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Autore: _thantophobia    11/05/2020    2 recensioni
Izumi si era immaginata molteplici facce, mentre percorreva in macchina i chilometri che separano casa sua dalla prigione - si era immaginata un ragazzone tutto muscoli come Bane oppure un anonimo ragazzino insospettabile ma pericoloso e mortale come John Doe, di certo non un ragazzo che, prima di finire lì, doveva essere davvero solare e pieno di vita.
Davvero non capisce come ci sia arrivato.
[OC | Kaminari Denki | Bakusquad | un po' tutti] [KamiJirou | hint ad altre ship] [rating giallo per il linguaggio e i temi(?) | angst | maliconico | introspettivo] [what if?/AU/idk/something in between?]
[il secondo capitolo partecipa al Writober2018 con la lista di prompt di Fanwriter.it | prompt: segreti]
[capitolo 11 - Finale Alternativo: Acido Lisergico]
[capitolo 12 - X (+1): Dimmi che posso entrare]
[capitolo 13 - ]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kaminari Denki, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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…questo capitolo sembra scritto da quattro persone diverse, come minimo. Qualche spiegazione in più al fondo.

 

 

 

Of Monsters and Men

 

 

 

 

 

 

 

 

X (+1): Dimmi che posso entrare

 

 

 

 

Eli si rilassò. I pugni chiusi si aprirono. La smorfia di dolore sulla sua bocca svanì.

Per un attimo, Oskar pensò che anche il sangue sarebbe sparito, che non appena avrebbe formulato l’invito, tutto sarebbe stato come se niente fosse successo.

John Ajvide Lindqvist, “Lasciami entrare”

 


What's left behind in the storms that we've braved?

The troubles we found and the chances we waived.

Poets of the Fall, “Dancing on broken glass

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Momo non vuole entrare in quell’aula.

È appoggiata al muro si fronte all’entrata, immobile come una statua, con le mani nascoste dietro la schiena che tremano visibilmente; a qualche passo da lei c’è il collega della signorina Kobayashi con tre caffè in mano, e Momo si sente un poco sollevata a non essere sola in questo momento.

-Lei non ha paura del verdetto?- sussurra, fissando le punte delle proprie scarpe.

-Chiamami ingenuo, signorina, ma mi fido di Izumi.- ribatte lui, aprendo la porta con il gomito. –Se è così convinta di riuscire ad aiutare Denki, non la fermerà nessu… Okay, niente caffè. Ora del verdetto.-

Improvvisamente l’aria nel corridoio diventa pesante come un macigno, mentre Momo osserva i suoi ex compagni di classe rientrare nell’aula in piccoli gruppi – Ochaco e Mina le sorridono, Tsuyu e Tooru si tengono per mano come per farsi forza a vicenda, Sero vedendola così tesa le sussurra che andrà tutto bene, che ce la faranno. Shouto la ignora, semplicemente, entrando nell’aula senza una parola e con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.

-Allora, hai messo le radici lì?- sibila Bakugou, fermo a una spanna da lei. La sta guardando veramente male. –Muoviti.-

-Katsuki, un po’ di gentilezza?- lo rimprovera Kirishima, visibilmente stufo dei modi barbari del biondo.

-Che vada a farsi fottere, la gentilezza.- stranamente Bakugou non alza la voce, dirigendosi a testa bassa verso la porta. –Se dovessero condannare il Parafulmini voglio avere qualcuno da incolpare, e non posso scaricare la colpa sull’avvocato. Lei ha fatto del suo meglio, a differenza di qualcuno.-

Quelle parole sono come una secchiata d’acqua gelida dritta in testa, per Momo, che si stringe nelle spalle e si morde un labbro con forza. Le viene da piangere.

-Non ascoltarlo, Yaomomo.- Kyouka che porge la mano. –Anche tu hai fatto del tuo meglio.-

Momo si sforza di sorridere, mentre stringe la mano di Kyouka. Attraversano la soglia insieme.

 

-Non colpevole.- sentenzia il presidente di giuria, ripiegando il foglio che aveva tra le mani e posandolo sul piano di legno di fronte a sé.

-No… Non… - balbetta Kaminari, cercando gli occhi del suo avvocato. Nel frattempo il volto della signorina Kobayashi si è aperto in un sorriso raggiante.

-Hanno detto non colpevole, Denki.- l’avvocato non smette di sorridere. –Hanno detto non colpevole.-

Kaminari abbraccia la signorina Kobayashi e scoppia a piangere di sollievo, mentre intorno a loro si scioglie la tensione accumulata: Momo vede Midoriya accanto a lei accasciarsi sulla sedia mormorando che finalmente è finita, mentre Mina corre verso Kaminari appena lui e l’avvocato si allontanano dal banco, seguita da Sero e Bakugou e Kirishima.

-Tesorino mio!- Mina lancia le braccia al collo di Kaminari e lo butta quasi per terra.

