EPILOGO
Grecia,
Santuario di Atena. 1 Settembre 1986.
Era strano tornare in terra di Grecia dopo tredici anni
lontano da quella che era stata la sua casa per tutta l’infanzia, o buona parte
di essa.
Arrivare e chiedersi, inevitabilmente, se i suoi compagni
avrebbero accettato la sua presenza.
Ma non potevano ucciderlo. L’impostore in persona aveva
richiesto la sua presenza così come quella di tutti gli altri, Dohko incluso, ma il vecchio maestro, com’era ovvio, non si
sarebbe presentato.
Non lasciava Goro-Oh da
duecento anni, non lo avrebbe certo fatto per qualcosa che neanche reputava
giusto.
Ma lui sì. Mu aveva deciso,
infine, di presentarsi.
Con il piccolo Kiki al seguito
si era recato al Santuario, presidiando di nuovo la Prima Casa. La sua. Quella
dell’Ariete.
Non era stupito di trovarla trascurata e impolverata, ma
lasciò che fosse Kiki a darsi da fare per sistemare
il sistemabile. Lui, invece, aveva intrapreso una scalata che ricordava solo
nei suoi sogni più cupi.
Non verso la Tredicesima dimora, però, dove sempre si
rifugiava da bambino, bensì fino alla Quinta.
La casa del Leone dorato e il suo Custode lo accolsero
come s’era aspettato, con distaccato garbo e stupore.
Aiolia si era fatto uomo duro
negli anni, così come Mu stesso. Non solo nel fisico
ma anche nel temperamento, spesso nei modi, pur senza cattiveria. Mantenevano
solo le distanze da tutti e tutto, da quei compagni che li avevano
inevitabilmente delusi. Quasi tutti almeno.
Toro era stato dalla loro parte, e lo era ancora. Quando Mu, pochi secondi prima, aveva chiesto il permesso di
superare la sua Casa, Aldebaran era sbucato dalle
stanze interne e gli era andato incontro.
“Mu! Sei tornato! Pensavo ormai che neanche
questa volta ti avrei rivisto!” l’aveva accolto con un sorriso. Un tempo
l’avrebbe abbracciato, gli avrebbe dato una pacca sulla spalla con quelle
enormi mani che sapevano essere così gentili eppure mortali. Ma adesso no.
Gli aveva sorriso, cordiale, ma non l’aveva toccato. In
un certo senso, nonostante anche Mu gli sorrise, Aldebaran doveva aver capito che stava mantenendosi
distante a sua volta. Troppo tempo era stato lontano da qualsiasi forma di vita
prima di incontrare Kiki e anche dopo aveva avuto con
sé solo il bambino.
Persino Leo non lo vedeva da quando Seiya
era arrivato in Grecia.
“Questa volta non
potevo esimermi, amico mio.”
Aldebaran aveva annuito, “Le cose stanno per cambiare, vero? L’ho
percepito anche io.”
“E’ così.”
Aiolia, invece, lo aveva
accolto in silenzio.
C’era ben poco da dire. Presto il destino si sarebbe
compiuto, e Athena sarebbe tornata a richiedere il suo posto lì al Grande
Tempio, dov’era giusto fosse.
“Il Falso Sacerdote si sta già muovendo contro quei
ragazzi,” gli rivelò, “Ha chiesto a Milo
di andare ad uccidere Seiya e Saori
Kido, accusandola di essere un impostore.”
Mu annuì, “Saori
Kido è la vera Athena.”
“Lo verificherò di persona.”
“Tu?”
“Sì. Andrò io al posto di Milo. E’ mia intenzione capire
se Seiya ha le capacità di arrivare fin qui, o se
Athena affidata a lui è in pericolo, ma contro Milo non avrebbero avuto alcuna
possibilità.”
“L’hai visto crescere in mano a Marin.
Dovresti sapere che Pegasus è tutt’altro che un
debole.”
“Lo so. Ma adesso che abbiamo trovato finalmente Athena,
ammesso che sia davvero la Kido, abbiamo bisogno che
torni qui in Grecia. Abbiamo bisogno che sia al sicuro, e che il Falso
Sacerdote non possa farle del male. E’ finito il tempo dell’attesa, Mu.”
“Quando arriverai in Giappone per incontrare Seiya e Saori Kido
non essere avventato, Aiolia.”
