Buona sera! Pubblico il secondo
capitolo della storia, nonché, per ora, ultimo capitolo scritto da me
(Iceriel). Qui ho veramente dato sfogo al mio sadismo, il che mi ha divertito
un mondo! Non ho potuto esagerare perché altrimenti Mel mi picchiava, ma
comunque direi che sono abbastanza soddisfatta dalla dose di cattiveria e di
angst!*_*
Passo ora a rispondere alle
recensioni!:3
@LadyKokatorimon:
grazie mille per i complimenti!:3 personalmente mi diverto moltissimo a
scrivere in uno stile adatto al medioevo, anche se a volte è un po’ limitativo perché
bisogna trovare altri modi per dire cose che in genere sono rese semplicemente
da delle metafore più “moderne”! però lo trovo esaltante lo stesso! Soprattutto
esprimermi in veglie è una cosa che mi diverte moltissimo!XD spero anche io di
leggere presto il seguito perché ora tocca a Mel!XD
@harderbetterfasterstronger:
ti ringrazio moltissimo per i complimenti a questa storia. Mi hanno fatto molto
piacere. Tuttavia, te lo dico per onor del vero, il prologo e i primi due
capitoli, sono opera mia, non di Mel. Li ho scritti interamente io, con lei li
ho solo ricorretti, abbiamo fatto una sorta di betaggio. Te lo dico perché dal tuo
commento sembra quasi che sia opera di Mel e io ci abbia messo un po’ del mio
zampino, cosa, appunto, non vera. Ripeto, la storia ce la dividiamo a capitoli:
prologo e primi due a me, prossimi due a Mel, se la storia va per le lunghe,
vedremo. E’ anche un po’ colpa mia che forse non mi sono spiegata bene nell’intro
del prologo e del primo capitolo. Ecco, ci tenevo a precisarlo anche perché ritengo
che io e Mel abbiamo due stili abbastanza diversi, e mi dispiace che la gente
pensi che io, in qualche modo, cerchi di emulare il suo o viceversa.
@Arwen Woodbane: ehhhh l’angst
è una droga! Come ti capisco! XD non temere. Il grado DISUMANO di sofferenza a
cui lo sottoponiamo è proporzionale al grado di pucciaggine e al lieto fine:
più lo torturiamo, più Arthur se lo coccola dopo!u.u
E ora avanti con la storia!<3
Endless Night
Capitolo
II
"Merlin!"
Il
suo fu un rantolo strozzato, come mai ne aveva pronunciati in vita sua.
Avvicinò lo specchio al volto, sconvolto, incredulo.
Non vi erano dubbi. Quello riflesso era Merlin.
I suoi capelli neri, poco distinguibili vista l’oscurità che l’avvolgeva, il suo straccetto rosso…
la logora camicia blu.
Merlin.
Ma non poté gioirne.
Nemmeno per un breve attimo.
Perché l’immagine che vedeva mostrava un Merlin
accasciato a terra, ansimante. Lo vide sofferente, il volto nella penombra
risaltava bianco come la luna. Gli occhi vitrei, stanchi, vacui, come se non
vedessero nulla, come se avessero sofferto troppo per poter voler vedere ancora
qualcosa.
Il riflesso era ridotto, viste le dimensioni
dello specchio, ma egli poté
giurare che stesse tremando.
"Merlin!" lo chiamò,
non curandosi di quanto ciò
fosse stupido. Sapeva che non avrebbe potuto udirlo.
Pochi secondi dopo il mago ebbe un sussulto,
come se qualcosa l’avesse
spaventato. Arthur lo vide alzarsi di scatto e guardarsi attorno come chi cerca
di scrutare nel buio.
Vide un’ombra indistinta, inconsistente, comparire nell’immagine.
La vide avvicinarsi a Merlin.
Attaccarlo.
E
vide il mago dimenarsi per cercare di liberarsene.
