Con
fatica, Richard sollevò le palpebre.
Una
densa oscurità, simile a melassa, opprimeva il suo sguardo,
mentre il suo corpo galleggiava, privo di peso.
– Che
cosa succede? – si domandò. Ricordava di essersi
ritirato nella sua stanza, desideroso di solitudine.
Con
la morte di suo padre, il suo animo si era spento.
Il
giovane esuberante si era dissolto ed era stato sostituito da un uomo
inaridito, incapace di provare qualsiasi emozione
Poggiò
una mano sul torace. Solo lo sport gli consentiva di liberare il suo
cuore dall’angoscia.
Ma
le sue forze si spegnevano sempre più.
Avvertiva
l’inutilità delle sue azioni.
L’allenamento
nel calcio e nel karate gli pareva sempre più arduo.
Il
suo corpo era sempre più ribelle ai comandi della sua mente.
Bramava
solo il riposo.
Con
noncuranza, aveva aperto un’intera confezione di oppiacei
sintetici, oppresso dalla stanchezza.
E,
pochi istanti dopo, la sua coscienza era precipitata nel sonno
artificiale, indotto dai sonniferi.
Voleva
solo un po’ di requie dal dolore e dal rimorso, che lo stavano
dilaniando da tanto, troppo tempo.
La
dose consigliatagli dal medico della base, col tempo, si era rivelata
insufficiente.
La
sua razionalità non riusciva a contrastare il suo senso di
colpa.
Il
suo cuore, sordo agli appelli della ragione, lo accusava di
parricidio.
Ma
cosa avrebbe dovuto fare?
Non
poteva abbandonarlo ad un tale destino.
O
forse era una patetica scusa della sua mente provata?
– Sto
mentendo a me stesso? – si chiese.
Un
fremito, ad un tratto, lo attraversò tutto, come una breve
scossa elettrica.
Aprì
un poco gli occhi, sorpreso. Di che cosa si trattava?
Sembrava
il tocco di una mano, leggera e premurosa sulla sua testa…
Una
lama di luce, ad un tratto, fendette l’oscurità e lo
colpì tra gli occhi.
Infastidito,
corrugò la fronte, poi sollevò le palpebre.
Il
giovane si accorse di essere disteso su un lettino d’ospedale,
situato al centro di un’ampia stanza rettangolare, illuminata
da una lampada a neon incastrata nel soffitto.
– Ben
svegliato. – lo salutò una voce maschile, calma e
gentile.
Richard
girò la testa e, seduto accanto al suo letto, vide Nick.
Lui?
Perché è qui? E come mai sono in ospedale?, si
chiese il pilota. Ricordava solo di avere preso dei sonniferi e di
essersi addormentato…
Gli
oppiacei sintetici impedivano alla sua mente di precipitare
nell’abisso degli incubi.
Grazie
a quei farmaci, riusciva a contrastare il problema dell’insonnia.
Eppure,
il suo riposo non era rigeneratore.
Di
solito, il sonno artefatto durava dieci ore e, al suo risveglio, gli
sembrava di essere oppresso dalla stanchezza.
Cosa
sapeva Nick?
–
Perché
sono qui? – chiese, sorpreso.
L’interpellato,
perplesso, aggrottò le sopracciglia. Come poteva fargli una
simile domanda?
Era
un effetto tardivo dei sonniferi?
Ringo
avrebbe dovuto ricordarsi del suo tentato suicidio.
Con
tutti quei medicinali, se non l’avessero scoperto in
tempo,sarebbe morto, per collasso respiratorio!
Malgrado
questo, lo stupore si leggeva nei suoi occhi cerulei.
Sembrava
non comprendere la ragione della sua presenza in ospedale
Eppure,
quella spropositata assunzione di farmaci l’aveva condotto ad
un passo dalla morte.
Come
si spiegava il suo stupore? Stordimento? Era stato un evento
accidentale?
Ma
Ringo non era stupido e un simile errore gli pareva assurdo da parte
sua.
Cosa
cambierebbe?, si chiese. Se
anche quell’assunzione di sonniferi fosse stata involontaria,
non sarebbe cambiato nulla.
Anzi,
la situazione sarebbe stata ben più tragica
Pur
di non fare preoccupare nessuno, si era logorato in una lotta contro
l’angoscia ed era stato sopraffatto.
