Lenkerthen Lyoko Cap.6
Terra
– Francia – Parigi – Martedì
20 Settembre 2005 – Ore 00:10
Avier
Antonovic Anisimov era nervoso, più nervoso di quanto
nessuno lo
avesse mai visto essere. Le mani presero a tremargli come in preda al
Parkinson, il respiro si fece affannato e irregolare, il cuore
iniziò
a battere più forte. Aprì la sua borsa e prese
una delle sue
monete, provò a farla scorrere tra un dito e
l’altro, non
riuscendoci. Cadde a terra, il tintinnare del metallo sul pavimento
fu una campana che diede segnale a tutta la sua rabbia di
fuoriuscire.
“Porca
puttana! Porca puttana! PORCA PUTTANA! HO SBAGLIATO!” diede
un
pugno ad una parete, facendosi più male che altro. Il
constatare la
sua debolezza fisica non fece altro che gettare benzina sul suo fuoco
di furia. Sentì il bisogno di distruggere qualcosa,
aprì la sua
borsa per cercare i suoi bicchieri di vetro, li voleva lanciare per
terra e sentirli frantumare. Lo aveva fatto tante altre volte, e lo
avrebbe fatto di nuovo, non avesse visto prima la copertina del suo
album fotografico. Nel disordine delle sue cose, quella raccolta di
foto era saltata fuori per prima, come se attirata dal suo malumore.
Il
suo desiderio distruttivo si placò e iniziò a
sfogliare le sue
vecchie foto. Arrivato all’ultima, la sua rabbia divenne
disperazione. Iniziò a piangere, odiava farlo, lo faceva
sentire
debole. Ma certe cose lo lasciavano inerme, incapace di controllarsi
“Ho
fallito. Mi dispiace. Resta con me” disse stringendo a
sé la foto
di lui e Mary. La girò e lesse la poesia sul retro:
Il
vento sia alle tue spalle
La
fortuna nelle tue mani
Il
mondo si pieghi al tuo comando
Sii
la luce nell’oscurità
Quelle
parole cancellarono anche la sua disperazione, le lacrime smisero di
sgorgare e tornò quello di sempre. Com’era stato
stupido a
prenderla così male, proprio ciò che Mary gli
aveva detto di non
fare mai. Non aveva ragionato e si era lasciato cadere in balia delle
emozioni. Così stupido!
Ma
ora stava tornando quello di sempre, la sua mente iniziò a
ragionare
come sempre aveva fatto. Mise una dietro l’altra le sequenze
del
percorso di Jeremy e si rese conto che qualcosa non tornava, qualcuno
era riuscito ad ingannarlo. La situazione era molto più
insidiosa di
quanto sembrasse.
Il
ragazzo si alzò dal letto e guardò verso il
soffitto, immaginandosi
di perforarlo con lo sguardo fino a vedere le stelle nel firmamento.
“Contro
chi mi avete messo?” disse in un primo momento.
“Non
importa, ritornerà da me” continuò, poi
abbassò lo sguardo
“Ciò
che voglio, lo ottengo” terminò, e si mise a
dormire
Due
ore dopo, il suono della porta che veniva aperta lo svegliò.
Socchiuse gli occhi e osservò la stanza, vide una figura dai
capelli
biondi e indossante un paio di occhiali sul naso. A quanto pare
Jeremy era tornato…
Classe
di Ulrich e Odd – Ore 11:30 alle ore 12:00
“Stern,
Della Robbia, Anisimov. Forza, mostratemi la vostra
presentazione”
i tre vennero incalzati così dalla professoressa. Si
alzarono dai
loro posti come soldati a seguito di un ordine. Ulrich e Odd erano
presi dall’ansia, Avier era… Avier. Come sempre.
Una cosa odiosa
da constatare, ma utile al momento.
“Tak,
il periodo
vittoriano…”
“In inglese, Anisimov”
“Mi
scusi. Conoscendo sei lingue, a
volte mi confondo” nonostante
lo scemato
interesse nei
suoi confronti, certe
dichiarazioni non potevano passare inosservate. Tutti iniziarono a
guardarlo, cercando di capire se stesse mentendo.
