Chi non
muore ci si rivede!
La
storia è
ferma da più di un anno, lo so, ma avevo perso interesse
nello scriverla. Però
mi spiace averlo fatto, visto che non era troppo lunga ed era
abbastanza
leggera. Ho pensato quindi di riprenderla in mano, nonostante il tempo
passato!
Mi spiace avervi lasciati appesi così a lungo ;__;
Un
piccolo
promemoria per ricordarci dove eravamo stati lasciati:
Nei
panni
di Mille Falchi, Sasuke è stato ferito gravemente da dei
criminali,
costringendolo a restare a casa per riprendersi. Ma Shisui, stanco di
vederlo
rischiare la vita, ha deciso di costringerlo a smettere con la vita da
Supereroe ha installato sensori alla casa che impediscono a Sasuke di
uscire
usando i suoi poteri. Nel mentre che Sasuke resta bloccato a casa a
riprendersi
dalla ferita, succedono due cose. La prima: Naruto va a trovarlo a casa
e
decide di restare a dormire da lui la notte, scoprendo così
di non essere del
tutto indifferenze al migliore amico. La seconda cosa: compare
improvvisamente
Obito Uchiha che, mentalmente instabile, distrugge e cancella
dall’esistenza un
parco cittadino.
Ora vi
lascio al nuovo capitolo ^^
Oh,
ovviamente un enorme ringraziamento ad Ary che ha assecondato questo
mio “capriccio”
di riprenderla in mano e ha betato il capitolo <3
V
Alcuni
giorni dopo Sakura decretò che Sasuke poteva tornare a
scuola. La febbre era
scesa del tutto e anche la ferita allo stomaco si era rimarginata,
andando ad
aggiungersi alle altre che segnavano
già tutto il suo
corpo. Purtroppo non gli fu resistituito il cellulare, nemmeno quando
provò a
convincerla con la classica scusa “E se succede un incidente
come faccio a
contattarti?!” Sakura glielo riconsegnò.
Naruto
era
stato felicissimo di rivederlo, lo aveva frastornato di chiacchiere per
l’intera durata della mattinata, senza fermarsi nemmeno
durante le spiegazioni
dei professori. Sasuke dovette ammettere a se stesso di essere
altrettanto
felice. La prigionia in casa era stata pesante, era rimasto chiuso in
camera
per tutto il tempo senza scendere nemmeno ai pasti. Non aveva voluto
incontrare
Shisui, perché sapeva che se si fossero incrociati avrebbero
iniziato a
litigare. Almeno Sakura tentava di mantenere le loro scarne
conversazioni su un
livello civile.
Tornare
a
scuola aveva anche un altro sapore: usciva dal raggio
d’azione dei sensori. Aveva
messo nello zaino il costume di Mille Falchi, deciso a indossarlo
appena finita
la scuola per poter vigilare la città. Sarebbe stato fuori
il più tardi
possibile, in modo da rimediare a tutto quello che aveva combinato.
Doveva
essere successo qualcosa, forse un improvviso aumento della
criminalità, perché
tutti a scuola erano tesi e preoccupati. Aveva tentato di captare
qualcosa origliando
i sussurri dei professori, ma non aveva capito nulla se non che la
polizia
stava lavorando a qualcosa di così grosso che forse
sarebbero intervenute le
forze segrete statali. Doveva assolutamente mettere mano a un giornale
e
notiziario, in quel momento si pentì di essere rimasto tutto
il tempo in camera
lontano dal telegiornale locale.
Aveva
anche
intenzione di fare una capatina nella stanza di Naruto, così
da spiegargli la
situazione e fare in modo che non si preoccupasse; aveva già
ideato la scusa
perfetta.
Con quei
pensieri, la campanella della fine delle lezioni arrivò
lentissima. Come un
fulmine ripose tutto nel suo armadietto e si allontanò da
Naruto con una scusa.
“Ma
abbiamo
karate fra qualche ora” provò a fermarlo.
