No time for Regrets
Time for comparisons
Devo studiare.
Un’unica, fastidiosa risposta era scappata dalle labbra di Jungkook: Yoongi aveva deciso di
scavare tra i ricordi e le barriere innalzate dalla mente dell’amico, ma non credeva
avrebbe trovato tanta e tale resistenza. La scusa
utilizzata dal più giovane reggeva più che bene, considerando che tra tutti e
sette era l’unico che doveva ancora concludere la scuola. Non era affatto
difficile comprendere il motivo di tanto astio e di un carattere ancora non del
tutto plasmato che cambiava direzione continuamente. Si ripeteva d’avere a che
fare con un adolescente che si era divorato l’infanzia per puntare in alto ed
arrivare sempre più in là, ma a volte era davvero tedioso sopportarlo.
Incassava e sospirava, per poi dimenticare regolarmente il paio di insulti
sibilati tra i denti e ricevuti ogni volta che tentava di sfondare le barricate
e leggervi oltre la soluzione all’enigma. S’era preso particolarmente a cuore
la faccenda dal momento in cui lo aveva trovato quella notte a spiare tra i
documenti riservati all’azienda, leggendo quel nome preciso; era convinto ormai
che l’instabilità emotiva di Jungkook si fosse
intensificata da quel momento andando via via a peggiorare fino ad episodi di
aggressività verbale e apatia occasionale.
Quanto ancora sarebbe passato, prima di vederlo crollare in allenamento o
durante la notte, convinto che il mondo stesse dormendo senza doverci dare più
la dovuta attenzione? Credeva sarebbe successo entro breve, anzi, ne era più che
sicuro ormai. Per quanto Park Jimin di fatto non gli
stesse antipatico, Jungkook andava difeso;
non certo dal nuovo arrivato, bensì da se stesso. E Yoongi
era convinto ormai di essere l’unico ad aver capito la problematica alla base.
Avevano a che fare con un ragazzino completamente sconvolto a livello emotivo,
lasciato in balia delle stesse emozioni che non era neppure in grado di
controllare.
Che non se ne fosse accorto nessun altro, non era un buon segno.
Era una cosa disastrosa.
Dove stava la coesione?
Avrebbe dovuto affrontare il problema con gli altri, ma prima avrebbe dovuto
capire cosa stava accadendo nella testa dell’altro, colui che si stava
spezzando davanti ai suoi occhi. Inspirò infondendosi il dovuto coraggio prima di
bussare alla porta della sala studio – incredibilmente, ne esisteva una
all’interno dell’edificio. Jungkook se ne stava alla
scrivania immerso completamente nei libri, appuntando a parte ciò che era
necessario per la lezione. Aveva ottenuto il permesso di assentarsi da scuola
durante le schede lavoro più impegnative, con la promessa di recuperare il
materiale mancante con lo stesso impegno con cui avrebbe portato avanti il
proprio training, per diventare un artista a tutto tondo nel mondo della
musica. Una sfida importante, ne andava non solo del suo futuro lavoro ma anche
dell’acquisizione del diploma. Non era affatto facile, tutto ciò che poteva
fare era ottenere settimanalmente degli appunti via e-mail, studiando in
parallelo sui libri forniti dal sistema d’istruzione nazionale.
Mancavano però le spiegazioni orali degli insegnanti, e nessuno avrebbe potuto
sostituire un simile sostegno.
Ci stava provando ma nell’ultimo periodo la media dei voti s’era abbassata,
creando non poco disappunto da parte degli stessi membri dell’azienda che
s’occupavano della preparazione dei futuri esordienti; lo avevano ripreso più
di una volta, ma mai s’erano proposti di comprenderne il calo repentino. Bravi
a giudicare, ma non a trovare la radice del problema. Il ragazzo era ben
consapevole di tutto ciò ma non c’era stato verso di riuscire a concentrarsi su
quei benedetti appunti.
Yoongi questo lo sapeva bene, ma non poteva certo
intromettersi: quattro anni li separavano, e lui non ricordava neanche
cos’avesse studiato all’epoca – o tentato di memorizzare. Si avvicinò piano
poggiandosi sul bordo della scrivania chinandosi sul quaderno degli appunti:
scritto fitto fitto giaceva un programma di algebra di due intere settimane,
riportato in maniera disordinata, casuale, con alcun senso logico.
