre, quello era l’ultimo dei loro problemi.
Il giovane uomo annuì, afferrando la chiave della stanza più grande che riuscì a dar loro e accettando il loro sacchetto di gil anche se ne sarebbero serviti almeno altri due per saldare il prezzo totale. Ma non gli sembrava il caso di fare altre storie così si lasciò strappare la chiave di mano e li lasciò andare, lanciando un’ultima occhiata alla sua vecchia conoscenza prima di vederli scomparire dietro le scale che portavano al piano di sopra.
Labbra quasi bluette e screpolate, profonde occhiaie, colorito fin troppo pallido.
Qualsiasi cosa fosse accaduta … era messo davvero male per riuscire a poterne parlare ora. Avrebbe aspettato che le cure mediche facessero il loro effetto, e nel frattempo chiesto qualche dettaglio in più al dottor Fujita. Almeno lui sapeva come mettere a proprio agio le persone anche in caso di risposta negativa.
 
\\\
 
La stanza era grande e spaziosa nonché adeguatamente calda e accogliente, ma disponeva solo di due letti e un divano a due posti rivestito di velluto verde smeraldo, collocato vicino ad una robusta scrivania in legno chiaro e una piccola libreria a credenza con ante in vetro, in cui erano stati collocati per lo più libri di narrativa e guide turistiche della zona oltre a manuali di sci, pesca e altre attività simili e vari opuscoli di enigmistica, alcuni ancora impacchettati nella loro pellicola di plastica.
Loz abbandonò Victor su uno dei due letti, traendo un profondo sospiro sollevato e sgranchendosi un po’ mentre Kadaj si occupava di sistemarlo meglio sul materasso.
 
«Aaaah!» esclamò sollevando le braccia in aria «Per la miseria, quanto pesa.» commentò, poi passò a sgranchirsi il nervo cervicale.
 
Qualcuno bussò alla loro porta. Si allertarono, ma la voce di un cameriere li raggiunse.
 
«Servizio in camera.» disse «Ho le coperte e il cibo che avevate chiesto.»
 
Dopo un cenno del capo di Kadaj, Yazoo andò ad aprire, prese il necessario e permise appena al cameriere di entrare col carrello del cibo, stracolmo.
 
«La cena vi verrà offerta per scusarci dell’inconveniente incontrato in reception. Una buona notte.» disse il ragazzo, poi si congedò con un inchino, evitando i loro sguardi minacciosi.
 
Non appena se ne fu andato il pistolero chiuse a chiave la porta e gli diede le spalle, rivolgendo una lunga occhiata agli altri due.
Loz era intento ad osservare il panorama innevato fuori dalla finestra, a braccia conserte e con un’espressione seria sul volto, Kadaj dopo aver sistemato le coperte su Victor gli si era seduto accanto, e proprio in quel momento scrutò assorto il suo aspetto emaciato, il viso serio e le labbra pallide e screpolate.
Lo vide alzare una mano e portarla a stringere quella coperta dal guanto di Osaka.
 
«Niisan ...» gli disse, gli occhi lucidi «Abbiamo chiamato il medico, dicono arriverà presto… resisti.»
 
Sospirò, e dopo esser rimasto ancora un attimo nello sconforto si voltò verso di lui, come riscuotendosi. Il pistolero sospirò a sua volta, avvicinandosi, e volle dire qualcosa ma non trovò nulla di utile per confortarlo. Avevano già fatto tutto quello che Victor aveva detto loro, non rimaneva che aspettare che si svegliasse. Non c’era motivo di essere spaventati, in fondo lo sapevano bene …
 
***
 
Qualche ora prima …
 
Victor Osaka si svegliò di soprassalto dopo l’ennesimo terrificante incubo, tremante e sudato, ma stavolta non si ritrovò da solo. Kadaj era seduto accanto a lui alla sua destra, e anche Yazoo e Loz lo erano. Quando lo videro riaversi si voltarono a scrutarlo e l’osservarono preoccupati.
 