“Mi
dispiace, ma salto. Non sto ancora abbastanza bene per
tornare” si giustificò.
Ovviamente
non tornò a casa, si infilò invece nel primo
vicolo vuoto e si nascose dietro
una montagna di spazzatura. Indossò il costume, attento che
non passasse
nessuno, poi nascose lo zaino tra l’immondizia che sembrava
essere lì da almeno
cent’anni.
Calatosi
nel proprio alterego, come prima cosa si teletrasportò
vicino a un’edicola per
recuperare una copia di giornale mentre il proprietario era distratto.
Si
premurò di lasciare a terra i soldi per pagarlo, quindi si
spostò sulla
terrazza di un grattacielo, dove in equilibrio sul cornicione
cominciò a
leggere le notizie.
Fortunatamente
la sua improvvisa scomparsa non era ancora stata segnalata, ma in
compenso i
criminali avevano ricominciato ad avere un picco di
attività. C’erano stati
piccoli furti agli sportelli di prelievo e in alcuni ventiquattro ore
perlopiù,
ma Sasuke era certo che era solo questione di giorni prima che si
rendessero
conto della sua scomparsa e tentassero colpi più coraggiosi.
Girò
pagina
e lesse la prima notizia in alto. Congelò di colpo e
aumentò la presa sul
giornale, stropicciandolo.
Il Parco
Susanoo era stato cancellato dalla città.
Che.
Cosa.
Rilesse
la
notizia, scioccato da una simile assurdità. Era successo
più di una settimana
fa, la data combaciava con uno dei giorni di febbre. Nessuno sapeva
cosa fosse
davvero successo, come fosse possibile una cosa del genere.
Un
momento
prima c’era il Parco Susanoo in tutto il suo splendore,
l’attimo dopo era
sparito e al suo posto c’era un cratere degno di una scena
apocalittica. Tutte
le persone che lo stavano frequentando: scomparse.
Sbatté
le
palpebre, cercando di vedere oltre l’incredulità.
Non doveva pensare che fosse
impossibile, perché era successo e lui… lui era
bloccato nella sua fottuta casa
da Shisui.
Digrignò
i
denti e sentì un fiotto di rabbia. Cercò di non
crogiolarsi troppo in essa,
perché doveva trovare una spiegazione a quel mistero.
La
risposta
più probabile era una causa naturale, del resto sembrava il
cratere di una meteora,
ma in quel caso era impossibile che nessuno se ne fosse accorto! Un
corpo
celeste non colpisce la terra senza che venga previsto dalla NASA o
avvistato
da qualcuno.
Nemmeno
la
polizia sembrava volersi muovere verso il versante
dell’incidente e stavano
cercando un colpevole. Il giornale riportava che, subito dopo il
disastro, un
testimone aveva visto un uomo al centro del cratere ridere isterico,
prima di
scomparire a sua volta.
Scomparire.
Come faceva lui quando si teletrasportava.
Una
piccola
consapevolezza cominciò a strisciare nella sua mente, come
una vipera velenosa.
Iniziò a sentire paura, quel tipo che provava solo quando la
mente tornava
indietro alla sua infanzia nel laboratorio.
Quello
che
era successo era pericolosamente simile alle sue abilità e
se proprio doveva
esserci qualcuno dietro tutto quello… poteva essere solo un
individuo al quale
era stato modificato il corredo genetico. Quindi qualcuno che era stato
studiato nei laboratori Uchiha.
Tremò
a
quella prospettiva e perse la presa sul giornale, alcune pagine
cominciarono a
volteggiare verso il basso, ma lui non ci badò.
Si disse
che non era possibile. I laboratori erano stati distrutti, ricordava
quanto
fosse stato ampio l’incendio che aveva distrutto
l’edificio, era impossibile si
fosse salvato qualcosa. Più della metà degli
scienziati erano morti, anche Madara
che aveva portato a fondo con sé tutti i progetti segreti.