Kyouka, sempre stretta ai genitori come se volessero proteggerla, si avvicina all’avvocato. Ha gli occhi lucidi. –È finita, vero? Adesso è davvero finita?-

La signorina Kobayashi le sorride. –Sì, Kyouka. Adesso è davvero finita.-

Kyouka si rilassa visibilmente e si apre in un sorriso sincero, prima di fare qualche passo incerto verso Kaminari. Il signor Jirou porge la mano alla signorina Kobayashi.

-Grazie.- mormora, mentre lei ricambia la stretta. –Per tutto quello che hai fatto.-

-Io ho fatto il mio lavoro, il resto lo hanno fatto loro.- con un cenno del capo indica Kaminari e Kyouka, stretti in un abbraccio che pare infinito. –Da soli.-

-E adesso bisogna festeggiare!- esclama il signor Hiroshi, prendendo sotto braccio la collega e uscendo dall’aula. –Direi che ce lo siamo meritati.-

-Ma se tutto il lavoro l’ho fatto io!- ribatte lei, sfidandolo con lo sguardo. –Tu nemmeno volevi aiutarmi!-

-Beh, perché… -

-Signorina Kobayashi?- Momo si intromette, interrompendo quel battibecco nemmeno troppo convinto.

L’avvocato ha uno sguardo strano, enigmatico quasi, mentre la osserva. –Dimmi, Momo. Se posso aiutarti… -

-Io… - Momo tortura l’orlo della gonna, stringendolo tra le dita. –Secondo lei, ho fatto la cosa giusta, signorina Kobayashi?-

La signorina sospira, stringendo le labbra in un sorrisetto amaro e dispiaciuto. –Non sono io a doverti dare questa risposta, Momo. Dovrai capirlo da sola.-

Momo piega la testa, ostinandosi a guardare le punte delle proprie scarpe. –Certo, io… Lo capisco… -

-Ma se sentirai la necessità di parlare con qualcuno, così, in via del tutto confidenziale o anche solo per avere compagnia mentre prepari il tè… - le porge un cartoncino color panna bordato di nero. –Qui ci sono i miei contatti. Chiamami senza farti problemi.-

Momo la guarda andare via, sempre battibeccando con il signor Hiroshi, stringendo tra le dita quel cartoncino color panna bordato di nero.

 

 

 

-Non si tratta di cosa è o non è facile, Momo! Si tratta di buon senso! E credevo ti fidassi di me!-

-E lo sai che mi fido ciecamente… -

-E allora perché non me l’hai detto?!-

-…-

–Tanto ormai è inutile.-

-…mi dispiace.-

–Dovevi pensarci due anni fa.-

 

 

 

Todoroki Rei la accoglie nella sua stanza con un enorme sorriso, sinceramente felice di vederla. –Ah, Momo! Come sono contenta di vederti, è passato così tanto tempo… Vieni, siediti.-

-Buongiorno, signora.- Momo entra nella stanza quasi in punta di piedi, come se avesse paura di disturbare. –Mi spiace non essere potuta venire più spesso, ma… ecco… -

Rei annuisce, comprensiva, sedendosi sul bordo del materasso. –Capisco, cara, non devi scusarti. Essere un’Eroina non è facile.-

Le mani di Momo hanno uno spasmo involontario, mentre realizza che a quanto pare Rei non sa nulla – forse sa di Kaminari, anzi è molto probabile che lo sappia, ma non sa del dopo, non sa quello che ha fatto, non sa il vero motivo per cui non è più andata a farle visita dopo la fine degli studi alla UA.

Shouto non gliel’ha detto e Momo si sente uno schifo, seduta su quella seggiola davanti alla madre del ragazzo che diceva di amare e a cui avrebbe affidato la propria vita, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi e dirle la verità.

-Momo?- Rei le sfiora una mano con la punta delle dita. Sono così fredde… -Qualcosa non va, cara? Sei improvvisamente impallidita.-

Momo si sforza di non sottrarsi da quel tocco e di sorridere come se nulla fosse, dicendo che è solo molto stanca; Rei sembra crederle e iniziano a parlare della sua riabilitazione che a quanto pare molto presto continuerà fuori dall’ospedale, in un posto sicuro dove potrà sentirsi protetta.

Rei non lascia mai andare la sua mano, e Momo appura che sì, le sue dita sono davvero fredde.

-Come sarò nella casa nuova te lo farò sapere.- esclama Rei, battendo le mani mentre la accompagna verso la porta. –Ti aspetto per un tè, cara, e non accetto un no.-

Momo si ritrova a ridacchiare per l’entusiasmo che quella donna sprigiona, felice per lei di vederla piano piano tornare a vivere. –Ovviamente. Porterò dei pasticcini, o magari qualche miscela di tè particolare… -

-Porta te stessa, Momo, a me basta e avanza.- è una frase così semplice e detta con così tanta sincerità che la lascia di stucco e la fa sorridere senza un apparente motivo, mentre Rei accosta la porta e Momo si incammina lungo il corridoio…

…e sente che qualcosa non va.