Aiolia si limitò ad un cenno
del capo, e il discorso cadde lì.
Ma sapevano bene tutti e due che Aiolia,
ponendosi davanti a Milo come volontario a partire per il Giappone, aveva
salvato la vita a quei Bronze, così come sapevano che non erano pronti. C’erano
ben poche possibilità che potessero affrontare dei Gold
Saint e purtroppo molti di quelle delle case superiori alla Quinta, e DeathMask giù alla Quarta, erano traditori. Avevano tutti
deciso di servire l’Impostore anche se sapevano –perché
Aiolia era certo sapessero- che la sua identità non
era quella del vecchio Shion.
Shaka, Milo, Camus, Shura, Aphrodite,
nessuno di loro era degno dell’armatura che indossava.
“Shaka è dalla nostra parte, Aiolia. O quantomeno, non è da quella dell’Impostore,”
affermò Mu di punto in bianco, già sulla soglia della
Quinta casa, pronto di nuovo a scendere, “Per quanto non abbia preso una
posizione, ha capito anche lui la verità. Quando vedrà Athena e la riconoscerà
capirà anche da che parte stare.”
Aiolia storse le labbra.
Conosceva poco il Cavaliere della Sesta, ma non era del tutto convinto delle
parole di Mu. L’aveva sempre trovato strano ed era
difficile riuscire a capire cos’avesse.
Ma se Mu aveva ragione, per
loro non era che una fortuna.
Da allora, i giorni passarono tranquilli. Aiolia tornò in terra di Grecia con una Shaina
ferita, sacrificatasi per salvare Seiya, e la cattiva
notizia che sì, quella ragazza era davvero Athena, ma Seiya
non era pronto.
Marin era stata un’ottima,
innegabile, insegnante per lui. Ma non era stato sufficiente.
Contro un Cavaliere D’Oro, quei ragazzi erano spacciati.
L’unica alternativa che avevano, era stata la proposta
del Leone, era quella di allenarli. E c’era un solo modo per farlo, in un tempo
inesistente e davanti agli stessi occhi del Falso Sacerdote.
Combattendo.
“La morte per mano nostra, o il Settimo Senso,” decise Aiolia alla fine, fermo sulla soglia della Seconda Casa
insieme a Toro e Mu.
Proprio Aldebaran inarcò per
primo il sopracciglio, “Mi pare estremo, Aiolia. Sono
solo dei ragazzi.”
“Ragazzi che devono proteggere la Dea. E che se non
raggiungeranno il Settimo Senso moriranno comunque per mano del falso
Sacerdote, o peggio durante la Guerra Santa che, sappiamo, ci aspetta. E’ per
questo che siamo nati, lo sai.”
“Certo, lo so, ma...”
“A malincuore, Lia non ha torto,” intervenne anche Mu, “Purtroppo, è il loro fato. Abbiamo atteso troppo, Al.
Non possiamo aspettare ancora che loro raggiungano la giusta maturazione.”
“Quindi, quando arriveranno, se intraprenderanno la
scalata non devo farli passare?”
“No,” sentenziò Aiolia, “Devi
combattere. Spingerli al limite. Spingili ad un punto in cui possano
raggiungere il Settimo. Quando arriveranno alle Case dei traditori, più in alto,
dovranno essere pronti.”
A cuor pesante, Aldebaran alla
fine annuì.
Non aveva motivo alcuno di mettere il bastone fra le
ruote agli amici e, infondo, avevano ragione.
E a prescindere di come sarebbe andata con i Bronze, loro
poi avrebbero ucciso l’Impostore, riportando Athena al suo giusto posto. Dove
le spettava di diritto.
Preparando, e aiutandola loro –in
assenza di Shion-, alla Guerra Sacra che li
attendeva.
Quella sera stessa, la sera prima della presunta venuta
di Athena in Grecia, Mu si presentò alla Sesta Casa.
Pur non essendo riuscito ancora a parlare con Milo e Camus, era Shaka l’unico di cui
gli interessava davvero avere un parere.
Shaka lo fece entrare subito,
accogliendolo al centro della Sesta in Armatura. Mu
non chiese perché la indossasse, con lui, semplicemente lo fissò con un lieve
sorriso sulle labbra.
