Le
davano fastidio e Megan strinse per bene i pugni, decisa ad
affrontarle. Stavano sul campo a chiacchierare invece di prendere sul
serio gli allenamenti assegnati, sparlando di Kara e di come avesse
passato il tempo a divertirsi o a cercare un modo per essere migliore
di loro trascurando gli impegni con la squadra. Non poteva stare ad
ascoltarle per un altro secondo di più: «Siete
incredibili», urlò
camminando a passo spedito verso di loro. «Ingrate,
arroganti,
ridicole. Non provate neanche un po' di riconoscimento per tutto
quello che ha fatto Kara per noi, per la squadra?».
Una
di loro scrollò le spalle, cercando di inquadrare i volti
delle
compagne per avere manforte. «Oh, beh, e ora ci pianta in
asso per
una pillolina».
«Non
c'è nessuna conferma di questa storia».
«Beh,
il coach ci crede», sostenne un'altra ragazza, gonfiando il
petto.
Megan
alzò gli occhi al cielo, seccata. «Beh,
il coach è un idiota», sbottò. Si
accorse troppo tardi degli
sguardi delle ragazze che le stavano suggerendo, in ritardo, di
starsi zitta. Sbiancò, girandosi e trovando Millard a pochi
passi,
fumante di rabbia. Si stava preparando per l'eruzione del vulcano che
un'altra compagna di squadra, camminando verso di loro a testa bassa,
le portò con titubanza il cellulare che suonava, chiedendo
scusa a
entrambi, certa di aver interrotto qualcosa. Ignorava di averle
appena salvato la vita. «Devo… devo
rispondere», indicò il
cellulare e, con un finto e breve sorriso, gli sfuggì. Era
quasi
certa di averlo visto grondare saliva come un vecchio cane rabbioso,
ma ci avrebbe pensato dopo. Portò il cellulare all'orecchio
e
rispose senza che avesse prima visualizzato il numero. Appena
udì la
sua voce, le gambe smisero di muoversi.
«È
un brutto momento?».
Megan
prese un grosso boccone d'aria, per poi serrare le labbra con forza.
Eccolo. Dopo giorni e giorni e giorni ad aspettare che si facesse
vivo, esordiva con una domanda assurda, dovendo ben immaginare come
non aspettasse altro che risentire la sua voce. «…
Ho… Ho appena
dato dell'idiota al nuovo coach», bofonchiò e lo
sentì fare una
breve risata.
«Quindi
ti stai trovando bene».
Oh,
ma naturale, pensava che lo avrebbe salvato il sarcasmo? Giorni
trascorsi così nervosa, così in pensiero, e lui
faceva del
sarcasmo. «Dove sei? Dove sei stato?». Riprese a
camminare,
allontanandosi dal campo verso gli spalti. L'aveva tagliata dalla sua
vita all'improvviso senza una singola parola e ogni secondo in
più
che passava al cellulare, ogni parola in più che le diceva,
la sua
rabbia accresceva. Se poi era per dirle di aver trascorso quel tempo
a Metropolis e di aver tolto la sim dal cellulare per non essere
disturbato, come poteva, John, non prevedere che sarebbe scoppiata?
«Ti prendeva così tanto tempo inviarmi un
messaggio per dirmi che
saresti stato irreperibile? Sono stata in pensiero, John, per
giorni», sottolineò, tirando le labbra.
«Per-giorni. Avevo bisogno
di sapere che stavi bene e tu avevi tolto quella dannata
sim».
Lui
sospirò. «Non
volevo ti preoccupassi».
«E
cosa pensavi che sarebbe successo?», si nascose sotto gli
spalti
vuoti, schiena contro un pilastro.
Lui
ci mise un po' a rispondere: «Ci
siamo lasciati e tu…».
«E
io?».
«Non
mi hai dato una seconda possibilità e pensavo non mi avresti
cercato. Lo so che ti avevo detto che avremo parlato, ma
pensavo…
Sei impegnata. Avete le ultime partite e gli esami e-».
«Non
parlarmi come se fossi una studentessa qualsiasi», a quel
punto
inveì, passandosi una mano sui capelli, tirando dietro un
orecchio
una ciocca sfuggita all'elastico. «Io sono una:
non avete,
ho».
Prese un grosso respiro, stringendo un pugno. «Fammi capire
per
bene: il fatto che io non ti abbia subito il via libera
perché
volevo comprendessi come mi sentissi, mi impedisce in qualche modo di
preoccuparmi per te?! Ero in pena, John. Soprattutto ora che so che
lavoro fai».
«Mi
dispiace».
Lei
strinse gli occhi un istante. «Vai al diavolo».
Chiuse la
telefonata senza possibilità di replica, guardando poi il
cellulare
che tremava, stretto con collera. Lo fece, lo mandò al
diavolo. Si
sentì liberata di un peso e, allo stesso tempo, triste. I
propri
occhi apparivano così piccoli sullo schermo del telefono,
così
sottili e lucidi. Ma non avrebbe pianto. Megan si voltò per
appoggiare la fronte contro il pilastro, sconfitta. Le mancava, era
l'uomo della sua vita, ma ogni volta che il pensiero di perdonarlo le
sfiorava la mente, lui faceva o diceva qualcosa di sbagliato che le
permetteva di tirarsi indietro. Dei giorni a Metropolis. Aveva tolto
la sim. Era chiaro che, qualsiasi cosa avesse per la testa, ora a lui
stava bene che le cose tra loro fossero così. Poteva andare
dove
voleva e sparire e se lei conosceva almeno in parte
quell'organizzazione e il resto contro cui lui indagava, e grazie a
Kara e non di sicuro a John, probabilmente stava combinando qualcosa
e la voleva fuori, semplice, come se bastasse a non farle pensare a
lui di continuo. Di continuo, maledizione.
John
Jonzz si si grattò la nuca e, sbuffando, rimise via il
telefono in
una tasca dei pantaloni neri. Aprì lo sportello dell'auto e
uscì,
incantandosi a osservare la sua immagine riflessa nello specchietto
laterale. Era capace di riconoscersi? Chi era quell'uomo e che ne
aveva fatto del John finalmente felice di avere la compagna giusta
accanto? Si allontanò mettendo su una faccia seriosa e
raggiunse
Fort Rozz dall'altra parte della strada. Sapeva che fine gli aveva
fatto fare: aveva messo davanti il suo lavoro e non avrebbe avuto il
lusso di pensare a un'alternativa. Stare con lui poteva essere
rischioso, di questi tempi. La amava e anche per questo avrebbe
dovuto lasciarla andare. Non lo sapeva Megan, ma neanche al D.A.O.,
in effetti, sapevano cosa gli passava per la testa. Per fare il suo
lavoro, aveva sposato la drastica decisione di nascondere come lo
stava facendo al suo stesso lavoro: c'era almeno una spia al D.A.O.,
ne era sicuro, e non poteva permettersi azzardi. Aveva detto loro che
sarebbe andato a fare una vacanza, lasciando altri a coordinare in
sua assenza, e ora era tornato a National City, come niente fosse,
solo per chiacchierare con Astra Inze prima della sua imminente
scarcerazione. In passato l'aveva già interrogata diverse
volte, ma
non voleva perdersi l'occasione di farlo per quella che poteva essere
l'ultima.
L'uomo
si sedette e guardò la donna per un po', prima di proferire
parola.
Lei fece altrettanto mentre era tenuta stretta dalle manette dal suo
lato del tavolo: era pulita, i suoi capelli vaporosi, le labbra piene
e una carnagione vivace. La vita in carcere non sembrava
così dura,
dopotutto. «Ti tratti bene», iniziò
spezzando quel silenzio e
avvicinandosi con un gomito sul tavolo. «Non ti fanno mancare
nulla,
bene».
«Cosa
insinua, agente Jonzz?».
«Niente»,
rispose con una scrollata di spalle e una smorfia sul viso.
«Non
vorrei dire qualcosa di troppo, in verità: qui tutto ha
orecchie.
Era solo un'osservazione: stai bene, sono contento. Sono solo passato
a salutarti». Si sgranchì le dita, andando ad
appoggiare la
schiena. «L'appello al processo di questo pomeriggio potrebbe
essere
l'ultimo. Emozionata, suppongo».
Astra
piegò le sopracciglia, commossa. «Sono passati
dodici anni… sì,
sono emozionata».
«Tante
cose da fare. Ritrovare ciò che si è lasciato in
un mondo che
intanto è andato avanti», intrecciò le
dita delle mani, dando di
nuovo peso sul tavolo. «Come Kara, ad esempio». La
tenne d'occhio e
sorrise impercettibilmente quando la vide alzare un sopracciglio come
colto da una piccola scossa elettrica: il suo nervo scoperto,
pensò
lui. «Le ho fatto da coach, in questi ultimi anni»,
incalzò con
fierezza, rimettendo dritta la schiena. «Lacrosse.
È molto brava».
«Non
sapevo che durante il tempo libero, agli agenti del D.A.O. fosse
permesso insegnare sport».
«Era
una copertura. Dovevo tenerla d'occhio, sai da cosa. Kara Danvers ha
sempre vissuto con qualcuno che le guardava le spalle da quando la
sua casa è esplosa. E così suo cugino»,
spiegò. «Prime di me, lo
hanno fatto altri. Non lo ha mai saputo ma è da quando Rhea
Gand è
agli arresti che è libera per la prima volta».
Astra Inze sorrise
e, con occhi chiusi, lui la adocchiò tirare un sospiro di
sollievo.
«Eppure…», si interruppe, guardando lei
che riapriva gli occhi,
«il vento sta cambiando da queste parti. E tu lo
sai».
A
quel punto lei si irrigidì e, prendendo fiato a narici
spalancate,
si accostò al tavolo, guardandolo con severità.
«Se è vero che
sta cambiando lo fa in meglio, agente Jonzz. Non è un
pericolo per
Kara».
«Così
come non era un pericolo per i coniugi El?», le
domandò,
guardandola dritta negli occhi. «Come non lo era per Faora
Hui?».
«Faora
Hui è morta per complicanze dovute al coma»,
riprese lentamente, «E
non osi neppure nominare la mia famiglia! Non faccia questo giochetto
con me, agente-».
«Continua
pure a ripeterti questa favoletta se ti fa sentire meglio»,
le parlò
sopra, «ma tu ed io sappiamo bene qual è la
verità e
sai»,
alzò la voce un momento, «sai bene come nessuno
può essere
ritenuto davvero al sicuro. Pensaci… Astra». La
notò deglutire.
«Pensa attentamente a dove è riposta la tua
fiducia quando uscirai
di qui».
«…
Sta… Sta di nuovo insinuando qualcosa, agente
Jonzz?».
«No.
Ti trovo bene, dico davvero». Si alzò e la donna
ebbe un sussulto.
«A-Aspetti!
Agente Jonzz, la prego», si lasciò andare a un
sospiro quando lo
vide fermarsi e girarsi ancora. «Posso chiederle un
favore?».
«Un
favore da me?».
«Non
glielo chiederei se non ritenessi che è
importante», ingerì
saliva. «Mia nipote, Kara… può
assicurarsi che stia bene?
Connessione familiare, sa? Ho paura stia passando un brutto
momento».
Lui
uscì dalla saletta. Quella donna era chiusa come dietro
spessi muri
d'acciaio. Aveva perso la famiglia per conto delle stesse persone per
cui ora avrebbe dato la vita e lo trovava fuori da ogni concezione.
Il fatto che l'unica responsabile della morte degli El fosse Rhea
Gand a John non bastava e non convinceva, soprattutto dal momento che
la sua cattura era stata giostrata da Adrian Zod. E quella Gand,
ancora più dura, preferiva fare scena muta agli
interrogatori più
che tradire quell'uomo. Ma come darle torto, pensò: non si
sarebbe
sorpreso nel sentire se fosse stata minacciata di morte. Davanti alle
porte a vetri per uscire, si incantò nell'osservare la sua
figura,
tirando la giacca in avanti e alzando il mento. Non si sarebbe dato
pace fino a quando non avrebbe portato dietro le sbarre di una cella
ogni membro di quell'organizzazione, a cominciare proprio da Zod.
Avrebbe ristabilito l'ordine delle cose. Uscì, scendendo le
scale
esterne. La storiella della connessione familiare era interessante:
cosa sapeva Astra Inze, dentro Fort Rozz, che lui non sapeva? Le
notizie dovevano girare veloci tra i membri dell'organizzazione.
Tornò in auto e tolse la modalità aereo dal
cellulare, scrivendo
Kara
Danvers
su Google.
Kara era famosa nell'ambito sportivo del continente, il nome
Supergirl
era conosciuto da chiunque si interessasse a sufficienza della
materia, ma ultimamente, a causa del matrimonio delle signore Danvers
e Luthor, era stata sotto i riflettori per riflesso e questo la
rendeva bersaglio di gossip più o meno grandi. Non si
stupì infatti
di trovare notizie sul suo conto su piccole testate, ma di vederla
affiancata a una parola come doping
era un altro paio di maniche. John spalancò gli occhi,
incredulo.