“Lei parla sei lingue,
Anisimov?”
“Yes,
I do. I speak, obviously, russian. Then english, french, spanish,
polish and ukrainian…”
Mensa
– Dalle ore 12:20 alle ore 12:32
“E
quindi ha preso a parlare ininterrottamente per venti minuti. Con la
prof che lo ascoltava senza rendersi conto del tempo che passava e
Avier che si premurava di dire lui tutte le cose che noi non
sapevamo. Alla fine ci ha interrogato cinque minuti a testa su cose
banalissime. Miglior interrogazione della storia!” Odd aveva
raccontato la vicenda ad Aelita colmo di eccitazione e caricando di
enfasi le parole, non stava descrivendo un evento qualsiasi, ma
un’impresa eroica. Da parte di un individuo molto strano, ma
ciò
non la rendeva meno eroica.
“Più
ti conosco, meno penso tu sia umano, Avier” il russo sorrise
compiaciuto, poi si mise in bocca un altro pezzo del suo panino
salame, mortadella e lattuga (era molto affamato quel giorno). Quel
pezzo gli fu quasi fatale, Ulrich gli diede una pacca sulla spalla
così forte da fargli andare di traverso il boccone. Il russo
prese a
tossire fortissimo, arrossandosi in volto per il soffocamento.
Nonostante questo, dopo qualche colpo di tosse sarebbe passato.
Infatti non fu quello l’evento traumatico, ma ciò
che accadde
dopo. Caso volle che Jim passasse di lì proprio in quel
momento,
vedendo la situazione di Avier, si mise in azione.
“Ci
penso io!” raggiunse il ragazzo in sei passi e lo avvolse da
dietro
con le braccia, gli mise una mano a pugno sullo stomaco, la
coprì
con l’altra e poi spinse all’interno verso
l’alto. Avier sputò
il boccone non masticato sul pavimento, uscendo dalla manovra di
Haemlin con le vie respiratorie libere e una ferita
nell’orgoglio.
Si girò verso il suo benefattore e, ancora stordito,
allargò un
sorriso da ebete e parlò come un ebete.
“Mi
hai salvato, omone” lo strinse in un abbraccio comicamente
esagerato, una scena surreale. Jim fece un espressione compiaciuta e
iniziò a vaneggiare sul suo passato
“Un
gioco da ragazzi. Mi ricorda quando ero sergente istruttore dei Navy
Seals, quelle reclute partivano da queste basi e in breve tempo
dovevano essere pronti per le missioni speciali. Un lavoro per pochi,
ma ti assicuro che ho sfornato solo i migliori soldati degli Stati
Uniti D’America. Mi sale una lacrima solo a
pensarci”
“Lei
è un uomo incredibile. Ora però devo tornare in
camera un attimo”
Avier si allontanò, dal suo passo rapido sembrava che
fuggisse dalla
zona, cosa non tanto lontana dalla verità. Jim
però lo fece fermare
due volte.
“Vedi
di non saltare le lezioni. Mi raccomando”
“Non
oserei mai”
“Bravo
il mio ragazzo! Ehi, non è che avresti quel controt’
che prepari?”
“Il
kompot? Si, ne ho
preparato un po’ di recente. Se me lo paga, gliene do un
barattolo”
“Affare
fatto” subito dopo sia Avier che Jim sparirono
nei corridoi ai lati opposti della mensa.
Teorie
complottistiche iniziarono ad alimentarsi tra i tre guerrieri Lyoko
presenti lì nella mensa
“Ragazzi,
qui lo dico e non lo nego, Avier è innamorato di
Jim” Odd mise il
pezzo da novanta nella discussione, sarebbe stato saggio ridere e
pensare a cambiare discorso. Però ci sono momenti nella vita
in cui
spettegolare è un vizio troppo invitante
“Beh…
Dopo la sua confessione… Spiegherebbe molte cose”
aggiunse Ulrich
con un certo disagio, ma anche una malizia piuttosto subdola
“Dai,
vanno solo d’accordo. Non significa nulla” Aelita
prese una
posizione diversa. Il
suo
disagio era quello più forte, aveva fatto i miracoli per non
mostrarlo quando il russo era lì. Prima le
parole che gli aveva detto la sera prima e il quasi bacio, poi il
sogno.