"Usa la magia… usa la magia..." sibilava Arthur, non
potendo far nulla di più.
Ma Merlin non faceva altro che scalciare e
cercare di sfuggire.
L’ombra
continuò
ad infierire , ma egli non riusciva a reagire.
L’angoscia
lo invase quando vide la casacca strapparsi e il sangue uscire da un taglio sul
braccio.
Ed ancora e ancora.
La sottile maglia era ormai a brandelli.
Il suo corpo martoriato.
Lo vide schiantarsi contro il muro di pietra,
come se vi ci fosse stato sbattuto contro.
Lo vide cadere, strisciare per allontanarsi da
quell’ombra
che lo stava ferendo.
Lo vide alzarsi faticosamente aggrappato alla
parete come se non esistesse altra certezza se non la sua gelida consistenza.
Lo vide, nuovamente, guardarsi attorno, perso,
smarrito. Tendere la mano avanti come per trovare qualcosa, qualcosa che…
Arthur si paralizzò.
Il respiro gli morì in gola mentre il raccapricciante sospetto si
faceva largo nella sua mente.
Continuò a guardare, sperando di essersi sbagliato.
Eppure…
Quella mano saldamente ancorata alla parete…
Il girarsi frenetico della sua testa come se
cercasse di capire da dove sarebbe arrivato il prossimo attacco.
Arthur era abituato ad osservare ed interpretare
i movimenti del corpo.
L’altra
mano protesa di fronte a sé,
a palpare l’aria.
Lo vide parlare, ma non poteva sentire cosa
diceva.
Osservò angosciato mentre con riluttanza staccava la
mano destra ancorata al muro per avanzare, incerto, entrambe le braccia tese in
avanti.
"Non ci vede…" ansimò ormai certo di quella tragica realtà.
Dovette aggrapparsi al ripiano del camino per fronteggiare il capogiro che lo
colse.
E ancora… vide quell’ombra danzare attorno a Merlin, senza che lui
potesse vederla, affrontarla…
difendersi.
Ma Merlin la avvertiva, come lui avvertiva quel
colpo di spada nel suo angolo cieco.
Ma il mago non reagiva…
si allontanava, cercava la salvezza, ma non utilizzava le sue doti.
"La magia… ti prego usa la magia!" implorò
quasi.
Ma Merlin non lo fece.
Arthur si sentiva male come mai in vita sua.
Se non sapere dove era l’aveva
straziato, il vedere e non poter fare, lo uccideva.
E quando lo vide venire scaraventato di nuovo
contro il muro, quando lo vide accasciarsi nuovamente a terra, distrutto,
terrorizzato, tappandosi le orecchie, capì… capì cosa quella scritta sullo specchio
significasse.
Una rabbia cieca lo pervase e senza pensare si
fiondò
fuori dalle proprie stanze per recarsi in quelle di Gaius, noncurante del fatto
che l’aveva
appena obbligato a coricarsi.
Con lo specchio stretto nella mano si ritrovò
a correre.
Aprì con violenza la porta di legno e trovò
il vecchio cerusico chino sui libri seduto al massiccio tavolo.
"Sire!" lo accolse sorpreso il vecchio
medico alzandosi con cipiglio preoccupato, sgomento di fronte all’agitazione
che, era evidente, aveva il controllo del principe.
"Merlin! Ecco a cosa serve, per farcelo
vedere…
per farci vedere come lo tortura!" urlò.
La mascella serrata, il fiato corto per l’ansia
e la rabbia. Gaius lo guardò
confuso fino a che non prese lo specchio che Arthur gli stava porgendo.
"Oh mio dio" ansimò
lasciandosi cadere sulla sedia.
Era troppo… troppo perfino per lui.
Ma Arthur non poteva lasciare che si perdesse
nello sconforto. Lo afferrò
per le spalle.
"Gaius, ho bisogno di sapere" disse
con fermezza.