«Danvers», chiamò al telefono.
«Alex… Cos'è la storia di tua
sorella e di queste pillole che gira sul web?
Sì…», sospirò,
«Sì, sono tornato ma sono ancora in vacanza
ufficiale e tornerò
presto a partire per… questioni private».
Alex
strinse le labbra. Stava attraversando la strada e le sudavano le
mani. Si fermò davanti a un'auto parcheggiata e si nascose
appena
poco sotto quando, sul marciapiede a pochi metri, Carina Carvex si
voltò un'istante. Per poco non la sorprendeva seguirla.
«Ho
chiamato Kara e…». Allungò lo sguardo,
osservandola parlare con
un'anziana che vendeva frutta e verdura esposta fuori dal negozio.
Alex si tirò il berretto verso gli occhi, assicurandosi,
attraverso
il finestrino vicino, che bastasse a darle un'aria diversa.
«Non
posso andare a trovarla, è a Metropolis in questo momento.
Lei e
Lena dovevano parlare con Lex di… queste pillole, in
effetti. È
una storia un po' lunga e adesso non posso trattenermi per
telefono».
La vide andarsene con due sacchetti pieni e si alzò per
seguirla,
usando i passanti per coprirsi, mentre ascoltava il suo capo quasi
imprecare. «Emh, sì… è vero,
ma non era doping! I giornali
esagerano! Kara passava un brutto periodo e-», si
zittì, alzando
gli occhi al cielo e gonfiando le guance intanto che lo ascoltava,
«No, non lo sapevo… Non era doping»,
insisté. Carina Carvex
svoltò a una curva e Alex pensò bene di
controllare il riflesso di
una vetrina di un esercizio commerciale davanti prima di girare anche
lei: la stradina era libera. Girò, trovando solo cassonetti
e una
puzza maleodorante. Dove poteva essere entrata? E se si fosse accorta
di lei? Lo sperava bene, era un'agente, ma non lo sperava affatto per
se stessa. «Mi auguro soltanto che questa voce smetta di
girare. Le
spiegherò meglio per email». Sospirò.
«A quello… sì, ci sto
lavorando proprio
adesso,
dunque… Benissimo. Si goda le vacanze». Chiuse la
telefonata e
selezionò il numero di sua sorella, ricominciando a
camminare; era
meglio non farsi trovare lì, in ogni caso. Stava squillando,
squillava ancora, era tutta la mattina che ci provava. In
realtà,
non era per niente riuscita a sentire Kara dal giorno prima e, dopo
ore che provava inutilmente, cominciava a preoccuparsi sul serio. Le
inviò un altro messaggio, pensando che forse avrebbe dovuto
sforzarsi per inviarne uno anche a Lena e parlare con lei. Si
fermò
e ansimò seccata, inquadrando con curiosità la
vetrina di un
negozio di elettronica.
Com'era
perdere tutto? Ritrovarsi in un attimo smarriti; sentirsi piccoli,
esclusi, rinnegati, soli. Kara non era nuova a quelle sensazioni e la
scoperta del suo mondo che le crollava sotto i piedi un'altra volta
non le lasciava respiro. E conscia che erano state le sue stesse
azioni a compiere quell'infausta vicenda, era ciò che le
dava il
colpo di grazia.
Il
cellulare continuava a vibrare sopra il lenzuolo. Smetteva qualche
secondo e ricominciava. E così da ore.
Era
seduta sul centro del letto a gambe incrociate. Si pizzicava e tirava
il labbro inferiore con due dita, intenta a fissare il vuoto. Non
sapeva per quale motivo si ostinasse a tenere il cellulare accanto
nonostante non volesse leggere messaggi né ricevere
chiamate. Da
nessuno. Aveva intravisto i nomi di Megs, Leslie, Lucy, quello di
alcune compagne di squadra e naturalmente Alex. Ringraziava il cielo
che sua madre non leggesse certe riviste online. Cosa ne sarebbe
stato del suo futuro? L'unica cosa che voleva davvero era lavorare
alla CatCo e Cat Grant aveva deciso di tagliarla fuori. E del suo
presente? Come sarebbe stato il suo presente? Millard non le avrebbe
fatto giocare la finale, era fuori dalla squadra. Per quanto tempo
ancora avrebbe avuto la possibilità di giocare e ora non
poteva più?
Il tempo scorreva, nuove cose avrebbero preso il posto del lacrosse
una volta lasciata la Sunrise. Era stato davvero Maxwell Lord a farle
questo? La voce si era propagata così in fretta che non
aveva avuto
il tempo di prepararsi a ciò che sarebbe accaduto. E poteva
dare la
colpa a Lord, a Millard, o a Cat Grant, ma era solo sua. Pensava di
rimediare bloccando la vendita di quelle pillole, ma le conseguenze
si erano estese a macchia d'olio prima che avesse il tempo di
comprenderle. Si guardò intorno, osservando quei mobili
dall'aspetto
freddo tirandosi il labbro inferiore tanto da farsi male. C'erano
libri, dischi, dadi, alcuni peluche in alto, un orologio da tavolo
dall'aspetto antico, chissà quanto era costato. Altri libri,
una
scacchiera portatile chiusa, soprammobili in vetro, bamboline di
porcellana. Sul comò davanti al letto, al centro della
stanza, c'era
un cofanetto portagioie aperto con all'interno tre piccoli specchi:
riusciva a vedere il suo riflesso su tre angolazioni differenti e in
ognuno faticava a guardarsi, doveva distogliere gli occhi. Aveva le
occhiaie, era spenta; odiava sentirsi così ma non aveva le
forze per
farne a meno. Non adesso. E più osservava con attenzione
quella
camera che era il doppio della sua a casa Danvers-Luthor, quasi il
quadruplo del suo dormitorio al campus che divideva con Megan, e
più
un pensiero in qualche angolino remoto della sua mente si rimpolpava
di nuove certezze. Si lasciò il labbro e abbassò
gli occhi,
scoprendo una chiamata persa da un numero aziendale. Questo era
nuovo. Si passò una mano sulla fronte e ansimò,
sentendo bussare
alla porta.
«Ehi…
Posso entrare?».
Kara
scrollò le spalle. «È camera
tua».
Lena
chiuse la porta dietro di lei, aggrottando lo sguardo: il tono con
cui le aveva rivolto la parola era così duro che Kara doveva
essere
ancora lontano dal riprendersi. Si sedette sul letto davanti a lei,
le adocchiò il cellulare un istante e glielo mise
più lontano per
appoggiare meglio una gamba e, così, prenderle le mani con
le
proprie, spostandole le dita che aveva riposto sul labbro.
«Ti porto
qualcosa da mangiare? Puoi ordinare quello che preferisci, non hai
che da chiedere. Hai mangiato pochissimo e Indigo si sta già
atteggiando come se avesse vinto chissà quale gara ci fosse
tra voi
due».
Kara
abbassò gli occhi e allungò uno sguardo al suo
telefono che,
ancora, non accennava a smettere di vibrare. «Non lo
dubito…»,
boccheggiò soprappensiero. «Ma non ho fame,
adesso. Grazie lo
stesso». Abbassò lo sguardo, prendendo fiato.
«Lo
so che adesso tutto ti sembrerà nero, Kara, ma sono certa
che si
sistemerà. Non posso dirti che sarà facile, o che
non cambierà
niente, ma sono sicura, davvero sicura, che tutto si
sistemerà. In
un modo o nell'altro. Col tempo», le sorrise, allungando la
mano
destra per carezzarle una guancia. «Hai tutto il diritto di
sentirti
giù e puoi stare qui tutto il tempo che vorrai».
«No,
no», scosse la testa, «Ho solo bisogno di un altro
momento, uno
soltanto, e dopo…», le parole vennero meno e
accartocciò le
labbra, prima che Lena la stringesse a sé. Avrebbe voluto
mostrarsi
forte di fronte a lei, ma non riusciva a pensare a un modo per
risolvere le cose. Sapeva che sarebbe uscita da quella porta a testa
alta e che avrebbe trovato un modo per tirarsi su e ricominciare
perché era quello che riusciva a fare meglio, ma ora come
ora non
era che un miraggio. Scelse di separarsi da lei allungando le braccia
ma, appena si accorse dello strano sguardo dell'altra, pensò
di
scusarsi. «È che… che ho
bisogno-».
«Di
stare da sola». Lena annuì e si alzò.
A
Kara mancò il fiato e la fermò in un lampo:
«Non è colpa tua».
«…
lo so», mormorò, riavvicinandosi di nuovo.
«Ti stai punendo, Kara,
e non sei pronta a parlarne con me. Lo capisco. Quando vuoi,
sarò
qui».
«È
che… è che ho rovinato tutto, Lena».
«Non
è vero. Ci sei già passata, avevi già
affrontato tutto questo per
quelle pillole, non tornare lì con la testa. Non
fartelo».
Lei
tirò su con il naso e, prima che potesse trattenerle,
sputò quelle
parole con naturalezza: «Non è per le
pillole». L'altra si fece
curiosa, corrugando lo sguardo. Kara si passò una mano sulla
fronte,
come se stesse usando quei secondi, quei secondi velocissimi, per
decidere se condividere o meno con lei ciò che le passava
per la
testa. Infine si alzò come una molla e la raggiunse, posando
lo
sguardo indietro solo per assicurarsi che quel cellulare, che ancora
vibrava, fosse ben sepolto da almeno tre cuscini. E ora come
spiegarsi? Si fregò convulsamente le mani, oramai davanti a
lei. Si
guardarono e Lena scrollò le spalle, invitandola a dire
qualcosa.
Bene, aveva lanciato la pietra e non poteva tirare indietro la mano.
«Le pillole… Non è solo questo. I-Io ho
sbagliato ad affidarmi a
Maxwell Lord e preferirei dimenticarmi di quel periodo, davvero, ma
non riesco a togliermi dalla testa che…», la
guardò negli occhi,
trattenendo il respiro, «che-che se fossi stata
più presente, non
sarebbe successo».
«Più
presente? In che modo?».
Alzò
gli occhi, mordendo un labbro. «Beh, ho saltato gli
allenamenti, ad
esempio. E mi sono fatta odiare da Millard quando avrei potuto
tentare di… di-», si fermò, bloccando
le mani a mezz'aria, «beh,
lui mi avrebbe odiata comunque, ma avrei almeno potuto fare qualcosa
per rimediare, se ci fossi stata! E la CatCo… fo-forse non
mi sono
impegnata abbastanza, e lo so che non essendoci Siobhan che
è in
malattia… però, però avrei potuto
chiederle di darmi altri
compiti, qualcosa»,
alzò la voce, chiuse gli occhi e li ingigantì,
stringendo i denti e
i pugni, «per far capire alla signora Grant che davvero
tenevo a
quel lavoro». Scosse la testa. «Invece ho lasciato
che accadesse!
Ho… Ho…», si guardò intorno
un'altra volta, ai libri, alle
bambole, agli orologi, a quel portagioie aperto che rifletteva lei e
Lena sui piccoli specchi. «Non…». Non
trovava le parole. «Mi
sono accorta di… di aver dato per scontate molte
cose».
Lena
annuì lentamente e avvicinò la mano destra alla
sua sinistra, le
sfiorò le dita e, come colta da un pensiero veloce, si
allontanò
bruscamente, mettendo le braccia a conserte. «Ti sei
distratta»,
mormorò, procedendo verso la porta. Quasi le era mancata la
voce.
«No…
No! Non intendevo come se…». Lena
delineò un mesto sorriso e Kara
sentì di aver sbagliato qualcosa. «Lena, aspetta!
Non è-».
«Non
me la sto prendendo, Kara».
«Oh,
e perché», si tirò in su gli occhiali,
mettendo su una smorfia, «a
me sembra il contrario?».
Lei
sospirò. «Ti ho chiesto io di venire qui e tu
avevi gli
allenamenti».
«E
tu avevi da studiare», scrollò le spalle.
«Lo hai fatto per me: io
volevo venire qui a parlare con Lex. Ho dato alle pillole la
priorità, era quello che volevo»,
continuò velocemente,
aggrottando lo sguardo e andandole incontro.
«Ma
non è tutto qui, giusto?», riprese secca.
«Quante volte ti ho
chiesto di restare in villa».
«Non
sono mai stata male in villa con te», si guardò in
giro un istante,
uno solo, ma non sfuggì allo sguardo attento dell'altra.
«Però
lo vedo che c'è qualcosa. Parla. È questo che
dovremmo fare»,
insisté. «Sei stata da me più di quanto
io…», sorrise di nuovo,
puntando lo sguardo a un punto vuoto: «In realtà,
proprio io non
sono mai stata tanto in villa come in quest'ultimo periodo con te.
Perfino quando ero bambina cercavo una scusa qualsiasi per uscire. Tu
ed io, e Indigo, stiamo vivendo insieme e questo… questo
è… è
stato bello».