Improvvisamente inizia a sudare, brividi freddi le corrono lungo la schiena, mentre all’ultimo svolta verso destra e preferisce le scale all’ascensore e con passi lunghi e grandi falcate cammina verso l’uscita dell’ospedale rivolgendo un cenno di saluto alle infermiere che incontra. Ma la sensazione la segue anche fuori, sul marciapiede in mezzo a chissà quante altre persone, fino alla fermata del bus – per fortuna un bus era già alla fermata e sarebbe partito in meno di un minuto e Momo si lancia dentro senza nemmeno guardare dove conduce.

Solo in quel momento la sensazione di pericolo di cheta, lasciandola abbandonata su un sedile ansimante e sudata e con le mani che tremano. Senza pensarci due volte, tuffa la mano destra all’interno della borsetta, alla ricerca di quel biglietto e del telefono.

Uno squillo. Due. Due e mezzo. Tr-

-Kobayashi, con chi parlo?-

-Signorina Kobayashi, sono Yaoyorozu.- non si è nemmeno accorta di aver iniziato a balbettare.

-Momo?- la voce dell’avvocato cambia drasticamente. –Cosa succede?-

-Io… Credo di essere nei guai.-

 

-Ti hanno seguita?- domanda la signorina Kobayashi, porgendole una tisana in un bicchiere di cartone. –Scusa, non sarà buona come quelle a cui sei abituata, ma… -

-Andrà benissimo, signorina, davvero.- Momo le sorride, sedendosi sulla sedia di fronte alla scrivania dell’avvocato. –Sì, mi hanno seguita fino alla fermata del bus.-

-Hai per caso idea di cosa potessero volere da te?- domanda. –Non lo so, stai lavorando a qualche rastrellamento o roba simile?-

-Pensi che Villains abbiano cercato di spaventarla?- chiede il signor Hiroshi, appoggiato con un fianco alla scrivania della collega.

La signorina Kobayashi scrolla le spalle. -Non è da escludere… -

 –Dovremmo dirlo alla polizia.-

Lei annuisce. –Sì, sono d’accordo. Avvisi tu la centrale?-

-Ci penso io.- e con quelle parole, il signor Hiroshi lascia l’ufficio della collega.

-Bene, ora partiamo dal principio.- la signorina Kobayashi appoggia la schiena contro la poltrona. –Cosa è successo, Momo?-

-Ero andata a fare visita alla mamma di Shouto.- comincia lei, rigirandosi il bicchiere vuoto tra le mani. –E fin lì tutto bene, ma quando sono uscita dalla sua stanza… Ho cominciato a sentirmi osservata, e poi come se qualcuno mi stesse seguendo.-

-Hai visto qualcuno?-

Momo scuote la testa. –Nessuno.-

-Quanto ci scommettiamo che è qualche chikan1 che ha preferito altri posti alla metro?- borbotta trai denti l’avvocato, lasciando cadere la testa in avanti. –Purtroppo più di così non saprei come aiutarti, Momo. Possiamo fare una segnalazione alla polizia, ma nulla di più.-

-Certo, lo so.- la ragazza annuisce. –Grazie per avermi ascoltata, signorina.-

Lei le sorride dolcemente, sembra quasi una sorella maggiore. –Ti avevo detto che potevi chiamarmi senza problemi, anche solo per parlare. Tu hai chiamato e io ti ho ascoltata.-

Momo sorride, giusto un attimo, prima di rabbuiarsi. -…non l’ho ancora trovata, signorina. La risposta a quella domanda.-

La signorina Kobayashi rimane in silenzio per una manciata di secondi, prima di sciogliersi in un sorriso quasi materno. –Dai tempo al tempo, Momo, e vedrai che sarà lei a venire da te.-

Quando esce dallo studio legale, Momo si sente un po’ meglio.

 

 

 

-Ci vorrà del tempo, ma sono quasi sicura che si riprenderà.-

-Meno male… -

-…e tu sei sicura di quello che stai facendo, Yaoyorozu?-

-Ormai non si può tornare indietro, Recovery.-

-Spero solo che tu sia pronta ad affrontarne le conseguenze.-

 

 

 

-Io mica ero pronta a tutta questa fama.-

Esordisce così, Kyouka, alla fine del suo primo turno di pattuglia da apprendista Pro Hero.

A Momo viene da ridere. -Ci farai l’abitudine, Kyouka, ne sono sicura.-

-Ma mi guardano tutti come se fossi una sorta di morta vivente!- sbotta allora lei, lanciando forse con troppa foga il contenitore vuoto del suo pranzo nel cestino dell’immondizia. –Ah, non so cosa fare! Ovunque vada mi fanno tutti un sacco e più di domande su quel giorno e… -

Kyouka si zittisce, stringendo i pugni. Momo non sa cosa dire.

