…questo capitolo sembra scritto da quattro
persone diverse, come minimo. Qualche spiegazione in più al fondo.
Of Monsters
and Men
X (+1): Dimmi che posso entrare
Eli si rilassò. I
pugni chiusi si aprirono. La smorfia di dolore sulla sua bocca svanì.
Per un attimo,
Oskar pensò che anche il sangue sarebbe sparito, che non appena avrebbe
formulato l’invito, tutto sarebbe stato come se niente fosse successo.
John Ajvide Lindqvist, “Lasciami entrare”
What's left behind
in the storms that we've braved?
The troubles we found and the chances we waived.
Poets of the Fall,
“Dancing on broken glass”
Momo non vuole entrare in
quell’aula.
È appoggiata al muro si fronte
all’entrata, immobile come una statua, con le mani nascoste dietro la schiena
che tremano visibilmente; a qualche passo da lei c’è il collega della signorina
Kobayashi con tre caffè in mano, e Momo si sente un
poco sollevata a non essere sola in questo momento.
-Lei non ha paura del verdetto?- sussurra, fissando le punte delle proprie scarpe.
-Chiamami ingenuo, signorina, ma mi
fido di Izumi.- ribatte lui, aprendo la porta con il gomito. –Se è così
convinta di riuscire ad aiutare Denki, non la fermerà
nessu… Okay, niente caffè. Ora del verdetto.-
Improvvisamente l’aria nel
corridoio diventa pesante come un macigno, mentre Momo osserva i suoi ex
compagni di classe rientrare nell’aula in piccoli gruppi – Ochaco
e Mina le sorridono, Tsuyu e Tooru
si tengono per mano come per farsi forza a vicenda, Sero
vedendola così tesa le sussurra che andrà tutto bene, che ce la faranno. Shouto la ignora, semplicemente, entrando
nell’aula senza una parola e con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
-Allora, hai messo le radici lì?- sibila Bakugou, fermo a una
spanna da lei. La sta guardando veramente male. –Muoviti.-
-Katsuki,
un po’ di gentilezza?- lo rimprovera Kirishima, visibilmente stufo dei modi barbari del biondo.
-Che vada a farsi fottere, la gentilezza.- stranamente Bakugou
non alza la voce, dirigendosi a testa bassa verso la porta. –Se dovessero
condannare il Parafulmini voglio avere qualcuno da incolpare, e non posso
scaricare la colpa sull’avvocato. Lei ha fatto del suo meglio, a differenza di qualcuno.-
Quelle parole sono come una
secchiata d’acqua gelida dritta in testa, per Momo, che si stringe nelle spalle
e si morde un labbro con forza. Le viene da piangere.
-Non ascoltarlo, Yaomomo.-
Kyouka che porge la mano. –Anche tu hai fatto del tuo
meglio.-
Momo si sforza di sorridere, mentre
stringe la mano di Kyouka. Attraversano la soglia
insieme.
-Non colpevole.-
sentenzia il presidente di giuria, ripiegando il foglio che aveva tra le mani e
posandolo sul piano di legno di fronte a sé.
-No… Non… - balbetta Kaminari, cercando gli occhi del suo avvocato. Nel
frattempo il volto della signorina Kobayashi si è
aperto in un sorriso raggiante.
-Hanno detto non colpevole, Denki.-
l’avvocato non smette di sorridere. –Hanno detto non colpevole.-
Kaminari
abbraccia la signorina Kobayashi e scoppia a piangere
di sollievo, mentre intorno a loro si scioglie la tensione accumulata: Momo
vede Midoriya accanto a lei accasciarsi sulla sedia
mormorando che finalmente è finita, mentre Mina corre verso Kaminari
appena lui e l’avvocato si allontanano dal banco, seguita da Sero e Bakugou e Kirishima.
-Tesorino mio!-
Mina lancia le braccia al collo di Kaminari e lo
butta quasi per terra.
Kyouka,
sempre stretta ai genitori come se volessero proteggerla, si avvicina
all’avvocato. Ha gli occhi lucidi. –È finita, vero? Adesso è davvero finita?-
La signorina Kobayashi
le sorride. –Sì, Kyouka. Adesso è davvero finita.-
Kyouka
si rilassa visibilmente e si apre in un sorriso sincero, prima di fare qualche
passo incerto verso Kaminari. Il signor Jirou porge la mano alla signorina Kobayashi.
-Grazie.-
mormora, mentre lei ricambia la stretta. –Per tutto quello che hai fatto.-
-Io ho fatto il mio lavoro, il
resto lo hanno fatto loro.- con un cenno del capo
indica Kaminari e Kyouka,
stretti in un abbraccio che pare infinito. –Da soli.-
-E adesso bisogna festeggiare!- esclama il signor Hiroshi, prendendo sotto
braccio la collega e uscendo dall’aula. –Direi che ce lo siamo meritati.-
-Ma se tutto il lavoro l’ho fatto io!- ribatte lei, sfidandolo con lo sguardo. –Tu nemmeno
volevi aiutarmi!-
-Beh, perché… -
-Signorina Kobayashi?- Momo si
intromette, interrompendo quel battibecco nemmeno troppo convinto.