Kara
restò immobile qualche secondo, tornando un passo indietro e
infine
sputando il rospo: «È
bello, m-ma… Ma mi sono accorta solo adesso che…
Non volevo che
fraintendessi».
«La
villa non è casa tua, Kara. Cosa devo fraintendere? Anche se
Eliza e
Lillian lo vorrebbero, stavi vivendo da
me, trascurando la tua…», lasciò di
nuovo la frase a mezz'aria,
irrigidendo le labbra.
«È
casa tua, è vero», si arrese Kara. «E io
sto davvero bene lì con
te, non smetterò di dirlo. Ma…»,
serrò le labbra anche lei, dopo
averle inumidite.
«Abbiamo
stili di vita molto diversi, Kara. E non ti ho mai chiesto di venire
a vivere con me».
«Io
l'ho pensato», le sorrise, corrugando lo sguardo.
«I-Io ho pensato
di lasciare il campus per andare a vivere con te».
Pensò
di sorridere anche lei, ma il desiderio le si spense in fretta,
aprendo la porta di scatto. «Beh, adesso sai che sarebbe un
errore»,
chiosò. «Mi trovi di sotto se-», era
già fuori dalla porta quando
udì il campanello dell'appartamento suonare. «Deve
essere Lucy
Lane», bisbigliò, girandosi di nuovo verso
l'interno. «Voleva
parlare con Lex delle pillole, spero non sia già uscito. Ha
provato
a cercarti per dirtelo ma non rispondi al telefono, dunque…
ha
chiamato me».
«Cosa-»,
la fermò con la mano sulla maniglia per richiudere,
«Cosa mi stavi
dicendo?».
Lena
scosse la testa, formando un sorriso. «Se ti venisse fame,
sai dove
trovarmi». Uscì e si appoggiò alla
porta chiusa alle sue spalle,
prendendo grosse boccate d'aria. In quel momento, l'unica cosa che
avrebbe voluto era scappare. Il campanello la destò e si
coprì
rapidamente il volto con una mano quando vide il suo riflesso sullo
specchio di fronte: non poteva sopportare la sua immagine dura ora,
così scese le scale. Si guardò attorno e in
salone non c'era
nessuno. Adocchiò Lucy Lane nello schermo che riprendeva il
portone
del palazzo e, premendo un pulsante, ordinò al custode di
farla
salire. Lasciò la porta dell'appartamento socchiusa e
squadrò
Indigo da capo a piedi quando la notò arrivare
per sedersi con pigrizia su uno dei divani. «Dove sei
stata?».
Lei
alzò le spalle. Dov'era stata? Aveva aperto la porta del
bagno e Lex
l'aveva chiusa, spingendo lei contro il muro. Con la mano destra a
premerle
il mento e la sinistra a stringerle un polso, il
giovane aveva affondato la bocca nella sua, lasciando il mento solo
per avvicinarle un fianco contro il suo corpo. Con gli occhi ancora
chiusi, Indigo era riuscita a trovare la forza di liberare entrambe
le mani e a spingerlo per le spalle, chiedendogli di smetterla.
«Ieri
notte non eri dello stesso avviso», l'aveva guardata, col
fiatone.
«Ieri
notte era ieri notte, ora è ora», gli aveva
risposto a voce ferma,
adocchiando le sue labbra calde. «Non puoi pensare che se ti
do il
permesso di toccarmi una volta, quello valga per sempre».
Lex
aveva sorriso, scuotendo la testa a breve. «Questa notte,
se…»,
anche lui si era incantato a osservare le sue labbra, rimettendosi
dritto con la schiena, «se mi darai il permesso di toccarti,
ovviamente, sei cortesemente invitata a trascorrere le ore in mia
compagnia. Desidererei davvero riprovarci».
«Voi
uomini non amate proprio che vi si rifiuti, eh?».
«Non
equivocare le mie intenzioni: non è una rivincita per come
mi hai
piantato in asso la notte scorsa, quella che voglio, Indigo»,
aveva
sorriso di nuovo, «Sono davvero irrimediabilmente attratto da
te e
ti odierò quando te ne sarai andata. Sempre che siano ancora
quelle
le intenzioni».
«Lo
sono».
«Allora
ritorna», l'aveva pregata, alzando una mano verso il suo
viso,
bloccandola per scoprire se, da parte sua, ci sarebbe stato il
permesso di toccarla. Aveva seguito il suo sguardo verso la mano e
dopo al suo viso. Era un sì? Le aveva portato lentamente le
dita
dietro l'orecchio sinistro, accarezzandole la guancia col pollice.
«Puoi venire a trovarmi quando vuoi».
«Lo
avevo capito, fratello di Lena».
Lui
aveva abbozzato una risata. «Raggiungimi, questa
notte». Le aveva
dato un veloce bacio a stampo sul collo e se n'era andato, lasciando
la porta aperta alle spalle.
«In
bagno», rispose con nonchalance a Lena, alzando gli occhi dal
cellulare.
In
quel momento entrò Lex, intento a sistemarsi la cravatta, e
Lena gli
lanciò un'occhiataccia.
«Tutto
a posto con Kara?», chiese il fratello spezzando l'insolito
silenzio. Nemmeno il tempo di chiedergli a cosa si riferisse, che
Indigo riprese:
«La
tua faccia: non sembra derivante da coccole».
Sbuffò.
«Ebbene, siete pregati tutti e due di farvi gli affari
vostri».
La
porta si aprì pian piano proprio in quel momento, mentre
sbucava la
testa di Lucy Lane chiedendo di poter entrare.
Lena
la squadrò: alta, capelli un poco mossi tirati indietro da
un
fermaglio, labbra piene con un accenno di rossetto color carne; si
teneva in forma, il top bianco che indossava non lasciava molto
spazio all'immaginazione. La famosa figlia di Lane che aveva deciso
di seguire le sue orme: non l'avrebbe riconosciuta senza la divisa ed
era comunque da tempo non si incontravano dal vivo. Si tirò
dietro
le spalle i lisci e lunghi capelli corvini, mettendo su una delle sue
espressioni più fredde. «È un piacere
rivederti», le allungò la
mano destra e l'altra la accolse subito, non mancando di sorriderle.
«Il
piacere è mio». Diede una sbirciata al salone e
strinse la mano a
Lex, poi a Indigo, che si presentò come Linda, suo malgrado.
Chiese
di Kara e Lena si distrasse dal fissarla, spiegandole che in quel
momento stava riposando. «Posso capire, avrà
tanto per la
testa… Beh», si voltò verso il ragazzo,
stringendosi le mani,
«credi che potremmo parlare in privato?».
Allora,
Lex le fece cenno di seguirlo. «Sarà un enorme
piacere per me
sentire le ennesime motivazioni per cui dovrebbe valere la pena
andare a processo».
I
due salirono di sopra e Lena si sedette accanto a Indigo, reggendosi
la testa e ritrovando il suo cellulare dietro un cuscino. Si
sentì
osservata ma, quando la guardò, lei aveva già
riportato gli occhi
sullo schermo del cellulare. «Ti senti ancora con
Winn?».
«Ogni
tanto».
Le
sorrise e l'altra la fissò con espressione curiosa.
«Sai una cosa?
Stai meglio. Da quando ti ho conosciuta, intendo».
Il
cuore le mancò un battito. «Tu dici?».
«Sì.
Ed è per questo che devi promettermi una cosa».
Aspettò che la
guardasse di nuovo per continuare: «Stai lontano da mio
fratello,
per favore. Vedo come ti guarda e non mi piace».
«Non
ti piace tuo fratello?».
Lena
inspirò pesantemente e allontanò lo sguardo per
finire su un punto
vuoto, reggendosi di nuovo la testa. «Una volta avrei
risposto a
questa domanda in modo differente. Gli voglio bene, ma ci sono lati
di Lex, Indigo, che avrei preferito non scoprire e», scosse
la
testa, «temo potrebbe avere brutta influenza su di
te».
Indigo
abbassò gli occhi, ritrovandoli sullo schermo del telefono.
Lena
credeva di poterla guarire, salvare, cambiare… Strinse
l'apparecchio, finché non decise di prendere fiato.
«Farò ciò che
posso».
Com'era
perdere tutto? Megan non lo sapeva. Si era sempre considerata come
una ragazza normale con dei problemi e, a dispetto di Kara che aveva
perso la famiglia, o di altre persone, anche fortunata. Il fatto che
il dubbio di aver perso definitivamente John non le desse modo per
pensare ad altro, né le lasciasse in pace lo stomaco che
sentiva
restringersi, non le faceva cambiare idea. Era solo un uomo, avevano
avuto una relazione ed era giovane, non avrebbe lasciato che questo
le condizionasse la vita. Non più. Non era come perdere
tutto, aver
perso solo lui. Cominciò a correre intorno al campus per
allenarsi,
da sola.
Intanto,
Kara aveva trascorso il tempo a leggere di se stessa online. Non
aveva ancora avuto il coraggio di riprendere in mano il cellulare, ma
ne aveva avuto a sufficienza per farsi del male dando uno sguardo ai
commenti sotto le notizie accedendo al portatile di Lena: alcuni
erano delle sue compagne di squadra che la accusavano di aver barato,
quando quella volta giocò una partita quasi interamente da
sola. Ci
aveva messo un po' per riconquistarle, da poco aveva perfino portato
per tutte loro dei biscotti, e adesso la odiavano di nuovo; ci
sarebbe voluto un miracolo. Gonfiò le guance. Per di
più,
probabilmente aveva ferito Lena. Si portò entrambe le mani
sul viso,
scivolando, reggendosi la fronte. E non sapeva ancora esattamente
come avesse fatto a ferirla. Non era il vivere con lei il problema,
ma di averlo fatto in quel modo e in una casa dove non si sarebbe mai
sentita pienamente a
casa,
nonostante si stesse abituando. Proprio come quella camera, anche
quella in villa era
un luogo che di lei non aveva niente.
Non si era minimamente accorta di come, pian piano, stesse
tralasciando alcune cose importanti per… non per stare con
lei ma,
in un certo senso, quasi.
L'aver perso tutto le aveva aperto gli occhi. «È
colpa mia, solo
mia», sussurrò al telefono: si era decisa.
«Non avrei mai dato le
colpe a Lena, eppure in qualche modo, da come si è
comportata, è
come se gliele
avessi date. Se anche lei mi avesse chiesto di restare, e a volte lo
ha fatto, sono sempre stata io a voler restare. Non mi ha costretto.
Come io volevo venire qui a parlare con Lex a discapito degli
allenamenti. Ho scelto cos'era più importante…
No-Non che me ne
penta, sia chiaro, è solo che non mi ero resa conto di come
stessi
lasciando la presa sul resto della mia vita. E anche»,
deglutì,
«stare da lei. Io voglio vivere con Lena, solo magari
non… non a
casa sua, Alex». Irrigidì la bocca
perché qualcosa la infastidiva,
ma non poteva fare altrimenti e scrollò gli occhi.
«Vuoi
una casa vostra»,
la sentì risponderle. «Come
potrei non comprenderti, Kara: Maggie ed io abitiamo attualmente in
due case, ricordi?»,
ridacchiò.
«Come
siete riuscite a far quadrare le cose per tutto questo
tempo?». Si
alzò dalla scrivania e si gettò a sedere sul
letto, riguardando
quel portagioie. «A bilanciare le vostre carriere, le vostre
cose,
e-e c'è Jamie», sorrise, «Avete una
bambina che vuole anche lei il
suo spazio, tra giochi, e impegni, la babysitter. Come…
?».
«Nessun
segreto, sorellina. Pensi che sia sempre stato come lo vedi adesso?
All'inizio neppure sapevo di Jamie, ricordi? Abbiamo costruito le
nostre vite insieme, ci siamo messe d'accordo sui singoli impegni e
quelli di Jamie. Ci siamo sbagliate spesso e abbiamo litigato; a
volte la mia carriera è venuta prima e altre quella di
Maggie, ma
siamo sopravvissute. Devi avere pazienza, Kara. Adesso ti è
successo
questo e ti sei accorta all'improvviso di cosa stavi facendo, ma te
ne saresti accorta in ogni caso più tardi o…
avresti sistemato il
tiro senza neppure costruirci un caso sopra»,
la sentì ridere ancora, senza ombra di presa in giro. «Non
avere fretta. Tutto troverà il modo di andare al posto
giusto. E
sono contenta che tu abbia deciso di chiamarmi, finalmente,
cominciavo a stare davvero in pensiero».
Si
sdraiò, non trattenendo un altro sorriso. Sapeva che sua
sorella non
aveva potuto telefonare a Lena per sapere di lei e la cosa non le
piaceva per niente, ma anche in quel caso avrebbe dovuto portare
pazienza.
«E
come ti senti, a proposito? Pensi ancora che sia stato Maxwell
Lord?».