Senza contare che
ora l’Uchiha Corps produceva frullatori.
Frullatori, santo Dio!
No, no e
no. Non c’era possibilità che avessero ripreso a
fare esperimenti in segreto
sui supersoldati. Era una prospettiva che non doveva nemmeno vagliare,
al
massimo l’unica cosa che stavano progettando erano dei nuovi
super-frullati.
Ma
allora…
Si
sforzò
di pensare, cercando una soluzione. Non aveva nessuna prova che fosse
stato
causato da un uomo con i superpoteri, ma al momento era la spiegazione
più
probabile. Qualcun altro aveva iniziato a fare esperimenti sui super
soldati?
Probabile, ma sarebbe stata una coincidenza troppo sospetta se gli
esperimenti
riusciti avessero sviluppato gli stessi poteri cercati dai laboratori
Uchiha.
C’era
solo
un’altra spiegazione possibile: lui e Itachi non erano gli
unici sopravvissuti.
Qualche altro bambino era riuscito a scappare dai laboratori la notte
dell’incidente e ora era a piede libero. Probabilmente anche
voglioso di
vendicarsi, il Parco Susanoo era stato finanziato dalla nuova Uchiha
Corps,
anche questa poteva essere solo una coincidenza? Stavano cominciando a
diventare troppe.
Si
stropicciò gli occhi da sopra il costume, cercando di
risvegliare i suoi
ricordi sugli altri bambini tenuti prigionieri. Erano quasi tutti
orfani senza
nessuno, bambini che se anche fossero spariti nessuno li avrebbe
notati… o
parenti diretti di Madara, come lui, Itachi e Obito.
Si
fermò,
il respiro bloccato in gola e cercò di ricordare meglio il
cugino più grande.
Erano in stanze vicine, l’essere nipoti del CEO gli aveva
dato il privilegio di trovarsi in
una zona
diversa dei laboratori, lontani delle altre cavie. Su di loro erano
anche stati
fatti solo gli esperimenti più sicuri, quelli che erano
già stati testati sugli
altri bambini. Sapeva però che dei tre piccoli Uchiha, solo
lui aveva risposto
bene alla modifica genetica. Suo fratello era diventato cieco e si era
indebolito molto dal momento che il suo organismo aveva cercato di
espellere i
corpi estranei. Di Obito ricordava solo quello che sussurravano i
medici, che
era fuori controllo e che tutti i suoi valori vitali erano instabili,
sballati.
Aveva dato per scontato che fosse morto durante l’incidente,
come tutti gli
altri bambini.
Ma forse
si
era sempre sbagliato. Forse Obito era vivo da qualche parte, con i suoi
valori
instabili e il desiderio di vendetta.
Si tolse
il
becco dal viso, il pensiero gli aveva fatto mancare
l’ossigeno e aveva bisogno
di prendere una lunga boccata d’aria. Condivideva il senso di
vendetta,
frullatori o meno avrebbe voluto cancellare l’Uchiha Corps
dalla faccia della
terra per sempre. Ma sradicare dall’esistenza un intero
parco, coinvolgere
civili innocenti che non c’entravano nulla con
loro… quello era sbagliato.
Doveva
trovarlo e fermarlo, e purtroppo quello era un lavoro solo per
supereroi: come
negli stupidi fumetti di Naruto, era comparso il supercattivo.
**
Naruto
cominciava a sospettare di avere la scabbia, o qualsiasi altra malattia
altamente contagiosa come la peste bubbonica, perché non era
possibile che
tutti lo scansassero schifati.
Mogio si
allontanò lungo la strada, il borsone che colpiva il suo
fianco a ogni passo.
Le lezioni di karate senza Sasuke erano sempre un inferno, un
po’ come la
scuola. Certo in palestra almeno non c’erano i bulli, ma lo
avviliva sempre
quando si arrivava al momento dei combattimenti in coppia, dove
bisognava scegliere
un compagno. Ovviamente, come nelle partite di pallavolo, lui rischiava
sempre
di non essere scelto da nessuno, nemmeno quelli di cintura bianca.