L’avvocato ha uno sguardo strano,
enigmatico quasi, mentre la osserva. –Dimmi, Momo. Se posso aiutarti… -
-Io… - Momo tortura l’orlo della
gonna, stringendolo tra le dita. –Secondo lei, ho fatto la cosa giusta,
signorina Kobayashi?-
La signorina sospira, stringendo le
labbra in un sorrisetto amaro e dispiaciuto. –Non sono io a doverti dare questa
risposta, Momo. Dovrai capirlo da sola.-
Momo piega la testa, ostinandosi a
guardare le punte delle proprie scarpe. –Certo, io… Lo capisco… -
-Ma se sentirai la necessità di
parlare con qualcuno, così, in via del tutto confidenziale o anche solo per
avere compagnia mentre prepari il tè… - le porge un cartoncino color panna
bordato di nero. –Qui ci sono i miei contatti. Chiamami senza farti problemi.-
Momo la guarda andare via, sempre
battibeccando con il signor Hiroshi, stringendo tra le dita quel cartoncino
color panna bordato di nero.
-Non
si tratta di cosa è o non è facile, Momo! Si tratta di buon senso! E credevo ti
fidassi di me!-
-E
lo sai che mi fido ciecamente… -
-E
allora perché non me l’hai detto?!-
-…-
–Tanto
ormai è inutile.-
-…mi
dispiace.-
–Dovevi
pensarci due anni fa.-
Todoroki
Rei la accoglie nella sua stanza con un enorme sorriso, sinceramente felice di
vederla. –Ah, Momo! Come sono contenta di vederti, è passato così tanto tempo…
Vieni, siediti.-
-Buongiorno, signora.-
Momo entra nella stanza quasi in punta di piedi, come se avesse paura di
disturbare. –Mi spiace non essere potuta venire più spesso, ma… ecco… -
Rei annuisce, comprensiva,
sedendosi sul bordo del materasso. –Capisco, cara, non devi scusarti. Essere
un’Eroina non è facile.-
Le mani di Momo hanno uno spasmo
involontario, mentre realizza che a quanto pare Rei non sa nulla – forse sa di Kaminari, anzi è molto probabile che lo sappia, ma non sa
del dopo, non sa quello che ha fatto, non sa il vero motivo per cui non è più
andata a farle visita dopo la fine degli studi alla UA.
Shouto
non gliel’ha detto e Momo si sente uno schifo, seduta su quella seggiola
davanti alla madre del ragazzo che diceva di amare e a cui avrebbe affidato la
propria vita, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi e dirle la
verità.
-Momo?-
Rei le sfiora una mano con la punta delle dita. Sono così fredde… -Qualcosa non
va, cara? Sei improvvisamente impallidita.-
Momo si sforza di non sottrarsi da
quel tocco e di sorridere come se nulla fosse, dicendo che è solo molto stanca;
Rei sembra crederle e iniziano a parlare della sua riabilitazione che a quanto
pare molto presto continuerà fuori dall’ospedale, in un posto sicuro dove potrà
sentirsi protetta.
Rei non lascia mai andare la sua
mano, e Momo appura che sì, le sue dita sono davvero fredde.
-Come sarò nella casa nuova te lo
farò sapere.- esclama Rei, battendo le mani mentre la
accompagna verso la porta. –Ti aspetto per un tè, cara, e non accetto un no.-
Momo si ritrova a ridacchiare per
l’entusiasmo che quella donna sprigiona, felice per lei di vederla piano piano
tornare a vivere. –Ovviamente. Porterò dei pasticcini, o magari qualche miscela
di tè particolare… -
-Porta te stessa, Momo, a me basta
e avanza.- è una frase così semplice e detta con così
tanta sincerità che la lascia di stucco e la fa sorridere senza un apparente
motivo, mentre Rei accosta la porta e Momo si incammina lungo il corridoio…
…e sente che qualcosa non va.
Improvvisamente inizia a sudare,
brividi freddi le corrono lungo la schiena, mentre all’ultimo svolta verso
destra e preferisce le scale all’ascensore e con passi lunghi e grandi falcate
cammina verso l’uscita dell’ospedale rivolgendo un cenno di saluto alle
infermiere che incontra. Ma la sensazione la segue anche fuori, sul marciapiede
in mezzo a chissà quante altre persone, fino alla fermata del bus – per fortuna
un bus era già alla fermata e sarebbe partito in meno di un minuto e Momo si
lancia dentro senza nemmeno guardare dove conduce.
Solo in quel momento la sensazione
di pericolo di cheta, lasciandola abbandonata su un sedile ansimante e sudata e
con le mani che tremano. Senza pensarci due volte, tuffa la mano destra
all’interno della borsetta, alla ricerca di quel biglietto e del telefono.
