Fera
In Somnio
Un
rumore sordo fece sì che la minicon iniziasse a destarsi
dalla ricarica con più di un mugugno.
Rigirandosi
sotto la coperta, ancora sospesa in quello stato che
non era né sonno né veglia, Nickel
sentì che ben presto il calore e il torpore
avrebbero vinto la loro battaglia. Il suono molto attutito -a malapena
percettibile- e ritmico del pendolo nel corridoio accanto alla camera
da letto
giungeva in aiuto, conducendola passo dopo passo a sprofondare
nuovamente in
qualche sogno gradevole. Allungò una mano verso
l’altro lato del letto istintivamente,
cercando la presenza e la vicinanza di Bustin, il suo compagno.
Il
secondo rumore sordo, più forte del primo, giunse in
concomitanza col rendersi conto che le sue dita verde acqua non avevano trovato
altro che
vuoto.
Ormai
del tutto sveglia si alzò dal letto e si guardò
attorno,
rimuovendo anche i pannelli oscuranti che servivano a impedire che la
luce
proveniente dalle ampie vetrate che occupavano buona parte delle pareti
della
camera da letto svegliassero entrambi troppo presto al mattino.
Nella
parte di giardino che vedeva sembrava tutto in ordine, sul
balcone non c’era nessuno, Bustin poteva essersi alzato per
un trilione di
motivi del tutto validi anche se era notte fonda e poteva essere stato
lui a
far cadere qualcosa al piano terra, eppure si sentiva fortemente
inquieta,
sensazione che peggiorò ulteriormente quando il rumore sordo
di prima arrivò
nuovamente ai suoi recettori uditivi in maniera più
prolungata e più forte.
Dopo
una brevissima riflessione che la spinse ad aprire la
valigetta da medico posta accanto al comodino e afferrare il bisturi,
ciò che
più si avvicinava a un’arma tra quel che aveva
vicino, decise di uscire con
cautela dalla stanza e imboccare le scale verso il piano di sotto.
Una
parte di lei suggeriva che stesse agendo in modo irrazionale
- “Armarti sentendo un rumore pur sapendo di non essere sola
in casa? Per
fortuna che quelli del tirocinio apprezzano i tuoi cosiddetti nervi
saldi. E se
Bustin non si stesse sentendo bene? Un bisturi sguainato non lo
aiuterebbe
granché” - ma l’altra, preponderante, la
portò a stringere maggiormente la sua
arma impropria sentendo altri rumori di oggetti che cadevano a terra.
“Sembra
che vengano dal bagno” pensò.
Forse
il suo pensiero non era stato sbagliato e il suo compagno
stava male davvero, si disse, decidendo quindi di darsi una mossa. In
quale
altra maniera giustificare i rumori, la sua assenza, il fatto che nelle
stanze
e corridoi che stava oltrepassando sembrasse tutto in ordine
e…
Interruppe
i suoi passi appena prima di calpestare una pozzanghera
liquida grande quanto la sua mano, né la prima né
l’ultima di una lunga serie
che, come vide con una rapidissima occhiata, sembrava partire
dall’ingresso
principale della casa.
«Cos’è?...»
esclamò Nickel, sgranando i sensori ottici azzurri.
Riusciva
a vedere la delicata luminescenza delle gocce e delle
chiazze più vicine alla porta d’ingresso, ancora
molto tipica di quello che era
il fluido vitale di ogni transformer, ma si accorse anche -con
sentimenti che
ormai stavano superando l’inquietudine e diventando altro di
peggiore- che
quelle più vicine a lei e al bagno erano sempre
più inquinate da una materia
scura dall’aspetto vischioso alla quale non avrebbe saputo
dare né un nome né
un colore specifico. Neppure nei più crudi manuali di
medicina che trattavano
le patologie più strane e le più tremende
infezioni aveva mai visto qualcosa di
simile.
«Bustin?...»
si decise a chiamarlo, seppur memore di come in
certi film horror azioni come quella fossero fonte di guai
«Bustin, dove sei?…
stai bene?!»