Almeno
quando c’era Sasuke combatteva con lui, era la sua garanzia e
l’unica persona
che gli impediva di essere del tutto solo.
Fece un
piccolo sorriso a quel pensiero, ma lo scacciò subito per
l’imbarazzo. Era da
quando avevano dormito insieme quella sera a casa sua che si sentiva
strano
ogni volta che pensava a lui. Provava un senso di felicità e
gratitudine che
gli scombussolava lo stomaco, come se avesse inghiottito delle
caramelle
frizzanti. Lo stare lontani in quella settimana gli aveva fatto capire
quanto
fosse fondamentale, era diventato la presenza fissa della sua vita.
Anche solo
poter allungare la mano per toccarlo e sentirlo vicino a lui lo faceva
emozionare.
Quei
pensieri lo fecero arrossire, si rendeva conto da solo di quanto
fossero
intimi. Inoltre non poteva negare a se stesso che dormire con lui fosse
stato
diverso dall’ultima volta che era successo, aveva reagito a
quel corpo caldo
contro di sé.
Cosa
c’è che non va in me?!
In
realtà
la risposta era molto semplice, annidata da qualche parte nel suo
cervello, ma
faceva di tutto per non notarla. Sasuke era il suo migliore amico, solo
quello,
e lui era innamorato di Mille Falchi.
Il
pensiero
del supereroe lo fece oscurare. Da quanto non lo vedeva? Da quella
volta che
gli aveva parlato delle cicatrici. Aveva creduto che si fossero
avvicinati,
invece aveva avuto l’effetto opposto, lo aveva fatto fuggire
via.
Con quei
pensieri tristi tornò nel suo appartamento, non si
stupì di scoprire che
Jiraiya non era ancora rientrato dal suo ufficio. Era un giornalista e
ultimamente era stato molto impegnato per via della notizia del Parco
Susanoo.
Se ci pensava gli veniva la pelle d’oca, quello che era
successo era al di là
di ogni sua comprensione.
A meno che non
voglia prendere sul serio l’opzione del
supercattivo.
In quel
caso Mille Falchi lo avrebbe preso a calci in culo, dattebayo!
Mentre
era
perso in quei pensieri non si aspettava di trovare proprio Mille Falchi
dentro
la sua stanza. Quando lo vide rimase così sorpreso che
lasciò cadere la borsa
dalla spalla.
“Tu…”
boccheggiò con la bocca aperta.
“Chiudi
la
porta a chiave, non vorrei essere visto”.
Scombussolato
fece come gli diceva. “Sono solo a casa, comunque”.
Mille
Falchi era seduto scomposto sulla sua sedia girevole, appoggiato allo
schienale
con fare stanco e una gamba alzata verso il petto, il mento appoggiato
al
ginocchio e una mano aggrappata alla caviglia. Aveva tolto il becco
metallico,
quindi riusciva a vedere la parte inferiore del suo viso e le labbra
piegate in
una smorfia triste.
“Stai
bene?” chiese preoccupato. Abbandonò la borsa
all’entrata e gli si avvicinò.
Per qualche motivo, oltre alla felicità di vederlo
lì, si sentiva anche in
ansia.
Mille
Falchi non disse nulla, solo quando gli fu abbastanza vicino si
aggrappò con
una mano alla sua maglietta e se lo tirò contro in un
abbraccio un po’ scomodo.
“Scusa
se
non sono venuto ultimamente” disse. La sua voce era un
po’ distante, fredda,
come se continuasse a rimuginare su qualcosa.