Uno squillo. Due. Due e mezzo. Tr-
-Kobayashi, con chi parlo?-
-Signorina Kobayashi,
sono Yaoyorozu.- non si è nemmeno accorta di aver iniziato a balbettare.
-Momo?- la voce dell’avvocato cambia
drasticamente. –Cosa succede?-
-Io… Credo di essere nei guai.-
-Ti hanno seguita?-
domanda la signorina Kobayashi, porgendole una tisana
in un bicchiere di cartone. –Scusa, non sarà buona come quelle a cui sei
abituata, ma… -
-Andrà benissimo, signorina, davvero.- Momo le sorride, sedendosi sulla sedia di fronte
alla scrivania dell’avvocato. –Sì, mi hanno seguita fino alla fermata del bus.-
-Hai per caso idea di cosa
potessero volere da te?- domanda. –Non lo so, stai
lavorando a qualche rastrellamento o roba simile?-
-Pensi che Villains
abbiano cercato di spaventarla?- chiede il signor
Hiroshi, appoggiato con un fianco alla scrivania della collega.
La signorina Kobayashi
scrolla le spalle. -Non è da escludere… -
–Dovremmo dirlo alla polizia.-
Lei annuisce. –Sì, sono d’accordo.
Avvisi tu la centrale?-
-Ci penso io.-
e con quelle parole, il signor Hiroshi lascia l’ufficio della collega.
-Bene, ora partiamo dal principio.- la signorina Kobayashi
appoggia la schiena contro la poltrona. –Cosa è successo, Momo?-
-Ero andata a fare visita alla
mamma di Shouto.- comincia lei, rigirandosi il bicchiere vuoto tra le mani.
–E fin lì tutto bene, ma quando sono uscita dalla sua stanza… Ho cominciato a
sentirmi osservata, e poi come se qualcuno mi stesse seguendo.-
-Hai visto qualcuno?-
Momo scuote la testa. –Nessuno.-
-Quanto ci scommettiamo che è
qualche chikan1 che ha
preferito altri posti alla metro?- borbotta trai denti
l’avvocato, lasciando cadere la testa in avanti. –Purtroppo più di così non
saprei come aiutarti, Momo. Possiamo fare una segnalazione alla polizia, ma
nulla di più.-
-Certo, lo so.-
la ragazza annuisce. –Grazie per avermi ascoltata, signorina.-
Lei le sorride dolcemente, sembra
quasi una sorella maggiore. –Ti avevo detto che potevi chiamarmi senza
problemi, anche solo per parlare. Tu hai chiamato e io ti ho ascoltata.-
Momo sorride, giusto un attimo,
prima di rabbuiarsi. -…non l’ho ancora trovata, signorina. La risposta a quella
domanda.-
La signorina Kobayashi
rimane in silenzio per una manciata di secondi, prima di sciogliersi in un
sorriso quasi materno. –Dai tempo al tempo, Momo, e vedrai che sarà lei a
venire da te.-
Quando esce dallo studio legale,
Momo si sente un po’ meglio.
-Ci
vorrà del tempo, ma sono quasi sicura che si riprenderà.-
-Meno
male… -
-…e
tu sei sicura di quello che stai facendo, Yaoyorozu?-
-Ormai
non si può tornare indietro, Recovery.-
-Spero
solo che tu sia pronta ad affrontarne le conseguenze.-
-Io mica ero pronta a tutta questa fama.-
Esordisce così, Kyouka,
alla fine del suo primo turno di pattuglia da apprendista Pro Hero.
A Momo viene da ridere. -Ci farai
l’abitudine, Kyouka, ne sono sicura.-
-Ma mi guardano tutti come se fossi
una sorta di morta vivente!- sbotta allora lei, lanciando
forse con troppa foga il contenitore vuoto del suo pranzo nel cestino
dell’immondizia. –Ah, non so cosa fare! Ovunque vada mi fanno tutti un sacco e
più di domande su quel giorno e… -
Kyouka
si zittisce, stringendo i pugni. Momo non sa cosa dire.
-…è stata davvero la scelta
migliore, Yaomomo?- la sente sussurrare, mentre guarda un punto imprecisato
di fronte a sé. –Come sarebbero andate le cose, se non l’avessi fatto?-
-Non lo so, Kyouka.- mormora. –Anche io
sto cercando una risposta a questa domanda.-
Preferisce omettere quell’ancora che ha pensato: lo lascia lì, non
detto, a pesarle sulla punta della lingua e sulla coscienza.
E preferisce anche non dirle dello
spavento di qualche giorno prima, perché Kyouka
inizia a parlare di Kaminari e di come piano piano
stiano cercando di rimettere insieme i pezzi di quello che avevano lasciato
indietro per riprendersi le loro vite e i loro sogni.
“Un
passo alla volta, non c’è fretta.”, sorride.
Kyouka
sorride sempre, quando parla del futuro e di Kaminari.