«Beh,
è… Lui avrebbe avuto un motivo per farlo. Me la
vedrò io. E ora
va meglio, comunque, mi sto riprendendo. Prima ero giù,
è vero, ho
passato letteralmente
le mie ore a trovare una ragione per cui tutto è successo ma
adesso,
adesso devo venirne fuori». La sentì tirare un
sospiro di sollievo.
«Devo perché… devo capire come fare a
riottenere tutto quanto».
Era strano, ma si sentiva davvero molto meglio. Tanto tempo trascorso
a piangere su ciò che aveva perso, senza rendersi conto di
un peso
che era sparito.
«Vedi
come tutto cambia quando ne parli con la tua sorellona?».
Si fermò quando sentì Kara ridere. «E
dimmi una cosa:
umh,
Lena è uscita, per caso?».
«No»,
aggrottò la fronte, «No, non
credo…». Il suo istinto la portò a
non chiederle il perché e si zittì, deglutendo.
«Ah, Alex! Oggi
c'è…».
«Sì».
«Andrai?».
«Sono
già qui, sto aspettando una collega. Il processo
è a porte chiuse,
ma come agenti ci siamo fatte dare il permesso»,
la sua voce cambiò, facendosi più tenue. «Inizierà
tra mezzora. Ti farò sapere più tardi».
La
ringraziò e, dopo aver staccato la chiamata, si
portò il cellulare
sul ventre e prese un grosso respiro. Sua zia non starà
nelle pelle,
pensò. Oggi il giudizio finale. Appena in tempo per
scrollarsi quel
pensiero di dosso che il cellulare vibrò a lungo. Chi la
chiamava
con tanta veemenza? Ancora il numero aziendale e gonfiò le
guance.
«Ehi,
Danvers».
Carina
Carvex le toccò una spalla e Alex si voltò,
notando che aveva il
fiatone.
«Ho
ancora le cose del mio ex a casa e stavo sistemando, non mi ero
accorta dell'orario», si scusò. Captò i
suoi brividi al tocco e
non poté che esserne, almeno un po', soddisfatta.
«Siamo in
tempo?», si sistemò accuratamente il colletto
della camicia.
Carina
aveva una macchia violacea intorno al collo: Alex non poté
che
constatarla, furtiva. «Sì…
Sì, sei arrivata giusto in tempo,
stanno aprendo ora le porte. Cos'hai fatto al collo?».
Lei
abbassò la testa d'istinto e accennò uno spento
sorriso. «Oh,
nulla… Ho avuto un-», si ritrovò a non
sapere cosa dire, non
credeva che se ne sarebbe accorta. Fu una fortuna che, procedendo
verso l'entrata, videro Astra Inze passare in corridoio, scortata da
due guardie. Ancora in manette, la divisa blu da carcerata, aveva
un'aria paradisiaca e un sorriso smagliante. «Si vede
già fuori di
qui», sibilò lei e Alex non poté che
concordare.
«Andiamo
a prendere posto».
Com'era
perdere tutto? Indigo non lo sapeva. Non si era mai accorta di avere
qualcosa e di averla persa se non dopo tempo che era successo. Aveva
una famiglia e l'aveva persa come l'aveva persa Kara, anche se in
modi diversi, ma non ci aveva dato il giusto peso. Indigo si era
abituata presto a stare da sola, a contare su se stessa, a non
fidarsi degli altri neanche quando erano gentili. Perché
nessuno era
gentile senza volere qualcosa in cambio. Si era seduta davanti al
pianoforte, osservando i tasti bianchi e quelli neri. Sentiva lo
sguardo di Lena addosso, anche se si era allontanata di qualche metro
per rispondere al telefono. Si comportava in modo strano,
pensò, e
non era solo per aver avuto una discussione con Kara o quel che
fosse. Lo avrebbe scoperto quella notte ascoltando le loro
conversazioni dal suo cellulare. Stava per premere un tasto che
fermò
l'indice a mezz'aria, fulminandola con un'occhiata svelta e
improvvisa. Non
lo aveva:
Lena aveva lasciato il telefono in salone, sul divano, per salire al
piano delle camere da Kara. Se lo portava sempre dietro per via del
lavoro e lo aveva lasciato per andare da Kara? Curioso. Tanto
curioso.
Kara
scese le scale di casa Luthor soprappensiero. Di sicuro, si sarebbe
aspettata di tutto men che quello e non vedeva l'ora di parlarne con
Lena, ma era al cellulare. Davanti al pianoforte, Indigo sembrava
molto annoiata. E Lex e Lucy… Oh, li sentì
scendere in quel
momento, con la ragazza che lo sollecitava di chiamarla per ogni
domanda o dubbio gli fosse venuto in mente. Lui sospirava
rumorosamente come al solito, probabilmente non ancora abbastanza
convinto di andare a processo. Lo sarebbe mai stato?
«Kara».
Si abbracciarono appena la vide e allora sia Indigo che Lena,
nonostante fosse ancora al telefono, si voltarono per fissarle.
«Come
stai? La voce si è sparsa nel giro di ore, mi dispiace
così tanto»,
scosse la testa e lei le sorrise.
Si
toccavano: inquadrò Lena. Lucy le teneva le spalle e Kara le
braccia. I loro corpi erano a pochi centimetri di distanza. Oh, ma
cosa andava a pensare. Chiuse la chiamata e si accostò a
loro,
intanto che Lex chiedeva a Lucy Lane, e così a tutte, se
voleva bere
qualcosa. Indigo lo raggiunse scattante. «Devo avvicinarmi
alla
Luthor Corp», si posizionò tra le due
costringendole a separarsi, e
così guardò Kara. «Mi
assenterò qualche minuto. Mi hanno chiamato
per dirmi che sono arrivati dei documenti, cose che non possono
aspettare». La sua voce era così ferma e dura.
Notò Lucy
sorriderle ancora e dopo sorridere alla sua ragazza: a che gioco
stava giocando? No. Doveva smetterla di fare così: si
rimproverò
tra sé e sé.
«O-Okay…»,
Kara si tolse un capello dal viso, pensandoci. «Vuoi che
venga
con-».
«No.
Ci impiegherò qualche minuto appena, tu avrai da…
aggiornarti con
la tua amica, probabilmente».
Lucy
cambiò espressione di colpo e Kara s'imbrunì.
«Oh, veramente io
devo andare! Non pensavo di-».
«Ma
no», Lena forzò un sorriso. Talmente forzato da
mettere soggezione
in entrambe. «Trattieniti ancora, sarai di compagnia. Non sei
forse
in vacanza?».
«Ma,
Lena», Kara cercò di prendere parola,
«Dobbiamo parlare».
«Parleremo
dopo», finì, dando loro le spalle.
Kara
roteò gli occhi e allora scandì per bene la voce:
«Mi ha chiamato
Maxwell Lord». Tutti si voltarono e ci fu silenzio, anche da
parte
di Lex e Indigo al bancone del piano-bar. «Non è
stato lui, o… o
almeno così ha detto. Anzi, ha colto l'occasione per
propormi di
essere la sua testimonial». Ingigantì gli occhi e
guardò i volti
dei presenti, sorpresi, uno per uno. «Una
testimonial… per le
pillole di cui io voglio fermare la vendita. Notate anche voi il
paradosso in questa storia?».
Lena
si portò una mano sulla fronte e iniziò a ridere,
e così Lucy,
dopo Lex, gettandosi ancora da bere. Indigo invece sospirò,
portando
gli occhi al soffitto per poi inquadrarle di nuovo: l'aria si era
fatta tesa fino a qualche secondo fa. Studiò Lucy Lane
poiché era
lei a rendere Lena nervosa.
«Maxwell
Lord non ha perso tempo», commentò Lena, per poi
dare uno sguardo
all'ora sul polso. «Comunque sono contenta di sapere che hai
ripreso
a controllare il cellulare poiché Leslie Willis ti sta
cercando».
Vide lo sguardo di Kara mutare. «Mi è sembrata
gentile, il che è
strano: cerca di non rompere la magia».
Indigo
osservò Kara Danvers annuire, ma non ne era entusiasta. Ora
era una
sua ex collega, dopotutto. E, in un attimo, Lucy Lane
scrollò le
spalle e si strinse nelle mani: adesso era lei quella nervosa. Forse
doveva sentirsi di troppo in quel teatrino.
«Colgo
l'occasione per dire che sono davvero, davvero felice che voi
due»,
quest'ultima prese parola, passando lo sguardo da una all'altra,
«stiate insieme. Non so cosa ti abbia raccontato Kara, ma
sono una
grande sostenitrice della vostra relazione».
Ci
aveva provato, pensò ancora Indigo, ma non sembrò
andare a buon
fine, dato lo sguardo duro di Lena e quello impacciato di Kara.
«Sì»,
la prima alzò il mento, mostrando un freddo sorriso.
«Kara me lo ha
detto».
E
così vide Lena andarsene, Kara allontanarsi per fare quella
telefonata e Lucy Lane che non accennava a smettere di fregarsi le
mani, guardandosi intorno con l'aria di una bimba spaurita. E adesso
veniva verso di loro: certo, ora lo avrebbe accettato quel
bicchierino. C'era stata tensione, una tenera agitazione, imbarazzo,
probabilmente una gelosia preesistente, analizzò, poggiando
un
bicchiere, già vuoto, alle labbra. Doveva esserci stato
qualcosa tra
quella Kara Danvers e la figlia minore di Lane, e Lena ne era al
corrente. Riafferrò il bicchiere, ritrovando gli occhi di
Lucy Lane
a poco dai suoi.
«Non
so… Hai una faccia già vista, è
possibile?», le puntò contro un
dito e Lex rumoreggiò con la gola.
«Lane.
Perché non mi parli nel dettaglio dei rischi di espormi a un
processo».
Non
si poteva dire che il giovane non fosse intervenuto per tempo ma,
quando Kara scese le scale e si affacciò al salone, corse ad
aiutarlo nel separarle.
Alex
Danvers uscì dall'aula con un gran mal di testa. Una volta
in
corridoio si affacciò di sotto, alle scale, prendendo fiato.
Era
fatta, Astra Inze era libera. O meglio lo sarebbe stata tra pochi
giorni, il tempo dato alla burocrazia di avviarsi. Non ci sarebbe
stato altro modo di trattenerla, l'organizzazione aveva vinto. Libera
e pulita, pronta per rientrare nella vita di sua sorella. E adesso
come sarebbe riuscita a dirglielo?
«Caz-».
Carina ci si gettò a fianco contro il corrimano,
trattenendosi dallo
sbraitare non appena si ricordò di dove fosse, voltandosi
indietro
per assicurarsi che nessuno la stesse guardando male. Strinse i
denti. «È fatta, partner. Siamo
fottute»,
aggiunse in un bisbiglio. «Sono la prima a voler essere
positiva, ma
quella donna, Danvers, quella donna fa parte dell'organizzazione al
cento per cento e la lasceranno andare perché non abbiamo
prove
sufficienti. Questa non è davvero una buona
giornata», si rimise
dritta e osservò alle loro spalle l'avvocato e altri
stringersi la
mano. Alex si stette zitta e Carina non mancò di pensare a
come
stesse cercando di capire qualcosa di lei. «E il
marito?», le
chiese. «Cosa ne sappiamo del marito?».
«Verrà
rilasciato», rispose con sicurezza. La fissò, per
poi scuotere la
testa. «Se è stata rilasciata lei, non ci sono
speranze. È finita,
Carina. Non ci resta che tornare a casa a leccarci le ferite e
prepararci per il prossimo round».
Le
sorrise. «Completamente d'accordo. Vediamo di prepararci a
dovere,
stavolta! Quei due torneranno dietro le sbarre prima di arredare
casa».
Anche
Alex provò a sorriderle e insieme scesero le scale. Non
capiva
davvero se parlasse seriamente o se stesse solo fingendo. O Carvex
era davvero brava, o stava perdendo tempo a starle dietro e avrebbe
dovuto cominciare ad analizzare qualche altro collega.
«Senti,
casa mia non è lontana. Ti vuoi riposare un po'?»,
Carina le batté
amichevolmente una spalla. «Potremo approfittarne per
digerire i
dispiaceri insieme, oppure devi già tornare?».
«Sì,
mi dispiace», mise su una smorfia mortificata,
«Devo andare a
prendere la bambina da casa di un'amichetta».
«Oh,
giusto. Doveri da mamma», sorrise di nuovo.
«Sì,
sarà per-».
«Un'altra
volta, certo», le batté di nuovo una spalla.
«Ah…
E-», allungò lo sguardo verso il suo collo coperto
dal colletto e
si indicò il proprio. «So che non sono affari
miei, ma…. se avrai
bisogno di parlarne, puoi contare su di me».
Carina
Carvex si toccò il collo e abbassò il capo.
«Non è niente. Ci
vediamo domani, partner». Attraversò la strada.