La
casa del suo compagno, diventata da qualche tempo anche la
sua, in quel momento le sembrava totalmente aliena. Non più
un “nido sicuro”
che aveva rapidamente imparato a conoscere, considerare tale e
apprezzare,
bensì il rifugio di qualcosa di mostruoso e pericoloso,
ferito oppure no che
fosse.
“Dov’è
Bustin?” si chiese ancora.
Il
bisturi tremò leggermente nelle sue mani, mentre i suoi
audio
captavano i rintocchi del pendolo al piano superiore che scandivano le
tre del
mattino.
“Che
gli è successo?”
Si
avvicinò ancora di più al bagno. Le pozzanghere
si
allargavano, sempre più scure, e capì che
intravedere quello stesso liquido
iniziare a uscire da sotto la porta non era un’impressione.
“Cosa
è-”
Un
flebile lamento attraverso la porta rivelò a Nickel che
lì
dentro c’era il suo compagno. Avrebbe riconosciuto tra mille
la sua voce, per
quanto alterata potesse essere.
«Bustin!»
esclamò la minicon, avventandosi contro la maniglia
solo per scoprire che la porta era chiusa a chiave «Bustin,
che succede?!»
Dall’interno
giunse un altro lamento soffocato.
“Nnniiickeeeel…”
Il
variare delle tonalità tra una normale e una più
gorgogliante
e mostruosa più consona a una creatura infernale che a un
transformer la fecero
sobbalzare all’indietro. Quasi le cadde di mano il bisturi,
che brillò
leggermente a causa delle luci artificiali in giardino, e il liquido
scuro
arrivò a lambire i suoi piedi.
Fu
tentata di correre via. Sarebbe stata ancora in tempo per
raggiungere la porta e andarsene da quel posto lasciando al suo destino
qualunque cosa si trovasse dietro quella porta…
“Ora
basta!”
Che
invece decise di sfondare con tre spallate ben assestate,
scivolando miseramente nello sferrare l’ultima ed evitando di
cadere solo
grazie alla prontezza di riflessi che portò le sue manine
bianche ad
aggrapparsi agli stipiti.
Quando
però notò del movimento davanti a sé e
sollevò le ottiche
non riuscì a trattenere un grido.
Quello
che fino a poche ore prima era stato il corpo del suo
compagno per come lei lo conosceva si stava allargando e deformando
ogni
nanoclick che passava, dando forma a escrescenze che allungandosi
stavano dando
vita a interi nuovi arti, incluse quelle che sembravano ali membranose
con un
reticolato di condutture di fluido vitale disgustosamente gonfie e
pulsanti; i
colori di Bustin, prevalentemente bianco, nero e turchese, stavano
scomparendo
e lasciando spazio a sfumature che non erano né girgie,
né violacee né ruggine
scura, piuttosto un miscuglio; Fauci appuntite si aprirono sul grosso
“tentacolo”
che aveva sostituito la sua testa e si ripiegava contro il soffitto,
mentre dal
grosso squarcio che si trovava poco sotto il petto continuava a
sgorgare
materia scura come se fosse stata una piccola cascata.
Paralizzata
dalla vista orrorifica, Nickel assistette impotente
alla fine della mutazione della creatura che occupava tre quarti del
bagno -che
pure era ampio, come quello che condividevano al piano di sopra- e che,
ormai,
di Bustin aveva solo la maschera nera, posta poco sotto le fauci e
parzialmente
inglobata dalla “pelle”. Nickel vide che gli occhi
di pixel bianchi ebbero un
leggero tremolio quando la creatura si voltò nella sua
direzione.
“No.
Non ‘la creatura’, non è una
creatura” pensò, mentre i suoi
piedi si muovevano da soli in avanti “Questo è il
mio compagno. Non ho idea di
cosa gli sia successo o di cosa stia succedendo in generale, ma vedo
che è
ferito e che ha bisogno di aiuto”.
Non
avrebbe saputo dire se quel coraggio provenisse dallo stesso
spirito che tirava fuori come medico tirocinante o, più
“banalmente”,
dall’amore; di certo c’era solo il fatto che si
avvicinò al nuovo paziente con
passi più decisi, incurante anche del liquame.