-…è stata davvero la scelta migliore, Yaomomo?- la sente sussurrare, mentre guarda un punto imprecisato di fronte a sé. –Come sarebbero andate le cose, se non l’avessi fatto?-

-Non lo so, Kyouka.- mormora. –Anche io sto cercando una risposta a questa domanda.-

Preferisce omettere quell’ancora che ha pensato: lo lascia lì, non detto, a pesarle sulla punta della lingua e sulla coscienza.

E preferisce anche non dirle dello spavento di qualche giorno prima, perché Kyouka inizia a parlare di Kaminari e di come piano piano stiano cercando di rimettere insieme i pezzi di quello che avevano lasciato indietro per riprendersi le loro vite e i loro sogni.

“Un passo alla volta, non c’è fretta.”, sorride.

Kyouka sorride sempre, quando parla del futuro e di Kaminari.

 

 

 

-Woah!-

-Mi dispiace tanto, Kaminari! Quello che è successo è stata solo colpa mia!-

-Ehy, ehy, frena! Non è stata colpa tua!-

-Sì invece! Se io non avessi nascosto Kyouka, tu… !-

-Yaomomo, sono stato io a chiederti di proteggerla. Sapevo a cosa stavo andando incontro.-

-…-

-Anzi, devo ringraziarti. Senza di te, chissà cosa le sarebbe successo.-

-Kaminari… Tu… Non sei arrabbiato con me?-

-Come potrei? Hai fatto tutto quello che potevi per proteggere Kyouka, non potrei mai essere arrabbiato con te.-

-…-

-Andrà tutto bene, Yaomomo. Vedrai che anche Todoroki lo capirà.-

 

 

 

Non è mai stata una grande amante dello shopping, se deve proprio essere onesta, ma quel pomeriggio aveva deciso di andare a curiosare tra le vetrine di Shibuya, anche solo per passare il tempo e non pensare sempre e unicamente a quel chiodo fisso che le toglie il sonno la notte – ed è capitato di nuovo. Come ha messo un piede fuori dalla metropolitana, Momo ha cominciato a sentirsi di nuovo osservata, studiata, sviscerata… le vengono i brividi e ha paura, mentre cerca di mescolarsi tra la folla accalcata davanti a una vetrina poco lontana.

Ma questo non sembra funzionare, perché chiunque la stia seguendo la raggiunge – e finalmente Momo riesce a dare un volto alla sua ombra misteriosa: è un uomo di mezza età, non molto alto, con il fisico asciutto, capelli e pizzetto brizzolati, vestito in modo semplice ma curato.

-Buongiorno, signorina Yaoyorozu.- ha un tono gentile, un forte accento del Kyushu, e un sorriso affabile. –Mi scusi se l’ho spaventata, qualche giorno fa e anche prima… Vorrei scambiare due parole con lei, se possibile. Mi basteranno cinque minuti.-

-Lei chi è?- domanda, scettica, pronta a utilizzare il proprio Quirk per immobilizzarlo se alla fine si rivelasse essere un Villain. Continua a mantenere una certa distanza.

-Oh, che maleducato che sono.- le porge un cartoncino grigio chiaro con un piccolo inchino. –Mi chiamo Suzuki Takeshi, signorina. Sono un giornalista e reporter freelance, gestisco un piccolo giornale online.-

Momo studia attentamente il cartoncino, rigirandoselo tra le dita: è molto diverso da quello della signorina Kobayashi, e lo stesso signor Suzuki è radicalmente agli antipodi rispetto all’avvocato di Kaminari. Se la signorina Kobayashi anche solo presentandosi riesce a farti sentire a tuo agio, quest’uomo le sta incutendo terrore allo stato puro.

-Le posso offrire qualcosa da bere, signorina?- fa un gesto con il braccio, indicando un locale poco distante. –Un tè, un caffè?-

-Di cosa vorrebbe parlare?- se c’è una cosa che si ricorda degli insegnamenti della sua cara e amatissima nonna, è di non accettare mai nulla dagli sconosciuti. –Se le bastano cinque minuti me lo può anche dire qui.-

-Vorrei parlare del processo di… Kaminari Denki, giusto? Mi perdoni, ho una memoria pessima per i nomi.- ridacchia. –Vorrei parlare con lei di un paio di questioni che secondo me sono state lasciate in sospeso, durante il processo.-

-Non dovrebbe parlare con me di queste cose, ma con l’avvocato di Kaminari.- perché continua a sentirsi minacciata? –Sono sicura che la signorina Kobayashi saprà rispondere alle sue domande in modo decisamente più esaustivo di me.-

Il signor Suzuki fa una smorfia… strana, quando Momo pronuncia il nome dell’avvocato di Kaminari. –Conosco la signorina Kobayashi. Abbiamo avuto… delle divergenze, in passato. E ora lei non mi vede i buon occhio.-

-…capisco.- quindi visto che non può avere le risposte che vuole da lei, sta cercando di ottenerle da vie traverse? Geniale. –Cosa vorrebbe sapere?-

-La verità, signorina Yaoyorozu.-

Momo non capisce. –Credo che la verità sia stata chiarita durante il processo, signor Suzuki. Non vedo cosa si possa ancora aggiungere.-

-Questo è quello che vogliono farci credere, signorina.- l’uomo fa un passo avanti, Momo ne fa due indietro. –E io ho tutte le intenzioni di smascherarli.-

-Non saprei come aiutarla, signor Suzuki.- approfittando di un gruppo di scolarette che sta passando proprio in quell’istante, Momo si dilegua con il cuore che batte nella cassa toracica come dopo un allenamento intensivo del professor Aizawa.

