Capitolo 28
Kanon fissava da ore un punto indefinito dell’orizzonte, nel
quale il confine del mare si perdeva con l’azzurro del cielo, rendendo
impossibile comprendere dove finisse l’uno e dove iniziasse l’altro. Era sempre
stato così, da che ne aveva memoria: la vista da Capo Sounion, nelle giornate
sgombre da nubi, dava l’illusione di un mare che si riversava direttamente in
cielo, o forse era il contrario, non l’aveva mai capito davvero.
Seduto sulla roccia intiepidita dal calore del sole greco,
la sua mente non riusciva a focalizzarsi su niente che non fosse il susseguirsi
degli eventi che lo avevano suo malgrado coinvolto negli ultimi giorni, le cui
conseguenze erano oramai totalmente fuori dal suo controllo.
Si era sforzato, da quando Athena gli aveva concesso una
possibilità di redenzione, di cancellare quella dannazione che si era sempre
sentito addosso come un’ombra nella sua precedente vita, fino ad illudersi di
esserci riuscito.
Che stolto! Distolse per un attimo lo sguardo dall’orizzonte
per rivolgerlo con disprezzo alle sue mani. Aveva abbassato la guardia e si era
esposto al fato, consentendo ad altri di decidere per lui, andando contro il
suo proprio sentire, che gli urlava di non lanciare il suo colpo contro una
ragazza inerme, per quanto gli venisse richiesto di farlo da chi, in quel
momento, pareva avere in mano solo certezze e verità assolute. Ma la rabbia che
provava non era rivolta agli altri, per quanto li ritenesse corresponsabili
dell’accaduto. Tutti, Alexander compreso. Ma, se l’anima di Juliet si fosse
davvero persa per sempre, avrebbe potuto biasimare solo se stesso, l’unico a
non meritare perdono alcuno.
Si chiedeva come avesse potuto trascinare le cose fino al
punto del non ritorno, senza essersi reso conto di quello che stava accadendo. Julian
Solo e Pandora sostenevano ci fosse stata un’interferenza. E lui non si dava
pace per non essere stato in grado di percepirla, di contrastarla e di tirarla
fuori in tempo da quella dannata spirale dimensionale.
Lady Isabel aveva disposto l’immediato e urgente
trasferimento del corpo di Juliet al tredicesimo tempio, effettuato con l’aiuto
del cavaliere della prima casa, e aveva immediatamente convocato il cavaliere
di Virgo, nella speranza che il suo consulto potesse essere in qualche modo
d’aiuto.
Kanon, che era rimasto in disparte per la maggior parte del
tempo, ad un certo punto non aveva retto la tensione e si era allontanato senza
nemmeno congedarsi. Non era in vena di formalità. Ma soprattutto voleva evitare
ad ogni costo di incrociare qualcuno dei suoi due fratelli, che sapeva essere
entrambi al Santuario.
Kanon non era un vigliacco, il suo passato dava più di una
dimostrazione della sua capacità di assumersi le proprie responsabilità, ma al
solo pensiero di un confronto con loro, sentiva venir meno tutto il suo
coraggio.
Non sapeva se qualcuno si fosse degnato di informare
dell’accaduto i diretti interessati, premurandosi di specificare la sussistenza
di un legame di sangue che li portava ad essere i parenti a lei più prossimi attualmente
in vita. Certo, senza contare il padre, che però solo pochi giorni prima le
aveva sparato addosso dopo 12 anni che non si vedevano, per poi scomparire di
nuovo nel nulla.
Una risata amara gli sfuggì dalle labbra, quando gli venne
in mente che forse il suo disastroso rapporto con Saga non era più da
considerare il peggior esempio di legame familiare distorto di cui era a
conoscenza.
“Sapevo di trovarti qui, Kanon, ma non avrei immaginato di
trovarti a ridere da solo di fronte al niente. Devo preoccuparmi?”
La voce arrivò chiara alle sue orecchie, superando il rumore
della brezza marina e delle onde che si infrangevano sugli scogli e, immediatamente,
tutti i muscoli di Kanon si tesero fino allo spasmo, bloccandogli la
respirazione.
Il nuovo arrivato, avvicinandosi da dietro, posò una mano
sopra la sua spalla
“Rilassati cavaliere. E respira. Qualcuno si è già preso la
briga di raccontarmi l’accaduto, con tutti i dettagli annessi e connessi”.