-Woah!-
-Mi
dispiace tanto, Kaminari! Quello che è successo è
stata solo colpa mia!-
-Ehy, ehy, frena! Non è stata
colpa tua!-
-Sì
invece! Se io non avessi nascosto Kyouka, tu… !-
-Yaomomo, sono stato io a chiederti di proteggerla. Sapevo a
cosa stavo andando incontro.-
-…-
-Anzi,
devo ringraziarti. Senza di te, chissà cosa le sarebbe successo.-
-Kaminari… Tu… Non sei arrabbiato con me?-
-Come
potrei? Hai fatto tutto quello che potevi per proteggere Kyouka,
non potrei mai essere arrabbiato con te.-
-…-
-Andrà
tutto bene, Yaomomo. Vedrai che anche Todoroki lo capirà.-
Non è mai stata una grande amante
dello shopping, se deve proprio essere onesta, ma quel pomeriggio aveva deciso
di andare a curiosare tra le vetrine di Shibuya,
anche solo per passare il tempo e non pensare sempre e unicamente a quel chiodo
fisso che le toglie il sonno la notte – ed è capitato di nuovo. Come ha messo
un piede fuori dalla metropolitana, Momo ha cominciato a sentirsi di nuovo
osservata, studiata, sviscerata… le vengono i brividi e ha paura, mentre cerca
di mescolarsi tra la folla accalcata davanti a una vetrina poco lontana.
Ma questo non sembra funzionare,
perché chiunque la stia seguendo la raggiunge – e finalmente Momo riesce a dare
un volto alla sua ombra misteriosa: è un uomo di mezza età, non molto alto, con
il fisico asciutto, capelli e pizzetto brizzolati, vestito in modo semplice ma curato.
-Buongiorno, signorina Yaoyorozu.-
ha un tono gentile, un forte accento del Kyushu, e un sorriso affabile. –Mi
scusi se l’ho spaventata, qualche giorno fa e anche prima… Vorrei scambiare due
parole con lei, se possibile. Mi basteranno cinque minuti.-
-Lei chi è?-
domanda, scettica, pronta a utilizzare il proprio Quirk
per immobilizzarlo se alla fine si rivelasse essere un Villain.
Continua a mantenere una certa distanza.
-Oh, che maleducato che sono.- le porge un cartoncino grigio chiaro con un piccolo
inchino. –Mi chiamo Suzuki Takeshi, signorina. Sono
un giornalista e reporter freelance, gestisco un piccolo giornale online.-
Momo studia attentamente il
cartoncino, rigirandoselo tra le dita: è molto diverso da quello della
signorina Kobayashi, e lo stesso signor Suzuki è
radicalmente agli antipodi rispetto all’avvocato di Kaminari.
Se la signorina Kobayashi anche solo presentandosi riesce
a farti sentire a tuo agio, quest’uomo le sta incutendo terrore allo stato
puro.
-Le posso offrire qualcosa da bere,
signorina?- fa un gesto con il braccio, indicando un
locale poco distante. –Un tè, un caffè?-
-Di cosa vorrebbe parlare?- se c’è una cosa che si ricorda degli insegnamenti
della sua cara e amatissima nonna, è di non accettare mai nulla dagli
sconosciuti. –Se le bastano cinque minuti me lo può anche dire qui.-
-Vorrei parlare del processo di… Kaminari Denki, giusto? Mi
perdoni, ho una memoria pessima per i nomi.-
ridacchia. –Vorrei parlare con lei di un paio di questioni che secondo me sono
state lasciate in sospeso, durante il processo.-
-Non dovrebbe parlare con me di
queste cose, ma con l’avvocato di Kaminari.- perché continua a sentirsi minacciata? –Sono sicura che
la signorina Kobayashi saprà rispondere alle sue
domande in modo decisamente più esaustivo di me.-
Il signor Suzuki fa una smorfia…
strana, quando Momo pronuncia il nome dell’avvocato di Kaminari.
–Conosco la signorina Kobayashi. Abbiamo avuto… delle
divergenze, in passato. E ora lei non mi vede i buon occhio.-
-…capisco.-
quindi visto che non può avere le risposte che vuole da lei, sta cercando di
ottenerle da vie traverse? Geniale. –Cosa vorrebbe sapere?-
-La verità, signorina Yaoyorozu.-
Momo non capisce. –Credo che la
verità sia stata chiarita durante il processo, signor Suzuki. Non vedo cosa si
possa ancora aggiungere.-
-Questo è quello che vogliono farci
credere, signorina.- l’uomo fa un passo avanti, Momo
ne fa due indietro. –E io ho tutte le intenzioni di smascherarli.-
-Non saprei come aiutarla, signor Suzuki.- approfittando di un gruppo di scolarette che sta
passando proprio in quell’istante, Momo si dilegua con il cuore che batte nella
cassa toracica come dopo un allenamento intensivo del professor Aizawa.