Da Shibuya, raggiungere lo studio legale della signorina Kobayashi è un attimo: Momo si rende conto di essere diventata forse un po’ troppo dipendente dagli altri, ma in questo istante l’avvocato e il suo collega le sembrano le uniche persone in grado di ascoltarla e aiutarla.

Per fortuna è da poco passata la pausa pranzo, non dovrebbe essere difficile trovare l’ufficio…

Come scorge il signor Hiroshi corre verso di lui e si ferma a pochi passi, quasi inchiodando la sua corsa sul posto: il signor Hiroshi ha un sobbalzo, fermandosi nel bel mezzo del corridoio con un plico di cartelline sottobraccio e il tazzone di caffè a pochi millimetri dalle labbra, mentre il sopracciglio destro lentamente si inarca verso l’alto quasi raggiungendo l’attaccatura dei capelli. –Buon… pomeriggio, Yaoyorozu… -

-Di nuovo.- ansima Momo, piegandosi sulle ginocchia per riprendere a respirare. –Mi hanno seguita di nuovo.-

-…oh?-

-E questa volta so chi è.-

-Oh.- in una frazione di secondo ha svuotato il tazzone di caffè e posato su un ripiano la tazza vuota. –In una scala da uno a dieci, quante probabilità ci sono che questo impedisca la digestione a Izumi del suo tramezzino al tonno e formaggio spalmabile e un mal di testa da Guinnes dei Primati a me che dovrò sopportarla per le successive cinque o sei ore?-

Momo ci pensa un attimo. -…nove e mezzo, se vogliamo essere positivi?-

-Lo immaginavo. E allora andiamo.- chiama l’ascensore, premendo poi il pulsante con il numero otto. –E che Dio o chi per lui ce la mandi buona.-

È l’allegro ping! dell’ascensore che ha raggiunto il piano e quel Izumi!” urlato come un grido da battaglia vichingo dal signor Hiroshi ad annunciare alla signorina Kobayashi la loro sventurata venuta: la trovano nel suo studio, piegata in avanti sulla scrivania, a tossire perfino l’anima con quello che resta di un tramezzino scartato sul piano ingombro di fogli e cartelline e biro.

-Hiroshi, ti venisse… !- tossicchia ancora, poi sembra notare che non sono soli. –Ah, Momo. Buongiorno.-

-Mi scusi per non aver avvisato, signorina, ma… - il signor Hiroshi la interrompe.

-La cara Yaoyorozu qui presente sa chi l’ha seguita l’altro giorno.- la signorina Kobayashi inarca le sopracciglia, bevendo qualche sorso d’acqua da una borraccia apparsa magicamente da sotto la scrivania. –L’ha seguita di nuovo, oggi.-

-Esatto.- Momo annuisce, spostando ripetutamente lo sguardo dalla signorina Kobayashi al signor Hiroshi. –Dice di essere un giornalista.-

-Un paparazzo?- Momo nega con la testa, sedendosi di fronte alla scrivania. –Un giornalista di qualche testata?-

-Un giornale online, ha detto.- spiega, posando la borsetta sulle gambe. –Ha detto di chiamarsi Suzuki Takeshi.-

…come sentono quel nome, i due avvocati si irrigidiscono: il signor Hiroshi sussurra un impropero, mentre la signorina Kobayashi diventa cianotica, guarda il suo tramezzino mangiucchiato e lo mette da parte come se le fosse improvvisamente mancato l’appetito.

-Oddio, è di nuovo lui… - geme, abbandonando la testa sulla scrivania e affondando le mani trai capelli.

-Lo conoscete?-

-Purtroppo sì, abbiamo avuto il disonore di avere a che fare con lui.- sbuffa il signor Hiroshi. –Quel tipo non è un giornalista: è un cazzaro maschilista e complottista della prima linea, di quelli convinti fino alla morte che ci siano dei Poteri Forti a controllarci e che lui è l’unico a sapere la verità e… E Izumi sta avendo i flashback del Vietnam.-

-Flashback del Vietnam? Flashback del Vietnam?!- strilla la donna, battendo i palmi sulla scrivania. –L’intera director’s cut di Apocalypse Now, sto avendo!-

-Mi piace l’odore del Napalm al mattino!- la signorina Kobayashi gli tira una cartellina. Il signor Hiroshi la evita con una facilità disarmante.