Si erano sentiti sempre più di rado, in quei tredici
anni, e non si erano più visti. Shaka non aveva mai
più lasciato la Sesta casa e la sua posizione di meditazione da quando era
tornato al Santuario, se non per le rare missioni assegnatogli dal falso
Sacerdote.
Per questo, vederlo in volto, vedere quelle palpebre
perennemente calate e quelle labbra crucciate, riporta Mu
ai vecchi tempi.
A quando erano bambini, e lo convinceva a nascondersi con
lui per mangiare Tigmo, in piena notte, a quell’unica
volta in cui Shion aveva manifestato la sua presenza –anche se Mu era certo, in
realtà, che sapesse bene che spesso con anche Aiolia
rompevano il coprifuoco-. Ricordava che li avesse sgridati, togliendosi anche
la maschera per poterlo fare mentre li guardava. Ricordava che sorridesse, in
verità, mentre Mu e Shaka
tenevano mestamente il capo basso.
Avevano sei anni e tutto quello che volevano era scappare
a nascondersi –forse Shaka
a meditare, per penitenza. Invece poi Shion aveva
riso, aveva messo una mano sulla testa di entrambi e scombinato loro i capelli,
paterno. Poi, semplicemente, aveva chiesto a Mu di
offrire un panino anche a lui.
Era stata l’unica volta in cui Shaka
aveva infranto le regole, se così si poteva dire. L’unica volta che Shaka stesso credeva di aver sbagliato.
Adesso, però, la storia si ripeteva.
L’errore, seppur diverso, si ripeteva.
Shaka aveva sbagliato,
inizialmente, il suo giudizio verso il Gran Sacerdote, verso Mu e verso Aiolos, e da quando lo
aveva ammesso, indirettamente, era la prima volta che si incontravano.
Non gli permetteva di vedere quegli occhi azzurri, ma sapeva
che lo fissavano.
“Ciao, Shaka.”
“Mu,” salutò l’indiano, “Sei
tornato.”
Mu annuì, “Il tempo è giunto.
Non è più il momento dell’attesa né tantomeno di rimanere in disparte. So che
lo percepisci anche tu.”
Shaka si limitò ad un cenno del
capo, voltandosi di tre quarti verso il Tredicesimo Tempio. Quello del Gran
Sacerdote.
Dell’impostore, per la precisione.
Di Saga, ma questo Mu non
poteva dirlo. Forse, con gli anni Shaka aveva
riconosciuto quel Cosmo. Forse no.
Mu non aveva prove di questo se
non le parole sconnesse di Dohko, e nessuna conferma
da parte del vecchio maestro.
Per questo, puntare il dito non serviva a nulla, e
nessuno.
Quello che dovevano fare ora, il compito per cui per
anni, per tutta la vita, si erano allenati, era riconoscere la parte della
giustizia, e allearsi con essa.
Era riconoscere nella giovane Saori
Kido la loro Dea, e combattere al suo fianco.
Suo, e dei giovanissimi Cavalieri di Bronzo che lei aveva
scelto.
“La fanciulla ha palesato la sua intenzione di recarsi a
parlare con il Sommo,” gli disse Shaka, “Ha mandato
una missiva.”
“Quando arriverà, il Falso Sacerdote farà la sua mossa.
Stavolta non possiamo far finta di non vedere, o di non sapere, amico mio.”
“E’ per questo che sei qui, Mu?
Per fare la tua mossa?”
“Sì.”
Per un istante, Shaka tacque. “Contro
l’impostore.”
“E tu, Shaka? Cos’è che farai,
quando Athena giungerà?”
“Se riconoscerò la fanciulla come la mia Dea, allora
combatterò al suo fianco. Se saprà farsi riconoscere, sarà mia volontà
inginocchiarmi al suo volere.”
Mu annuì. Certo, non avrebbe
potuto sperare in nulla di diverso da Shaka.
Lui, che viveva seguendo solo le direttiva del Buddha e
che mai sarebbe andato contro ai suoi principi, neanche per qualcosa che
considerava vero, non avrebbe mai preso una decisione netta, in nessun caso.
Il suo ruolo era difendere la Dea e quello avrebbe fatto,
nient’altro.
L’unica cosa che poteva sperare Mu
era che non cercasse di fermare i Bronze Saint.