Stava succedendo tutto
insieme.
“Ne
sei proprio sicura?”
“Certo.
Non credo abbia quel tipo d’interesse. Jim è
vecchio”
“Alcuni
ragazzi sono affascinati dalle donne più grandi, magari lui
ha gli
stessi
gusti, ma adattati”
Ulrich, nonostante la sua solita freddezza, non poté non
sorridere
mentre sottolineava l’ultima parola.
“No,
non è così vi dico”
“E
tu come fai a saperlo?” Aelita arrossì lievemente
per un attimo.
Lei sapeva la verità. Cavolo se la sapeva! Però
non poteva dirla.
Come rispondere allora? Per miracolo riuscì a cavarsela con
qualcosa
di sensato.
“Lui
era fidanzato con Yuri, no? Lo avete visto com’era:
più grande ma
dall’aspetto più giovane, esile, delicato,
dall’aria
intelligente… Vi sembra che Jim gli somigli?”
“L’aria
intelligente sicuramente no” la
battuta di Ulrich fece ridere sguaiatamente i tre. Poi
Odd se ne
uscì con una
constatazione
“Però,
non trovate che siano tutti aggettivi che descrivono Jeremy? E se gli
piacesse lui?”
“Che
idea stupida” esclamò secca Aelita, sperando di
troncare così
quella discussione.
“Però
lui ci ha provato con te di recente, no?” Ulrich gli diede un
colpo
sul fianco per farlo smettere,
ma il danno era fatto.
“Anche
voi siete dalla parte di Jeremy? Pensavo ci fossimo rappacificati con
Avier,
perché allora sono solo io a non accusarlo di cose che non
ha
fatto?” Aelita si alzò e
fece per andarsene, dire che fosse innervosita sarebbe
stato un
eufemismo. Ulrich
provò a fermarla.
“Scusalo.
Avier ci ha detto che lui era
causa di litigi tra te e
Jeremy, ma
ci ha
anche detto
di lasciar risolvere a voi. Odd avrebbe dovuto ascoltarlo”
“Si,
avrebbe dovuto” e se ne andò, i suoi movimenti
trasmisero tutta la
rabbia che provava.
“Perché
hai dato la colpa solo a me?”
“Perché
la colpa è solo tua”
“Mi
hai pugnalato alle spalle, amico”
“No,
non funziona così. E poi, con che idiozie te ne esci? Va
bene gli
scherzi, ma Avier ci avrebbe provato con Aelita per conquistare
Jeremy?”
“Si,
per farlo ingelosire e conquistarlo”
“Sembra
molto insensato”
“Può
darsi, ma non puoi dire che Avier agisca in modi
comprensibili”
“Incomprensibile
e idiota non sono sinonimi. Comunque, vista la situazione, ti
assicuro che se c’è qualcuno che non piace ad
Avier, quello è
Jeremy”
Camera
di Avier e Jeremy
– Ore
12:28
“Jeremy,
tesoro. Il tuo principe azzurro vorrebbe entrare” Avier era
in
piedi fuori la porta della camera, aveva abbassato la maniglia e
l’aveva trovata chiusa. Le chiavi erano ancora nel suo
borsone, ma
non le aveva dimenticate. Semplicemente, non le aveva prese
perché
Jeremy di solito non chiudeva mai la porta quando era dentro. Tranne
quel giorno, a quanto pare.
Un
paio di minuti dopo, sentì
la chiave girare nella serratura, la porta si aprì e si
ritrovò
davanti il suo compagno di stanza.