Da Shibuya,
raggiungere lo studio legale della signorina Kobayashi
è un attimo: Momo si rende conto di essere diventata forse un po’ troppo
dipendente dagli altri, ma in questo istante l’avvocato e il suo collega le
sembrano le uniche persone in grado di ascoltarla e aiutarla.
Per fortuna è da poco passata la
pausa pranzo, non dovrebbe essere difficile trovare l’ufficio…
Come scorge il signor Hiroshi corre
verso di lui e si ferma a pochi passi, quasi inchiodando la sua corsa sul
posto: il signor Hiroshi ha un sobbalzo, fermandosi nel bel mezzo del corridoio
con un plico di cartelline sottobraccio e il tazzone di caffè a pochi millimetri
dalle labbra, mentre il sopracciglio destro lentamente si inarca verso l’alto
quasi raggiungendo l’attaccatura dei capelli. –Buon… pomeriggio, Yaoyorozu… -
-Di nuovo.-
ansima Momo, piegandosi sulle ginocchia per riprendere a respirare. –Mi hanno
seguita di nuovo.-
-…oh?-
-E questa volta so chi è.-
-Oh.- in
una frazione di secondo ha svuotato il tazzone di caffè e posato su un ripiano
la tazza vuota. –In una scala da uno a dieci, quante probabilità ci sono che
questo impedisca la digestione a Izumi del suo
tramezzino al tonno e formaggio spalmabile e un mal di testa da Guinnes dei Primati a me che dovrò sopportarla per le
successive cinque o sei ore?-
Momo ci pensa un attimo. -…nove e
mezzo, se vogliamo essere positivi?-
-Lo immaginavo. E allora andiamo.- chiama l’ascensore, premendo poi il pulsante con
il numero otto. –E che Dio o chi per lui ce la mandi buona.-
È l’allegro ping! dell’ascensore che ha raggiunto il piano e quel “Izumi!” urlato
come un grido da battaglia vichingo dal signor Hiroshi ad annunciare alla
signorina Kobayashi la loro sventurata venuta: la
trovano nel suo studio, piegata in avanti sulla scrivania, a tossire perfino
l’anima con quello che resta di un tramezzino scartato sul piano ingombro di
fogli e cartelline e biro.
-Hiroshi, ti venisse… !- tossicchia ancora, poi sembra notare che non sono soli.
–Ah, Momo. Buongiorno.-
-Mi scusi per non aver avvisato,
signorina, ma… - il signor Hiroshi la interrompe.
-La cara Yaoyorozu
qui presente sa chi l’ha seguita l’altro giorno.- la
signorina Kobayashi inarca le sopracciglia, bevendo
qualche sorso d’acqua da una borraccia apparsa magicamente da sotto la
scrivania. –L’ha seguita di nuovo, oggi.-
-Esatto.-
Momo annuisce, spostando ripetutamente lo sguardo dalla signorina Kobayashi al signor Hiroshi. –Dice di essere un giornalista.-
-Un paparazzo?-
Momo nega con la testa, sedendosi di fronte alla scrivania. –Un giornalista di
qualche testata?-
-Un giornale online, ha detto.- spiega, posando la borsetta sulle gambe. –Ha detto
di chiamarsi Suzuki Takeshi.-
…come sentono quel nome, i due
avvocati si irrigidiscono: il signor Hiroshi sussurra un impropero, mentre la
signorina Kobayashi diventa cianotica, guarda il suo
tramezzino mangiucchiato e lo mette da parte come se le fosse improvvisamente
mancato l’appetito.
-Oddio, è di nuovo lui… - geme,
abbandonando la testa sulla scrivania e affondando le mani trai capelli.
-Lo conoscete?-
-Purtroppo sì, abbiamo avuto il
disonore di avere a che fare con lui.- sbuffa il
signor Hiroshi. –Quel tipo non è un giornalista: è un cazzaro
maschilista e complottista della prima linea, di quelli convinti fino alla
morte che ci siano dei Poteri Forti a
controllarci e che lui è l’unico a sapere la verità e… E Izumi
sta avendo i flashback del Vietnam.-
-Flashback del Vietnam? Flashback
del Vietnam?!- strilla la donna, battendo i palmi sulla scrivania. –L’intera director’s cut di Apocalypse Now, sto avendo!-
-Mi piace l’odore del Napalm al mattino!- la signorina Kobayashi
gli tira una cartellina. Il signor Hiroshi la evita con una facilità
disarmante.
-Ma non l’avevano denunciato?- chiede la donna, appoggiandosi stancamente allo
schienale della poltrona. Il signor Hiroshi solleva le spalle. –Non ci posso credere.-
-Sai com’è il detto, Izumi. L’erba cattiva non muore mai.-
-Già.- la
signorina Kobayashi solleva gli occhi al soffitto. –E
quella buona finisce subito.-
-Ehm… Scusate?-
gli occhi dei due avvocati sono improvvisamente su di lei. –E cosa vuole un
individuo del genere da me?-
-Dipende che cosa ti ha chiesto, Yaoyorozu.-
il signor Hiroshi incrocia le braccia.
