Ciao
ragazzi!
Rieccoci con un altro capitolo :) la verità viene un po' a
galla!
Link
al
terzo capitolo in inglese:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/52828897
Capitolo
3
– Formation
“Riassumendo, alla
fine il processo è identico a quello di una qualsiasi altra
gravidanza. Si aspettano nove mesi, il parto è naturale e così via.
Di conseguenza, dovremmo discutere l'opzione di un surrogato.”
La
coppia
di uomini seduta all'altro lato della scrivania di Izuku fece
uno sforzo enorme per evitare di fissarlo come se si trovassero al
cospetto di un genio della lampada, o una divinità caritatevole. Ciò
nonostante, gli occhi spalancati e lievemente lucidi di entrambi
tradivano le loro emozioni. Izuku provò un leggero imbarazzo di
fronte ai due, ma proseguì con la spiegazione.
“Raccomandiamo
sempre
di cercare la persona ideale tra le nostre candidate, ma se
desiderate che sia qualcuno di cui vi fidate a portare avanti la
gravidanza, per noi non c'è nessun problema. Faremo del nostro
meglio per supportarvi fino alla fine e mettervi a vostro agio, in
qualsiasi modo. Avete delle domande da farmi, prima che vi spieghi
meglio le opzioni a vostra disposizione?”
Come
per
tutte le precedenti sedute, quello era sempre il momento in cui,
alla sua domanda, seguiva un lungo silenzio e la conseguente
realizzazione che l'impossibile era appena diventato un poco più
concreto.
“Perciò,
uh… il bambino sarebbe biologicamente nostro?”
Izuku
annuì
mentre gli angoli delle labbra iniziavano a curvarsi in un
sorriso. Era quasi sempre la prima curiosità da soddisfare.
“Qual
è la percentuale di successo?”
“Del
cento per cento, ad oggi. Non si procede come nella FIVET, qui non
si
rischia e non si perde, non tiriamo a sorte. Non possiedo alcun
controllo sul modo in cui si manifesteranno i geni e gli altri
fattori, perciò potrebbe insorgere qualche complicazione dopo che
la
fecondazione ha avuto inizio, come in una qualsiasi altra
gravidanza,
ma l’atto in sè è molto semplice. Si tratta di un Quirk e, come
tutti i Quirk, sembra sfidare ogni logica e senso, ma funziona,”
spiegò con cura Izuku, scrollando le spalle.
“Per
quanto riguarda il costo…” iniziò il maggiore dei due,
corrugando un po’ la fronte. Il compagno, per confortarlo, prese a
massaggiargli il dorso della mano col pollice. Erano entrambi
vestiti
in modo impeccabile e la maggior parte delle coppie non si
prendeva
nemmeno la briga di presentarsi alla seduta, se non era pronta a
spendere - sfortunatamente, non era un mistero che tali pratiche
fossero care, ma Izuku faceva del suo meglio per non lucrarci
sopra.
Tuttavia, aveva anche lui bollette da pagare e una bocca in più da
sfamare.
“É
la stessa cifra che paghereste con la FIVET e, solitamente, le
tariffe per un parto surrogato coprono sia le spese di
sostentamento
che quelle mediche, nel caso vi decidiate per quella soluzione.”
Izuku
mostrò
alla coppia un foglio laminato con elencati i soliti
preventivi. Ben sottolineato vi era ciò che poteva essere coperto
dall’assicurazione, dai finanziamenti federali e dalle donazioni
dei gruppi d'interesse, oltre che una lista dettagliata di tutti i
vantaggi in una gestione “in proprio” da parte dell'azienda.
Restava comunque una cifra elevata, ma era una realtà con cui Izuku
era sceso a patti da tanto tempo ormai.
“Vi
lascio qualche minuto perché possiate valutare tutte le
opzioni”
disse, alzandosi dalla sedia per allontanarsi e dare loro
privacy.
Andò nella zona ristoro per versarsi ancora un'altra tazza
di caffè,
la quarta di quel giorno. Era stato un incubo mettere a
letto Hisami
la sera prima e il latente senso di colpo risorto dopo aver
rivisto
Kacchan -dopo avergli fatto incontrare Hisami- lo aveva
tenuto
sveglio tutta la notte. Non sarebbe mai
dovuto
accadere. Sapeva che, statisticamente, imbattersi in lui era
una
possibilità molto concreta, ma non si sarebbe mai aspettato
che il
biondo gli volesse volontariamente rivolgere la parola, che
si
potesse sedere ad un tavolo di fronte a suo figlio e parlare
con
loro. Era una cosa… preoccupante.
L'aspetto
più brutto della situazione era che ad Izuku non sarebbe
assolutamente
dispiaciuto
riallacciare
i ponti con Kacchan, ma la mera esistenza fisica di suo
figlio peggiorava tutto a livelli estremi. Non aveva mai
accettato
che la loro amicizia fosse andata in frantumi, ma adesso, le
cose
erano incredibilmente
complicate.