"Cosa, Sire?" domandò
spaesato, confuso.
"Dove risiede il potere di Merlin?"
"Non... non capisco…"
balbettò,
gli occhi che continuavano a cadere su quello specchio in cui Merlin giaceva a
terra, esausto, terrorizzato.
"Gli occhi… gli occhi di Merlin che diventano oro…
ha a che fare con la sorgente del suo potere, Gaius? Rispondimi!" lo
scosse leggermente.
"No… no, io non credo. È… è
solo una manifestazione, non la sorgente. Il… il potere scorre in
lui… non ha una sorgente, è
egli stesso, semplicemente. Gli occhi sono solo un veicolo.. " Arthur lo
lasciò
andare e si passò
nervosamente una mano tra i capelli.
Merlin non ci vedeva… questo, tragicamente, era chiaro.
Ma se la sorgente dei suoi poteri non stava negli occhi
perché non la utilizzava?
Per lui la magia era vitale come respirare. Potendo la
usava appena possibile, era inconcepibile che non ne facesse ricorso ora, per
difendersi.
"Perché me lo chiedete?" domandò Gaius con
voce tremante.
E Arthur… Arthur non seppe con che coraggio riuscì a
guardarlo negli occhi e a rispondere.
"Merlin… Merlin non ci vede. E non usa la magia…
quindi ho pensato che quello schifoso avesse annullato la sorgente dei suoi
poteri. Ma se mi dici che non sono collegati… Io non so proprio cosa pensare.”
Prese nuovamente lo specchio tra le mani e guardò il
mago nuovamente a terra, le ombre attorno a lui che lo circondavano,
fluttuando… quasi se ne stessero beffando.
E lui a terra, scosso da qualche sussulto quando
un’altra ombra si faceva più vicina, quando lo sfiorava.
Lo vedeva, era spaventato.
Inerme come mai prima.
Indifeso come mai, nemmeno quando ignorava del suo
potere, gli era apparso.
Distolse lo sguardo, poggiando lo specchio, incapace di
guardare oltre, ma sentendosi un vile nel non farlo.
"Ne siete sicuro?" domandò Gaius, toccando lo
specchio come se avesse paura di ferire Merlin stesso.
Arthur annuì.
" Merlin…" un sussurro affranto con voce
stanca. Tutti i suoi insegnamenti non erano bastati…
Tutte le sue precauzioni, non erano servite a nulla.
"Non
v’è condanna più dolorosa del vedere" citò stancamente,
lasciandosi cadere nuovamente sulla vecchia sedia.
"Non
v’è agonia peggiore nel non poterlo fare" concluse
Arthur e il suo sguardo cadde, inevitabilmente, sull’immagine del suo servo e
per un momento gli sembrò quasi di udirlo chiamare il suo nome…
La prima cosa che recuperò fu la percezione del suo
corpo.
Gemette, sentendo le sue membra indolenzite, doloranti.
Non ricordava cosa fosse successo. Ricordava solo che
stava raccogliendo delle erbe per Gaius… e poi… la sensazione. Quella
sotto la pelle, quella che l’aveva svegliato quella notte quando era stata
usata la pietra filosofale.
La sensazione che qualcuno stesse
usando la magia.
Non ebbe il tempo di fare nulla che i sensi l’avevano
lasciato come se gli venissero strappati dal corpo.
Si mise a sedere con un gemito.
Aprì gli occhi lentamente.
L’oscurità era totale, come se fossero ancora serrati.
Li richiuse.
Li riaprì.
E nulla cambiò.
Gemette spaventato, poiché non vedeva null’altro se non
oscurità.
Si strofinò gli occhi e cercò di guardarsi le mani.
Ma continuò a non vedere nulla.
Nemmeno le dita di fronte ai suoi occhi.
Il buio più completo lo circondava. Si aggrappò tremando
alla parete lì dietro.