La signorina Kobayashi
si massaggia le tempie. –Fammi indovinare, voleva sapere qualcosa sul caso di Denki. Mi gioco metà stipendio.-
-Voleva sapere la verità, quella
che a tutti i costi doveva essere tenuta nascosta.-
Momo annuisce. La signorina Kobayashi schiocca le
dita. –Io… Io non capisco, cosa intende dire?-
-Non so cosa dirti, Momo.- la donna sembra improvvisamente più vecchia e più
stanca. –Ci sono molti, là fuori, che credono che Denki
sia colpevole o che sia stata accusata la Villain
latitante Toga Himiko per nascondere il vero
colpevole, ma lui… Boh.-
-Lui è convinto che questo
fantomatico “Potere Forte”… - il signor Hiroshi fa le
virgolette con le dita. -…che ci controlla tutti abbia deciso che Denki doveva essere scagionato in questo modo in questo
momento perché sì. E che solo tu, Izumi e pochi altri
sapete la vera verità.-
Momo è sempre più confusa. –Quindi?
Cosa facciamo? Cosa faccio?-
-L’unica cosa che posso dirti, Momo,
è che è meglio ignorarlo.- sbuffa la signorina Kobayashi. –Ci pensa già il Web a smontare le sue teorie
strampalate. E tanto, finché non diventa un pericolo per qualcuno in modo
concreto, tutto quello che posso fare è aspettare che scriva o dica qualcosa e
tenere pronta una denuncia per diffamazione.-
Il signor Hiroshi annuisce,
abbattuto. –Sarebbe stato più facile, se fosse stato solo un chikan… -
-Oh, decisamente.-
-…-
-Che
significa?-
-…-
-Ti
prego, di’ qualcosa.-
-Quello
che ti ho detto, mamma. È finita.-
-Perché?-
-Perché…
Perché tutte le cose prima o poi finiscono, mamma.-
-Non
è vero. Non è finita finché ci credi ancora. E, sinceramente, ci state ancora
credendo entrambi.-
La nuova casa di Rei è una villetta
su due piani un po’ in periferia con un piccolo giardino e una mansarda che
subito è stata adibita a piccolo angolo di lettura – “Leggere mi è sempre piaciuto. E da qui posso anche osservare il cielo.
È una delle poche cose che restano quasi immutate, il cielo…
”, aveva sussurrato la prima volta che Momo era stata lì e Rei le
aveva fatto fare un tour della villetta, invitandola a restare anche per cenare
con lei e Fuyumi, per questo motivo questa volta
prima di arrivare a casa di Rei si ferma in una libreria e sceglie tre titoli
che spera le possano piacere.
Soddisfatta, esce dalla libreria
con la sua borsa di carta marrone e…
-Ciao, Momo.-
Shouto
è appoggiato a una piglia, esattamente di fronte all’entrata della libreria, e
ha le mani affondate nelle tasche dei jeans. Sembra teso, forse più di lei.
-Ciao… -
-Sei di fretta?-
indica la borsa di carta, senza muoversi da lì.
Momo guarda l’orologio al polso.
–No… Ho ancora un paio d’ore… Perché?-
-Ti va se parliamo un po’?-
Momo capisce che, effettivamente,
non aspettava altro che questo. –Va bene.-
La camminata verso la villetta di
Rei è piacevole, sotto il sole di metà pomeriggio – presto sarà primavera,
pensa Momo, e fioriranno di nuovo i ciliegi e la vita andrà avanti… Forse
dovrebbe farlo anche lei.
-Immagino che io ti debba delle scuse.- mormora Shouto, senza
guardarla. –Ho esagerato, quel giorno. Sia a casa tua che dopo.-
Momo scuote la testa.
–Assolutamente no, avevi tutte le buone ragioni per reagire così… Ero io quella
nel torto.-
-Non capisco perché non volevi
venire all’udienza.-
-Kyouka
non era nelle condizioni di viaggiare, l’hai vista anche tu.-
le scendono dei brividi gelati lungo la schiena, al ricordo delle bende
insanguinate e i punti che la sua amica ha portato sulla pelle per tanto,
troppo tempo, e che ha avuto il coraggio di mostrare in aula. Perché quelli non
erano i segni di un’elettrificazione, perché non poteva essere stato Kaminari a farle questo. –Abbiamo rischiato tanto, quella
notte… -
-Ma almeno abbiamo salvato Kaminari.-
Momo abbassa lo sguardo. -…ma
almeno abbiamo salvato Kaminari.-
-Credo che non ti avrei mai davvero
perdonata, se non avessimo fatto in tempo o se lo avessero condannato lo stesso.- ammette, occhieggiando verso di lei. Momo non può
che annuire, perché in fondo se lo sarebbe solo meritato.