Non
seppe
bene cosa dire e lasciò che lo abbracciasse, stringendosi
contro di lui e
aggrappandosi alla maglietta. Nebulosamente Naruto pensò che
questa era un’altra
differenza con Sasuke: Mille Falchi era molto più affettivo
e tattile; Sasuke
invece ogni volta che lo sfiorava si irrigidiva e lo allontanava, non
lo
cercava mai. Era una cosa che segretamente lo aveva sempre ferito ed
era bello
per una volta sentirsi cercato, poter dare conforto fisico a qualcuno.
“Scusami
tu” disse spezzando il silenzio. “Vengo da karate e
devo puzzare tantissimo”.
“Sì,
un
pochino” confermò arricciando il naso.
Rise.
“Mi
aspetti mentre faccio la doccia? Un minuto?”
“Un
minuto”
concesse.
Naruto
non
se lo fece ripetere due volte: volò nella doccia, dove si
lavò a tempo record e
non si fermò nemmeno ad asciugare i capelli.
Tornò nella stanza che gocciolava
ancora con solo i boxer addosso e scoprì che Mille Falchi
era sul suo letto. Lo
raggiunse stendendosi al suo fianco, facendo combaciare il loro corpi.
Il
supereroe alzò subito una mano e gli sfiorò con
le dita la pelle morbida della
pancia, girando attorno all’ombelico.
“Hai
una
pelle così bella… mi piace il colore”
mormorò.
Si
ritrovò ad
arrossire. “Oh, ehm… parenti caraibici?”
offrì.
Arrossì
ancor di più quando, con un sorriso, Mille Falchi si
abbassò a baciargli lo
stomaco. Quel solo piccolo gesto riaccese Naruto come una fiaccola. Ne
fu anche
scombussolato perché improvvisamente aveva immaginato che
fosse Sasuke a
compierlo ed era stato… be’, strano. Non era il
caso di pensare al suo migliore
amico, doveva bloccare quei pensieri che gli stavano mangiando il
cervello come
tarme.
Prese
quindi il viso del supereroe fra le mani e lo spinse verso
l’alto, in modo da
poterlo baciare. Appena le loro labbra entrarono in contatto
sentì una scossa
partire dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli. Non sapeva se
fosse
per via dei suoi superpoteri, ma ogni volta che approfondiva quel
contatto gli
sembrava di essere colpito da un fulmine.
Mille
Falchi reagì subito alla sua proposta implicita, lo
afferrò per le spalle e si
mise meglio fra le sue gambe divaricate, iniziando a strofinare i loro
bacini
in modo sempre più concitato. Non smise di baciarlo,
né mollo la presa sulla
sua pelle e dopo qualche minuto di quella presa febbricitante Naruto
cominciò a
sentirsi a disagio. Era frastornato dagli input piacevoli dati dalla
bocca del
supereroe e dallo scontrarsi dei loro inguini, ma cominciava a fare
male. La
stretta sulle sue spalle era troppo forte, sentiva la pelle pulsare di
dolore e
le ossa comprimersi per la pressione delle dita e quel che era peggio
diventava
più forte ogni secondo che passava.
Provò
a
staccarsi dal bacio. “Mille Fa…”
L’altro
sembrava avere la mente totalmente obnubilata, prese a baciargli la
gola e
mordicchiarlo, senza accorgersi che la sua presa stava diventando
troppo forte
e dolorosa. Un fiotto di panico si mescolò nel suo stomaco
insieme
all’eccitazione e cominciò ad avere davvero paura
di rompersi. Si agitò ancor
di più, dimenandosi alla sua presa che lo inchiodava al
letto.
“Mille
Falchi!” ansimò con più urgenza.
Ma il
supereroe o fraintese o non lo sentì, perché
continuò a stuzzicare e stringere,
spingendosi sempre di più contro di lui.
Cominciò
a
sentirsi gli occhi umidi perché stava facendo troppo male,
si sentiva davvero
spezzare. Faticò a racimolare tutta la sua forza e tentare
di spingerlo via,
chiamandolo ancora una volta. Ovviamente non riuscì a fare
leva neanche di un
millimetro, ma Mille Falchi si accorse della forza che tentava di
spingerlo e
con un sussultò si rese conto di quello che stava
succedendo. Più veloce di un
battito di ciglia, si catapultò sul fondo del letto, lontano
da lui.