Istintivamente, chiamò la luce a sé, la stessa che aveva
guidato Arthur fuori dalla cieca oscurità.
La sfera di luce illuminò le pareti ed il suolo di
pietra. Egli vide la sua mano e tirò un sospiro di sollievo.
Ci vedeva…
Ma non durò altro che il tempo di un battito di ciglia.
Egli udì l’urlo straziante di Arthur e, perdendo la
concentrazione, la sfera si spense.
"Arthur!" urlò con quanto fiato aveva in gola.
Non pensò a nulla se non al fatto che anche lui era
stato catturato.
Non sapeva da chi, non sapeva perché… ma Arthur era lì.
Doveva salvarlo.
A costo di morire nel tentativo.
Invocò ancora il suo potere, urlò la formula magica per
portare la luce ovunque.
Doveva vedere.
Doveva trovare Arthur.
La luce nacque dalle sue mani, come una sirena che
emerge dalle acque, e poi si espanse tutta attorno a lui.
Fece in tempo a vedere le pareti attorno a sé.
Non v’era nulla.
Eppure laggiù non vedeva niente se non oscurità. La sua luce non lo
illuminava.
Come se non osasse spingersi oltre quel limite che le
ombre imponevano.
Durò tutto un secondo.
Poi le urla strazianti lo stordirono di nuovo.
"Arthur!!" gridò. Ma quell’urlo disumano gli
entrò nella testa quasi volesse tagliargliela.
Fu il suo turno di urlare, mentre attorno a se
l’oscurità divorò la sua luce.
Cadde a terra mentre l’eco della voce del principe si
spegneva nella sua testa.
"Ar…thur..." rantolò, allungando ancora la
mano per rievocare la luce.
Non v’era altro che il suo nome tra i suoi pensieri.
Doveva salvarlo.
Non c’era né tempo per pensare né per avere paura.
Ma questa volta, la luce non ebbe nemmeno il tempo di
nascere: appena sentì la calda sensazione della magia scorrergli nel braccio,
la sua testa andò in frantumi di nuovo.
L’urlo di pura agonia lo straziò.
Così intenso che ebbe la certezza che l’avrebbe ucciso.
Così agonizzante, che ebbe la certezza che sarebbe stato
il suo ultimo grido.
"A..rth…" non ebbe nemmeno il tempo di
invocarlo che le tenebre che avvolgevano il suo corpo oscurarono anche i suoi
sensi.
Non seppe dire quanto tempo passò.
Aprire gli occhi fu del tutto inutile.
Non si mosse. Restò lì, a terra sulla pietra ormai
divenuta tiepida a contatto col suo corpo.
La testa gli pulsava ed egli… egli non riusciva a
muoversi.
Sentiva ancora l’urlo di dolore del principe
rieccheggiargli nei ricordi.
Non aveva più forza, eppure… eppure il principe aveva
bisogno di lui.
"Arthur" ansimò per darsi forza.
Si mise in ginocchio, esausto, stremato, dolorante e
confuso.
Non sapeva dov’era, chi l’aveva portato lì… cosa stesse
succedendo.
L’unica certezza era il buio soffocante… e l’urlo di
Arthur.
"Usa
la tua magia, stregone… fammi sentire ancora quel grido disperato…
avanti…."
Merlin si tirò in piedi di scatto, le
gambe tremanti.
Non ricadde in ginocchio per pura determinazione.
"Chi sei?! Dove sei?! Fatti vedere!!! Dov’è
Arthur?! Cosa gli stai facendo?" urlò con tutta la rabbia che aveva in
corpo.
Non avrebbe tremato, né supplicato.
Sentì qualcosa muoversi accanto a sé, una mano
accarezzargli la lunghezza del braccio… il respiro di qualcuno sul collo…
Si scansò sorpreso voltandosi, ma ovviamente non vide
altro se non buio.
"Chi sei…?" ansimò. Non si azzardò ad usare la
magia.