«Niisan.» fece Kadaj «Ti sei svegliato?»
«Sei sempre più pallido.» osservò Loz «Hai avuto un incubo?»
 
Il 1st class sospirò, chiudendo per un altro istante soltanto gli occhi. Prese un respiro, poi scosse il capo e si alzò, stupendoli.
 
«Sto bene.» disse «Possiamo andare, ora dovrei farcela.»
 
Uscì dalla caverna, un vento gelido lo sferzò ma resistette senza cadere.
 
«Niisan, dobbiamo aspettare che passi la tempesta.» propose il più piccolo, accostandoglisi e urlando per sovrastare il fragore del vento.
 
Lui scosse il capo, e stava per rispondere quando gli parve di sentire un suono famigliare tra quegli urli cupi. Sembrava … l’ululato di un lupo, e sentì il suo cuore rallentare i battiti.
 
«Lo sentite … anche voi?» bofonchiò scrutando i dintorni avvolti dal fitto nevischio.
 
I tre si misero in ascolto e la conferma non tardò ad arrivare.
 
«Mh.» disse Kadaj, annuendo sicuro.
«Sembra …» iniziò Yazoo.
«Un lupo, è l’ululato di un lupo!» esclamò Loz.
 
Non appena lo fece, un ululato ancor più lungo e vicino si fece sentire, il vento si placò e la tempesta lentamente lasciò per un attimo spazio al cielo sereno. Nel cuore di Osaka nacque la convinzione che quello era il momento giusto per riprendere il cammino.
Sogghignò, e lanciò un’occhiata a Kadaj che annuì deciso facendo cenno anche agli altri, incontrando il loro favore.
 
«In marcia, prima che ricominci.»
 
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Lungo il tragitto fino alla fine della scalata non ebbero alcun tipo di problema, la tempesta si placò e Osaka sembrò aver recuperato parte delle sue energie, non tutte ma comunque quanto bastava per completarla.
 
«Non pensavo sarebbe stato così facile.» rise soddisfatto Loz mentre guardava il muro di ghiaccio di fronte a sé, pensando con sollievo di averne appena toccato la base.
 
Il vento sopra le loro teste riprese a fischiare normalmente. Victor sospirò a sua volta, pensando con un mezzo sorriso: “Neanche io …”.
 
«Hey, fratellone.» tornò a rivolgerglisi nuovamente il pugile «Da quand’è che anche gli spiriti della tempesta ti ascoltano?»
 
Era una battuta, in effetti risero tutti e quattro, ma dopo averlo fatto per un momento Victor parve impensierirsi pensandoci seriamente su. “Spiriti … della tempesta …?”
La sua memoria tornò indietro nei ricordi, alle poche volte che Fenrir aveva interagito per lui. Quando si era trattato di difenderlo da Minerva e Genesis aveva scatenato una tormenta di neve, ora ne aveva appena placata una per permettergli di attraversare indenne il punto più difficile della scalata, perciò … quella definizione non era poi così incorretta. Tuttavia …
Guardò in su, il cielo coperto da dense nuvole che aveva ricominciato a gettare altra neve sulle vette più alte del ghiacciaio. “Fenrir … cosa sei tu, davvero? E perché mi stai aiutando?”
Si chiese, ma per il momento non ottenne alcun’altra risposta, neanche più il lontano ululato perso nel vento.
Sospirò, sorridendo e scuotendo le spalle. “Non importa … finché sarai dalla mia parte, va bene così. In fondo fa sempre comodo l’aiuto di un Dio, per un dannato come me.”
Il cammino però era ancora lungo.
 
\\\
 
Un passo dopo l’altro, sprofondando fino alle ginocchia nella neve che avvolgeva la landa desolata e sentendo il ghiaccio avvolgere i muscoli e il freddo gelare le ossa, Victor Osaka camminò senza lamentarsi anche quando sentì le forze scemare pericolosamente e la stanchezza annebbiare la mente. Era il tramonto quando cadde in ginocchio, senza riuscire più ad alzarsi. I suoi tre compagni di viaggio accorsero ad aiutarlo.
 