Puramente
per colpa di Izuku, la situazione era così critica da
impedirgli persino di recuperare un semplice rapporto di
reciproca
conoscenza con il suo amico d'infanzia, e questo lo faceva
stare
profondamente male.
Bakugou
Katsuki
era il padre biologico di Hisami, ne era completamente
all'oscuro e il solo pensiero che lo potesse scoprire faceva venire
in mente ad Izuku gli scenari peggiori. Del tipo, scenari di guerra-
scenari post apocalittici, finali così disastrosi da dover essere
ricordati dagli annali di storia. E tutto si sarebbe potuto evitare,
se solo Izuku non fosse stato così stupido.
Si
sarebbe
volentieri giustificato dicendo che quando aveva deciso di
usare il suo Quirk sul suo amico, non era completamente padrone di
sé, ma questo avrebbe fatto di lui un bugiardo, oltre che un pessimo
esempio di essere umano. La verità era che Izuku stava cercando già
da tanto tempo dei “donatori” (non sapeva come altro chiamarli),
prima che un incontro fortuito non lo spingesse a prendere una
decisione follemente egoista.
Si
sentiva solo e, per quanto assurdo potesse suonare, avere un
figlio
sarebbe stato -per lui- di gran lunga più facile che
imbarcarsi
nella ricerca di un partner. Poi, di punto in bianco, si era
trovato
davanti un Kacchan sicuro di sé e forte proprio come quello
visto
alla tv e Izuku ne desiderò possedere un pezzo -un frammento
piccino, microscopico. Non era così tanto ingenuo da negare
che una
cotta, da tempo sepolta nel suo cuore, e sentimenti mai
chiariti
avessero giocato un ruolo chiave nel suo decidersi ad
utilizzare il
Procreate sul suo amico di una vita, e aveva sufficiente buon
senso e
istinto di conservazione per riconoscere
che
aveva
fatto un errore madornale nel tempo stesso in cui lo stava
compiendo, nell’istante in cui camminò tanto vicino a Kacchan
da
sentirsi travolgere il cuore da quel lieve senso di tepore,
segno
che una vita
era
stata
generata dal suo Quirk.
Quella
stessa
sera, stipulò un contratto con una delle madri surrogate
associate alla clinica, appoggiando le mani sul suo ventre per
trasferirvi la piccola vita non appena l’inchiostro sul foglio fu
asciutto e, per nove mesi, fu in lotta con se stesso, tormentato dal
peso dell’errore commesso, incapace di riposare, portato a lavorare
fino allo sfinimento nel tentativo di auto-punirsi. Ma quando Hisami
nacque e Izuku lo tenne in braccio per la prima volta, ogni senso di
colpa svanì di fronte al viso del suo bel bimbo perfetto. E più
Hisami cresceva, più gli eventi che avevano portato alla sua nascita
si mescolavano fino a sembrare solo un incidente fortuito, una
coincidenza, una piccola mano tesa dal destino perché gli venisse
regalato qualcosa di meraviglioso.
Ultimamente
poi, avendo trascorso più di un minuto in compagnia di
Kacchan, gli
erano saltate all’occhio le somiglianze tra lui e suo figlio.
Pur
essendo solo un bimbo di tre anni, Hisami possedeva già una
personalità esplosiva e non era un’esagerazione affermare che
il
piccolo fosse un mix quasi
perfetto
di
quelle peculiarità, che rendevano Izuku e Kacchan… Izuku e
Kacchan.
La
genetica
era proprio una cosa bizzarra. Inizialmente Izuku aveva
pensato che da Kacchan Hisami avesse preso solo i capelli biondi, ma
più lo osservava, più continuava ad assomigliare a lui. Avevano lo
stesso naso, lo stesso sorriso beffardo di quando si eccitavano per
qualcosa. Persino il taglio fine e la forma dei suoi occhi erano come
quelli di Kacchan.
Se
Izuku
avesse continuato a pensare a tutto quello, ne sarebbe uscito
pazzo. Fece un respiro profondo, prima di ritornare nel suo ufficio.
Magari la sua vita di lì a poco sarebbe anche crollata come un
castello di carte, ma prima, avrebbe perlomeno reso felice la coppia
che lo attendeva.
Katsuki
non era abituato a provare la sensazione che qualcosa stesse
sfuggendo
dalle
sue
mani. Da buona persona estremamente competitiva e con
un’intelligenza superiore alla media qual era, non c’era mai
stato un mistero che non fosse riuscito a svelare o un
problema che
non fosse stato in grado di risolvere. E tuttavia, ogni volta
che il
suo sguardo cadeva su quel bambino, un grande, grosso punto
interrogativo gli riempiva la testa. Erano passate due
settimane da
quello che -si poteva dire- esser stato il pranzo più ansioso
del
mondo, e Katsuki faticava a cancellarlo dalla sua memoria
-tanto, se
non di più del giorno stesso in cui si era tenuto-.
Quel
giorno
si era allontanato non appena i conti erano stati distribuiti
-pagando tutto quanto, considerato che aveva più soldi di quanto
sapesse che farsene. Si era immaginato che Deku avrebbe perlomeno
tentato di protestare e, per un attimo, sembrò sul punto di farlo.