La frase pronunciata dallo stregone gli aveva lasciato
la viscida sensazione che usare la magia avrebbe fatto il suo gioco.
Si afferrò il braccio come per imporre ai brividi che lo
percorrevano di placarsi.
Una risata fu l’unica risposta che ottenne.
"Dov’è Arthur?!" urlò ancora, girandosi nel
buio, cercando qualcosa, qualsiasi cosa che potesse permettergli di orientarsi.
"Arthur?
Il principe è nel suo castello, caro il mio stregone…" e di
nuovo rise.
Merlin non aveva mai avuto tanta paura in vita sua.
"No! No, tu menti! L’ho sentito urlare!!! Dove lo
nascondi?! Cosa gli stai facendo? Lascialo andare!" e per quanto lo
desiderasse, non poté mascherare la nota di puro panico nella sua voce.
"Cosa gli sto
facendo? – chiese con voce divertita.
Rise di nuovo. – Credo
che la domanda corretta sia cosa gli stai facendo" insinuò.
Merlin continuava ad ansimare, in preda
all’ansia: quel buio lo agitava, quella voce che sembrava provenire da ovunque
lo stordiva.
Non aveva controllo su nulla, né sulle sue emozioni, né
sui suoi sensi.
Era cieco, incapace di capire dove fosse, gli sembrava
di stare su un piedistallo in mezzo ad un precipizio.
"Cosa vuoi dire!?"
"Quello
che ho detto… usa la magia, stregone… usala… e Arthur soffrirà come se
l’avessero colpito con dieci frustate… usa il tuo dono, Merlin, fammi sentire
le sue grida!" rise sguaiatamente, come un folle.
Merlin sentì la carezza dell’aria sulla pelle, come se
fosse lì accanto a lui. Ma non osò muoversi.
"Menti… perché dovresti dirmelo?!" urlò di
nuovo. Come se urlare dipanasse il terrore.
Come se urlare potesse nascondere la sua paura.
"Perché…
non ci sarebbe divertimento per me, altrimenti! Vederti… sentirti impaurito…
combattuto…" sussurrò con scherno.
Sentì la sua mano sulla guancia e d’istinto cercò di
colpirlo.
Ma il suo pugno non colpì nulla.
"Credermi
o no, stregone? Ti stai chiedendo questo! Usare o no la magia? Questo è il tuo
più grande dubbio! E ti divorerà! E non userai la magia per paura… ma sarai
così terrorizzato che lo farai…. e lo sentirai urlare come non mai nella tua
testa! E soffrirai, soffrirai come mai in vita tua! – un’altra
risata crudelmente compiaciuta. – Se non
te l’avessi rivelato non sarebbe stato altrettanto divertente!"
"Tu sei un folle! Dov’è
Arthur!?"
“A
Camelot. Ma come avrai potuto notare, la magia scorre in te come in me, mago. E
la magia… la magia può tutto! Un incantesimo, poche parole… non serve altro per
lanciare una maledizione… è così che ho fatto con te, per portarti qui… e così
ho fatto al principe, prima che tornasse a Camelot. Siete legati, mago, non ne
sei felice? Ora lui sente la tua magia!" e ancora rise, rise folle, rise
di una gioia malata e di una soddisfazione perversa.
"Perché fai tutto questo?! Cosa vuoi da noi?!"
le parole gli uscirono come se fossero state costrette.
"Da voi? Voglio vedervi soffrire… soffrire come
meritate" questa volta Merlin avvertì la voce dietro di sé. Provò a
girarsi, ma non vi riuscì: il suo corpo era completamente paralizzato.
"Tu, mago traditore, sarai il mio burattino. E il
tuo adorato principe non potrà fare nulla. Vi distruggerò. Vi distruggerò come
sono stato distrutto io" il tono improvvisamente diverso.
Gelido, tagliente.
Incredibilmente lucido e crudele.