Forse
era impazzita.
O
forse, semplicemente, non si era mai svegliata, quello era un
incubo e a livello inconscio lo sapeva, anche se aveva
tutt’altra impressione.
«Bustin!
Mi… mi riconosci ancora, è
così?!»
“Nnniiickeeeel”.
Non
c’era più un briciolo di normalità
neppure nella voce -che
Nickel aveva l’impressione di sentire risuonare direttamente
nel processore-
però lui la riconosceva, in caso contrario non avrebbe
pronunciato il suo nome;
e ogni circuito del suo corpo era convinto, o voleva convincersi, che
qualunque
cosa fosse diventato Bustin non le avrebbe fatto del male
finché avesse saputo
chi era.
«Non
so cos’è successo ma… ma non importa,
ok?! Troveremo…
troveremo il modo di risolvere questa cosa»
affermò la minicon «A cominciare da
quella ferita!»
“Vvvai… Nickel…”
Nella
mostruosità di quella voce Nickel avvertì
distintamente
una nota di stanchezza, e il fatto che Bustin fosse ancora in grado di
ragionare, che era qualcosa di più rispetto al riconoscerla,
la indusse ad
aprire ogni anta alla quale riuscisse ad arrivare cercando medicine e
qualsiasi
arnese che potesse aiutarla a rallentare o fermare
l’emorragia.
«No.
Tu sei ferito e io non ti lascio qui così, e non solo
perché ho fatto un cazzo di giuramento»
replicò lei, decisa «Ci sarà pure
qualcosa per- aah! Mollami
subito!»
esclamò quando uno degli arti del mostro la
afferrò da dietro all’altezza della
vita e la allontanò.
Seppur
ingrandita e deformata, il gesto della mano di Bustin
nell’accarezzarle il volto con delicatezza assoluta -anche
adesso che era un
mostro- risultò anche troppo familiare.
“Dormi, Nnnnickel…”
«Dormire?!
Come posso dormire in questa situazione?! M-ma sei…
sei…»
Sentì
il suo processore diventare rapidamente confuso, le
palpebre metalliche pesanti e le gambe cedere.
Prima
di sprofondare nel torpore e nell’incoscienza però
sentì
anche che il suo ultimo timore, finire a cadere riversa in quel liquame
scuro,
veniva scongiurato da un arto raccapricciante del suo compagno che,
pronto, la
sostenne.
***
La
prima cosa che vide Nickel quando aprì i sensori ottici
quasi
di scatto fu il soffitto in metallo brunito della camera da letto, con
le due
strisce led, ovviamente spente, che si incrociavano al centro
dividendolo in
quattro.
Si
catapultò fuori dalla cuccetta notando come prima cosa che
il
lato di Bustin sulla cuccetta era stato rifatto, esattamente come tutti
i giorni
-mai che riuscisse ad alzarsi prima di lui!- e, una volta rimossi i
pannelli
oscuranti, venire quasi accecata dalla luce del giorno le
rivelò che doveva
essere piuttosto tardi. Il suo orologio interno le rivelò
poco dopo che era
quasi ora di pranzo.
Vide
la valigetta da medico dove l’aveva lasciata,
l’aprì
velocemente e vide che tutti gli attrezzi erano puliti e ordinati al
proprio
posto come li aveva lasciati la sera prima. Fatto questo
uscì di corsa dalla
camera da letto, raggiunse le scale e si fiondò
giù scendendole tre a tre.
Con
la Scintilla in gola e le ottiche che si muovevano in modo
febbrile cercando di captare anche solo un minuscolo dettaglio fuori
posto,
Nickel si precipitò in direzione del bagno. Non
c’era traccia del liquido che
aveva visto, la porta non recava segni di sfondamento e, come sempre,
il bagno
era ordinato, candido e immacolato.
“Possibile?
È possibile che mi sia immaginata tutto e che sia
stato tutto solo un sogno?!” pensò.
«Nicky?
Nanetta?...»
Sentire
la voce di Bustin che la stava chiamando, la
sua voce normale, mise
metaforicamente le ali ai piedi di Nickel, che raggiunse la cucina in
pochi
secondi.