«Niisan!» esclamò Kadaj, prendendo il suo braccio destro e passandoselo dietro il collo.
 
Yazoo fece lo stesso con il sinistro, Loz si mise dietro di loro per coprirgli le spalle e nel frattempo lui glielo lasciò fare, ma prima di ripartire li fermò, chiedendo solo qualche altro istante ancora.
 
«La mia bisaccia …» bofonchiò, guardando il più piccolo «C’è … una penna e un blocco note. Prendili.»
 
I due al suo fianco si guardarono confusi. “Che dovrà mai farci con carta e penna, in mezzo al nulla?”.
Ma obbedirono ugualmente, e quando infine lo spadaccino li ebbe tra le mani seguì accuratamente la sua richiesta, scrivendo un numero di telefono e poi un nome: “Yukio Fujita”.
 
«È un medico …» spiegò poi Osaka, annaspando alla ricerca di fiato e tremando dal freddo «Quando ... Quando saremo arrivati ad Icicle Inn, fermatevi al primo albergo che trovate e chiamatelo.»
 
Sgranarono gli occhi, sorpresi non tanto dalla notizia cha avesse il numero di un medico fidato, ma da quella che avesse deciso di fermarsi proprio lì. Ne avevano parlato mentre scalavano il ghiacciaio, o almeno avevano provato a farlo, visto che il SOLDIER non sembrava affatto contento di doverne discutere.
 
«Victor …» gli disse serio Kadaj, guardandolo negli occhi «Avevi detto di non volerti fermare ad Icicle Inn…»
 
Questi aveva sorriso amaro, scuotendo il capo e chiudendo gli occhi. Un paio di lacrime sfuggirono al suo controllo.
 
«Non abbiamo scelta …» mormorò «Credo di … non averne altra.»
 
Poi all’improvviso anche le sue ultime forze svanirono e lui cadde a terra, nuovamente privo di sensi. Era troppo stanco per continuare a dar retta alle sue paure, e aveva talmente fame da non sentire nemmeno più lo stomaco. Voleva solo un posto caldo dove poter riposare e qualcosa di buono da mettere sotto i denti.
Loz sospirò, mentre vedeva i suoi due fratelli accorrere di nuovo a sostenerlo e poi rivolgergli uno sguardo.
 
«Ah, lo sapevo …» commentò, poi si sgranchì le spalle e batte i pugni uno contro l’altro «Forza, sbrighiamoci o rischiamo di non arrivarci più, lì.» prendendolo sulle spalle.
 
A quel punto fu Yazoo a bofonchiare, contrariato.
 
«Avremmo fatto molto più in fretta se non avessimo dovuto portarcelo dietro …»
«Non dire stupidate, Yazoo!» lo sgridò il più piccolo, puntandogli contro la sua spada e rivolgendogli un’occhiataccia minacciosa.
 
Il fendente fu fermato dalla lunga canna d’acciaio della Velvet Nightmare, Yazoo vide il suo avversario tremare stringendo i pugni, e i suoi occhi riempirsi di lacrime.
 
«Hey!» l’interruppe Loz «Vi sembra il momento di giocare, questo? Sono stufo della neve, andiamocene!» disse, e iniziò a camminare da solo verso l’orizzonte brullo.
 
I due litiganti si lanciarono un ultimo sguardo torvo, poi sospirarono e abbassarono le armi, riprendendo a camminare seguendolo.
 
«Kadaj …» disse il pistolero dopo aver ascoltato per un po’ lo scricchiolio dei loro passi nella neve, sempre meno fitta.
 
La luce ormai era quasi del tutto assente e a qualcun altro in quella medesima situazione sarebbe venuto il panico per paura di perdersi, loro invece apparivano ora abbastanza tranquilli. La mappa e la bussola del fratellone indicavano loro la direzione, e poi … non erano nuovi a quella sensazione di smarrimento, ormai.
Il più piccolo sogghignò.
 