“Entra”
“Bol'shoye
spasibo”
Avier entrò e si diresse verso il suo borsone, iniziando a
frugare
dentro.
“Ma
sei uscito di qui? Non ti ho visto andare a lezione e non sei venuto
in mensa”
“Sono
andato a lezione. Dovevo lavorare ad una cosa sul computer”
“Non
mentirmi” Jeremy lo guardò con fare inquisitorio
“Non
sto mentendo”
“Davanti
al computer, chiuso in camera… So cosa stavi
facendo”
“Ah
si?”
“Certo”
Si girò tenendo in mano due barattoli ripieni di kompot
e squadrò Jeremy.
“Anche
io ho guardato porno. Certo, su videocassetta
perché… Ho un animo
vintage. Però non pensare che non l’abbia
fatto”
“Mi
hai beccato”
“Non
poteva essere altrimenti. Quando hai finito di sfogare la tua
solitudine, ricordati che hai degli amici. Poka”
Avier
uscì dalla stanza e si incamminò lungo il
corridoio. Riguardò
attentamente i due barattoli che aveva preso, uno di essi aveva un
piccolo puntino nero sotto il coperchio. Nel suo disordine, metteva
certe cose sempre negli stessi posti, come quel barattolo
particolare.
Eppure
lo aveva trovato in un punto diverso,
anche se la borsa non era stata spostata. In camera sua c’era
solo
Jeremy chiusosi a chiave dentro, quindi
era lui ad aver frugato.
“Yest'
anomaliya. YA ne znayu, chto eto, no luchshe poyti drugim putem”
si
disse.
????????????-????????????
“Dakrenit.
Cioè,
salve. Perdono, non ti hanno ancora installato il karl
neinenter.
È una procedura di indubbia non
facilità”
“Voglio
tornare a casa. Dai miei amici, la prego”
“Ci
tornerai, se l’operazione Lenkerthen
Lyoko avrà
positività di risultato”
“La
prego, dico davvero”
“Kant
trejan! Sei
stato informato sui rischi che corre l’universo, sarebbe
imperativo
non mostrare assoluto egocentrismo”
“NON
VOGLIO STARE QUI! LIBERATEMI!”
“Indubbiamente
impossibile. Ora, sii cordiale con il tuo buon medico. Dimmi, cosa
senti?”
“Voglio
andarmene”
“Non
lacrimare. La debolezza emotiva allungherà solo il tuo
periodo di
trattenimento”
“Va
bene. Mi fa tanto male la testa, ho la nausea ed ho freddo”
“Incoraggiante.
Visti i tuoi valori, sono tutti sintomi da stanchezza e stress. Siamo
riusciti ad adattare din
Inkniam al
tuo organismo terrestre. Quando riusciremo a processare un cibo che
non ti sia tossico, nutrendotene ti sentirai meglio. Provo
inquietudine per il nostro Akertosh
Brealwunt,
nessun
soldato dello Swarker ha mai operato con din
Inkniam così
a lungo”
“A
voi non interessa come sto”
“Errato.
A livello logistico, la tua salute psicofisica è essenziale
per
l’operazione. Inoltre, io sono un medico, non un soldato. Il
mio
scopo è assicurarmi che i miei pazienti stiano
bene”
“Non
mi fido di lei”
“Non
lo richiedo. Se mai cambierai posizione, preferirei mi chiamassi con
il mio nome,
ovvero Northar. Oppure Klanter o
Nekor,
se la formalità ti è preferita”
“Quanti
nomi hai?”
“Unico
è il nome, Northar. Klanter e Nekor sono… Credo
li definireste
cognomi. Sono stati scelti in eredità dai miei
generatori”
Camera
di Aelita/Cortile del Kadic – Dalle ore 21:30 alle ore 21:40
Aelita
era
affacciata alla finestra della sua camera, la vista era sullo spiazzo
di cortile con la panchina su cui Avier era solito sedersi, lui era
lì e disegnava come suo solito, probabilmente sempre la
stessa cosa.