«Buongiorno!
Ammetto che stavo quasi iniziando a preoccuparmi»
disse Bustin, che indossava un virilissimo grembiule a fiorellini,
armeggiando
con una pentola piena di cristalli di energon tagliati a striscioline
lunghe e
salsa di alluminio «È praticamente ora di pranzo.
D’accordo, sei una
tirocinante e devi fare pratica, ma in quella clinica ti fanno lavorare
un po’trop-
ehm, che succede?» domandò a Nickel quando lei gli
strappò il grembiule di
dosso e iniziò a esaminare petto e addome «In un
altro momento direi che hai
voglia di fare l’amore ma la tua espressione non…
Nicky? Stai tremando» osservò
Bustin, avvicinandosi con l’intento di stringerla a
sé «Cos’hai? Cos’è
succe-»
«I
tuoi valori e il tuo fluido vitale» disse la minicon, con
voce ferma, tirandosi indietro «Voglio vederli. Voglio vedere
tutto, se no… se
no io…»
«Va
bene, adesso comincio a preoccuparmi sul serio» disse
l’altro minicon, obbedendo tranquillamente nel mostrarle i
valori «C’è una
pandemia in corso o qualcosa del genere? Qualcosa fuggito da un
laboratorio?
Basta che non finiamo come nel film di ieri sera».
Il
film horror con la piaga che trasformava la gente in mostri
che Nickel -pur essendo tornata stanca dalla clinica e felice che il
giorno
dopo sarebbe stato libero- aveva voluto vedere, per la precisione.
Avrebbe
impiegato parecchio tempo a smettere di pentirsi di
quell’idea.
Rovistò
in uno dei propri scomparti e tirò fuori una enerstud
sterile. «Piega la testa in avanti, faccio il
prelievo».
Bustin
obbedì. «Tutto questo è molto strano
però immagino che tu
abbia le tue ragioni, dunque mi fido».
La
mitezza con cui Bustin fece quel gesto fece sì che la mano
con la enerstud restasse ferma a mezz’aria e Nickel rimanesse
immobile. Poco
dopo ritrasse lentamente la mano, senza dire una parola, vergognandosi
in modo
terribile di quel che era stata sul punto di fare e della sua completa
mancanza
di raziocinio.
“Cacciargli
un ago nel collo per colpa di un incubo? Sul
serio?!” pensò, rimettendo la enerstud al proprio
posto.
«No…
no, fa niente. Anzi, scusami» disse Nickel «Non
c’è una
pandemia in corso o roba del genere è solo che
sono…» stavolta non si ritrasse
quando lui la strinse a sé e la accarezzò
«Una deficiente. Ho avuto un incubo».
«Dev’essere
stato un incubo terribile. Ecco perché mi sembravi
spaventata... ma stai tranquilla, è tutto a posto»
mormorò lui, poggiando il
mento sulla testa della compagna.
«Volevo
infilarti un ago nel collo per colpa di un incubo! in
nome di Prion, come fai a sopportarmi?!»
«Contavo
sul fatto che se non avessi un buon motivo per farlo ti
saresti fermata prima, come infatti è successo. Ho una certa
stima di te,
Nanetta».
«Ancora
“Nanetta”? Non sei tanto più alto di me!
Lo sei solo di
una testa e mezza!» protestò Nickel, guardandolo
con aria di rimprovero ma
intimamente grata per le parole che le aveva rivolto e il fatto che non
la
reputasse una schizzata paranoica.
«Giusto,
messa così siamo praticamente alti uguali»
replicò
Bustin, senza nascondere un certo divertimento nella sua voce.
«Ehi! Ti ricordo che
nelle riserve di energon piccole c’è
l’energon più buono!»
«Mai
detto il contrario» sorrise Bustin «Ora va
meglio?»