«Yazoo…» rispose, strappandogli un sorriso.
«Scusa per prima, è che …» disse l’altro, ma Loz lo interruppe canzonandolo.
«Che scena pietosa.»
«Fa silenzio e cammina!» replicò il pistolero infastidito.
«E tu chi sei per darmi ordini? Un Generale?» fu la risposta sfrontata.
«Fate silenzio tutt’e due e affrettate il passo.» li zittì invece Kadaj, portandosi in testa al gruppo «Fra poco le temperature scenderanno in maniera insostenibile e per il Niisan sarà pericoloso rimanere a lungo fuori.»
 
***
 
Adesso …
 
Yukio Fujita si era appena congedato dalla vecchia signora affetta da una forma ancora lieve di artrite, dopo averle somministrato qualche farmaco specifico e averle raccomandato riposo e pasti caldi e sostanziosi, quando il cellulare sprofondato nella sua tasca squillò.
Sospirò, fermandosi un istante.
Era stata una lunga giornata, sperava davvero di riuscire a tornare in albergo per riposare prima di poter ripartire, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato così facile.
 
«Quando finirà, quando …?» bofonchiò stanco, poi però si arrese e rispose.
 
Fu stupito di sentire dall’altro capo della cornetta la voce del receptionist Colin.
 
«Dottor Fujita, mi scuso per il disturbo ma abbiamo bisogno di lei qui in albergo. Un cliente ha chiesto appositamente una sua visita.»
 
Ancora più strano.
 
«Ha … chiesto di me?» bofonchiò, e mentre ci pensava si fece largo un sospetto che non seppe bene con quali sentimenti prendere «Come si chiama?» mormorò.
«A dire il vero …» disse il ragazzo dall’altro capo del telefono «Non me lo ha detto, ma c’era un uomo con lui che conoscevo. Avete mai sentito parlare di un certo Victor Osaka?»
 
Gli mancò il fiato all’improvviso.
Victor? Che ci faceva lì, chi c’era con lui?
 
«Ovviamente lo conosco.» disse, sorridendo intanto che sentiva gli occhi empirsi di lacrime che cancellò, seppur momentaneamente, con un battito di ciglia «È mio nipote. Come sta ora?»
«Oh …» fece Colin, alquanto meravigliato «Bhe, in questo caso … credo dovrebbe venire immediatamente. Non ha affatto una bella cera, e quando lo hanno portato qui era svenuto.»
 
Non ci pensò su due volte.
 
«Ho capito, sto arrivando. Grazie per avermi avvisato subito, Colin.» concluse.
 
Quindi chiuse la chiamata senza aspettare una risposta e si affrettò verso l’albergo, di cui poteva intravedere già l’insegna a neon alla fine della strada.
“Victor, Victor … in quale altro guaio ti sei cacciato, stavolta?”
 
\\\
 
Quando arrivò la hall dell’albergo era già vuota, ma nonostante il suo turno fosse finito da un pezzo Colin lo attendeva alla reception assieme al collega che avrebbe dovuto sostituirlo. Lo accolse con un sorriso, poi lo accompagnò al piano di sopra nella stanza ove si trovava Osaka.
Nel frattempo ne approfittò per metterlo in guardia sui suoi accompagnatori e togliersi quel sassolino dalla scarpa.
 
«Dottor Fujita …» iniziò, quando erano a metà della rampa di scale che portava di sopra «Perdonate l’impudenza, so che non sono affari miei ma … Quell’uomo è sposato con Hikari Saito, una mia amica d’infanzia. Vennero qui a festeggiare il loro anniversario e in quell’occasione conobbi anche il loro figlio, Keiichi. Voi … potete dirmi se … insomma, stanno bene, vero?»
Non appena sentì nominare Hikari e Keiichi sul suo cuore calò l’ombra scura della tristezza. Lo guardò negli occhi e sorrise, appoggiandogli una mano sulla spalla e scuotendo tristemente il capo. A Colin bastò questo per capire, e un nodo gli si strinse in gola.
 