Anche se
non c’erano più le dita a premere, Naruto
continuò a sentire la pelle bruciare.
Si portò una mano alle spalle, ma anche il semplice
sfiorarsi la pelle gli fece
male. Non se ne preoccupò troppo e alzò lo
sguardo su Mille Falchi, ora
lontano. Aveva la bocca socchiusa in una o perfetta
di raggelo, la pelle
visibile del volto arrossata furiosamente e sembrava tremare.
“Io…
mi
dispiace” disse e sembrava sul punto di vomitare.
“Scusami, mi dispiace”.
Naruto
si
sentì in colpa e male per lui, allungò una mano
per farlo riavvicinare.
“Non
è
colpa tua” disse. “Sei solo… troppo
forte” e offrì un sorriso divertito.
Ma Mille
Falchi non l’accettò, né prese la mano
e si avvicinò. Continuò a fissarlo con
vergogna e rimpianto.
“Non
voglio
farti male” mormorò e per un momento Naruto
sospettò che non si riferisse solo
ai lividi che gli aveva lasciato.
Ma non
ebbe
il tempo di dire niente che era scomparso dal suo letto,
teletrasportandosi da
un’altra parte e lasciando al suo posto una tegola scheggiata.
La
fissò
sentendosi solo e ferito.
**
Sasuke
non
riusciva a smettere di insultarsi mentre saltava tra un tetto e
l’altro. Ormai
si era fatto molto tardi ed era scesa la notte, sarebbe dovuto tornare
già da
un pezzo, ma si sentiva troppo agitato. Aveva bisogno di calmarsi,
altrimenti
una volta a casa Sakura avrebbe capito subito perché fosse
così sconvolto.
Sono un idiota.
Lo era
dal
momento esatto in cui aveva deciso di cedere e iniziare quella patetica
cosa
con Naruto. Non solo gli stava mentendo spudoratamente, la sua presenza
gli
faceva male! Non poteva permettersi di perdere il controllo su se
stesso e
fargli male, non se lo sarebbe mai perdonato, non era colpa sua se non
era
fatto come le persone normali.
Atterrò
malamente sul tetto di una casa e perse la presa sul tegolato,
rischiando di
cadere. Riuscì prontamente a sostituirsi con qualcosa e
tornare sul tetto senza
un graffio. Ma una volta lì si sedette e si prese il viso
fra le mani.
Perché
ormai avrebbe fatto del male a Naruto. Non si trattava solo della sua
superforza, ma anche di Obito. Se c’era davvero lui dietro
quel disastro,
allora c’era una persona che sapeva della sua
identità segreta. Obito non
poteva essere così stupido, sicuramente aveva già
collegato che dietro all’eroe
di Konoha si celava uno dei bambini modificati dell’Uchiha
Corps e l’unico
possibile era lui, Sasuke. Obito sapeva chi fosse e questo era un grave
pericolo per tutti quelli che lo conoscevano.
Cominciò
a
non riuscire più a respirare, nel panico. Obito era
impazzito da bambino e ora
voleva cancellare l’Uchiha Corps, questo era sicuro. Anzi,
voleva cancellare
qualsiasi cosa avessero fatto, perfino un innocuo parco cittadino.
C’era la
possibilità nemmeno troppo remota che questo desiderio di
cancellazione
coinvolgesse anche lui e Itachi. Anche loro, proprio come quel parco,
erano un
prodotto dell’Uchiha Corps, che ne testimoniava
l’esistenza. Anche se Sasuke
l’avesse ignorato, prima o poi sarebbe venuto a cercarlo per
completare la sua
follia e questo metteva in pericolo tutte le persone che conosceva.