Voleva raggiungerlo e chiacchierare con lui come le altre volte, ma
dopo quello che era quasi successo la sera precedente, non ci
riusciva. Non sapeva cosa
fare.
Improvvisamente
vide il ragazzo prendere il suo telefono dalla tasca e comporre un
numero. Dopo qualche secondo, il suo cellulare squillò.
“Deve
essere una coincidenza” si diresse sul comodino dove lo aveva
lasciato, lo prese e rispose.
“Pronto?”
“Continuare
a osservarmi mentre rimugini non ti aiuterà”
“Chi
ti ha dato il mio numero?”
“L’ho
letto una volta sul telefono di Jeremy e me lo ricordavo a memoria.
Lo sai che ti tiene salvata come principessa?
Mi è salito il livello glicemico quando l’ho
notato”
“Si,
lo so. Comunque, non
voglio
parlare di ieri sera,
sopratutto al telefono”
“Se
vuoi vengo da te”
“I
maschi non possono entrare nelle stanze delle ragazze. Anche se
fosse, io non ti aprirei la porta”
“Chi
ha detto che entro dalla porta?”
“In
che senso?”
“Salve”
Aelita sentì la voce venire sia dal telefono che da dietro
di lei.
Si girò e si vide Avier dentro la sua stanza, davanti la sua
finestra. La ragazza cacciò un urlo fortissimo, fermato poi
dal
tempestivo cenno di fare silenzio del ragazzo.
“Vuoi
che mi becchino?”
“Come
sei entrato?”
“Mi
sono arrampicato”
“Ma
è il secondo piano!”
“Mi
sono arrampicato un po’”
“Tu
sei matto”
Avier
mosse un passo verso di lei, la ragazza si sentì intimidita,
eppure
c’era qualcosa di rassicurante nei penetranti occhi scuri del
ragazzo. Li fissò per un attimo, poi distolse lo sguardo. Quando
mi guardi negli occhi, anche se lo fai per mettermi soggezione, mi
piace. Aveva ricordato quella frase, non poteva succedere di
nuovo.
“Torniamo
seri, ti va?”
“Si”
“Io
credo di aver sbagliato. Non era il caso di dirti quelle cose. Lo
sapevo che eri impegnata, ti ho mancata di rispetto, mi dispiace. Ho
due anni in più, ma non sono più maturo di
te” la ragazze fece un
sospiro, poi rivolse ad Avier un leggero sorriso
“È
strano che ti prenda la colpa. Sono io quella che ti ha quasi
baciato”
“Ma
quello è normale. Io sono fantastico” Aelita si
mise a ridere e
anche Avier allargò un sorriso.
“Stupido!
È questa la tua idea di serietà?”
“Si,
perché io sono seriamente fantastico”
“Hahaha!
Credici”
“Comunque,
non so se sia possibile, ma vorrei poter rimanere tuo amico. Tu sei
una ragazza davvero speciale” Aelita arrossì,
quando Avier faceva
complimenti, li sapeva dire così bene che non poteva essere
altrimenti.
“Certo
che puoi. Anche tu sei speciale, Avier”
“Bene”
esclamò dopo un po’ il ragazzo, alzando un
po’ il tono di voce.
“Ti
va una passeggiata, Aelita?”
“A
quest’ora? Ma c’è il
coprifuoco…”
“Dai,
principessa, ho scalato la torre per lei. Un coprifuoco lo
potrà
violare per me” Aelita sorrise, però sentiva anche
un certo
disagio. Stare da sola con Avier… Non avrebbe dovuto, non
così
presto. Doveva dirgli di no, ma non ci riuscì.
“Come
rifiutare l’invito di un cavaliere slavo in tuta
Adidas?”
“Non
se ne vedono tutti i giorni. Ti aspetto davanti al cancello
d’ingresso”
Il
russo scavalcò la finestra e prese a discendere reggendosi
sugli
stessi appigli con cui era salito.