«Per favore, ragazzo mio … non farne accenno con Victor, d’accordo?»
 
Annuì, vacillando paurosamente, poi lo lasciò accennando a un rapido inchino e corse nella sua camera a sfogare le lacrime. Hikari … Keiichi … cosa gli era successo? Perché Osaka … quell’Osaka non era riuscito a proteggerli?
 
\\\
 
Nella stanza regnava il silenzio più assorto. Victor era ancora incosciente, Kadaj gli stringeva la mano come se avesse paura di lasciarla, Loz li guardava assorto, a braccia conserte sul petto, e Yazoo sfogliava ben fingendo interesse.
Quando Yukio bussò tutti e tre si voltarono a guardare la porta mettendo mano alle armi. Yukio, inconsapevole di ciò, incontrando quel silenzio pensò che forse non lo avessero sentito oppure che stavano facendo finta di non averlo fatto. Sospirò e bussò nuovamente, in maniera un po’ meno brusca.
 
«Sono Yukio Fujita, Colin mi ha detto che mi avete cercato.» si presentò.
 
I tre si guardarono sgranando gli occhi, Kadaj fece cenno a Yazoo e questi andò ad aprire la porta. Trovandoselo davanti il medico lo fissò interdetto, notando subito la particolare somiglianza sia con Victor, che con Sephiroth. A dire il vero, forse per i capelli bianchi o gli occhi felini, quella verso quest’ultimo era molto più evidente. Sostenne il suo sguardo minaccioso, trattenendosi dal chiedere fin da ora chi fossero. Avrebbe avuto modo di parlarne più tardi, magari chiedendo direttamente a Victor più tardi.
E a proposito di questo …
Lo cercò con lo sguardo dietro le spalle del ragazzo, lo vide disteso sul letto, avvolto in più di una coperta. Non aveva affatto una bella cera.
 
«Posso entrare?» chiese sforzandosi di sorridere.
 
Yazoo parve riscuotersi, annuì e gli lasciò libera la strada, chiudendo la porta quando lo ebbe fatto.
Kadaj si alzò in piedi scrutandolo con attenzione esattamente come aveva fatto il fratello.
 
«Dovete salvarlo.» disse, quasi ordinandoglielo, gli occhi improvvisamente lucidi.
 
Fujita ne fu molto colpito, anche perché quel sentimento di angoscia sembrava accomunare tutti e tre, che lo fissarono seri in attesa di una risposta.
Sorrise, si avvicinò al suo paziente e fece per ascoltargli il polso, ma non ci riuscì. Era avvolto da una benda, camuffata da un nastro nero. Si corrucciò chiedendosi perché e preoccupandosi nel vedere quel sangue che la macchiava, ma fece finta di nulla e provò con l’altro, trovandolo nelle medesime condizioni. Prese allora lo stetoscopio dalla sua borsa e provò col metodo classico.
Il cuore c’era ancora, anche se il battito era un po’ più debole del previsto.
Sorrise, tornando a parlare con loro.
 
«E’ solo molto provato, nulla d’irreparabile.» disse, anche se quel sangue sui polsi non gli piaceva affatto.
«Ditemi, da dove arrivate?» tornò a chiedere «Ho bisogno di sapere cosa gli è successo per poterlo aiutare al meglio.»
 
Loz e Yazoo guardarono Kadaj, lo videro annuire stringendo i pugni. Se Victor si era fidato, perché loro non avrebbero dovuto farlo.
 
«Cratere Nord.» disse «Ci siamo incontrati là e siamo venuti fin qui a piedi. Era debole ancor prima di allora, però.» precisò «Ci ha detto di non aver avuto molte scorte con sé.»
 
Yukio annuì riflettendoci, mentre tornava a guardare il suo paziente. Cratere Nord … perché sarebbe dovuto andare lì? E soprattutto, perché non si era nutrito abbastanza?
Un sospetto gli morse il cuore.
 