Anche se Danvers si
era diretta verso la macchina, sentiva il suo sguardo addosso. Si
aspettava che la seguisse, invece si allontanò subito e le
dispiacque un po'. Forse diceva il vero, per la bambina. O forse
aveva usato una scusa, pensò ancora, perché della
giornata ne aveva
avuto abbastanza. Si affacciò di fronte a una vetrina e
aprì il
colletto della camicia, tastando con un polpastrello il livido,
ancora ben visibile. Stava diventando più piccolo, sarebbe
sparito
presto. Non faceva più male e in fondo l'aveva in qualche
modo
deliziata lo sguardo allarmato della collega. Sorrise, richiudendo il
colletto.
Com'era
perdere tutto? Astra Inze lo sapeva, lo sapeva eccome. Una stimata
sergente di polizia, membro di un'organizzazione segreta che poteva
cambiare National City, zia di un'adorabile bambina che l'amava alla
follia, moglie di un uomo intraprendente, sorella di una giudice
affermata, tutto perso in poco tempo, senza che avesse la
possibilità
di capire come uscirne. Era tutto il suo mondo e sapeva, lo sapeva
bene che non avrebbe mai riavuto tutto ciò che aveva perso,
ma una
parte di quelle cose si sarebbero sistemate, col tempo. Ne era sicura
e rise con piacere quando la riportarono dentro la sua cella.
Kara
chiuse la chiamata perdendosi in un punto vacuo, venendo inglobata da
esso. Sentiva le voci degli altri come echi lontani, le gambe molli
tanto da non essere sicura di essere ancora in piedi, la testa
leggera, vuota, grande. Guardava, ma non vedeva. Sentiva, ma non
capiva. Doveva svegliarsi.
«Kara?».
Lena la prese per le spalle. «Kara, cos'è
successo? Era Alex,
vero?».
Annuì
e mise a fuoco stringendo gli occhi e sistemando gli occhiali sul
naso, scoprendo che tutti la fissavano. «Quando sei
tornata?».
«Adesso».
Lena
la circondò con un braccio e Indigo le tenne d'occhio mentre
la
portava vicino alle scale per un po' di privacy. Avevano lasciato
entrambe i loro cellulari su un mobiletto. Un gesto spontaneo,
allontanarsi e appoggiarlo, ma non era da loro. Non lo era. Prese
fiato, a labbra chiuse. Stava per tornare verso il piano-bar che Lucy
Lane le stava di nuovo dietro.
«Quindi?
Questo garante com'è?».
«Non
lo so», alzò gli occhi al cielo. «Mai
visto».
«Scusa,
ma… non ti credo».
Si
sedette su uno sgabello, alzando un bicchiere per farselo riempire da
Lex che le porgeva la bottiglia, cominciando a lamentare ironicamente
di non essere un barman. «Che novità,
tesorina».
Arcuò
un sopracciglio. «Tesorina,
prego?».
Lena
la strinse tra le braccia e Kara si lasciò prendere da quel
tepore;
sentiva il suo cuore battere agitato, forse ce l'aveva ancora con lei
per la discussione avvenuta nella sua camera, ma non se la sentiva di
chiederglielo.
«Come
ti senti? Vuoi parlarne?».
Kara
ingurgitò saliva, rannicchiandosi tra i suoi seni. Lena
poteva
davvero diventare molto alta con i tacchi ai piedi. «No,
voglio
dire, no-non so di cosa parlare… Aspettavo questo momento,
sapevo
che sarebbe successo, che era solo questione di-», la strinse
più
forte. «Mi ha fatto sentire strana, ma in realtà
nemmeno so come
dovrei sentirmi».
Lena
si abbassò il tanto per lasciarle un bacio sui capelli.
Intravide
Lucy Lane a qualche metro, con il bicchiere pieno e una mano sotto un
gomito; si scambiarono uno sguardo. Non avrebbe saputo descriverlo,
ma la convinse a trattenere Kara di più con lei. Poi
un'illuminazione: «Ricordi il parco divertimenti di quando
rapirono
Jamie? Andiamo». La guardò alzare il volto
arrossato. «C'ero stata
solo con la videocamera del tuo cellulare, ricordi? Anche
Indigo…
In quel periodo, non la conoscevamo di persona e ci aveva aiutato a
ritrovarla. Non so quante volte ci sarà stata in un parco
simile,
potrebbe farle piacere. Potrebbe farlo a tutte. Prendere un po'
d'aria. Andiamo».
«Vuoi
andare davvero?».
Lei
annuì. «Mi faresti compagnia, Olaf?».
Kara
sorrise, guardando per un attimo le proprie calzette raffiguranti il
famoso pupazzo di neve abbracciato a un ombrellone da spiaggia. Le
lasciò un bacio, slanciandosi.
«Andiamo»: glielo sussurrò a fior
di labbra e si allontanò per proporlo a Lucy Lane.
«Si
prospetta una bella serata tra ragazze. Vi auguro che sia
così».
Lex afferrò la giacca da infilare sopra la camicia da un
appendiabiti, incamminandosi lento verso la porta con il cellulare in
mano pronto per chiamare la macchina che lo venisse a prendere.
Lena
lo scrutò e si appoggiò a un tavolino con le
braccia sul grembo.
«Vieni con noi. Cos'hai da perdere? Alla Luthor Corp
sopravviveranno
senza di te». Kara concordò, facendogli cenno di
aggregarsi.
«Non
sono un tipo da luna park. Dovresti saperlo, sorellina».
Fu
Indigo a prendere la sua attenzione: «Fai uno strappo alla
regola.
Non ci sono mai stata, può essere divertente»,
lanciò uno sguardo
a Lena. «Siamo esseri umani, Lex Luthor. Hai paura di
scoprirti tale
anche tu?».
Lex
spezzò lo sguardo enigmatico sul volto, abbozzando una
risata e
prendendo fiato mentre scuoteva brevemente la testa. «E sia.
Mi
avete convinto, verrò con voi. Ma non siederò su
alcuna
attrazione».
Il
parco divertimenti era pieno di visitatori, talmente che era
possibile passeggiare senza essere quasi riconosciuti, cavandosela
con qualche occhiata e tutt'al più l'imbarazzo del personale
degli
stand. Gli occhi di Kara parevano brillare e si fermava dal tirare
Lena da una parte all'altra solo perché si vergognava a
farlo di
fronte a Lucy. Veniva investita da uno strano imbarazzo. L'ultima
volta che era stata lì aveva un altro stato mentale, adesso
il parco
sembrava ancora più bello.
«Allora?»,
Lena sorrise a Lex che, mani nelle tasche dei pantaloni, le camminava
a fianco. «Sei vivo».
Lui
arcuò le sopracciglia, sollevando le spalle.
«Così pare». In
realtà, non si sentiva per niente a suo agio, ma aveva
deciso non di
dare a quel posto un'occasione, ma di darla a lei, sua sorella, a
Kara e perché no a quella Indigo. Alla compagnia. Magari
anche alla
sua aspirante avvocata. Ci tenevano disperatamente al fermare
quell'accordo e ci avrebbe scommesso che era per quel motivo e per
quello soltanto che Lena l'aveva invitato ad andare con loro. Da
quando aveva preso a pugni quel ragazzo nella sua università
e si
era trasferito a Metropolis lontano da lei, le cose tra loro erano
cambiate, dopotutto.
E
forse Lex non se lo aspettava, ma si divertì davvero.
Kara
trascinò Indigo sui seggiolini volanti. Come promesso, Lex
si
astenne, ma anche Lena si tirò indietro e restò
in basso ad
aspettarle. Appena la giostra iniziò a girare vorticosamente
e
Indigo capì che Kara e quell'altra cercavano di acchiappare
un
peluche appeso a un palo, tentò con ogni sua forza di darsi
lo
slancio necessario muovendo le catene del suo seggiolino per
arrivarci per prima e, a convenienza, dietro Kara, di calciare il suo
per impedirle di prenderlo.
«Indigo
è competitiva», commentò Lex, ma la
sorella non lo stava
ascoltando, inquadrando Kara e quella Lucy Lane che si prendevano la
mano per aiutarsi a darsi lo slancio.
Indigo
mise su il broncio quando vide Kara riuscirci e sventolare il peluche
come un trofeo. E così al secondo giro. E al terzo. Al
quarto, il
bigliettaio le regalò il peluche.
Al
momento degli autoscontri, fu Indigo a fregarsi le mani con
soddisfazione, gongolando come fosse l'unica attrazione su cui aveva
già seduto da ragazzina e che Kara non avrebbe potuto
batterla
sull'inesperienza. «Non mi sconfiggerai». Appena fu
data carica
alle macchine, quella blu di Indigo partì alla riscossa,
sbattendo
con violenza contro la gialla ancor prima che Kara avesse premuto
piede sull'acceleratore. Le stette dietro, maledicendo gli altri
giocatori che le venivano addosso, sabotandole i piani. Quando fu
quella rossa di Lucy Lane a sbatterle contro lo prese come un
affronto personale.
Dopo
salirono sulla piovra e Kara convinse Lena a sedere con lei,
lasciando a Lex il compito di scattare foto. Il tentacolo portava la
navetta in alto di qualche metro e Kara le sorrise, stringendole una
mano e intrecciando un braccio sotto il suo. Quando iniziò
ad
abbassarsi e alzarsi velocemente, sentì la mano di Lena
aggrapparsi
con le unghie. «Non hai ancora visto niente».
«Kara…»,
la fissò, «no».
Sorrise
a trentadue denti, avvicinandosi a un orecchio: «Ti fidi di
me?».
«No».
Kara
mise svelta il broncio.
«Non
mi trascinerai su un ottovolante».
Le
ultime parole famose: sapeva che neanche quella secca risposta le
avrebbe dato quella certezza. Aveva i piedi di marmo, le gambe
faticavano a piegarsi per camminare e Kara l'aveva presa per mano per
essere sicura che non le sfuggisse, facendo ridere Lex dietro di
loro.
«Non
dirmi che hai paura di qualche curva, Lena», la
interpellò Lucy.
Oh,
sicuro, e così non l'avevano ingannata i suoi occhi che si
facevano
piccoli dal terrore?! «E non ne ho…
difatti», la voce le tremò,
ma forse la musica degli altoparlanti l'avrebbero coperta,
perché
non poteva mostrarsi debole di fronte a lei.
«È
che preferisce stare coi piedi per terra», chiarì
Kara. Deglutì e
sorrise con impaccio quando Lucy le sorrise a propria volta.
«Ma lei
non ha paura». Strinse con più sicurezza la mano
di Lena con la
sua: al bando l'imbarazzo, sapeva che Lucy era solo felice per loro
poiché quando le aveva parlato della sua relazione con lei,
le cose
sembravano più complicate di com'erano davvero.
Indigo
ridacchiò. «È risaputo che i Luthor non
hanno paura di nulla,
no?», inquadrò Lex e lui sbiancò,
quando si accorse che non era la
sola a essersi voltata per osservarlo.
«Ah…
Ragazze, i Luthor non hanno paura di nulla, sono tutti gli altri ad
avere paura dei Luthor, è vero. Ma ricordate, io sono
qui per
non salire su alcuna attrazione».
«Quindi»,
Kara scrollò le spalle, «hai paura».
«No,
non ho-».
«Ha
chiaramente paura», aggiunse Lena.
«So
cosa state cercando di fare», ridacchiò.
«Non
sei all'altezza», serrò le labbra Indigo.
«Ad alcuni uomini può
succedere».
Lex
puntò gli occhi al cielo e a quel punto sospirò,
gonfiando appena
la bocca. «Siete delle carogne», le
sorpassò, andando a fare i
biglietti. «Delle carogne infami».
Si
misero in fila e, adocchiando il volto paonazzo di Lena, Kara scosse
la mano con lei. «Fai delle belle foto quando saremo in
alto», le
sussurrò, lasciandola. Avrebbe voluto baciarla, ma sapeva di
non
poter rischiare.
Lena
abbassò lo sguardo, prendendo una grossa boccata d'aria.
«Se mi
stringerai a te», la guardò, «possiamo
lasciar perdere le foto».
Aveva
paura, aveva chiaramente paura e Kara non l'avrebbe costretta
davvero, ma Lena decise di provarci. Chiuse gli occhi per la maggior
parte del tempo, reggendosi a Kara al suo fianco così come
avrebbe
fatto un gatto su un parapetto, tirando fuori le unghie. Lucy
alzò
le mani e Indigo rise così tanto da farle male fa faccia. La
fortuna
del giovane Lex aveva impedito a tutte di voltarsi e notare il
bluastro del suo viso tinteggiato dall'orrore.
«È
stato bellissimo», Indigo si lasciò andare a
un'esclamazione di
gioia quando scesero dall'attrazione, «mi sento leggerissima,
mi
sembra ancora di essere lì sopra».
Lucy le batté due pacche sulla schiena e Kara rise, non
ricordando
di averla mai sentita comportarsi in quel modo, cercando uno sguardo
con Lena che… oh,
Lena faticava a non sbandare, reggendosi a una ringhiera, e Lex, per
ultimo, si teneva lo stomaco, guardando in avanti con occhi
spalancati. Il sangue doveva essersi ritirato, se lo sentiva.