-Ma non l’avevano denunciato?- chiede la donna, appoggiandosi stancamente allo schienale della poltrona. Il signor Hiroshi solleva le spalle. –Non ci posso credere.-

-Sai com’è il detto, Izumi. L’erba cattiva non muore mai.-

-Già.- la signorina Kobayashi solleva gli occhi al soffitto. –E quella buona finisce subito.-

-Ehm… Scusate?- gli occhi dei due avvocati sono improvvisamente su di lei. –E cosa vuole un individuo del genere da me?-

-Dipende che cosa ti ha chiesto, Yaoyorozu.- il signor Hiroshi incrocia le braccia.

La signorina Kobayashi si massaggia le tempie. –Fammi indovinare, voleva sapere qualcosa sul caso di Denki. Mi gioco metà stipendio.-

-Voleva sapere la verità, quella che a tutti i costi doveva essere tenuta nascosta.- Momo annuisce. La signorina Kobayashi schiocca le dita. –Io… Io non capisco, cosa intende dire?-

-Non so cosa dirti, Momo.- la donna sembra improvvisamente più vecchia e più stanca. –Ci sono molti, là fuori, che credono che Denki sia colpevole o che sia stata accusata la Villain latitante Toga Himiko per nascondere il vero colpevole, ma lui… Boh.-

-Lui è convinto che questo fantomatico “Potere Forte” - il signor Hiroshi fa le virgolette con le dita. -…che ci controlla tutti abbia deciso che Denki doveva essere scagionato in questo modo in questo momento perché sì. E che solo tu, Izumi e pochi altri sapete la vera verità.-

Momo è sempre più confusa. –Quindi? Cosa facciamo? Cosa faccio?-

-L’unica cosa che posso dirti, Momo, è che è meglio ignorarlo.- sbuffa la signorina Kobayashi. –Ci pensa già il Web a smontare le sue teorie strampalate. E tanto, finché non diventa un pericolo per qualcuno in modo concreto, tutto quello che posso fare è aspettare che scriva o dica qualcosa e tenere pronta una denuncia per diffamazione.-

Il signor Hiroshi annuisce, abbattuto. –Sarebbe stato più facile, se fosse stato solo un chikan… -

-Oh, decisamente.-

 

 

 

-…-

-Che significa?-

-…-

-Ti prego, di’ qualcosa.-

-Quello che ti ho detto, mamma. È finita.-

-Perché?-

-Perché… Perché tutte le cose prima o poi finiscono, mamma.-

-Non è vero. Non è finita finché ci credi ancora. E, sinceramente, ci state ancora credendo entrambi.-

 

 

 

La nuova casa di Rei è una villetta su due piani un po’ in periferia con un piccolo giardino e una mansarda che subito è stata adibita a piccolo angolo di lettura – “Leggere mi è sempre piaciuto. E da qui posso anche osservare il cielo. È una delle poche cose che restano quasi immutate, il cielo… ”, aveva sussurrato la prima volta che Momo era stata lì e Rei le aveva fatto fare un tour della villetta, invitandola a restare anche per cenare con lei e Fuyumi, per questo motivo questa volta prima di arrivare a casa di Rei si ferma in una libreria e sceglie tre titoli che spera le possano piacere.

Soddisfatta, esce dalla libreria con la sua borsa di carta marrone e…

-Ciao, Momo.-

Shouto è appoggiato a una piglia, esattamente di fronte all’entrata della libreria, e ha le mani affondate nelle tasche dei jeans. Sembra teso, forse più di lei.

-Ciao… -

-Sei di fretta?- indica la borsa di carta, senza muoversi da lì.

Momo guarda l’orologio al polso. –No… Ho ancora un paio d’ore… Perché?-

-Ti va se parliamo un po’?-

Momo capisce che, effettivamente, non aspettava altro che questo. –Va bene.-

La camminata verso la villetta di Rei è piacevole, sotto il sole di metà pomeriggio – presto sarà primavera, pensa Momo, e fioriranno di nuovo i ciliegi e la vita andrà avanti… Forse dovrebbe farlo anche lei.

-Immagino che io ti debba delle scuse.- mormora Shouto, senza guardarla. –Ho esagerato, quel giorno. Sia a casa tua che dopo.-

Momo scuote la testa. –Assolutamente no, avevi tutte le buone ragioni per reagire così… Ero io quella nel torto.-

-Non capisco perché non volevi venire all’udienza.-

-Kyouka non era nelle condizioni di viaggiare, l’hai vista anche tu.- le scendono dei brividi gelati lungo la schiena, al ricordo delle bende insanguinate e i punti che la sua amica ha portato sulla pelle per tanto, troppo tempo, e che ha avuto il coraggio di mostrare in aula. Perché quelli non erano i segni di un’elettrificazione, perché non poteva essere stato Kaminari a farle questo. –Abbiamo rischiato tanto, quella notte… -

-Ma almeno abbiamo salvato Kaminari.-

Momo abbassa lo sguardo. -…ma almeno abbiamo salvato Kaminari.-

-Credo che non ti avrei mai davvero perdonata, se non avessimo fatto in tempo o se lo avessero condannato lo stesso.- ammette, occhieggiando verso di lei. Momo non può che annuire, perché in fondo se lo sarebbe solo meritato.