Katsuki lo vide aprire la bocca, chiuderla, per poi ringraziarlo con
un conciso, “Grazie, Kacchan.”
Deku
fu
altrettanto veloce ad andarsene, issandosi in spalla la borsa
gigantesca e stringendo al petto come un pallone da football quel
chiacchierone di suo figlio, volando praticamente fuori dal locale.
Sfortunatamente
si erano incontrati di nuovo all’uscita, attraversando con un
certo
impaccio la doppia porta sfiorandosi le spalle. Izuku, ovviamente,
era inciampato nel nulla e la dannata borsa colorata era
volata per
terra, lanciando ovunque biberon, pannolini e -imperdonabilmente-
un
pupazzo
di Frostfire.
“Cazzo,”
sibilò Izuku, con suo figlio ancora appeso di traverso sotto il
braccio.
“Linguaggio!”
“Sì
tesoro, mi hai beccato. Scusami,” gli rispose, cacciando fuori un
lungo sospiro.
“Lascia
che
aiuti,”
mormorò
burbero Katsuki, leggermente a disagio.
“Tienilo
per un secondo, ti prego. Scapperebbe via nel momento in cui
lo
mettessi giù,” gli disse Deku, spingendo nello stesso
istante suo
figlio tra le braccia di un frastornato Katsuki. In vita sua
il
biondo non aveva mai tenuto in braccio un bambino e provò
immediatamente una sensazione di panico
così
travolgente, che non avrebbe potuto nemmeno tentare di
descriverla.
Storse il naso, tenendo sollevato il piccolo Hisami da sotto
le
ascelle, il più lontano possibile dal suo corpo. Hisami
guardò
Katsuki a occhi stretti e diffidenti, le labbra piegate in
un broncio
già visto prima.
“Sei
spauroso,”
sussurrò il bambino, stringendo gli occhi appena un po’ di più.
Quella faccetta arrabbiata avrebbe anche potuto essere comica, se
non
gli fosse stata inquietantemente familiare a livelli
indescrivibili.
Aveva un qualcosa di quello sguardo determinato che Deku era
solito
rivolgergli quando se la prendeva con gli altri bambini a scuola,
o
di quel terrificante sguardo di rimprovero che sua madre usava con
lui quando da piccolo faceva qualche capriccio in pubblico.
“Spauroso,”
ripeté
lentamente Katsuki, come se si trattasse di una parola
straniera di cui non conosceva il significato.
“Il
più spauroso! Mi stai facendo male alle braccia,” si lamentò
il
piccolo allungando quelle manine prensili neanche fossero
state dei
piccoli artigli minacciosi, aprendole e chiudendole come a
dire
tienimi
nel modo giusto, scemo. Katsuki
corrucciò
il volto e sistemò il piccolo gremlin sul suo fianco
mentre Deku richiudeva meticolosamente la borsa
strabordante.
Hisami
e
la sua ben ridotta capacità d’attenzione decisero che quello era
il momento giusto per un cambio di argomento.
“Signor
Spavento,
a te piacciono i cagnolini?” chiese, toccando la guancia di
Katsuki
per richiamare la sua attenzione su di lui.
“No,”
mormorò in risposta, desiderando ardentemente che Deku si desse
una
cazzo di mossa.
“Io
amo i cagnolini. Papà dice che non posso averne uno perché
sono
ergico.”
Katsuki
ebbe
bisogno di un minuto per capire che cosa diavolo intendesse
Hisami, basandosi sul contesto. Le parlate infantili erano
esasperanti.
“Anche
io sono allergico ai cani.”
In
quello
che immaginò potesse solo essere un moto di compassione, il
bimbo appoggiò la testa sulla sua spalla e gli diede delle pacche
leggere sul petto.
“Che
triste. Sono triste per te, signor Spavento.”
Deku
fece
un suono simile a quello di un gatto che annegava, tirandosi su
di scatto con la borsa nuovamente serrata.
“Okay,
preso tutto! Hisami, è ora di andare.”
Hisami
si
allungò verso Deku che, prontamente, lo raccolse tra le braccia.
“Grazie,
Kacchan. Ciao!” gli sembrò anche più di fretta rispetto a prima,
da come girò sui tacchi e camminò via in un baleno- andando nella
direzione opposta a quella per la stazione, come minimo.
“Ci
si vede in giro, Deku,” mormorò tra sé e sé, sentendo uno strano
calore nel punto in cui Hisami si era aggrappato pochi secondi
prima.
“Corri
papà! Lui fa spavento e odora di caramella bruciacchiata!”
“Hisami!”
Katsuki
non
riuscì a non ridere per quelle pagliacciate. Era un bimbo
sfacciato e impertinente, ma anche dolce sotto qualche aspetto. In
lui c’era tutta quella pacata gentilezza tipica di Deku,
frammentata da qualcosa di grezzo.
C’era
proprio
qualcosa di particolare in quel bambino.
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