Metteva in
pericolo Naruto. Non poteva permettere che qualcuno scoprisse il suo
legame con
il ragazzo, né da Sasuke né da Mille Falchi, per
il suo stesso bene. Doveva
allontanarlo. Era l’unica azione sicura da fare.
Ignorò
quanto quel pensiero gli facesse male, in quel momento Naruto era la
persona
più importante della sua vita, non era facile. Ma proprio
per quello doveva
stargli il più lontano possibile.
Con
quell’ultima risolutezza, tornò a casa. Si
materializzò in giardino, ben
attento a non farsi vedere, e si cambiò lì. Una
volta rimessi i vestiti
borghesi, rientrò in casa pronto a sopportare le accuse di
Shisui.
Ma
quest’ultimo non c’era. Confuso, arrivò
fino alla cucina dove trovò solo
Sakura. Era così concentrata dal notiziario da non
accorgersi di lui finché
questo non si schiarì la gola.
“Sasuke,
hai fatto tardi!” considerò distratta.
“Ero
con
Naruto” mentì. “Ci siamo fermati a
prendere un gelato dopo karate”.
“Quindi
non
hai tanta fame? Ti ho messo comunque da scaldare qualcosa nel
microonde”.
“Va
bene,
magari più tardi. Grazie” mormorò,
sorpreso che fosse così remissiva dal suo
ritardo e gli prestasse così poca attenzione. I suoi occhi
continuavano a
saettare sul telegiornale, come se fosse in attesa di una notizia.
“Uhm,
Shisui?” chiese.
“A
lavoro”.
Annuì,
sentendosi a disagio. Tutto sommato era sollevato di non essere stato
ripreso,
ma quel nervosismo di Sakura gli fece paura. Forse anche loro avevano
collegato
i puntini su Obito… non sapeva se fosse un bene o meno.
“Vado
in
camera”.
Sakura
non
rispose, troppo concentrata sulla televisione.
**
L’autobus
ripartì, lasciando la figura scura in mezzo al nulla. I
passeggeri erano stati
molto felici di vedere quello strambo tipo, che indossava un cappotto
pesante e
lungo in quella stagione primaverile, lasciare l’autobus.
Però erano rimasti
altrettanto perplessi di vederlo scendere in quella fermata in mezzo al
nulla,
con solo un parcheggio di macchine che in quel momento era
completamente vuoto.
L’uomo
si
guardò attorno, la strada vuota e nessuna anima viva in
giro. Si rese conto di
aver sbagliato fermata, che quello non era il suo quartiere. Eppure era
sicuro
di dover scendere lì, perché…?
Con un
sospiro, cominciò a camminare al fianco della strada.
C’era un forte vento che
lo tirava dalla parte opposta, ma non se ne curò.
Affondò una mano nelle tasche
del cappotto e prese il telefono. Era vecchissimo, quelli senza il
touchscreen,
lo schermo era rotto, attraversato da profonde crepe, e alcuni tasti
mancavano.
Ovviamente era spento, ma l’uomo non ci fece nemmeno caso e
cominciò a digitare
un numero per poi portarselo all’orecchio.
“Ehi,
tesoro, sono io. Lo so, mi dispiace. Ma farò tardi anche
questa sera, ho
sbagliato la fermata dell’autobus. No, non preoccuparti, non
occorre che tu
venga a prendermi. Lo so, vivo proprio con la testa sulle nuvole, mi
dispiace.
Iniziate pure a mangiare, vi raggiungerò presto. Sto
arrivando…”
Si
fermò,
era arrivato vicino a una recinzione dove un grosso cartello segnalava
la
proprietà privata e il divieto di andare sul terreno, quel
posto apparteneva
all’Uchiha Corps. Socchiudendo gli occhi, riuscì a
vedere un casermone e delle
ciminiere. Ricordò perché era sceso a quella
fermata.
“Ti
amo
anch’io, tesoro. Ci vediamo dopo”
salutò.
Obito
Uchiha lasciò cadere il telefono a terra e
attraversò la recinzione.
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