“…” Kanon cercava invano di articolare qualche parola che
gli consentisse di esprimere, se non altro, la sua costernazione.
“E soprattutto, smettila di sentirti in colpa, di cercare il
castigo divino o la dannazione eterna. La tua aura è insopportabilmente
deprimente, ancor più di quanto lo sia questo luogo” gli disse mentre scivolava
nella roccia per sedersi al suo fianco.
Kanon ebbe finalmente il coraggio di voltarsi e guardarlo in
faccia. Ciò che lesse nello sguardo del cavaliere della Fenice era tutto fuorché
quello che si sarebbe aspettato.
Una risata profonda, sincera e priva di qualsiasi ostilità o
recriminazione, scaturì dalla bocca di Phoenix, che prontamente commentò lo
sguardo di stupore che gli veniva rivolto da Kanon.
“Che c’è? Sembri quasi sorpreso di vedermi. Eppure avrei
giurato che la tua fuga dal Santuario avesse in qualche modo a che vedere con
me. O mi sbaglio, Kanon?”
“Mhmpf” Kanon si riprese in fretta dallo stupore e, in
perfetta sintonia con il tono canzonatorio dell’altro, si apprestò a rispondere
“Può essere che non ti sbagli, cavaliere. Come non credo di sbagliarmi nemmeno
io se presumo che tu sia qui per sfuggire ad una situazione che al momento ti
risulta, passami il termine, emotivamente destabilizzante”.
“Vedo che il tuo acume è rimasto intatto, e me ne
compiaccio” rispose ironicamente Phoenix, per poi farsi più serio “L’emotività
di Andromeda al momento basta e avanza. Come sai non sono fatto per questo tipo
di sentimentalismi, io”.
Kanon non potè fare altro che annuire, rivolgendo nuovamente
lo sguardo di fronte a se.
“Come procede?” riuscì a chiedere dopo qualche minuto. In
realtà avrebbe voluto dire “Come sta
lei?” ma qualcosa dentro di lui impediva alle parole di defluire.
“Virgo e Athena sono con lei. Non credo sinceramente che né
io, né tu, né nessun altro presente al Santuario potrebbe in questo momento
essere più d’aiuto di loro.
E sebbene mi costi ammetterlo, anche il contributo di
Pandora potrebbe rivelarsi significativo”.
“Beh, lei farebbe bene a rendersi utile, vista la sua
insistenza nel farmi lanciare quel maledetto colpo. Per non parlare di Julian
Solo, che ben sapendo che io …”
“Kanon” lo interruppe l’altro “Le recriminazioni non
porteranno a niente. Tutti hanno agito in buona fede, di questo sono certo.
Lady Isabel me lo ha assicurato, è stata lei a dare il benestare”.
“Già, lo so bene. Solo che io dovrò sopportare il peso di
essere stato l’esecutore materiale. Lei si è fidata di me e io l’ho colpita,
dopo averle detto di chiudere gli occhi. Non sono nemmeno riuscito a sostenere
il suo sguardo mentre…”
“Come sono?”
“Cosa?”
“I suoi occhi. Ho visto per un attimo il suo corpo disteso,
ma non sono riuscito ad immaginare il suo sguardo”.
Kanon esitò un attimo, riflettendo e cercando i dettagli
nella sua memoria. Si stupì di quanto questi fossero rimasti vividi e impressi
nella sua mente.
“…. Sono verdi. Dello stesso colore di quelli di tuo
fratello. Ma lo sguardo è esattamente come il tuo: caparbio, sfrontato, impertinente
e …”
La risata spontanea di Phoenix lo interruppe “Noto che hai
sempre un’alta considerazione della mia persona”.
“Sai perfettamente che la mia considerazione nei tuoi
riguardi non si fa influenzare dal fatto che tu abbia oggettivamente un pessimo
carattere, Phoenix”.
“Oh, lo so bene, ma è grazie al mio pessimo carattere che
noi due ci intendiamo al volo, Kanon. Com’è che si dice, chi si somiglia si
piglia, no?”.
Kanon stava per rispondere piccato alla battuta, quando
l’espandersi di un cosmo conosciuto catturò tutta la sua attenzione e mise in
allerta i suoi sensi. Non poteva essere, non aveva alcun senso, ma per un
attimo fu convinto di avere percepito il cosmo di suo fratello Saga. Fu per un
istante, solo per un impercettibile istante, ma era sicuro di averlo sentito.
“L’hai sentito anche tu?” gli chiese Phoenix, il corpo teso
in posizione di allerta.