“Buddha non ha saputo dirti cosa fare?”
“Buddha non da mai risposte nette. E ad ogni modo...” Shaka tacque, lasciando morire la frase a metà.
Per un attimo Mu rimase
interdetto, “Ad ogni modo?”
Shaka scosse il capo, i lunghi
capelli biondi ondeggiarono maestosi dietro la schiena, “Non sento la voce del
Buddha da anni, ormai. Da quando sono tornato qui.”
Questa volta, fu Mu a non aver
parole da pronunciare.
Shaka, l’uomo più vicino agli
Dei, che sempre si era lasciato guidare da essi, che non percepiva da anni la
voce del Buddha?
Non presagiva nulla di buono.
“Questo posto è carico di negatività, il Cosmo del falso
Sacerdote è oscuro e il comportamento di Pisces, Capricorn e Cancer sospetto. In
più, Saga ancora non è tornato, e dopo un’assenza di tredici anni inizio a pensare
che sia morto anche lui,” ammise Shaka dopo un po’, “Inoltre,
io...,” fece una pausa, come se quello che stava per dire fosse dura da
ammettere, per lui. Dura anche solo da dirlo a parole, a farle uscire da quelle
labbra sottili, “Io sono stato confuso...indeciso, per molto tempo. E credo che
sia questo il motivo per cui non riesco più a sentirlo.”
Mu si ritrovò a sorridere,
comprensivo.
Shaka, che per gran parte della
sua vita aveva vissuto nella solitudine della meditazione, con la sola
compagnia della voce del Buddha, doveva sentirsi spaesato e sperduto senza di
essa.
Eppure, nonostante questo, ancora non si azzardava a
prendere una vera decisione.
“Allora è il momento di prendere la tua decisione, non
trovi?”
“L’unica cosa che posso dire, Mu,
è che non fermerò quei ragazzi, se vorranno passare la mia casa, se riconoscerò
in lei la Dea. Ma non li aiuterò. Non fino a quando...non sarò certo.”
“Immagino che sia già qualcosa,” sorrise Mu, “Aiolia pensa che dovremmo
cercare di fargli raggiungere il Settimo Senso.”
Shaka arcuò elegantemente un
sopracciglio, “Non sono certo che dei Bronze possano riuscirci.”
“Val la pena tentare, non
trovi?”
“Forse. Se arriveranno vivi a me dopo aver affrontato Aldebaran, Cancer e Aiolia...allora agirò di conseguenza.”
Mu si lasciò scappare una lieve
risata, abbassando piano il capo, “Mi impegnerò nel riparare le loro armatura,
perché possano resistere anche ai vostri colpi. Posso permettermi, Shaka, di invitarti giù alla prima casa da me? Ho
portato...dei dolci, dal mio eremitaggio.”
Per un istante, Mu ebbe la
netta impressione che Shaka avesse schiuso gli occhi.
Ma durò solo un istante. Un flebile, velocissimo istante
che lo fece sorridere.
“Non credo sia il caso, stasera.”
“Quanto tutto questo sarà finito, allora. Buonanotte, Shaka.”
Nella Settima Casa, quella dello Scorpione, Milo aveva
accolto un Camus stranamente cupo.
Non che l’amico dell’Undicesima fosse mai stato
particolarmente allegro o vivace, ma rare volte l’aveva visto così.
Anni prima, durante la notte degli Inganni, e forse mai
più dopo allora.
La preoccupazione, malcelata, che trapelava dal suo volto
era lampante, rendeva quel bel viso teso.
Ma dopotutto, anche uno dall’animo lieve come Milo era in
grado di capire che qualcosa stava per succedere, che le cose stavano per
cambiare e che quello che li aspettava adesso non era un bene.
Il ritorno di Mu era un segno
più che ovvio.
Quello che per anni avevano ignorato, fingendo di non
vederlo, in attesa di qualcosa che non sembrava essere ancora pronto a
verificarsi, stava venendo a galla.
Se qualcosa ancora lo perplimeva,
presto avrebbe dissipato tutti i suoi dubbi.
Presto neanche Camus avrebbe
potuto più dirgli di far finta di nulla, di ignorare il più per sopravvivere. Perché
stava per diventare un loro problema.