E
il logoramento psichico lo aveva portato ad uno sbaglio tanto
marchiano.
Per
poco, non era morto.
Nick
sospirò. Superata l’iniziale diffidenza, Ringo si era
rivelato un amico sincero e leale.
Inoltre,
non poteva non ammirare la sua tempra forte.
Avrebbe
desiderato un frammento della sua vitalità.
A
stento, trattenne un amaro sorriso. In quel momento, i ruoli si erano
ribaltati.
A
lui spettava il compito di sostegno.
Ringo
aveva bisogno d’una mano amica.
Non
è il caso di insistere.,pensò.
Il medico aveva detto loro che le domande avrebbero costituito un
motivo di agitazione per lui, già così provato.
Sospirò.
–
Ringo,
mi dispiace per tuo padre. – mormorò ad un tratto l’ex
Teknoman.
A
queste parole, il corpo del pilota si irrigidì e, di scatto,
il giovane girò la testa verso destra. La voce di Nick vibrava
d’affetto, ma quelle parole acuivano il suo senso di pena.
Aveva
ucciso il suo amato genitore.
Poteva
dipingere questo atto dei colori più vivi, ma restava sempre
un parricidio.
E
il rimorso allignava nel suo cuore.
Deboli
singhiozzi sollevarono il suo petto e le lacrime tremarono nei suoi
occhi.
– Non
dovresti essere dispiaciuto per me… Il comandante non ti ha
rivelato cosa è accaduto? – domandò, il tono
innaturalmente calmo e lo sguardo fisso verso il muro..
L’ex
Teknoman rimase cogitabondo. Oltre al dolore per la morte del padre,
il suo amico era straziato da un devastante senso di colpa.
Credeva
di essere colpevole della morte del suo genitore e, per questo, si
consumava in un tormento crudele.
Il
suo cuore sopraffaceva la razionalità e gli impediva di vedere
la realtà nella sua completezza.
Allungò
la mano per accarezzargli i capelli, poi la ritrasse.
– Sì,
so cosa è successo. E ti conosco abbastanza per dire che hai
scelto per amore. Hai rinunciato alla presenza di tuo padre, pur di
ridargli una dignità. Non tutti sarebbero capaci di una simile
scelta. – replicò. Forse, le sue parole erano scontate,
ma era convinto della loro veridicità.
Malgrado
la sua apparenza chiassosa, Ringo era capace di scelte difficili, pur
di rispettare le persone da lui amate e ammirate.
Ansimi
sempre più veloci sollevarono il petto dell’ex
calciatore e lente lacrime sgorgarono dai suoi occhi. Quelle parole,
tanto calme e gentili, aprivano una breccia nel muro di silenzio,
che, da sei mesi, era il suo rifugio e la sua prigione.
Desiderava
abbandonarsi all’onda del dolore, che premeva sul suo petto.
Eppure,
non doveva succedere.
Non
doveva cedere davanti a lui.
Aveva
spesso usato durezza verso Nick e le sue esitazioni e questo gli
imponeva un’estrema coerenza, libera da compromessi.
Nessuno
– tantomeno lui – doveva vedere la sua debolezza.
Calmo,
Nick prese la mano di Richard tra le sue e la sollevò. Sentiva
il suo amico teso, impegnato in un assurdo combattimento contro i
suoi sentimenti.
Stava
commettendo il medesimo errore da lui fatto cinque anni prima.
Quella
repressione, tanto infruttuosa quanto tenace, rischiava di condurlo
alla follia.
–
Guardami.
– mormorò quest’ultimo, dolce.
Cauto,
il pilota girò la testa e i suoi occhi d’acquamarina si
rifletterono nelle iridi smeraldine dell’amico.
– Tu…
– balbettò, sorpreso. Non vedeva alcun biasimo in quei
limpidi occhi smeraldini.
Anzi,
sembrava preoccupato… per lui.
Come
poteva Nick non rimproverarlo per la sua incoerenza.
–
Sì.
Desidero
vederti sereno, amico mio. – rispose l’altro.
Il
pilota, ad un tratto, con un urlo, si abbandonò al pianto e la
sua mano, con forza, si strinse a quella dell’amico.