E questa fu per Kanon la conferma che non era stato solo uno
scherzo della sua immaginazione.
Quando Juliet aprì gli occhi, la prima cosa di cui si rese
conto era che stava sudando. Sentiva caldo. Troppo caldo per essere a Berlino.
La seconda era che non aveva contezza del tempo che era
trascorso dall’ultima volta in cui ricordava di avere avuto gli occhi aperti.
La terza era che non ricordava esattamente tutti i dettagli
di quanto era successo durante quel tempo indefinito. La sua memoria le
rimandava in maniera sovrapposta due volti uguali: entrambi, in circostanze
diverse, le avevano chiesto di chiudere gli occhi. Ricordava le loro diverse
sfumature di voce e soprattutto ricordava perfettamente i nomi di entrambi:
Kanon e Saga.
Qualcuno intorno a lei si mosse, rendendola improvvisamente
consapevole di non essere sola nella stanza. La prima persona che vide fu una
ragazza, con lunghi capelli portati sciolti sulle spalle. Pensò che non
potevano essere naturali. I riflessi viola erano troppo intensi.
Quando si accorse che appena dietro la ragazza c’era un
tizio biondissimo, che sembrava dormire in piedi, si chiese se non fosse morta
e quelli non fossero traghettatori venuti a prendere la sua anima.
Non percepiva nessuna minaccia evidente da parte loro, ma non
sapendo esattamente come interagire con degli sconosciuti e sentendosi
piuttosto a disagio, oltre che spossata e priva di energie, si limitò ad
osservarli, restando silenziosamente in attesa che uno dei due facesse una
qualche mossa.
“Bentornata Juliet” la ragazza dai capelli viola parlò per
prima, con un tono di voce piuttosto rassicurante.
“Grazie”si sentì in dovere di rispondere qualcosa, se non
altro per ricambiare il tono cortese con cui le si era rivolta.
“Posso comprendere la tua confusione nel ritrovarti
improvvisamente in un ambiente nuovo, circondata da persone sconosciute. Ma non
temere, Alexander è qui fuori e se ti fa stare più tranquilla, posso mandarlo a
chiamare”.
Al solo sentir nominare Alexander, il volto di Juliet si
contrasse in una smorfia involontaria. E si affrettò a rispondere
“Non c’è bisogno grazie. Piuttosto Claire è con lui? L’hanno
recuperata?”
La ragazza dai capelli viola scosse leggermente la testa, e
rispose con un tono che sembrava sinceramente affranto.
“Non ancora, mi dispiace. Ma non devi stare in pensiero,
l’Agenzia sta portando avanti la missione di recupero a San Pietroburgo, con
l’aiuto del Cavaliere dello Scorpione”.
Juliet ricordava di avere espressamente richiesto ad
Alexander che Milo, Walt e Lucas lasciassero Berlino per andare in Russia a
cercare Claire.
Si guardò attorno con più attenzione e si rese conto che la
stanza in cui si trovava era infinitamente più ampia di quella del Park Inn. E
la vista che si intravedeva dall’ampia finestra non era neanche lontanamente
simile a quella che ricordava. A meno che a Berlino non avessero portato il mare.
“Mi avete trasferita in un altro albergo?” articolò la
domanda in maniera razionale, sebbene si aspettasse una risposta totalmente
irrazionale.
“Siamo in Grecia” le rispose infatti “E ti chiedo scusa se
ancora non ci siamo presentati. Io sono Isabel e lui è Shaka, cavaliere d’oro
della sesta casa di Virgo”.
Juliet associò immediatamente il nome di Isabel alla
Fondazione, ricordava benissimo il suo ruolo dal periodo in cui Claire era
stata in Grecia, anni prima.
Poi fissò il tizio che, nonostante avesse impercettibilmente
mosso il capo, quasi a voler mimare un gesto di saluto, continuava imperterrito
a tenere gli occhi chiusi.
“Siamo a casa sua dunque?” chiese indicandolo.
“Siamo al Tredicesimo Tempio del Santuario di Athena”
rispose direttamente lui, sempre senza aprire gli occhi. Poi le si avvicinò e
improvvisamente aprì gli occhi. Aveva gli occhi più azzurri che Juliet avesse
mai visto. E il suo sguardo la metteva decisamente in soggezione.