Passano interi minuti di silenzio
teso come una corda di violino pronta a spezzarsi, in cui nessuno dei ha
davvero il coraggio di dire quello che davvero pensa – “Scusami, mi dispiace, avrei dovuto fidarmi di te, non avrei dovuto
reagire così, per favore dammi un’altra possibilità.”
Sente Shouto
prendere un profondo respiro. –Io davvero non capisco perché ti sei comportata così.-
-Non lo so neanche io… - è dura, ma
era arrivato il momento di ammettere le proprie colpe.
Shouto
si ferma, Momo si volta a guardarlo titubante. -Avrei soltanto voluto mi
dicessi la verità.-
-La verità.-
ripete lei. –La verità è che sono sempre stata convinta di avere ogni risposta
in tasca, di trovare sempre la soluzione giusta al momento giusto, per
qualsiasi problema, di essere sempre la perfetta studentessa prima della sua
classe. La verità è che non è vero, e forse l’ho capito troppo tardi.-
Shouto
sembra non capire. –Non ti ho mai chiesto di essere perfetta, Momo. Nessuno te
l’ha mai chiesto.-
-Ma è quello che tutti si aspettano
da persone come me, dai bimbi prodigio.- ribatte lei,
lisciando le inesistenti pieghe della gonna. –Ammettilo, Shouto:
la senti pure tu la pressione di essere il figlio di Endeavor,
di essere sempre paragonato a lui.-
–Più che altro mi sale
l’incazzatura, quando mi paragonano allo stronzo, ma di questo parleremo in un
altro momento.- Shouto fa
una smorfia, per poi sospirare. –Ho capito cosa intendi, Momo, davvero. So cosa
vuol dire essere i… raccomandati, ci sono finito in mezzo mio malgrado. Quello
che non capisco è perché non ti sei fidata di me.-
Momo rimane in silenzio, osservando
le proprie mani, poi prende un bel respiro. –Ho avuto paura. Ero terrorizzata,
non chiedermi da cosa ma ero spaventata a morte.-
-Jirou
era in pericolo di vita e i Villains la stavano cercando.- Shouto annuisce. –Sì, è
più che normale che tu fossi terrorizzata… -
-Non sapevo cosa fare.-
ammette. –Ho… agito d’istinto, ecco tutto, senza pensare alle conseguenze.-
-Beh, direi che non sono stato da meno.- Shouto dà un calcio a una
pietrina, facendola rotolare oltre il bordo del marciapiede e giù, sulla
spiaggia sottostante. –Ho reagito nel peggiore dei modi possibile.
Avrei dovuto ascoltarti, non soltanto sentire quello che dicevi.-
Adesso è lei che non capisce. –Che
intendi… ?-
-Eri strana, Momo, subito dopo
l’attacco. Agitata.- spiega. –Pensavo fosse per colpa
della sparizione di Jirou e per lo shock di aver
perso la tua migliore amica, invece la stavi proteggendo. Forse è per questo
che non ti sei voluta fidare di me, perché non ti ho mai ascoltata e ho
ignorato i segnali… -
-Ma io avrei dovuto fidarmi
comunque di te.- Momo stringe i pugni e forza un
sorriso. –Siamo davvero i peggiori, non trovi?-
-Già, davvero i peggiori.-
anche Shouto sorride. –Ma in fondo sbagliare è umano.-
-Ed è andato tutto bene, per fortuna.- non riesce a smettere di sorridere. –Potremmo
usarla come esperienza di crescita.-
-Decisamente.-
annuisce, quasi con fare saccente. A Momo viene da ridere. –Quindi… Ci riproviamo?-
Ora le sente premere agli angoli
degli occhi, quelle lacrime di sollievo che stava cercando di trattenere.
–Riproviamoci, sì.-
Riprendono a camminare sotto il
sole che tramonta, parlando di libri e di Rei che ora sta bene e di Natsuo che finalmente si è deciso a presentare la sua
ragazza alla madre, di Fuyumi che non ha mai davvero
smesso di cercare Touya ed è l’unica che ancora parla
con il padre e del giornalista complottista che ha seguito Momo e scoppiano
entrambi a ridere quando leggono uno degli articoli che questo ha scritto sul
suo giornale.
E Momo si era dimenticata quanto
fosse piacevole e la facesse sentire bene, passare del tempo così.
Forse non troverà mai una risposta
quella sua domanda, perché una risposta giusta non esiste, e in fondo va anche
bene così.
Non deve per forza essere sempre la
prima della classe.