«D’accordo, ora ho bisogno che voi mi lasciate un po’ da solo con lui.»
 
A quella richiesta i tre s’irrigidirono all’istante, ma fu ancora Kadaj a decidere che fosse meglio seguire quel consiglio, e controvoglia annuì uscendo di corsa della stanza. Gli altri due lo fissarono attoniti, ancora indecisi sul da farsi, poi però Yazoo decise di seguire il più piccolo e Loz dovette arrendersi e seguirlo.
Prima di chiudere la porta però si voltò a lanciargli uno sguardo truce, stringendo i pugni.
Finalmente solo, Yukio si concesse il lusso di prendere un respiro profondo prima d’iniziare. Chiunque fossero conoscevano molto bene l’arte della “persuasione” e sapevano come usarla.
 
«Bene.» disse infine, prendendo la sedia della scrivania e sedendosi accanto al nipote, prendendogli un braccio e iniziando a sciogliere la benda sotto la manica sgualcita del vecchio soprabito «Vediamo in che guaio ti sei cacciato stavolta.» sorrise.
 
Ma ciò che vi trovò sotto gli fece passare tutta la voglia di farlo ancora. Due ferite d’arma da taglio, guarite ma molto profonde. Rabbrividì, guardando senza parole il volto cereo del suo paziente. Aveva di sicuro perso molto sangue, e non nutrendosi abbastanza non aveva favorito il processo di rinnovamento ecco spiegato quel pallore cadaverico e le occhiaie.
 
«Non va bene … non va affatto bene …»
 
Ci sarebbe voluta una trasfusione urgente, ma non aveva i mezzi per praticarla e ci sarebbe voluto troppo tempo per recuperarli, quindi decise di usare entrambe le bottiglie di ricostituente che aveva portato con sé sperando che bastasse, e nel frattempo s’impegnò a medicare per bene tutte le sue ferite, che per fortuna non erano così gravi.
Ci volle circa un’ora e mezza, e alla fine sudato e tremante dalla fatica si accasciò sulla sedia asciugandosi la fronte con un fazzoletto bianco di stoffa.
 
«Accidenti, Victor … come puoi pretendere sempre che sia io a salvarti da questo genere di situazioni?» mormorò preoccupato, poi lo guardò e sorrise affettuoso «Ho fatto il possibile, ora dipende tutto da te … vedi di svegliarti, quei ragazzi lì fuori aspettano solo te. Sei stato fortunato ad averli a fianco.»
 
\\\
 
Nessuno dei tre trovò il coraggio di fiatare durante quell’ora e mezza, la più lunga della loro vita, ciascuno rimanendo assorto nei propri pensieri. Loz e Yazoo si sostennero a vicenda, appoggiandosi l’uno alle spalle dell’altro, Kadaj invece rimase per un po’ appoggiato alla parete vicino allora, poi all’improvviso si sentì troppo irrequieto per poter restare, e si diresse all’esterno, ritrovandosi a passeggiare per le strade innevate del villaggio, a quell’ora del tutto deserte.
I pugni stretti, gli occhi lucidi, la mente annebbiata che andava e veniva perdendosi in ricordi e pensieri che, all’improvviso, si rese conto forse non era nemmeno più i suoi. Strinse i pugni più forte, le labbra umide si accorse sapevano di sale.
 
«Niisan …» mormorò.

E proprio allora qualcuno lo chiamò da lontano.
 
«Kadaj!»
 
Sgranò gli occhi come se lo avessero colpito allo stomaco, si asciugò le lacrime trattenendo il fiato e si voltò giusto in tempo per vedere Loz accorrere.
 
«Cos’è successo?» chiese ansioso.
«Il medico ha finito, ha detto che il fratellone sta bene ora.» gli comunicò.
 