Jungkook sembrava non averlo notato.
«Io ci metterei un filino più di attenzione qui.» Indicò con il dito un
passaggio palesemente errato. «E pure qui.»
Il più giovane non aveva alzato lo sguardo, continuava a riportare nozioni
copiandole distrattamente dal libro.
«Namjoon dovrebbe cavarsela meglio di me, perché non
gli chiedi una mano?»
Scena muta.
«D’accordo allora, lo farò io. A proposito, stasera vorrei poter parlare con
te. Da soli.»
Quando si rialzò non attese alcuna risposta, sapeva non sarebbe arrivata.
«Vieni anche tu, dai.»
Namjoon era riuscito a trovare Jimin
cercandolo per tutto il palazzo: non era stato facile, quest’ultimo si era
rintanato nella terrazzina adiacente alla sala studi senza sapere della
presenza di Jungkook a pochi metri di distanza. Se ne
stava piacevolmente seduto sulle piastrelle sbiadite dal tempo e dalle
intemperie, il maglioncino giallo a coprirgli la pelle chiara dalla leggera
brezza autunnale. Gli occhi socchiusi ad osservare un punto lontano tra le nuvole
grigie, attraverso le folte ciglia scure. Scosso dal torpore di uno stato di
quiete indotta, sussultò alla voce del ragazzo che lo stava richiamando con
entusiasmo. Avrebbe voluto dirgli di no, ma sapeva che sarebbe stato inutile
contrariare uno dei membri a pochi giorni dal suo arrivo; già due di loro ce
l’avevano con lui e ancora non aveva compreso il motivo, ed inimicarsi anche Namjoon, che tanto stava facendo per aiutarlo ad inserirsi,
sarebbe stata una mossa da stupidi.
«Che devo fare allora?»
«Nulla, io e Yoongi pensavamo sarebbe stata una buona
idea organizzare un incontro di studio.»
Jimin lo osservava perplesso: esattamente per cosa,
avrebbe voluto chiedergli ma decise di seguirlo senza fiatare. Non poteva certo
andare peggio di così, no?
Erano rientrati dalla porta finestra a vetri per poi percorrere qualche passo,
il necessario a raggiungere una di quelle porte anonime tutte uguali; nessuna
targhetta a delinearne una funzione precisa, soltanto una lastra di vetro opaco
incastonata a un asse di legno chiaro. Entrarono senza bussare.
Yoongi stringeva ancora tra le dita il cellulare con
cui aveva contattato Namjoon spiegandogli d’aver
bisogno del suo aiuto; Jungkook aveva finalmente
sollevato lo sguardo per poi spalancarlo sull’ospite decisamente inatteso. Fece
per alzarsi, ma si fermò nel sentire l’amico che era intervenuto prima di lui.
«Si può sapere cosa ci fa qui? Ho chiamato te, non lui.» Il cinismo aveva tinto
ogni singola sillaba uscita dalle labbra affilate in una smorfia di
contrarietà. «Ti ho contattato per venire a dare una mano e ti presenti con
Park?» Non lo aveva chiamato per nome, non lo avrebbe fatto ancora. Non prima
di averlo accettato con loro.
Sorrideva sornione Namjoon, l’espressione di chi la
sapeva lunga.
O semplicemente, di chi ci stava provando solo nella speranza di poterci
riuscire una buona volta.
Non lo sapeva. Stava improvvisando nella speranza di avvicinarsi alla soluzione
del caso.
«Infatti, sono qui per aiutare. Più si è, meglio è. Allora Jungkook,
dimmi, qual è il problema?»
Di nuovo il più giovane non aveva aperto bocca.
«Io mi rifiuto, me ne vado.» Yoongi si mosse in
direzione dell’uscita. Le dita strette a pugno, le nocche sbiancate dallo
sforzo e dall’irritazione parlavano da sole. Venne intercettato dalla morsa
delle falangi di Namjoon che continuava a sorridere
tranquillo.
«Penso tu possa restare ancora qui per un paio di minuti, vero?» Il suo tono
cambiò improvviso, un temporale estivo che dalla quiete s’era mosso verso la
tempesta mostrandosi irragionevole imponendosi sull’altro. «Solo un paio prima
di cominciare, promesso. Sta’ ad ascoltarmi, e anche tu, Jungkook.»