Loro erano i Cavalieri della Dea, e se Athena stava
venendo lì per smascherare l’impostore, Milo non avrebbe mai fatto finta di
nulla.
“Che cosa succede, Cam?”
“Quando Hyoga del Cigno vorrà
passare la tua casa, lascialo venire da me.”
Milo sgranò gli occhi, “Perché dai per scontato che sarà
così?”
“Il Sommo, vero o falso che sia, è stato chiaro: la
ragazza vuole parlare con lui. I Cavalieri di Bronzo le andranno dietro.
Compreso Hyoga.”
“E vuoi che io lo lasci passare come se nulla fosse?
Perché?”
“Sarò io a fermare la sua corsa.”
“Cam...ancora non sei convinto
che quello non sia davvero Shion?”
“Certo che lo sono. Lo sono da anni. Non è per questo che
Hyoga combatterà con me. E morirà per mano mia, all’Undicesima,
se necessario.”
“Perché?”
Camus non rispose nell’immediato,
invece diede le spalle all’amico, avviandosi verso l’uscita. Solo sull’uscio si
voltò verso Milo, pur senza guardarlo in volto, “Perché quel ragazzo non è
ancora pronto. E se durante la sfida che gli porrò deciderò che non è degno,
che muoia per mano mia piuttosto che per quella dell’impostore.”
Milo lo guardò andarsene in silenzio, i capelli rossi
legati in una coda bassa mossi dal vento lieve e tiepido di Grecia.
Era giusto, sì.
O si sarebbe dimostrato degno di raggiungere il Settimo
Senso, o sarebbe morto per mano del suo amato maestro.
La trovava una fine degna anche per un Cavaliere di
Bronzo.
E pur non conoscendolo di persona, la trovava una fine
degna per l’allievo di Camus.
Grecia,
Santuario di Athene. 16 Ottobre 1986
Vederli arrivare, segna definitivamente la fine di quella
fasulla pace che fino a quel momento aveva invaso il Grande Tempio e tutti i
suoi abitanti.
Aiolia lo sa, che quello è il
momento in cui tutto sarebbe venuto alla luce.
La verità. La sola verità.
Su quella notte, su suo fratello.
Finalmente, Aiolos avrebbe
avuto quello che meritava davvero. Il rispetto, la lode per aver salvato,
sacrificando la propria vita, la sua sola e unica Dea.
Quella ragazza, Saori Kido, avrebbe spazzato via tutta la polvere, tutto l’orrore
in cui aveva vissuto. Tutti gli anni di soprusi, discriminazioni. Niente
sarebbe stato più come prima.
Il Grande Tempio avrebbe riavuto la sua Dea.
Lui, avrebbe riavuto suo fratello, seppur solo nel
ricordo, e l’orgoglio di poter dire di essere il fratello dell’unico, Vero
Cavaliere, l’unico degno della stima di Athena stessa.
L’uomo grazie al quale la Dea era sopravvissuta e,
combattendo contro Hades, avrebbe potuto vincere e
salvare di nuovo la terra.
“Guardali, Aiolos. Guardali.
Sono i ragazzi che hai scelto, a cui hai affidato Athena. Rendili degni di
questo compito, fratello mio. Hai donato loro la cura e la salvezza della Dea,
ma adesso ti prometto che anche noi faremo la nostra parte. Semmai hai creduto
in noi, anche solo un po’...scocca un’ultima freccia. In nostro aiuto.”
Angolino Autrice:
Salve a tutti, signori e signori, ammesso e non concesso
che ci sia ancora qualcuno a cui questa mini-storia interessi.
Lo so, è passato più di un anno da quando, la prima volta,
ho pubblicato Prosopon.
Mi sono persa per strada, lo ammetto tranquillamente, in
più ho iniziato a scrivere di altro, su un altro fandom,
e ho perso ispirazione.
Forse alcuni di voi si aspettavano molto altro, da questo.
Ma io sono abbastanza soddisfatta così.
Prosopon è stato un lavorone
e forse ho chiesto troppo alle mie capacità strategiche –praticamente
inesistenti!!-.
Quindi mi ritengo soddisfatta, sì!
Spero che, seppur anche solo un po’, possa piacere anche a voi.
Un bacione forte, grazie per avermi seguito e aspettato e
supportato!
Alla prossima, prima o poi!
Asuka <3