Passano interi minuti di silenzio teso come una corda di violino pronta a spezzarsi, in cui nessuno dei ha davvero il coraggio di dire quello che davvero pensa – “Scusami, mi dispiace, avrei dovuto fidarmi di te, non avrei dovuto reagire così, per favore dammi un’altra possibilità.”

Sente Shouto prendere un profondo respiro. –Io davvero non capisco perché ti sei comportata così.-

-Non lo so neanche io… - è dura, ma era arrivato il momento di ammettere le proprie colpe.

Shouto si ferma, Momo si volta a guardarlo titubante. -Avrei soltanto voluto mi dicessi la verità.-

-La verità.- ripete lei. –La verità è che sono sempre stata convinta di avere ogni risposta in tasca, di trovare sempre la soluzione giusta al momento giusto, per qualsiasi problema, di essere sempre la perfetta studentessa prima della sua classe. La verità è che non è vero, e forse l’ho capito troppo tardi.-

Shouto sembra non capire. –Non ti ho mai chiesto di essere perfetta, Momo. Nessuno te l’ha mai chiesto.-

-Ma è quello che tutti si aspettano da persone come me, dai bimbi prodigio.- ribatte lei, lisciando le inesistenti pieghe della gonna. –Ammettilo, Shouto: la senti pure tu la pressione di essere il figlio di Endeavor, di essere sempre paragonato a lui.-

–Più che altro mi sale l’incazzatura, quando mi paragonano allo stronzo, ma di questo parleremo in un altro momento.- Shouto fa una smorfia, per poi sospirare. –Ho capito cosa intendi, Momo, davvero. So cosa vuol dire essere i… raccomandati, ci sono finito in mezzo mio malgrado. Quello che non capisco è perché non ti sei fidata di me.-

Momo rimane in silenzio, osservando le proprie mani, poi prende un bel respiro. –Ho avuto paura. Ero terrorizzata, non chiedermi da cosa ma ero spaventata a morte.-

-Jirou era in pericolo di vita e i Villains la stavano cercando.- Shouto annuisce. –Sì, è più che normale che tu fossi terrorizzata… -

-Non sapevo cosa fare.- ammette. –Ho… agito d’istinto, ecco tutto, senza pensare alle conseguenze.-

-Beh, direi che non sono stato da meno.- Shouto dà un calcio a una pietrina, facendola rotolare oltre il bordo del marciapiede e giù, sulla spiaggia sottostante. –Ho reagito nel peggiore dei modi possibile. Avrei dovuto ascoltarti, non soltanto sentire quello che dicevi.-

Adesso è lei che non capisce. –Che intendi… ?-

-Eri strana, Momo, subito dopo l’attacco. Agitata.- spiega. –Pensavo fosse per colpa della sparizione di Jirou e per lo shock di aver perso la tua migliore amica, invece la stavi proteggendo. Forse è per questo che non ti sei voluta fidare di me, perché non ti ho mai ascoltata e ho ignorato i segnali… -

-Ma io avrei dovuto fidarmi comunque di te.- Momo stringe i pugni e forza un sorriso. –Siamo davvero i peggiori, non trovi?-

-Già, davvero i peggiori.- anche Shouto sorride. –Ma in fondo sbagliare è umano.-

-Ed è andato tutto bene, per fortuna.- non riesce a smettere di sorridere. –Potremmo usarla come esperienza di crescita.-

-Decisamente.- annuisce, quasi con fare saccente. A Momo viene da ridere. –Quindi… Ci riproviamo?-

Ora le sente premere agli angoli degli occhi, quelle lacrime di sollievo che stava cercando di trattenere. –Riproviamoci, sì.-

Riprendono a camminare sotto il sole che tramonta, parlando di libri e di Rei che ora sta bene e di Natsuo che finalmente si è deciso a presentare la sua ragazza alla madre, di Fuyumi che non ha mai davvero smesso di cercare Touya ed è l’unica che ancora parla con il padre e del giornalista complottista che ha seguito Momo e scoppiano entrambi a ridere quando leggono uno degli articoli che questo ha scritto sul suo giornale.

E Momo si era dimenticata quanto fosse piacevole e la facesse sentire bene, passare del tempo così.

Forse non troverà mai una risposta quella sua domanda, perché una risposta giusta non esiste, e in fondo va anche bene così.

Non deve per forza essere sempre la prima della classe.