Merlin provò ad opporsi alla paralisi, ma senza usare la
magia era impossibile.
Non poteva usare il suo dono.
Non poteva rischiare che quell’uomo dicesse il vero.
No… a costo di impazzire, a costo di morire, non avrebbe
rischiato di far del male al principe.
Doveva proteggerlo.
Era nato per quello e avrebbe adempiuto al suo destino.
Non perché doveva, ma perché voleva.
Delle mani si
chiusero sulle sue spalle. Un respiro leggero sul suo collo gli mandò una
scarica di brividi ghiacciati lungo la schiena.
"Tu pregherai la morte, mago, tu la anelerai come
non hai mai desiderato null’altro" la mano scese sul suo petto,
tracciandone i muscoli appena accennati.
"Ricordati… il tuo buio… è la mia luce. È la nostra
luce…l’oscurità ti divorerà e sazierà la mia brama di vendetta."
Merlin sentì la lingua del mago carezzargli la guancia.
Se avesse potuto muoversi… avrebbe tremato.
Le mani scesero… scesero pericolosamente verso la cinta
ed egli non poté fare nulla se non implorare nella sua testa che si fermasse.
Dio… Dio ti
imploro… questo no…
Si ripeteva come un mantra nella testa mentre sentiva lo
stomaco chiudersi e la paura stringergli la gola.
"Usa la magia… fermami…" sibilò per poi
mordergli il lobo.
"No…" l’unico pigolìo che la gola gli concesse.
La bocca scese lungo il suo collo, mordendolo.
Merlin sentì lo straccio che indossava generalmente
attorno alla gola svanire.
Le mani gli cinsero i fianchi ed egli ebbe la certezza
che il suo destino fosse segnato.
E gli dolse in quel momento dare ragione a quell’essere
ignobile:
non aveva mai
anelato la morte così intensamente.
Il rapitore rise soddisfatto, divertito, lasciando i fianchi del
ragazzo non senza graffiarlo con forza, quasi avesse artigli d’orso al posto
delle unghie.
L’incantesimo che lo paralizzava svanì in quel momento
concedendogli di urlare per il dolore e cadere a terra avvolgendosi con le
braccia i fianchi su cui sentiva gli otto profondi graffi pulsare.
" È
solo l’inizio, è solo l’inizio" e la
voce riprese a provenire da ogni luogo.
"Ti
lascio alle mie creature… bramano di giocare con te…" e
tornò il silenzio fitto come quel buio.
Merlin urlò di dolore e frustrazione, strisciando nella
speranza di incontrare la consistenza rassicurante della parete.
Dopo poco, si scontrò con essa e ci si accasciò contro
quasi fosse l’unico contatto con un mondo che non poteva vedere.
La sua mente era un groviglio di paure, timori e
angosce, che a stento trovavano un ordine. Aveva paura, una dannata paura.
Non sapeva cosa lo aspettava.
Non sapeva se Arthur fosse davvero al sicuro a Camelot.
Non sapeva se sarebbe sopravvissuto o quanto tempo
avrebbe resistito prima di impazzire.
Perché non vi era dubbio.
O la morte o la follia l’avrebbero raggiunto, di questo
ne era sicuro.
Si chiedeva perché a lui, perché a loro.
L’essere l’aveva chiamato traditore… ma perché?
Perché aiutava un Pendragon? Perché non aveva cercato di
distruggere il regno che aveva osteggiato la magia come la peggiore delle
pestilenze?
E allora perché colpire anche Arthur… perché? Che
uccidessero lui e nessun altro. Solo lui doveva pagare per quel presunto
tradimento.
Poggiò la guancia alla parete. Era l’unica certezza,
l’unica sicurezza in quella dimensione dove niente era definito.
Non poteva vedere.
Il tempo non aveva più misura.
Perfino i suoni lo ingannavano facendogli sentire cose
lontane, nella testa.