Nickel
annuì. Ormai non tremava più. «Ho
sognato di essermi
svegliata per un rumore strano in casa… poi sono scesa, ho
trovato per terra
delle macchie di fluido vitale e di solo il cielo sa cosa che portavano
al
bagno qui sotto. Poi ho aperto la porta ti ho visto diventare una
creatura
orrenda con una ferita enorme che zampillava quella roba scura
e… e poi mi hai
fatta dormire e… ero… angosciata. Lo sono stata
fino a poco fa».
«Niente
più horror prima di dormire» sentenziò
il minicon.
Nickel
non protestò, poggiando la testa contro il suo petto.
«L’unica cosa buona è che mi hai
riconosciuta nonostante tu fossi diventato
quel mostro».
«Non
riesco a immaginare una situazione in cui potrei non
riconoscerti e in cui tu debba avere davvero motivo di avere paura di
me,
Nickel. Credo che questo lo sappia anche tu, in caso contrario il tuo
processore ti avrebbe fatto sognare qualcosa di un
po’diverso».
«Sì,
hai ragione. Però ti giuro, sembrava talmente reale, per
quanto sappia che era
assurdo!...»
Una
fiammata si levò dalla pentola che durante tutto il discorso
era stata lasciata incautamente sul fornello, e dopo una serie di
strilli di
sorpresa entrambi i minicon si adoperarono per cercare di risolvere.
«Il
coperchio sulla pentola in fiamme NO!»
esclamò Bustin.
L’avvertimento
giunse troppo tardi, e il contenuto della pentola
esplose parzialmente andando a invadere il fornello e parte del ripiano
vicino,
causando un principio d’incendio del quale però,
fortunatamente, si occuparono
gli impianti sul soffitto… innaffiando anche i due minicon,
che per qualche
secondo rimasero lì a guardarsi inebetiti.
«Tutto
il piano di sotto…» cominciò a dire
Nickel.
«No,
ha rilevato che il fuoco era qui, dunque l’impianto si
è
attivato solo qui».
«Ah!
Beh… meglio così» commentò
la minicon, sentendosi piuttosto
imbarazzata per il tutto.
Pochi
istanti dopo, imprevedibilmente, Bustin scoppiò a ridere.
«Possiamo risparmiarci entrambi la doccia per oggi, ne
abbiamo già fatta una!»
Vedendolo
tranquillo, Nickel sorrise a sua volta. «Già,
è vero.
Dato che l’incendio ormai è spento vado a prendere
degli stracci e-»
«No
no, non ho voglia di occuparmene adesso. Togliamo la pentola
dal fornello e ripuliamo lì, all’acqua penseremo
dopo se qui e allora non si
sarà asciugata da sola. Andiamo giù a valle in
quel ristorante che ti piaceva,
ho una certa fame!»
«E
pago io tutto» disse subito Nickel.
«Ni-»
«Ho
quasi mandato a fuoco la tua cucina» lo interruppe la
minicon.
«Eravamo
qui in due, e comunque è la nostra
cucina» replicò Bustin, quieto «Non ti
sei ancora
ambientata, mh?»
«No,
non è questo, mi sono ambientata, davvero. Mi hai fatto
portare qui tutto quel che avevo nella mia stanza al dormitorio e anche
tutto
quel che mi hanno mandato da casa quando hanno saputo che mi
trasferivo, sei
scatoloni…» sospirò, massaggiandosi la
fronte «E miei peluches, e quel tappeto
peloso viola…»
«È
un tappeto bellissimo».
Nickel
alzò gli occhi al soffitto. «Lo so che non
è vero».
«Ed
è più lungo di te, Nanetta!»
esclamò il minicon, scappando
via dalla cucina con una risata.
«Ancora?!
Se ti prendo ti abbasso!» gridò Nickel, tirando
fuori
da uno scomparto una chiave inglese e correndo dietro un fuggitivo che,
lei lo
sapeva, probabilmente era già volato in giardino.
Mentre raggiungeva la
porta d’ingresso si disse che era stato
solo un incubo, dopotutto… e in quel momento esso e la
bestia in sogno
sembravano qualcosa di molto distante.
Un disegno della bestia in sogno è
>>>>>> QUI
Ringrazio MilesRedwing
per la consulenza riguardo il titolo del
capitolo in latino :)
Alla prossima,
_Cthylla_
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