 

 

 

-Senti, Mezzo e Mezzo, non ti sopporto più.-

-Beh, direi che il sentimento è reciproco, Bakugou.-

-Ecco che ci risiamo… Io vi voglio bene, ragazzi, ma i pattugliamenti con voi sono una vera tortura. -

-Taci, Nerd. Sto dicendo sul serio, coglione, sei insopportabile. Se vuoi davvero risolvere questa situazione di merda in cui ti sei cacciato da solo devi mettere da parte la tua facciata da perfettino offeso di ‘sto cazzo, andare da lei e risolvere la questione.-

-…quello che Kacchan sta cercando di dire, e su cui io concordo appieno, è che l’unico modo per risolvere questa situazione è parlare con Yaoyorozu.-

-Veramente io intendevo scop… -

-Prova a finire quella frase e ti arriva uno Smash dritto sulle gengive, Kacchan. Lo sai che ne sono capace e non ho paura di farlo.-

-Che palle di te, Nerd. Non è solo parlando che si risolvono le questioni di coppia.-

-Perché, tu come le risolvi?-

-Il più delle volte con qualche pugno.-

-…-

-…-

-Che c’è?-

-Q… Questa è violenza domestica, Kacchan.-

-Povero Kirishima… -

-Ma che avete capito, bastardi?! Ho un sacco da boxe a casa! E poi perché avete tirato in ballo Eijirou?! Ehy! Non ignoratemi, stronzi! Tornate qui!-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1.      Il chikan è il tipico molestatore giapponese che principalmente incontri in metro. Di per sé non è violento, in quanto il suo molestare si “limita” a palpeggiamenti, frottage o foto sotto le gonne delle studentesse, ma è una vera e propria piaga in Giappone.

Per arginare questi fenomeni, le compagnie ferroviarie hanno destinato un numero di vagoni dei loro treni esclusivamente alle donne e tappezzato le fermate con manifesti colorati che a un turista parrebbero innocui che invitano le ragazze a denunciare questo fenomeno, mentre da parte delle autorità c’è stato inoltre un inasprimento dei controlli e delle pene.

Tuttavia questo non sembra aver spaventato i chikan, che continuano a essere motivo di imbarazzo per il Giappone, complice anche la mentalità estremamente maschilista dei nipponici.

 

 

 

 

 

 

 

 

N.T.D.M.P.S.P.P.: Non Tanto Deliri Ma Pur Sempre Post Partum perché la Maki ogni tanto sente il bisogno di parlare a ruota libera

…forse durante questa quarantena ho guardato troppi video di Barbascura che smonta i complottisti, mh *mumble mumble*

Comunque, questo capitolo fa schifo. Per diversi motivi, ma principalmente due.

Uno, è che io non so scrivere questo genere di storie. Gn, ma chi me l’ha fatto fare, perché mi sforzo di scrivere cose che non sono capace? Emigro in Tibet a fare l’eremita, appena me ne daranno la possibilità.

Due, è che come dicevo prima sembra scritto da quattro persone diverse. Andiamo, quanto sembro schizofrenica durante questo capitolo?! Sono la peggiore.

Il punto è che, come avevo accennato a qualcuno non solo qui su EFP, durante questo periodo sono ritornati a galla problemi che credevo di aver risolto o come minimo avere sotto controllo – e come penso sappiate, quando la mente non è nel suo stato migliore sono le parti più deboli del fisico a mostrare questo malessere. E quindi ecco che la mia vista va di nuovo a farsi benedire e ritornano i problemi che mi avevano costretta a rientrare dall’Egitto un anno fa esatto. Oltre al fatto che sono tornati pure gli attacchi di panico e l’ansia generale, soprattutto nell’ambito lavorativo.

Comunque ci tengo a dire che tutto sommato sto bene, anche se magari a voi non frega nulla, ma mi piace credere che a qualcuno interessi.

Anche perché so che trai lettori c’è la mia migliore amica, che abita in America e che per millemila motivi non riesco a sentire spesso come vorrei – e vista la situazione in quel d’America un po’ d’ansietta per lei e la sua compagna ce l’ho.

Vi voglio bene, ragazze, mandatemi anche solo un messaggio e io son contenta.

 

In sostanza, spero che questo capitolo sia piaciuto più a voi di quanto non piaccia a me. Fatemelo sapere con un commento, magari non vi risponderò immediatamente ma abbiate fede che prima o poi arriverò.

Non so quando o come ci rivedremo, come vedete manca ancora uno speciale a questa storia e ci sarà un altro capitoletto anche per Hopeless Wanderers a cui inizierò a lavorare finita questa trilogia di capitoli extra – e per chi se lo stesse chiedendo, sì, c’è qualcosa di nuovo che bolle in pentola, molto lentamente, ma sta prendendo forma – e ovviamente mi vedrete bazzicare in altri fandom o nello spazio recensioni, ma per adesso credo mi prenderò una “pausa”.

Apparirò a caso, ogni tanto, tipo funghetto, ma per il resto credo che passerò un po’ di tempo a cercare di rimettere insieme quel che si può salvare – magari meditando, ascoltando un po’ di musica e cercando di finire la pila dei libri da leggere.

Per il resto, non posso che augurarvi un buon qualcosa e sperare di rivedervi presto.

Come dice sempre il mio capo, pace e bene.

Maki

  
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