-Senti,
Mezzo e Mezzo, non ti sopporto più.-
-Beh,
direi che il sentimento è reciproco, Bakugou.-
-Ecco
che ci risiamo… Io vi voglio bene, ragazzi, ma i pattugliamenti con voi sono
una vera tortura. -
-Taci,
Nerd. Sto dicendo sul serio, coglione, sei insopportabile. Se vuoi davvero
risolvere questa situazione di merda in cui ti sei cacciato da solo devi
mettere da parte la tua facciata da perfettino offeso di ‘sto cazzo, andare da
lei e risolvere la questione.-
-…quello
che Kacchan sta cercando di dire, e su cui io
concordo appieno, è che l’unico modo per risolvere questa situazione è parlare
con Yaoyorozu.-
-Veramente
io intendevo scop… -
-Prova
a finire quella frase e ti arriva uno Smash dritto sulle gengive, Kacchan. Lo sai che ne sono capace e non ho paura di farlo.-
-Che
palle di te, Nerd. Non è solo parlando che si risolvono le questioni di coppia.-
-Perché,
tu come le risolvi?-
-Il
più delle volte con qualche pugno.-
-…-
-…-
-Che
c’è?-
-Q…
Questa è violenza domestica, Kacchan.-
-Povero
Kirishima… -
-Ma
che avete capito, bastardi?! Ho un sacco da boxe a casa! E poi perché avete
tirato in ballo Eijirou?! Ehy!
Non ignoratemi, stronzi! Tornate qui!-
1.
Il chikan è il tipico molestatore
giapponese che principalmente incontri in metro. Di per sé non è violento, in
quanto il suo molestare si “limita” a palpeggiamenti, frottage o foto sotto le
gonne delle studentesse, ma è una vera e propria piaga in Giappone.
Per
arginare questi fenomeni, le compagnie ferroviarie hanno destinato un numero di
vagoni dei loro treni esclusivamente alle donne e tappezzato le fermate con
manifesti colorati che a un turista parrebbero innocui che invitano le ragazze
a denunciare questo fenomeno, mentre da parte delle autorità c’è stato inoltre
un inasprimento dei controlli e delle pene.
Tuttavia
questo non sembra aver spaventato i chikan, che continuano a essere motivo di imbarazzo per il
Giappone, complice anche la mentalità estremamente maschilista dei nipponici.
N.T.D.M.P.S.P.P.:
Non Tanto Deliri Ma Pur Sempre Post Partum perché
la Maki ogni tanto sente il bisogno di parlare a ruota libera
…forse durante questa quarantena ho guardato
troppi video di Barbascura che smonta i complottisti,
mh *mumble mumble*
Comunque, questo capitolo fa schifo. Per
diversi motivi, ma principalmente due.
Uno, è che io non so scrivere questo genere di
storie. Gn, ma chi me l’ha fatto fare, perché mi
sforzo di scrivere cose che non sono capace? Emigro in Tibet a fare l’eremita,
appena me ne daranno la possibilità.
Due, è che come dicevo prima sembra scritto da
quattro persone diverse. Andiamo, quanto sembro schizofrenica durante questo
capitolo?! Sono la peggiore.
Il punto è che, come avevo accennato a
qualcuno non solo qui su EFP, durante questo periodo sono ritornati a galla
problemi che credevo di aver risolto o come minimo avere sotto controllo – e
come penso sappiate, quando la mente non è nel suo stato migliore sono le parti
più deboli del fisico a mostrare questo malessere. E quindi ecco che la mia
vista va di nuovo a farsi benedire e ritornano i problemi che mi avevano
costretta a rientrare dall’Egitto un anno fa esatto. Oltre al fatto che sono
tornati pure gli attacchi di panico e l’ansia generale, soprattutto nell’ambito
lavorativo.
Comunque ci tengo a dire che tutto sommato sto
bene, anche se magari a voi non frega nulla, ma mi piace credere che a qualcuno
interessi.
Anche perché so che trai lettori c’è la mia
migliore amica, che abita in America e che per millemila
motivi non riesco a sentire spesso come vorrei – e vista la situazione in quel
d’America un po’ d’ansietta per lei e la sua compagna
ce l’ho.
Vi voglio bene, ragazze, mandatemi anche solo
un messaggio e io son contenta.
In sostanza, spero che questo capitolo sia
piaciuto più a voi di quanto non piaccia a me. Fatemelo sapere con un commento,
magari non vi risponderò immediatamente ma abbiate fede che prima o poi
arriverò.
Non so quando o come ci rivedremo, come vedete
manca ancora uno speciale a questa storia e ci sarà un altro capitoletto anche
per Hopeless Wanderers a
cui inizierò a lavorare finita questa trilogia di capitoli extra – e per chi se
lo stesse chiedendo, sì, c’è qualcosa di nuovo che bolle in pentola, molto
lentamente, ma sta prendendo forma – e ovviamente mi vedrete bazzicare in altri
fandom o nello spazio recensioni, ma per adesso credo
mi prenderò una “pausa”.
Apparirò a caso, ogni tanto, tipo funghetto,
ma per il resto credo che passerò un po’ di tempo a cercare di rimettere insieme
quel che si può salvare – magari meditando, ascoltando un po’ di musica e cercando
di finire la pila dei libri da leggere.
Per il resto, non posso che augurarvi un buon
qualcosa e sperare di rivedervi presto.
Come dice sempre il mio capo, pace e bene.
Maki