Un sorriso trionfante tornò ad accendere il suo viso e voltandosi nella direzione da cui erano arrivati corsero insieme verso l’albergo, con tutto il fiato che avevano in corpo e senza neanche guardare dove mettevano i piedi.
 
\\\
 
Yukio Fujita decise ch'era ora di andarsene circa dieci minuti dopo.
Avrebbe voluto aspettare che Victor si svegliasse, ma doveva ripartire al più presto per seguire un altro paziente, inoltre ora che il suo cuore aveva preso a battere in maniera tutto sommato regolare non c'era più motivo per lui di restare.
Era un ragazzo forte, si sarebbero sicuramente rincontrati prima che ...
Si alzò dalla sedia quindi, rimise tutti i suoi attrezzi nella borsa e si sistemò per bene il cappotto, la sciarpa e il cappello.
 
«Io vado, Vic. Bada a te, ti raccomando.» concluse con un sorriso, sfiorandogli la fronte con una carezza.
 
Poi uscì dalla stanza e si richiuse dietro la porta, trovando ad attenderlo due dei tre ragazzi che lo fissarono riscuotendosi, ansiosi di sapere.
Mancava il più piccolo, quindi chiese
 
«Dov'è il terzo?»
«Vado a chiamarlo!» esclamò Loz, fiondandosi giù dalle scale.
 
Due minuti dopo si ritrovarono tutti seduti al bar della hall, Yukio sorseggiava un caffè e loro lo stavano a guardare, in trepidante attesa del responso.
 
«Prima di tutto ...» iniziò guardandoli negli occhi «Non so chi voi siate, né come vi siate incontrati, ma ... grazie per aver salvato mio nipote.»
 
Quella rivelazione parve stupirli parecchio, perché lo guardarono sgranando gli occhi e poi si lanciarono occhiate confuse.
Sorrise.
 
«Si rimetterà. Ha la pelle dura ... Stavolta però ha davvero rischiato grosso ...»
 
Stava per accennare loro delle ferite ai polsi e della probabilità che avesse più volte tentato il suicidio prima d'incontrarli, ma si trattenne. Se Victor aveva voluto tenerli all'oscuro in merito a questo, lui non si sarebbe preso la briga d'intromettersi. Avrebbero avuto ancora un'ultima occasione loro due, per parlarne a quattrocchi.
Sospirò.
 
«Era molto debole, ci vorrà del tempo prima che si riprenda.» seguitò.
«Quanto tempo?» chiese Yazoo, serio.
 
Kadaj lo guardò quasi volesse ammonirlo.
 
«Non molto, all'incirca una settimana, forse due.» gli rispose lui, ignorando quella circostanza «Tutto dipende da lui e da come il suo corpo reagirà alla medicina che gli ho iniettato endovena. È un ricostituente, ma da solo non basta. Nel frattempo dovrete assicurarvi che si nutra in maniera adeguata, e soprattutto che non prenda freddo o non subisca altre ferite prima della sua guarigione completa.»
 
Poi si alzò, e fattosi serio concluse fissandoli.
 
«Abbiate cura di lui, per favore. Io e sua madre ... è l'unica cosa che vorremmo davvero.»
 
Quelle parole li colpirono, l'accenno alla madre ... fu come un segno per loro, anche se non stavano parlando della stessa entità. Ma per Yazoo e Loz fu come ricevere quell'incoraggiamento che aspettavano da tempo.
Annuirono, Kadaj invece fissò il medico con le lacrime agli occhi e il dolore nascosto dietro ad un'espressione atona, stringendo l'elsa della sua spada.
A Yukio bastò come risposta, li ringraziò di nuovo con un cenno del capo e se ne andò dopo aver pagato il suo caffè.
Il tutto mentre, a loro insaputa, Colin osservava la scena da dietro la vetrata del giardino, seduto a bordo di quella piscina dove lui e Osaka si erano parlati per l'ultima volta; il viso rosso di lacrime, gli occhi lucidi, le mani strette a pugno sulle ginocchia e una smorfia a contorcere le labbra rosee.
Hikari ... lei e suo figlio si fidavano di quell'uomo!
 