Sala
del supercomputer – Nello stesso momento
La
figura esile era nel lato destro della sala, seduta sul pavimento con
la schiena poggiata sulla parete. La sacca della sua flebo continuava
a galleggiare nell’aria grazie al repulsore gravitazionale,
il
farmaco scorreva lentamente lungo il tubo ed entrava nel suo braccio.
Era totalmente privo di forze, non osava muovere le gambe e le
braccia compivano solo brevi spostamenti costanti molta fatica. Le
macchie nere sulla sua pelle avevano smesso di aumentare,
così come
si erano calmati gli spasmi. Il prezzo di ciò era altissimo,
se il
suo piano non fosse andato a buon fine, non ne sarebbe uscito.
Sentì
l’ascensore scendere lungo la tromba e la porta aprirsi,
guardò in
sua direzione e vide chi era entrato. Gli parlò con la sua
voce
debole e soffocata.
“Sei
tornato… Jeremy… Amico mio”
“Salve,
Niktor”
Per
le strade di Parigi – Dalle ore 22:00 alle ore 22:28
Aelita
camminava affianco ad Avier, senza domandarsi se stesse seguendo un
percorso preciso o stesse semplicemente andando a caso. Non le
interessava, dopotutto. Aveva notato che il ragazzo si sforzava
tantissimo di camminare piano, non cedendo al suo solito passo rapido
difficile da seguire, era così gentile da parte sua.
Un’altra
cosa che la sorprese fosse quanto Avier parlasse poco, rispetto ai
suoi standard ovviamente.
Raccontò
delle disavventure vissute con i suoi vecchi amici, o almeno quelle
che si potevano raccontare a una signorina, come lui stesso
aveva
detto. Era incredibile di quante idiozie fossero capaci. Per la
maggior parte del tempo però Avier ascoltò,
lasciava che Aelita gli
raccontasse tutto ciò che voleva, dando solo ogni tanto un
commento
o qualche suggerimento.
“Ti
ho detto che suono la tastiera?”
“Non
me lo hai detto, però lo so”
“Credo
solo pochi possano dare questa risposta senza passare per
pazzi”
“Chi
ti dice che io sia sano?”
“Non
ho detto questo, infatti. Psicopatico”
“Io
credo che poche ragazze possano dire psicopatico con
malizia”
“Malizia?
La vedi solo tu”
“Certo,
certo” Aelita arrossì di nuovo, decise quindi di
riprendere
immediatamente il filo del discorso.
“Stavo
pensando, se tu canti potremmo fare una canzone insieme”
“Vuoi
fondare una band?”
“Perché
no? Magari funziona. Chi può dirlo?”
“Può
darsi, ma non credo di cantare così bene”
“Devi
solo fare pratica, hai già un talento naturale”
“Spasibo”
Dopo
quella discussione, ci fu un lungo momento di silenzio. Non seppero
neanche loro perché smisero di parlare, semplicemente
continuarono a
camminare lungo la strada limitandosi ogni tanto a guardarsi e a
sorridersi a vicenda.
Fu
Avier a rompere quel silenzio
“Ti
va se ti porto da una parte?”
“Dove?”
“È
una sorpresa”
Sala
del supercomputer – Nello stesso momento
“Niktor,
ho paura di star venendo osservato”
“Chi?”
chiese l’alieno, poi tirò un paio di colpi di
tosse e sollevò lo
sguardo verso l’alto, stremato.
“Un
tipo nella mia scuola, Avier Antonovic Anisimov. Ho visto che ieri mi
seguiva mentre venivo qui, per fortuna sono riuscito a fargli perdere
le mie traccie”
“Sicuro…
Non sappia… Tu sia… Qui?”
“No,
non può saperlo”
“Potrebbe…
Essere una spia… Di uno dei vostri…
Governi”
“A
volte parla del KGB, ovvero i servizi segreti di una nazione chiamata
Russia, in modo ironico. Ho pensato potesse essere una tattica per
depistarci, associare un determinato elemento alla totale
assurdità
per rendercelo impensabile. Però, se fosse uno dei
tuoi?”