Jimin non aveva ancora trovato il coraggio o il
motivo per intromettersi nella conversazione, sentiva ogni suo intervento
sarebbe stato completamente inutile. Se ne stava ritto in piedi ad osservare lo
scontro non verbale tra i due, ed il suo sguardo si spostò inevitabilmente su
quello del più giovane. Occhi scuri con occhi scuri, senza fiatare. Mai le loro
iridi s’erano soffermate le une sulle altre per più di un paio di secondi,
eppure Jimin non riusciva a distoglierle da lui.
Voleva capire.
Doveva.
Per il suo bene e per quello di tutti quanti. Se persino Namjoon aveva perso la pazienza costringendo Yoongi a sostare lì contro la sua volontà, significava che
l’equilibrio del gruppo era completamente sconvolto.
E tutto per colpa sua.
Se solo avesse saputo il motivo.
Se soltanto avesse potuto conoscerne la fonte.
Stufo della pressione di quei giorni, sfiancato dai continui sguardi carichi di
apprensione da una parte e di odio dall’altra, sconfortato dall’astio mostrato
in ogni gesto, decise di fare qualcosa. Sapeva non sarebbe stato facile, ma Jungkook avrebbe parlato: lo avrebbe convinto in qualunque
modo, non poteva procedere ora dopo ora con l’ansia a stringergli la gola e
costringere il petto a muoversi a ritmo accelerato.
«Namjoon, Yoongi, potreste
lasciarci soli, per favore?» Il tono non ammetteva repliche.
«Sicuro?» Yoongi si voltò verso l’altro in attesa di
un gesto d’assenso.
Jungkook sospirò chiudendo con calma estrema il
quaderno ed il libro, carezzandone la superficie cercando le giuste parole.
«Sì. Andate.»
Namjoon mollò la presa qualche secondo dopo non senza
sorridere amaramente verso Jimin: avrebbe voluto
stargli accanto in un momento simile, ma la svolta sarebbe stata fondamentale
per la risoluzione di una problematica che stava coinvolgendo tutti quanti.
«Andiamo, lasciamoli soli.»
Yoongi strattonò un’ultima volta il braccio
proseguendo diretto verso la porta a testa china, guardando le piastrelle
fondersi sull’uscio con il linoleum del pavimento del corridoio. Avrebbe preso
volentieri a schiaffi la faccia dell’altro, un bel colpo di nocche assestato
sul naso gli avrebbe donato una grande soddisfazione. Parlò deciso a dar voce
al proprio disappunto.
«Non era questo che intendevo quando ti ho scritto, lo sai, vero?»
Il leader gli poggiò amorevolmente il palmo sulla spalla, da cui l’altro si
scansò in malo modo.
«Lo so bene, ma nessuno qui vuole che tutto vada alle ortiche per colpa loro.»
«A puttane, vorrai dire.»
«Sempre il solito volgare. Sarebbe dovuto succedere presto o tardi. Quante
altre occasioni di stare soli avrebbero potuto avere? Taehyung
non molla Jimin neanche un secondo, Hoseok non è da meno ed è costantemente preoccupato per
lui. E Jin, beh, sai come è fatto, più di tutti
detesta veder litigare la gente. Rimanevi solo tu, l’ultimo ostacolo. Ora
potranno finalmente confrontarsi.»
Note dell’autrice (mannaggia,
il tempo è sempre meno, ma ci sto provando a stare dietro a tutto!):
Eccomi qui, arrivo io a interrompere sul più bello perché fondamentalmente sono
una stronza simpaticona che ama fare crescere l’hype
per lo scontro inevitabile tra due dei protagonisti. Mi auguro possa piacervi
almeno una percentuale di quanto sta piacendo a me scriverla: siete sempre meravigliosi
a farmi sapere cosa ne pensate e a dedicare un attimo di vita ai miei aggiornamenti.
Voglio ringraziare enormemente la dolcissima Alice
Ciuffreda aka Tenue qui
su Efp, per la meravigliosa fanart
dedicata a Jimin, Tae e Jungkook:
indoviniamo chi è chi! Tesoro, il tuo contributo visivo è stupendo e
importantissimo, grazie grazie e ancora grazie!
Alla prossima,
-Stefy-