A stento il tatto era ancora in suo possesso: poteva
essere toccato e non toccare.
E in quel mare di nero pece, la sensazione umida e
fredda e ruvida di quella roccia sembrava l’unica àncora alla realtà.
Perfino il pavimento sotto di sé era incerto… gli
sembrava di poggiare sul nulla, di poter essere in bilico… ma quella parete,
quella parete attaccata al suo corpo gli dava un perverso senso di sicurezza.
Rimase lì.
Sentiva il buio addosso a sé soffocarlo, entrargli nella
pelle e scavare fino all’interno del suo corpo come se lo stesse intossicando.
Non poteva non muovere a scatto le gambe, le braccia, il
corpo… doveva avere la certezza che ancora erano in suo possesso, che l’oscurità
non se li era portati via.
Per quanto tempo il suo corpo sarebbe stato suo?
Perché lo sapeva… quel buio l’avrebbe divorato piano
piano.
Avrebbe mangiato tutto di lui, fino a che non avrebbe
realizzato che era diventato egli stesso parte dell’oscurità.
A volte si lasciava andare a gesti privi di senso, come
scrollare le braccia nella speranza insensata di levarsi di dosso quel buio
cieco, come se fosse un parassita saldamente attaccato alle sue membra.
Ricordò di aver urlato.
E poi… poi erano cominciati i suoni.
Gli scricchiolii… gli scricchiolii in una stanza di
pietra.
Il suono metallico delle catene che strisciavano.
I gemiti e i lamenti.
"Chi c’è?" domandò con voce tremante.
E le risate stridule di esseri non umani.
Sentì qualcosa sfiorargli la gamba.
Schizzò a sedere con rinnovato terrore e le risa
aumentavano. Era impossibile definire da dove venissero… venivano da ovunque.
"Cosa volete!? COSA?!" urlò. Ma nessuno, o
niente, lo degnò di risposta.
Qualcosa lo afferrò per un braccio e lo tirò in piedi
con violenza.
Urlò di dolore quando quella che doveva essere una mano
strinse la presa così forte che sentì l’osso scricchiolare.
Cercare di liberarsi fu meno che inutile.
"LASCIAMI!" ordinò.
Altre risate.
Qualcosa gli strinse la gola facendolo sbattere al muro.
Singultò incapace di respirare.
Con il bracco libero cerco di afferrare ciò che lo stava
strozzando, ma non trovò altro che la pelle tesa del suo stesso collo.
Convulsamente se lo graffiò cercando di liberarsi da
quella morsa impalpabile, ma tremendamente reale.
La morsa sul braccio aumentò facendolo inarcare per il
dolore, incapace di urlare, di reagire.
Tutto il suo essere bramava per usare la magia… ma non
poteva, non doveva.
Uccise il suo istinto di sopravvivenza pensando ad
Arthur, a null’altro che a lui.
Fu così difficile.
Eppure, quando la presa sul collo e sul braccio si
dissolsero, ringraziò il cielo di aver resistito.
Si accasciò al suolo, tossendo convulsamente.
Il braccio gli faceva male, i fianchi dove ancora i
graffi marchiavano la sua pelle bruciavano… così come il suo collo dove con le
sue stesse unghie aveva cercato di scavare nella carne per respirare.
"Arthur…" ansimò.
Non seppe perché lo disse… forse per darsi forza, forse
come sfogo di un desiderio proibito che lo abitava.
Perché egli sapeva che Arthur doveva stare lontano da
lui.
Arthur non doveva venire né a cercarlo né a salvarlo.
Arthur doveva pensare alla sua vita.
Arthur doveva dare retta a suo padre, egli era solo un
servo, non doveva rischiare la sua vita per lui.
Lo sapeva, eccome se lo sapeva.
E ci credeva sul serio.
Eppure… benché sapesse che doveva andare così…
Benché cercasse di convincersi che era
giusto così, che sarebbe andata così, perché così doveva andare…
Merlin in segreto… in segreto non desiderava altro che
Arthur venisse… e lo portasse via con sé nella luce.