“Sarebbe…
A dir poco critico… Ne dubito… Almeno
che…”
“Almeno
che?”
Parc
Monroe – Dalle ore 22:40 alle ore 23:20
“Non
pensavo saresti mai tornato qui”
“In
realtà, tolta l’ubriachezza, il crollo emotivo e
l’irritazione
causatami dall’acqua del lago, mi è piaciuto molto
questo posto
quando ci sono stato”
“Oltre
tutte quelle cose, c’è davvero
qualcos’altro?”
“Si,
te lo mostro”
Aelita
seguì il russo attraverso il parco, percorrendo i sentieri
ghiaiosi
circondati dall’erba e gli alberi. Sentire i suoni ovattati e
lontani della città sovrastati dai ciottoli che veniva
schiacciati
sotto i loro passi era affascinante. La ragazza si sentì di
buonumore come non lo era stata da tanto tempo, quella passeggiata le
stava piacendo tanto.
Il
punto che Avier voleva raggiungere era la cima di una collinetta non
collegata da sentieri, il ragazzo non si fece problemi ad
attraversare le aiuole nonostante i cartelli che dicevano di non
calpestare. Non era proprio abituato a seguire le regole.
“Eccoci
qua” disse il ragazzo una volta
arrivato in cima. Aelita
si guardò attorno confusa, poi tentò di
commentare.
“È
una
bella… Collina”
“Hahaha!
Sei deliziosa” Aelita apprezzò il complimento,
però poi rimase
confusa quando il ragazzo continuò a non parlare.
“Quindi?”
“Non
noti proprio nulla?”
“No,
non credo. È una collina”
“Capisco.
Anche io ero come te, stenditi sull’erba”
“Come?”
“Tranquilla,
fallo e basta” Aelita acconsentì timidamente
all’invito del
ragazzo, quando
ebbe fatto quest’ultimo
gli fece cenno di guardare verso l’alto. La ragazza
capì.
“Wow!
Quante stelle! Si vedono benissimo da qui” il ragazzo si
stese
affianco a lei.
“Eppure
non ci hai fatto caso fino a quando non te l’ho detto
io”
“No,
mi sento così stupida. Per un attimo, mi sono anche
spaventata”
“Forse
mi sarei spaventato anch’io al tuo posto. Essere eccentrici
non è
sempre un pregio” resto in silenzio
per un attimo, a rimuginare tra sé e sé.
“Mi
ha sempre fatto riflettere. Prima di incontrare Mary, non
mi fermavo mai a guardare il cielo. Un giorno lei mi disse Osserva,
pensa a cosa possa significare.
All’inizio ero confuso, poi iniziai a riflettere. Ogni stella
è un
agglomerato di gas che brucia e la cui luce viaggia
nell’Universo,
potrebbero rendere possibile la vita a tante creature diverse lontane
da noi, o togliergliela
con un semplice
cambiamento. La loro
luce è la cosa più
veloce al mondo, eppure il vuoto dell’Universo è
così grande che
ci mette tempo a raggiungerci. Molto di quelle stelle potrebbero
essere morte da chissà quante migliaia o milioni di anni.
Tutte
queste cose, ripetute miliardi di volte, riescono a creare questo.
Tanti piccoli elementi che creano uno spettacolo inimmaginabile.
“Da
allora non riesco a smettere di guardarlo”
Aelita
sentì formarsi
la pelle d’oca sul suo
corpo, il suo cuore prese a battere più forte e alcune
lacrime
iniziarono a rigargli il volto.
“Ho
detto qualcosa di sbagliato, m’lady?”
“No.
È solo… Sono così felice. Mi sento
esattamente dove vorrei
essere”
“È
la cosa più bella che potessi sentirti dire”
Avier le
prese di nuovo la mano. La ragazza se ne accorse, ma non la
scostò.
Anzi, decise di rispondere a quella stretta.
I
due rimasero in silenzio, circondati dalla brezza della notte, sotto
il cielo stellato, al di fuori del tempo.