Quando
ormai stava per scendere sera, il gruppo si fermò davanti al
tiro a
segno e mentre Kara vinceva tutti i quadri uno dopo l'altro con le
freccette, Lucy sparava ai barattoli col fucile a pallini. Anche
Indigo provò, lasciandosi spiegare da quest'ultima come
fare.
Vinsero altri peluche da fare compagnia al lemure dei seggiolini
volanti. Anche Lex decise di tentare la sorte e, quando vinse solo un
paperotto, decise di comprare la tigre bianca di peluche dietro a
tutti gli altri, quella più grande. Il giostraio gliela
concesse con
titubanza. La regalò a Indigo e Lena scrollò gli
occhi al cielo dal
fastidio.
«Non
ti potevi esimere, giusto?».
«Non
so se hai notato, sorellina, ma non ho mai avuto grandi
capacità se
non per gli affari. E se in questo modo posso far felice una ragazza
che è sempre triste, allora perché
no?». Gliela indicò con lo
sguardo e Lena sospirò: Indigo scompariva dal momento che
abbracciava quella tigre.
Sedettero
sulle tazze da tè, Kara e Lucy urlarono dall'alto della
torre
verticale a caduta libera, si fecero un giro all'interno della Casa
dei Fantasmi e Indigo si divertì a far paura Kara alle sue
spalle,
Kara vinse il toro meccanico, e dopo lo vinse Lucy, salirono su un
altro ottovolante e, con la pancia che brontolava un po' a tutti, si
fermarono ai pressi del furgoncino della pizza. Lex pensò di
offrirla a tutte e Indigo ne approfittò per farsi aggiungere
due di
tutto. A uno sguardo smarrito di Kara, Lex diede anche a lei il
permesso di farlo.
«No,
io non posso accettare». Lucy era di un altro pensiero.
«Lascia
perdere i convenevoli, Lane», replicò,
«Oggi non sei la mia
avvocata, ma un'amica della mia sorellina acquisita».
Alla
sua aria ancora incerta, fu Lena a spingerla: «Accetta,
è solo una
pizza».
Solo
una pizza. Una pizza offerta da un Luthor. Se qualcuno una volta le
avesse detto Lex Luthor un giorno le avrebbe offerto un trancio di
pizza, lei lo avrebbe preso per matto.
«Non
farti problemi». Lena gliene passò uno quando
prese il suo,
ordinando altri due tranci al gestore.
Si
allontanarono e, appena Kara finì il suo in tempo record,
Lena le
passò prontamente uno dei due extra che aveva riposto in un
sacchetto che teneva in braccio con qualcuno dei peluche vinti.
Mangiarono seduti su due panchine e si alzarono per fare una
passeggiata. Il parco, con il buio, era diventato un mare di colori e
suoni diversi, di lampi di luce e risate. La leggera brezza della
sera trascinava nell'aria odore di popcorn caramellati. Si stava
bene. Considerando che tutti avevano mangiato meno che Lex, Indigo lo
sfidò ad assaggiare qualcosa che non avrebbe mai toccato,
indicandogli una bancherella.
«Sai,
non lo pensavo così buono. Ne avevo sentito parlare ma ne
sono
sempre stato scettico; dopotutto», passò uno
sguardo sulle mani,
«ci si sporca più del dovuto. Ma è
buono, buono davvero. Dovrò
darle questa soddisfazione. Mi sfugge il nome».
«Hot
dog», sibilò Lena, accanto.
«Giusto.
Allora, vuoi parlarne o pensi di risolvere le cose con lo
sguardo?».
Sua sorella studiava insistentemente le altre, davanti a loro: si
divertivano davanti al Gioco del Martello, cercando monete per farlo
partire. «Cos'è successo? È tutto il
giorno che ci rimugini».
Lena
ci pensò poco prima di confidarsi, in realtà. Era
vero che molti
lati del fratello non le piacevano e avrebbe preferito non scoprirli,
ma era pur sempre il suo Lex, da qualche parte là in fondo.
«La mia
ragazza dà la colpa alla nostra relazione se ha perso la
squadra e
l'impiego alla CatCo».
«Mh,
fatico a crederlo, conoscendola», fece una smorfia, accortosi
di una
macchia di ketchup sulla camicia. Alzò gli occhi al cielo e
imprecò
per sé, cercando di mangiare in fretta e finendo per
sbrodolarsi di
salse sul mento.
«No,
infatti», sospirò. «Dà la
colpa a sé stessa per non aver saputo
gestire il tutto».
«E
tu invece pensi che la colpa sia tua».
Non
rispose, mordendosi un labbro. «Sono stata egoista con lei.
Le
chiedevo di restare, si è abituata a vivere in villa,
trascurando il
campus».
Lex
prese fiato a pieni polmoni dopo aver ingurgitato l'ultimo boccone,
ricercando in fretta, con due dita, un fazzoletto dal taschino: era
la prima volta che ne usava uno e si sentì improvvisamente
un
temerario. «Disperato, imprescindibile impulso… Lo
so, sorellina,
sono un Luthor anch'io», abbozzò un sorriso,
«È un bisogno
d'amore. Un sentirsi compresi e desiderati. La paura che, se se ne
andrà, capirà di non aver bisogno di
te».
Lo
sguardo di Lena si mostrò particolarmente scocciato da
quella
affermazione. «Lo so che è una cosa che non ha
senso.
Oggettivamente lo riconosco».
«Ma
siamo persone: capita che i pensieri viaggino dove non
vorresti»,
strinse i denti disgustato poiché, dalla luce dei lampioni e
delle
attrazioni, la macchia sulla camicia parve essersi dilatata. Sapeva
che passarci il fazzoletto era una procedura delicata e difatti era
stato prudente, ma non abbastanza. «Tu e Kara siete una bella
coppia, Lena. Hai con te delle salviette umide?». La
ringraziò,
strappando la salvietta dalla confezione tirata fuori dalla borsa.
«Cosa ti fa credere che potrebbe stancarsi di te?».
La
ragazza mise su una smorfia seccata e alzò l'indice, in
silenzio,
puntando davanti a loro: Kara saltellava dalla gioia, abbracciando
Lucy Lane.
«Oh
oooh,
guarda quanto hai fatto», esultò lei, con un
sorriso splendente.
«Va
bene», l'altra sorrideva compiaciuta del risultato,
«vi sfido a
fare meglio di me, bellezze».
Kara
prese subito il martello, accettando. Si portò in posizione
e colpì
forte la tabella, facendo schizzare il punteggio. Lucy Lane rimase
senza fiato.
«Non
ci voglio… Non ci voglio credere! Ti hanno svezzato con
latte e
ambrosia, da bambina?». Risero e passò il martello
a Indigo, che
era dubbiosa sul provarlo.
Lex
rise appena, sollevando le spalle. «Adesso ha
senso».
«No,
non lo ha», ribatté svelta. «So che
è stupido essere gelosi, Kara
sta con me».
«Beh,
sono decisamente affiatate: comprendo e condivido la
perplessità. Ma
sì, Kara sta con te e vi correte dietro da diverso tempo,
dunque non
credo che tu abbia di che preoccuparti per davvero,
sorellina».
Le
ragazze attirarono la loro attenzione, dopo aver fatto giocare
Indigo. Sarebbe stata infastidita di non aver fatto un punteggio
più
alto se non fosse che era la prima volta che giocava e non usava
delle videocamere e l'immaginazione per farlo. Mise da parte
l'orgoglio e, quando Kara le chiese se volesse provarlo ancora, non
esitò a ripetere l'esperienza. Lena e Lex li raggiunsero e,
dopo
aver colpito la tabella, Indigo guardò il ragazzo ed emise
una
smorfia divertita.
«Oh,
Lestat.
Chi hai massacrato per avere quell'hot dog?».
Lex
guardò lei, la camicia, Lena, poi strinse le labbra fini.
«Torno a
casa», chiosò secco. «Indigo,
vuoi-?».
«Indigo
resta qui». Lena fu lapidale.
«Neanche
un po' di compagnia…». Si avvicinò
furtivamente alla sorella,
assottigliando un sorriso: «Sì, sei decisamente
un'egoista». Stava
per girarsi, tornando indietro di scatto. «Hai una
sciarpetta, per
caso?».
Lena
aprì la borsa, ci guardò dentro e-
«Siamo a giugno», lo guardò
torva.
Lui
sbuffò. «Non sono abituato. Qualcuno solitamente
porta le cose per
me e non so come-». Se ne andò, bofonchiando
infastidito nel
cercare di coprire quella macchia sulla camicia.
Erano
in fila alla Casa degli Specchi quando Kara notò, tra i
volti di una
folla, quello di una persona conosciuta. Indigo era già
entrata e
Lena la seguì, mentre lei e Lucy tornavano indietro. Non
avrebbe mai
pensato di trovarlo così facilmente, per caso, ben sapendo
come
Megan lo considerasse ormai scomparso. «… coach
Jonzz?».
L'uomo
sobbalzò, trovandosela davanti. «Kara!»,
le passò una mano su una spalla, formando un sorriso.
«Come ti
senti? Tua sorella mi ha spiegato cos'è successo».
Dopodiché si
accorse dell'altra ragazza, porgendole una mano. «Tenente
Lane. Non
sapevo vi conosceste».
Kara
abbassò lo sguardo e, dopo aver deglutito, tirò
un sospiro. «Bene.
Le chiedo scusa, ho-ho perso la squadra e tutto ciò per cui
abbiamo
lavorato, ma-».
«Non
devi chiedere scusa a me», lui scosse la testa, cercando di
essere
comprensivo. «Ammetto di essere rimasto spiazzato dalla
notizia-».
«Lavorerò
sodo», continuò lei e lui la fissò.
«Ho fatto uno sbaglio, ma
sono pronta a ricominciare».
John
sorrise, annuendo pacato. «C'è solo una cosa che
può fare una
persona dopo aver perso tutto», le disse, fissandole dritta
negli
occhi, «rimboccarsi le maniche. Fare di meglio. E se
c'è qualcuno
che può farlo, quella sei proprio tu… Supergirl».
Lucy
abbozzò una risata a quelle parole. «Super…
Non
fatico a capire perché»,
le lanciò un'occhiata e la vide sorridere.
«Riguardo…»,
John riprese, più serio, e Kara ben sapeva a cosa si
riferisse:
meglio ancora, a chi.
«Le cose sono fatte, Kara, ma eravamo pronti a questo. Vai
per la
tua strada, non lasciarti condizionare. Ci siamo capiti?».
Lei
annuì. Stavano per tornare verso la Casa degli Specchi che
si fermò
sui suoi passi. «Uh, coach Jonzz?». L'uomo la
guardò di nuovo.
«Chiami Megan. La prego». Lui le riservò
un sorriso spento, non
avrebbe saputo come interpretarlo. Ma era tardi, si era girato e loro
tornarono verso la Casa degli Specchi, pensando che avrebbero perso
quelle due.
Il
trenino girava ancora intorno alla pista, fortunatamente. John
sorrise fiero e due bambine lo salutarono da una delle piccole
carrozze, così inviò loro un bacio.
«Facci
una foto, papà», urlò la maggiore.
«Stringi
bene Tanya, tesoro. Non la mollare, tienila forte per mano».
Prese
il cellulare, scattando una foto all'ennesimo giro.
Com'era
perdere tutto? Lui lo sapeva, il suo angelo custode. Indigo ne era a
conoscenza, lo aveva scoperto. Dopo aver compreso chi fosse e chi
Howard, l'uomo che Carol e Noah tenevano in casa con loro, era stato
tutto in discesa. Per quel motivo odiava i Luthor: aveva bisogno di
un capro espiatorio, un colpevole da colpire, da distruggere per
vendicare le sue sofferenze. Le loro
sofferenze. Eppure, doveva sapere che una vendetta non gli averebbe
ridato
niente.
Indigo
guardò lontano e indietro. Si era persa. La sua immagine
rifletteva
ovunque, distorta in più modi. Provò a chiamare
Lena ma non la
sentì, non ricordava di essersi spinta tanto oltre. Era
colpa sua,
si era lasciata prendere dall'entusiasmo; mai avrebbe creduto che
quel posto le sarebbe piaciuto fino a quel punto. Aveva riso,
giocato, vinto un portachiavi peluche sparando con un fucile a
pallini. Non aveva rubato niente, non aveva sentito l'impulso di
hackerare quel posto. A parte forse i seggiolini volanti. Ora
sì che
suo fratello non l'avrebbe riconosciuta. Chiamò di nuovo
Lena e
tentò di tornare sui suoi passi, trovando un vicolo cieco.
Quel Lex
Luthor le aveva regalato una tigre bianca peluche talmente grande che
avrebbe potuto farle da letto. Udì le risate e le voci di un
gruppo,
ma non le riconosceva. Le avevano offerto la pizza. Da quando era con
loro, viveva a spese dei Luthor. Non sarebbe dovuta entrare in quel
posto da sola, diamine. Strinse i denti e camminò toccando
il vetro,
trovando un altro vicolo cieco. Prese il cellulare ma la linea era
assente. Certo, mica poteva essere così semplice.