Le
lacrime, impetuose, esondarono dai suoi occhi, simili ad un fiume
privo di argini, e dolorosi singhiozzi si spezzarono nel suo petto.
–
Papà…
Perdonami… – ululò. Non riusciva più a
controllare quell’atroce senso di pena…
Il
cuore rischiava di scoppiargli, se avesse continuato a reprimere le
sue emozioni.
Nick
rimase silenzioso e, di tanto in tanto, la sua mano carezzava i
capelli dorati del compagno. Nessuna parola era necessaria.
Solo
i gesti dovevano dare conforto.
Ad
un tratto, cinse con le braccia il corpo dell’amico e lo
strinse a sé, contro il suo petto, massaggiandogli la schiena
con una mano. Avrebbe voluto rassicurarlo, ma le parole, in quel
momento, gli parevano prive di qualsiasi valore.
Ringo,
straziato dal dolore, non comprendeva l’assurdità del
suo senso di colpa.
Suo
padre era tenuto in vita da macchine elettriche, ma non era rimasta
alcuna coscienza del suo corpo.
E
non era giusto privarlo della possibilità di passare oltre.
Qualche
tempo dopo, il corpo del pilota si abbandonò tra le braccia
dell’ex Teknoman.
Delicate,
le mani di Nick lo riappoggiarono sul letto, poi le sue dita
sfiorarono la sua guancia in una tenue carezza.
Il
pilota, per alcuni istanti, rimase immobile, gli occhi sbarrati,
fissi verso il soffitto, e il petto sollevato da rapidi ansiti.
Poi,
le sue palpebre si chiusero e il suo respiro, a poco a poco, si
regolarizzò.
–
Dormi,
amore mio. – sussurrò Nick e la sua mano, leggera, si
posò sul viso dell’altro. Finalmente, la maschera era
stata distrutta.
Il
suo amato riposava senza i sonniferi.
Non
era un sonno tranquillo, ne era certo, ma non era artificiale.
E
questo era un passo avanti.
Ad
un tratto, un senso di rabbia bruciò nel suo cuore e la sua
mascella si irrigidì. I loro destini, in quel momento, si
erano uniti in una comune tragedia.
Erano
stati entrambi usati dall’esercito come strumenti, seppur in
situazioni differenti.
Da
tempo non sentivo questo sentimento., meditò.
Le terapie, seppur a tratti, gli avevano permesso di guardare agli
eventi della guerra con occhio analitico, per quanto pietoso…
Ma,
in quel momento, sentiva l’acidità dell’ira
montare quasi alla bocca dello stomaco.
Desiderava
servirsi di Teknoman per dare una lezione a quei bastardi.
Ma
Pegaso, ormai, era scomparso.
E
lui non sapeva cosa fare.
La
porta automatica, con uno scatto metallico, si aprì ed
entrarono i Cavalieri dello Spazio, accompagnati da Nemo.
–
Nick…
Cosa è successo? Sembra riposi tranquillo. – affermò
Nemo.
– Era
solo stanco di combattere contro il suo dolore. Gli ho dato la
possibilità di sfogarsi. Io e lui, inoltre, abbiamo dovuto
sopportare la stessa prova, poiché siamo stati usati dalle
Forze Armate come giocattoli. – rispose Nick, il tono piatto,
vibrante d’ira.
Nemo,
calmo, gli appoggiò una mano sulla spalla e fissò il
suo sguardo sottile negli occhi verdi di Nick-
– Sei
arrabbiato con le Forze Armate ed è comprensibile, ma non
pensi che prima venga Ringo? La vendetta, in questo momento, non
porterà vantaggi a nessuno. Quando si riprenderà, se lo
vorrà, potrà farlo, ma solo con l’aiuto di tutti
noi. – dichiarò l’uomo, deciso. Condivideva l’ira
di Nick contro l’esercito, ma, in quel momento, non aveva
senso.
Dovevano
aiutare Ringo a emergere dall’abisso della depressione e non
dovevano procurargli altri stress.
Nick
tacque e i suoi occhi si fissarono su tutti i Cavalieri dello Spazio.
Questi
annuirono, con brevi cenni del capo.
– Sì,
avete ragione. La vendetta può aspettare. –
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