Sala
del supercomputer – Ore 00:00
“Sono
stanco. Non riesco più a digitare nulla, quasi non leggo
più le
linee di codice. Però, sono a buon punto, fra un paio di
settimane
dovrei aver finito. Ti dispiace se me ne vado?”
“Non
vorrei… Ma io… Dipendo da te” Niktor
tossì per una decina di
secondi, colpi di tosse così forte che la vista gli rimase
appannata
quando ebbe finito. Dovette sbattere le palpebre bianco latte molte
volte prima che i grossi occhi neri tornassero a fuoco.
“Cercherò
di capire se Avier è ciò che mi hai detto. Prima
che vada, vuoi che
ti dia da mangiare?”
“Sei
così buono. No, non lo fare.
Però…” tossì un altro paio
di
volte
“Scusami
ancora… Per XANA”
“Tranquillo,
dovevi assicurarti in tutti i modi che io venissi qui. Poi, Loro
credo siano pericolosi tanto quanto XANA”
“Loro…
Sono peggio… Non farli arrivare a me”
Porta
della camera di Aelita – Nello stesso momento
I
due ragazzi erano fermi fuori la porta della stanza, restii a volersi
separare nonostante l’orario tardo.
“Come
abbiamo fatto a guardare le stelle per tutto quel tempo senza
accorgercene?” domandò la ragazza, ormai non
riusciva più a
smettere di sorridere e sprizzare gioia affianco ad Avier. Anche lui
sembrava molto più allegro del solito.
“Beh…
È successo”
“Uno
pensa che stare fermi a guardare fissi qualcosa sia noioso, invece
siamo stati per quasi mezz’ora e mi sono sembrati due
minuti”
“Credo
dipenda dal contesto”
“Io
credo sia colpa tua”
“Mi
accusi di cosa? Avere poteri magici?” la ragazza sorrise e
poi lo
strinse a se, guardandolo negli occhi.
“Magari
tu avessi poteri magici. Almeno capirei perché provo tutto
questo”
questa volta fu Avier a sorridere, poi le cinse i fianchi.
“Forse
non c’è un motivo” i due restarono a
fissarsi per un po’, in
bilico davanti a una scelta tanto banale quanto importante. Forse fu
Avier ad avvicinarsi leggermente per primo, o forse Aelita, non era
importante. Chiunque avesse iniziato, entrambi ora stavano
partecipando a quel bacio, ed entrambi non volevano separarsi
dall’altro.
“Non
avrei dovuto” disse Aelita quando le loro labbra si furono
separate, teneva lo sguardo puntato verso il basso. Avier aveva
l’espressione più seria che qualcuno gli avesse
mai visto in
faccia, appariva quasi anomala tanto era inusuale. Il suo tono di
voce non era da meno
“Come
si dice? Errare è umano? Posso
andarmene, ricordare questo
momento come un errore che abbiamo commesso entrambi”
“Tu
dici?”
“Si,
però…” il ragazzo le prese
delicatamente il mento e le sollevò
il volto
“Guardami
negli occhi, osserva la tua anima che si riflette nel mio sguardo, e
dimmi cosa vuoi fare” la ragazza non disse nulla, ma si
sollevò
sulle punte per baciare di nuovo il ragazzo. Dopo quel secondo bacio,
un terzo, un quarto, un quinto. Quanto tempo restarono a baciarsi? A
chi importava.
“Forse
è il caso che vada. È davvero tardi. Poi, non
è il caso di stare
nel corridoio fuori dal coprifuoco” la ragazza prese ad
accarezzargli i capelli senza allentare l’abbraccio con cui
lo
teneva fermo.
“Con
tutte le emozioni che ho provato, non riuscirò a dormire
sapendo che
sei lontano da me”
“Non
sarò lontano”
“Non
puoi proprio restare? Almeno finché non mi
addormento” gli occhi
della ragazza sembravano essersi fatti più grandi in quel
momento,
era così dolce.
“Se
me lo chiedi così…”
Aelita
entrò nella sua stanza, Avier la seguì.
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