***
 
Cloud Strife gettò la vecchia divisa nel fuoco che aveva acceso per resistere al freddo intenso della notte e si sedette a guardarla estinguersi, divorata velocemente dalle fiamme divampante e intense. L’aveva sostituita con qualcosa che ne richiamasse la foggia, una maglia nera con apertura centrale a cerniera e dei pantaloni larghi, e aveva tenuto gli stivali. Le parti metalliche come gli spallacci e il guanto di mithril li aveva tenuti invece, nascosti nella bisaccia e per ora senza alcuna intenzione di usarle. Avrebbe presto dovuto trovare un modo per camuffare il marchio del geostigma, che si espandeva a macchia d’olio sul suo braccio sinistro.
Gli occhi fissarono le fiamme senza vederle davvero, assorte nei ricordi che attraversarono rapidi la sua mente, primo fra tutti quello vivo di Zack Fair, che tornò a fargli compagnia.
Il suo sorriso ... Le sue parole ... Il suo modo gentile e scherzoso di metterlo a suo agio, e ...
Una smorfia di dolore contorse le sue labbra, chiuse le palpebre e abbassò il volto soffocando un singhiozzo.
Quella divisa ... Era stata il suo ultimo regalo, assieme a tutti i suoi sogni, i suoi ricordi... gli aveva donato tutto, perfino la sua stessa vita.
E lui? Lui ...
Alzò gli occhi al cielo fissando le scintille del falò che si libravano in alto sospinte dal vento, verso le fulgide stelle a cui speravano di poter fare compagnia. Loro morivano quasi subito, lontane dal fuoco, mentre quegli algidi astri ... avrebbero continuato a restare lì per sempre a ricordare quelle innumerevoli sconfitte.
Prese un rametto di legno tra quelli che erano avanzati per creare il falò e spinse dentro le fiamme un pezzo di stoffa nera ch'era rimasto fuori, guardandola bruciare fino alla fine.
 
«Zack ...» mormorò, un filo di voce e gli occhi lucidi «Scusami ... Io ...» scosse il capo, sorridendo amaro «Non sono stato in grado di ricambiare il favore. Non avrei dovuto appropriarmi di qualcosa che non era mio ...» concluse.
 
Poi prese la Buster Sword al suo fianco, e se l'avvicinò al viso, appoggiando la fronte alla lama ruvida e ammaccata.
 
«Da adesso in poi ...» promise, tornando a guardare la lama «Cercherò di fare le cose a modo mio ...» sorrise amaro «Devo cercare di capire ... chi sono io?»
 
Sospirò nuovamente, una fitta di mal di testa lo scosse di nuovo, spingendolo a prendersela tra le mani e digrignare i denti.
Immagini confuse si fecero largo, il geostigma tornò a far male così tanto che ad un certo punto ringhiò credendo di morire.
Un attimo prima sentì le forze lasciarlo, ma quello dopo tutto tornò alla normalità, lasciandolo incredulo a guardarsi intorno.
Le mani tremavano, la testa doleva ancora ma quello non era nulla in confronto alla confusione in cui si ritrovò avvolto, come se non riuscisse più a ragionare chiaramente.
In più aveva freddo, troppo. La febbre doveva essersi alzata di nuovo, senza che se ne fosse accorto.
Sospirò appoggiando la testa al tronco che aveva scelto come schienale e chiudendo gli occhi.
Almeno stavolta ... non lo aveva sentito ridere. Sephiroth ... se solo non ci fosse stato lui a rendergli le cose ancor più difficili ... ma non ci sarebbe voluto più molto tempo ormai, prima che anche quell'ultima parte della sua essenza svanisse. Ormai l'ex eroe di SOLDIER era morto mentre lui era ancora vivo e vegeto, ci sarebbe voluto del tempo ma avrebbe trovato un suo posto, una dimensione in cui stare bene con ciò che era.

 
(Continua ...)




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