“Non temere, qui sei al sicuro” Isabel intuì forse il suo
disagio e cercò di rassicurarla. Poi si rivolse all’altro, con tono che a
Juliet sembrò amichevole e confidenziale, ma allo stesso tempo fermo e risoluto
“Shaka, devo allontanarmi per qualche istante. Preferisco che Juliet non resti
sola, e sarei più tranquilla a saperti qui con lei, in mia assenza”.
L’altro assentì, chinando il capo in maniera reverenziale
“Certamente Milady, al suo rientro mi troverà qui”.
Quindi Isabel si voltò verso Juliet e con un sorriso le
disse “Mi assenterò solo per breve tempo, certa di lasciarti al sicuro e in
ottime mani. Più tardi spero di farmi perdonare per questa scortesia”.
Juliet era interdetta dai modi in cui si rivolgeva a lei.
Avrebbe voluto sottolineare che non era una poppante che non sapeva stare sola
qualche minuto e aveva bisogno della baby sitter, ma qualcosa nell’estrema
gentilezza di quella ragazza le impediva di risponderle in maniera rude. Per cui
si limitò ad assentire.
Non appena Isabel lasciò la stanza, Shaka si diresse verso
la finestra, accanto alla quale c’era una bella panca di legno decorato,
ricoperta di cuscini di velluto, e si sedette sopra uno di quei cuscini.
“Dunque hai conosciuto il Cavaliere di Gemini” fu il primo a
spezzare il silenzio imbarazzante che si era venuto a creare nella stanza.
“Chi?”Juliet ebbe l’impressione che la sua domanda
nascondesse delle insidie.
“Kanon, ovviamente. Chi altri, se no?” si sentì gli occhi
azzurri di Shaka puntati addosso.
La sua risposta le diede la conferma. E decise di fare la
finta ingenua, per vedere cosa in realtà quel cavaliere volesse sapere.
“In realtà la parola Kanon e la parola cavaliere nella
stessa frase suonano come un ossimoro”.
Lui la scrutò con un’intensità tale che Juliet fece fatica a
non distogliere lo sguardo. Quando pensò che le avrebbe letto anche l’anima,
lui proseguì “Provi rancore nei suoi confronti, dopo quello che è successo?”
Juliet pensò attentamente alla risposta. La domanda la portò
a riflettere sull’accaduto e in tutta sincerità doveva ammettere che Kanon si
era dimostrato fin da subito assolutamente contrario all’esperimento. L’avevano
praticamente trascinato in una situazione che lui aveva chiaramente dichiarato
essere troppo rischiosa. In qualche modo si era preoccupato per lei. Non poteva
prendersela con lui.
“No. Non ce l’ho con lui per avermi lanciato quella specie
di macumba. E’ tutto quello che ha detto e fatto prima, che ha fatto si che io
mi costruissi un’opinione abbastanza precisa di lui”.
Shaka non si scompose per niente, e pacatamente proseguì
“A volte i nostri comportamenti o le nostre parole non
rispecchiano ciò che in realtà siamo. Conoscere l’animo di una persona nel
profondo non è impresa semplice, soprattutto quando si hanno solo poche ore a
disposizione”.
Juliet rimase colpita dalle sue parole, consapevole che in
esse ci fosse una grande verità. Ma soprattutto perché le riportarono alla
memoria le parole di Saga, che durante il suo “soggiorno” nell’altra dimensione
le aveva fatto delle sconcertanti rivelazioni. Rivelazioni che coinvolgevano
anche Kanon e che forse lei avrebbe preferito non conoscere.
Improvvisamente le venne in mente che Saga le aveva
esplicitamente chiesto di non far parola con nessuno del loro incontro e del
suo viaggio nell’altra dimensione, almeno fino a quando il nemico che incombeva
su di loro non si fosse rivelato. A quel punto, e solo in caso di estremo
pericolo e necessità, lei avrebbe dovuto richiedere a Kanon di lanciare
nuovamente il suo colpo contro di lei, e Saga sarebbe stato pronto a fare il
resto.
Ciò faceva scaturire in lei un forte senso di colpa nei
confronti di Kanon, che sarebbe dovuto rimanere ignaro di tutto, mentre lei ora
era a conoscenza di dettagli della sua vita che probabilmente lui non avrebbe
mai condiviso con lei, nemmeno sotto tortura. Lo avrebbe dovuto semplicemente usare,
in caso di estrema necessità, per consentirle di tornare in un’altra dimensione,
senza poter condividere con lui niente di ciò che era accaduto e stava accadendo.
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