Forse si era addormentato.
Non ne era sicuro…
In quel luogo, dove non vi era differenza tra avere gli
occhi chiusi o sbarrati, dove il confine tra apatia e mondo onirico era così
labile che a volte scompariva…
Dove distinguere la realtà dal sogno era cosa pressoché
impossibile…
Merlin non era sicuro di nulla.
Ricordava di aver avuto fame e sete, ma l’oscurità aveva
divorato anche quello.
In un primo momento era stato grato ai crampi perché gli
donavano una vaga percezione del tempo. Avere fame implicava essere lì da un
arco di tempo vagamente definito, ma poi anche quella certezza era sparita… era
sparita la fame, era sparita la sete.
E nulla gli era rimasto per misurare il nulla dei sensi,
il limbo del tempo.
Perfino delle sue ferite era stato grato, perché il loro
decorso per la guarigione avrebbe scandito il trascorrere del tempo…
Ma la magia di quell’uomo l’aveva privato anche di
quello… le ferite erano guarite rapide sotto i suoi polpastrelli…
Non v’era rimasto nulla…
Mosse appena il suo corpo.
Strinse le dita per avere ancora la certezza che fosse
ancorata al muro.
Lì, dove vi era un solco tra le rocce, lì aveva posto le
sue dita.
Il suo unico sollievo…
La sua unica sicurezza.
Nel nulla ancora voci, ancora suoni, ancora versi e gemiti.
Ma il buio si era divorato anche la paura e gliela
restituiva solo quando le ombre si avvicinavano, lo sfioravano.
Gli restituiva il terrore solo per poterlo vedere
divorato da esso.
Gli Impalpabili, così li chiamava nella sua testa, lo
attaccavano, all’improvviso, gioendo del suo terrore, del suo dolore.
Oppure a volte gli passavano vicino, lo sfioravano
appena, facendogli temere quello che stava per arrivare senza mai farlo
arrivare. Si beavano dei suoi sussulti, dei suoi spasmi di paura.
Ma la cosa più terribile era quando lo afferravano e lo
allontanavano dalla parete…
Allora Merlin strillava e strepitava, cercava di
opporsi, e loro…
Loro godevano, lo sentiva.
Gli tenevano le braccia e prima lo sbattevano contro la
parete poi lo scaraventavano nel nulla.
E nel nulla, ridendo, lo lasciavano.
E Merlin ansimava terrorizzato, terrorizzato di perdersi nel limbo… e
strisciava e gattonava fino a che non trovava la sua salvezza e ci si aggrappava.
La parete fredda lo tranquillizzava, lo calmava… ma a volte nemmeno quello
serviva e si ritrovava ferito, abbandonato a se stesso a singhiozzare e
implorare la morte.
A volte giaceva semplicemente per terra, giocherellando con le dita
della mano che non era arpionata tra le rocce, con la sua casacca, per
saggiarne la consistenza, per sentire e percepire qualcosa… oppure tamburellava
con le dita, beandosi del suono sordo… una volta aveva persino osato
canticchiare e fischiettare… ma il buio non aveva gradito e aveva protestato
sfogando la sua furia sul suo corpo. Gli Impalpabili si erano accaniti contro
di lui, graffiandolo e attaccandolo, strappandogli la casacca e ferendo le sue
membra.
Ed allora, quando il buio lo lasciava in pace, egli cadeva a terra e
ripeteva, a mezza voce, l’unico nome per cui valesse la pena sopportare tutto
quello, l’unico nome per cui aveva accettato di abbandonare in quel limbo la
magia:
"Arthur…"
Continua…
Con questo capitolo lascio la tastiera in mano a Mel!^^ Spero di essere
stata all’altezza della sua bravura, e che abbiate gradito! A presto!
Iceriel