Sbuffò,
ricominciando a camminare. Era abituata ad aspettarsi sempre qualcosa
in cambio, ma Lena le aveva offerto un lavoro. Più rivedeva
il suo
volto che via via si faceva più deformato e disperato, e
più non
poteva non pensare a come se ne sarebbe dovuta andare e basta.
Scappare lontano da Lena e Kara Danvers, da Winslow che voleva
esserle amico, da quello che le stavano facendo. Non avrebbe dovuto
aspettare che tutto finisse, ma farlo finire e basta.
E
lui l'avrebbe trovata.
Il
respiro le si fece corto e deglutì, voltandosi di scatto
sentendo un
rumore. Il suo angelo custode avrebbe pagato quell'autista per farle
del male. Se fosse scappata, Noah che era un investigatore l'avrebbe
trovata. Se avesse voluto farla uccidere perché lei sapeva
di lui e
sapeva di Howard, avrebbe lasciato che Carol facesse il lavoro
sporco. Magari che la torturasse con gli attrezzi trovati in garage
e, dopo, avrebbero tinteggiato il sangue con pennellate bianche.
Sentì la tachicardia salire, la gola restringersi. Si
voltò di
nuovo, e di nuovo, ma ritrovava solo se stessa ancora e ancora.
E
ne sarebbe valsa la pensa di farsi uccidere per loro? A chi voleva
prendere in giro? Lena le aveva offerto un lavoro perché si
sentiva
in colpa a chiederle di fare delle cose per lei. Lex Luthor le aveva
regalato la tigre peluche perché voleva fare sesso. Appena
era
successo l'irreparabile, Kara Danvers l'aveva subito accusata. Aveva
già deciso, strinse i pugni. Doveva seguire il suo piano e
se la
sarebbe cavata, sarebbe sopravvissuta come aveva sempre fatto. Da
sola. Era inutile ripensarci. Una spia, una traditrice. I cellulari
lasciati su un mobiletto. Si portò le mani sui capelli e si
piegò
su se stessa, stringendo i denti.
«Indigo!
Indi, cosa ti succede?». Lena le corse incontro e insieme
scivolarono sul pavimento. Lei piangeva e Lena era sicura che si
fosse divertita, cosa le era successo all'improvviso?
«Mi
dispiace, Lena…», scosse la testa, piegando le
labbra in una
smorfia. «Ho paura, non sono forte abbastanza, non
posso»,
singhiozzò, stringendosi sulle sue braccia. «Non
posso… Devi
scusarmi».
«Indigo,
di cosa stai parlando?», l'avvicinò sul suo petto,
cercando un modo
per calmarla. Ma sapeva di cosa stava parlando. «Kara ha
ragione,
vero?», le domandò poi a bassa voce, senza che ci
fosse ombra di
accusa, sperando nella confessione. «Non sei
scappata». La vide
scuotere la testa e singhiozzare ancora e a Lena si seccò la
gola.
«Mi
ha lasciato andare… Voleva che andassi da te»,
ammise, «Che ti
trovassi. Mi dispiace così tanto», la
guardò, tirando su con il
naso. Non si arrabbiò, parve capirla. Nei suoi occhi
trasmetteva
comprensione. Perché doveva renderle le cose così
complicate con
quell'indulgenza… falsa? Era falsa. Doveva
esserlo.
«Cosa
vuole da me, Indigo? Qual è il suo scopo?».
«Vuole
solo», si fregò gli occhi, «vuole solo
che tu sappia la verità
sulla tua famiglia, i Luthor. Il mio compito è quello ti
farti
aprire gli occhi su chi sono. E chi erano», aggiunse, con la
voce
strozzata.
«Bene»,
la ragazza si lasciò andare a uno sguardo duro.
«Sono io a volerne
sapere di più. È perfetto».
Le
persone erano sempre un problema. Imprevedibili, inaffidabili, i
sentimenti così sopravvalutati. Indigo ne era ancora
convinta, ma
non si era resa conto di come, nel tempo trascorso con loro, si stava
riscoprendo in quel modo anche lei.
Gliel'ho
detto. Scrisse
per messaggio, una volta tornata a casa Luthor. Ho
detto a Lena qual è il tuo scopo, angelo custode. Hanno
capito che
le spio dai cellulari e sto seguendo un nuovo piano. Uno mio, questa
volta.
Da
X a Me
Stai
giocando col fuoco, Indigo. Devi stare molto attenta, ti avevo
pregato di non fare di testa tua.
Anche
lui, come una qualsiasi banale persona, si stava lasciando guidare
dai sentimenti. Ma lei non aveva intenzione di restarci in mezzo.
«Tieni».
Kara
Danvers la sorprese alle spalle e spense subito il monitor del
cellulare, voltandosi. Il lemure peluche vinto sui seggiolini volanti
le stava a un palmo dal naso, scrutandola con i suoi vivaci occhi
rossi. «Cioè?».
«Cioè
te lo regalo», le sorrise, infilandoglielo sotto un braccio.
«Ci
siamo divertite, giusto?».
«Lo
fai perché», biascicò, «vuoi
che ti perdoni per avermi aggredita
ieri. Fatto!
Felice?».
Kara
fece una smorfia con le labbra. «Ci siamo divertite. Non devi
perdonami per forza, insomma, m-mi piacerebbe, ma»,
gesticolò, «sei
un'amica. Te lo regalo per questo». Si allontanò e
Indigo fissò il
lemure.
In
camera di Lena, quest'ultima parlò a Kara di cosa le aveva
rivelato
Indigo nella Casa degli Specchi. I cellulari vicino, sopra il letto.
Lasciando che Kara parlasse di come non si stupisse affatto della
cosa, Lena tirò fuori un piccola agenda dalla borsa, aprendo
al
segnalibro.
«Non
sono sicura sia tutto qui, Kara. Ma possiamo contare su
Indigo».
Prese una penna, scrivendo qualcosa.
Lei
sospirò. «Sì, beh, forse. Indigo
non…», guardò il cellulare,
sospirando ancora, «non è come vuole farci credere
di essere».
LUI
ODIA I LUTHOR. INDIGO NE HA PAURA: LO SO PER CERTO
Le
mostrò il foglio dell'agenda e Kara la guardò
negli occhi, serrando
le labbra. Sui fogli prima, si erano appuntante tutto ciò
che
sapevano o credevano di sapere sul fantomatico garante di Indigo.
Dovevano raccogliere ogni dettaglio. «Dovremo stilare una
lista di
nomi per capire…», mormorò, facendole
cenno di passarle l'agenda
e iniziando a scrivere. «Chi può avercela tanto
coi Luthor da
volere che tu ne sappia di più su di loro?!». SA
CHI È?,
le mostrò e Lena scrollò le spalle.
«Sarà
una lunga lista, Kara».
Lei
gonfiò il petto e sospirò, per poi sussurrare:
«E poi perché
proprio tu…?!». DEVE
SAPERLO
STIAMO
AL PIANO, CI PENSEREMO DOPO,
le scrisse Lena di rimando, giocando con la penna in mano.
Indigo
sistemò la tigre bianca di peluche sul letto e, sotto una
zampa
simulando un abbraccio, il lemure che le aveva dato Kara Danvers.
Ascoltava ciò che dicevano ma sapeva di dover stare molto
più
attenta da quel momento in avanti, conscia che, le cose importanti,
se le sarebbero tenute per loro. Cercò di riposare un po' e
dopo
uscì dalla camera. Loro non c'erano: dopo aver sentito Kara
parlare
con l'amica Megan al telefono, erano salite di sopra, sul terrazzo
del tetto. Indigo salì le scale e si affacciò
alla porta a vetri:
erano in piscina entrambe. Parlavano. I telefoni distanti, sugli
sdraio. Scaltre.
«Mi
ha consigliato di andarci appena possibile, prima che parta in
vacanza», annuì Kara. «A mani vuote
o-».
«Cat
Grant penserà che cerchi di corromperla»,
finì Lena per lei,
appoggiandosi al bordo con le spalle. «È stato
carino da parte di
Leslie. Si sarà affezionata a te», le sorrise.
«Chi non lo
sarebbe?».
Kara
arrossì e la raggiunse galleggiando, rimettendosi dritta a
poco dal
suo corpo e, così, esaminarle le labbra. Si baciarono
teneramente e
finirono per guardarsi ancora. «Lena…»,
prese fiato, abbozzando
un altro sorriso. «Per quanto riguarda-».
«No,
lascia perdere. È tutto a posto», le
passò una mano sul viso,
spostandole un ciuffo bagnato attaccato a una guancia. «Anche
io
voglio andare a vivere con te». Ricambiò il suo
sorriso. «Quando
saremo pronte, intendo».
«In
una casa nostra», saltellò fino ad appoggiarsi
alle sue spalle,
affondando con un altro bacio sulle sue labbra. «Ne avevo
parlato
con Alex e… Oh,
Alex!»,
esclamò, intanto che lei le passava le mani sott'acqua per
reggerla
sui fianchi. «Sei sicura che non devi dirmi
niente?», arcuò le
sopracciglia e l'altra non trattenne una mezza risata.
«Ha
spedito un cellulare alla Luthor Corp».
«Sì,
lo sapevo», esultò. «È
proprio da mia sorella».
«È
questo che sono andata a prendere. Indigo non potrà
hackerarlo, zero
internet: lode ai vecchi modelli. Così potrò
continuare a stare in
contatto con lei».
«Quanto
ti amo».
«Ha
fatto tutto Alex», la guardò torva e Kara rise.
«Quindi
non va bene che io sia così… beh, se… ssualmente
attratta da te in questo momento», si morse un labbro e finse
di
pensarci, facendo ridere e arrossire l'altra.
«Eccome
se va bene: sai quanto ami quando sei se-ssualmente
attratta da me», la prese in giro e cambiò
espressione di colpo,
addolcendosi. «Vieni qui». Si baciarono di nuovo, e
di nuovo,
sentendo i respiri caldi dell'una sull'altra. «Sono contenta
di
vedere che ti sei ripresa, a proposito. Cominciavo a credere che ci
sarebbe voluto un po'».
«Anch'io»,
confessò, reggendosi alle sue spalle. «Quando ho
smesso di cercare
di capire come ho lasciato che succedesse, mi sono resa conto di
esserne sollevata», rise quando l'altra la fissò
con curiosità.
«Era un peso, cercavo costantemente di correggere
ciò che avevo
fatto, tenendolo dentro e-e ora… è andato! Ora
non mi resta che
rimboccarmi le maniche», le vennero in mente le parole di
John, mai
più azzeccate, «e questo lo so fare. Ce la
farò». Lena si
avvicinò per baciarla e Kara ricambiò, pulendole
il volto
dall'acqua. «E dovrò trovare il modo di dirlo a
Eliza. Lei…», si
morse un labbro, «Questo sarà un po'
più difficile, per lei sono
quasi una santa,
non so come…».
«Farai
anche questo. Trova il momento giusto, non aver fretta», le
sussurrò
dolcemente, baciandole una guancia e facendola ridere e arrossire.
Non che volesse ricordarglielo, ma… «E tua zia?
Cos'hai deciso di
fare?».
«Niente»,
si strinse nelle spalle. «Lei farà la sua vita e
io la mia.
Cercherà di parlarmi, saprò in quel momento cosa
fare. Ora voglio
solo… essere positiva. Ti sembra che abbia
senso?».
Si
era tormentata così tanto… «Mi sembra
l'unica cosa che ne abbia,
ora».
«Sì?».
Era
tornata a essere il suo sole. «Oh, sì».
I
loro corpi abbracciati, uniti, le loro bocche una sull'altra.
Lontano, Indigo le guardava con espressione spenta, non sapendo
descrivere cosa provasse. Si allontanò e scese le scale,
fermandosi
alla porta chiusa di Lex Luthor. Lo aveva promesso a Lena, ma aveva
davvero senso mantenerla? E a quale scopo? Voleva Lex Luthor quanto
lui voleva lei, non serviva nient'altro.
«Finalmente»,
lui posò il suo telefono sul comodino.
«Solitamente non amo
aspettare, ma per te…».
«Non
ti è saltato in mente che non sarei venuta?».
Chiuse la porta e
avanzò verso il letto.
«No».
Si sedette e il lenzuolo gli scivolò addosso.
«Sapevo che lo
avresti fatto». Appena Indigo si fermò, lui si
alzò, nudo,
afferrandole il mento per arrivare alle sue labbra con le proprie,
talmente fredde dal farle provare i brividi. Li sentì, dal
contatto.
Chiusero gli occhi e Indigo lo strinse per le spalle con forza,
intanto che il ragazzo le sollevava la maglietta. Si separarono per
permettergli di gettarla sul pavimento e lei lo baciò con
foga,
inspirando. «Cosa ti è successo, oggi, Indigo
Brainer?», sorrise
lui, passando le mani per slacciarle il jeans. «Non che mi
dispiaccia, si intende, ma credevo di essere il solo a non vedere
l'ora di averti, questa notte. È che volevo chiederti un
favore
prima che l'aria inizi a scaldarsi troppo».
Per
un attimo, lei alzò gli occhi al soffitto. «Non
farò nulla contro
Maxwell Lord».
Fu
categorica e il ragazzo rise. «Pensi davvero che te lo avrei
chiesto? Credo di poterlo sconfiggere senza ricorrere a certi
trucchetti, no, non ha a che vedere… È che da
tempo sto cercando
di mettermi in contatto con una ragazza e, nonostante ogni mio
tentativo, non fa che ignorarmi».
«Dovresti
porti due domande».
Lui
rise ancora, baciandola sotto la mandibola. «Sì,
naturalmente me le
sono fatte, ma», si fermò, leccandosi un labbro.
«il fatto che è
odio quando mi si ignora e sto davvero cercando di evitare di usare
le maniere forti. Ha fatto una cosa imperdonabile e devo parlarle di
persona. Pensi di poterla convincere?».
«Una
ex», capì.
«Gelosa?».
Lei
abbozzò una risata sarcastica. «Come se me ne
importasse», gli
morse il labbro inferiore dopo un bacio, scoccandolo. «Lo
farò».
Lex
sorrise e le involse il volto con le mani piene, abbassandosi dopo
essersi guardati negli occhi, per spalancare la bocca e accogliere
così la sua lingua, inspirando.
Anf,
anf, anf! Quanto è lungo questo capitolo! Vi ho
fatto aspettare
parecchio, sì, ma c'è così tanta roba
da leggere, no? :)
E
ora… ah, vi ricordate quando, alla fine
dello scorso
capitolo, vi ho chiesto cosa c'era che non tornava? Ne parleremo
nelle note qua sotto ~
Intanto,
cos'è successo? Indigo ha confessato! È
stressata, è stremata, e
Kara e Lena stanno evidentemente giocando sporco, ma se n'è
accorta.
Come poteva essere altrimenti se, sapendo di essere spiate dai
cellulari, avevano iniziato a “dimenticarli” per
avere privacy? E
a nasconderli sotto i cuscini! A spostarli, a stare attente alle
parole da usare durante le conversazioni, ecc… Cosa
succederà
adesso? Chi avrà la meglio fra le le due
“fazioni”?
Frattanto
abbiamo un Lex sempre più invaghito di Indigo, e la ragazza
che da
parte sua non vuole stargli lontana, nemmeno dopo averne parlato con
Lena. Ed è arrivata Lucy per parlare con Lex delle pillole,
rendendo
Lena piuttosto gelosa, anche se la trova una cosa assurda. Ma
d'altronde Lena era per le sue, in quel momento, dopo aver discusso
con Kara che si è accorta ora di aver dato poco peso e
spazio ad
alcuni aspetti della sua vita. Voi ve ne eravate accorti? Ormai stava
vivendo in villa, aveva perfino pensato di trasferirsi lì,
ha
saltato gli allenamenti con la squadra, ha trascurato il campus:
prima o poi doveva farsi due calcoli. Cosa ne pensate di questa
discussione, come la vedete?
Beh,
se non altro ora che si è liberata di quel peso non deve far
altro
che ricominciare!
Uh!
nel frattempo Astra Inze è libera, processo vinto,
sarà un
personaggio giocabile sul tabellone molto presto! Cosa ne pensate? E
di Carina e Alex? O meglio ancora, cosa di Megan che pensa di aver
perso John, e John che è… padre? Ve
l'aspettavate? Quest'uomo è
così misterioso… Dopotutto, è tornato
a farsi sentire, ed era
ora, e non sappiamo esattamente cosa stia combinando durante quella
che lui chiama “vacanza”. Insomma, c'è
almeno una spia al D.A.O.
e probabilmente è meglio lavorare da soli, la prudenza non
è mai
troppa.
In
soldoni, cosa ne pensate di questo lunghissimo capitolo?
Oh,
non vi preoccupate, anche il prossimo sarà decisamente
lungo… ma
sarà uno stand alone!
Arriviamo
alle note ~
-
C'era qualcosa che non tornava… Qualcosa di grande, in
effetti, che
potrebbe dare una lettura diversa a gran parte delle cose successe
nel capitolo precedente! Ah, questi cellulari, sempre in
giro… :P
Ripassiamo insieme dei punti importanti del capitolo scorso:
Ricordate?
Durante la notte, Lillian Luthor aveva sorpreso Indigo ancora in
villa e la ragazza, per togliersela dai piedi, le aveva offerto una
bizzarra conversazione in cui le ha fatto credere, dicendole la sua
verità, ciò che voleva. Era bastato poco.
Lena
ne rimase colpita perché Lillian Luthor, di certo, non era
un'ingenua. CI AVEVA PENSATO E RIPENSATO a lungo, sistemando la
valigetta, E QUANDO KARA TORNÒ dalla corsa mattutina, LA
PRESE IN
DISPARTE PER DIRGLIELO prima che le venisse in mente di sbattere
Indigo fuori di casa. […] «Non importa, ci ho
pensato io», le
sorrise e le scoccò il labbro inferiore con l'indice destro,
CON
UN'IDEA IN TESTA, avvicinandosi al suo viso con il proprio.
«Indigo
doveva mantenere la sua copertura, non è grave. Adesso
DOVRESTI
PENSARE AD ALTRO». […]
«E-Ehi,
pensavo… pensavo andassimo a fare colazione», le
scoccò
un'occhiata, «ma sto cambiando idea».
«Cambiala.
Ho voglia di prendere UN ALTRO TIPO DI DISCORSO, con te». La
baciò,
passandole le mani SUI FIANCHI e FINO AL SEDERE, […]
Ebbene
sì: Lena l'ha perquisita. Tutto molto romantico ma, se
avesse avuto
con sé il cellulare, avrebbe dovuto sfilarglielo.
Lo
so, lo so, era difficile intuirlo da queste parole ma, emh,
spiegatemi una cosa: sì che la Lena della mia fan fiction a
volte
sente il bisogno di fare cosacce in momenti poco opportuni, ma
così
dal nulla? Stava pensando a Indigo e alla discussione tra lei e sua
madre, come le era salita la voglia di stare con Kara?
«In
bagno…?».
«Shh.
PARLO IO, tu potrai farlo dopo».
Quando
la porta si riaprì, Lena si muoveva i capelli con le dita,
stringendo un elastico. «Allora sistemati. Ti aspetto di
sotto».
PRESE IL TELEFONO e le sorrise.
Kara
SOSPIRÒ, appoggiandosi allo stipite.
Kara
sospira, certo, ha molto a cui pensare.
Portarla
in bagno per fare le cose sconce, senza i telefoni, era una buona
copertura se Indigo stava ascoltando, e avrebbero avuto un tempo indefinito per
discutere in perfetta privacy.
Cosa
le era passato per la testa?
Ora
sì che aveva complicato le cose: sarebbe stata la giusta
strada da
seguire?
Non
riuscì proprio a resistere e ora avrebbe dovuto mettersi
d'impegno
per parlarle di quei dati sulla chiavetta e la loro cancellazione.
[…] Era un po' nervosa perché non poteva
permettersi che quella
discussione andasse male.
Doveva
mettersi d'impegno per parlare a Kara dei dati di quella chiavetta
fingendo di farlo per la prima volta. E dovevano essere convincenti.
Che grandi attrici. Ma non del tutto…
[…]
una parte di lei era pronta a sentirla predicare che era sbagliato, e
chissà che cosa ne avrebbero pensato suo cugino e quella
Lane, che
avrebbero trovato un altro modo per proteggere Lillian dalle accuse
che ne sarebbero conseguite, ma la sorprese, restando ferma a
pensarci.
Abbassò
il volto e dopo, ricercando Lillian ed Eliza al di là del
vetro che
affacciava al cortile, strinse i denti.
«Facciamolo», si rivoltò a
osservare Lena. «Facciamolo, va bene. […]
What?!
Ne avevano parlato in privato, ma evidentemente non così nel
dettaglio… Kara non stava recitando:
Lena
la sentì deglutire e un brivido gelido le
attraversò il corpo. «Sei
sicura? […]
Eh,
no, non stava recitando.
Anche
per questo motivo una discussione tra le due, più avanti,
sul
terrazzo del tetto di casa Luthor, si era fatta particolarmente
strana. Ma dobbiamo necessariamente trattenere
questa parte e
altre sospese nel tempo perché ci arriveremo più
avanti, promesso,
in un altro capitolo. È davvero difficile estrapolare una
diversa
chiave di lettura, altrimenti, senza delle informazioni importanti
che si avranno solo successivamente. In questo, focalizziamoci sul
“lavoro” sotto copertura.
«Non
abbiamo scelta. LO DIRÒ AD ALEX, più tardi,
così non avremo
problemi! Lei capirà perché».
Lena
lo sperava. «Ah, A PROPOSITO, HAI SISTEMATO? Per il
lacrosse?».
Si
stava voltando per lasciarla e si fermò, in un sorriso.
«TUTTO
FATTO», annuì COMPLICE. «Ho chiamato e
ho lasciato alle ragazze
della squadra dei compiti per allenarsi»,
dichiarò,[…]
“A
proposito di Alex, hai sistemato?”, ah, “e per il
lacrosse?”.
“Tutto
fatto”, le ha detto con complicità, “E
sì, anche per il
lacrosse”.
Che
complicato dover parlare in modo che Indigo, dai cellulari, non
potesse capire.
Poi
sappiamo che Kara ha sbottato! Non sappiamo ancora che cosa si sono
dette precisamente Lena e Kara nel bagno la mattina, ma evidentemente
dovevano tenere con lei un certo comportamento, comportamento che
è
andato a farsi benedire quando Kara ha scoperto da Leslie che
l'organizzazione sapeva delle pillole di cui aveva fatto uso.
«Torniamo
di sotto, adesso», Lena la tirò per mano,
[…]
«Indigo
è riuscita a…», si zittì,
ricordando di come l'avesse aggredita.
«Sì,
è riuscita», le prese anche l'altra mano, fermando
i suoi passi.
«Ti perdonerà, Kara, tornerete come
prima».
Increspò
le labbra. «Lei…», SOFFIÒ
INFASTIDITA di colpo e l'abbracciò,
pensando di SUSSURRARLE una cosa ALL'ORECCHIO, così Lena
sorrise.
Che
cosa le avrà detto? Non lo sapete, esatto, così
come non lo sa
Indigo. Cosa bisogna fare pur di trovare un modo per parlare
liberamente…?! Specie se si vuole parlare di una persona
che, si
sa, sta ascoltando o lo farà in tempi brevi.
«Non
hai rovinato nulla», la rincuorò, vedendola
annuire.
Non
ha rovinato una parte del piano? Oh, chissà, lei lo spera.
E
comunque…
[...]
Sarai sempre una sua spia… una traditrice»
Cosa,
cosa, cosa? In pratica, Kara aveva già rivelato a
Indigo che lei
e Lena sapevano che stava lavorando col garante e la cosa ci calzava
così a pennello, dato che Kara l'aveva sempre accusata, che
neppure
lei se n'è accorta, dandole ragione. Perché in
quel momento Kara
era perfettamente in sé, non stava recitando nessuna parte.
Era
seriamente arrabbiata e Lena preoccupata, per quello si era lasciata
andare a un sospiro quando Kara aveva pensato di abbracciare Indigo
per salvare baracca e burattini.
In
poche parole: vi ho preso in giro, cari lettori, così come
Lena e
Kara (e Alex) stanno “prendendo in giro” Indigo. Ma
è stato
davvero, davvero complicato scrivere quel capitolo
“fondendo”
verità e bugia in modo che ci fossero piccoli indizi per
scoprire la
seconda pur lasciando che, a una lettura normale, passasse per la
prima. Non è detto che mi sia venuto bene, ho cancellato e
riscritto
così spesso, e alcune cose come ho detto sono ancora da
“risolvere”,
ci torneremo più avanti, quindi… boh, fatemi
sapere cosa ne
pensate!
… no,
please, non tiratemi pomodori, su! Che mi creano
acidità XD
Bene,
ringrazio chi mi ha letta fin qui (anche se mi ha tirato pomodori?
Mmh, su questo dovrò
rifletterci…) e segniamoci il prossimo
appuntamento con Our home per sabato 18 aprile. Il
prossimo
capitolo si intitola Marsington, nome curioso, e
come ho detto
sarà un lungo stand alone! Di chi si parlerà?
Teorie? ~
Non
ne ho parlato prima perché mi sembrava fuori contesto e
ritenevo
questo sito di scrittura amatoriale come un piccolo spazio
“libero”
da ansie di sorta, ma stavolta mi permetto di dire solo una cosa:
siate attenti e responsabili e, se potete, state a casa. Al momento,
è l'unica “arma” che abbiamo.
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