Disclaimer:
I personaggi di questa storia appartengono a Miho Obana. Essa non
è stata scritta a scopo di lucro, ma soltanto per diletto
personale.
♥
Questa storia partecipa al contest Il
Citazionista 3 indetto da SherylHolmes sul forum di EFP.
La citazione scelta e tradotta in italiano è: “I do not deserve what
you are doing for me.” “Yes, you
do.”
♥
NdA:
Ho iniziato a scrivere questa storia anni fa, ma non le ho mai dato una
conclusione fino ad oggi. Il fatto di esserci riuscita è una
piccola, grande soddisfazione. Volevo che fosse dolce e simpatica,
niente di complesso. Spero di riuscire a strapparvi un piccolo sorriso.
Il banner che le ho fatto rende l'idea di come dovrebbe essere un
particolare elemento alla fine della storia. Capirete.
* 21.150,450 yen
= circa 180 euro.
♥
(icon by me)
Smiling Ramen Bowl
«Quella felpa... è così
carina!»
Prima che Akito potesse anche solo pensare di
scappare, si ritrovò con il viso incollato alla vetrina di
un negozio di vestiti. Il dolore al naso lo costrinse a chiudere gli
occhi e ad imprecare sottovoce, mentre Sana insisteva a spingerlo con
più forza contro il vetro.
«Akito, non ho mai visto niente di
più bello!» squittì lei con euforia.
«Sana, è una dannatissima
felpa!» gemette sofferente Akito, cercando di divincolarsi.
Ma per quanto si sforzasse, l'impressione di essere diventato un
tutt'uno con la vetrina non lo abbandonò nemmeno per un
istante.
Come faceva Sana ad essere così
dannatamente forte?
«Sta' zitto!» lo
ammonì lei, lanciandogli un'occhiata di fuoco che ovviamente
il destinatario non poté vedere.
Finalmente si decise a lasciarlo andare. Akito si
strofinò il naso dolorante e gettò uno sguardo
poco interessato all'oggetto dei desideri di Sana: una comunissima
felpa rosa, con la stampa di una ciotola di ramen fumante sopra. La
cosa più inquietante? Quella ciotola stava sorridendo.
Chi
ha avuto la stupidissima idea di disegnarci sopra quell'orrendo smile?
si ritrovò a pensare nella propria testa, stando ben attento
a non esprimere la sua opinione ad alta voce. Quella ciotola mi irrita.
Curioso di sapere quanto potesse costare un simile
obbrobrio, si sporse per scorgere il cartellino del prezzo: 21.150,450
yen. *
Ma
cosa...?!
Una follia. A quel prezzo si sarebbe potuto
comprare montagne e montagne di sushi.
Afferrò Sana per un lembo della maglia
e la incitò a staccarsi dalla vetrina.
«Andiamocene», mugugnò con indifferenza.
Lei gli lanciò uno sguardo spazientito
e sbuffò: «Come fa a non piacerti?»
«Costa un patrimonio!»
La vide concentrarsi per la prima volta sul
cartellino del prezzo. La vide anche sbiancare e deglutire incredula.
«Beh... Non è tantissimo!» rise nervosa.
«Con l'impegno posso mettere da parte un po' di soldi e
comprarla!»
Akito guardò altrove e riprese a
camminare, lasciandola lì, davanti al negozio. «In
giro puoi trovare felpe più belle di quella e ad un prezzo
sicuramente più basso. Lascia perdere. Andiamo
adesso.»
Non si voltò a guardarla, ma se lo
avesse fatto avrebbe visto uno strano fuoco accendersi nei suoi occhi:
la determinazione. Quella felpa era appena diventata l'amore della sua
vita e Sana avrebbe fatto di tutto per averla.
Sarai
mia!
Il giorno dopo, ore 00:00.
Il telefono squillò per la terza volta
e solo allora Akito si decise a rispondere, allungando un braccio e
sporgendosi con fatica dal letto sul quale stava cercando di dormire da
più di un'ora.
«Pronto?» sussurrò
flebilmente, come se qualcuno lo avesse appena distrutto a suon di
bastonate.
«Akito, sto racimolando i soldi! Sono a
buon punto!» La voce di Sana gli perforò i timpani.
Ma
è impazzita?
«Sana, è
mezzanotte...»
«E quindi? Volevo informarti!»
Akito sospirò e chiuse gli occhi
sconsolato. «Non potevi informarmi
domani? E comunque tu sei un'attrice, o sbaglio? Trovare i soldi non
dovrebbe essere un problema per te.»
«Lo so, ma la mamma non ha accettato di
darmi i soldi quando è venuta a conoscenza del prezzo della
felpa.»
Ci
sarà una ragione! pensò Akito,
spostandosi alcuni ciuffi biondi dalla fronte.
Sana era ossessionata da quella felpa. Per lui era
la cosa più brutta che avesse mai visto, per lei la
più bella. Se chiudeva gli occhi, poteva ancora vedere
distintamente quell'orrenda ciotola di ramen sorridergli e fargli la
linguaccia, quasi come per prenderlo in giro. Era un incubo. Non
sarebbe più riuscito a mangiare ramen per un mese.
«Akito... Riuscirò ad averla,
vero?»
La voce di Sana gli parve sconsolata, ma soltanto
per un attimo. Era consapevole che, se lei voleva una cosa, prima o poi
la otteneva, in un modo o nell'altro.
Strinse le palpebre pesanti e trattenne uno
sbadiglio. «Lo spero con tutto il cuore, Sana. Non credo che
riuscirei a sopportare altre chiamate nel cuore della notte.»
«È soltanto
mezzanotte!»
Sospirò pesantemente e si morse il
labbro inferiore nel tentativo di trattenere istinti omicidi
più forti di lui. Aveva sonno. Era così
inconcepibile per lei che qualcuno a mezzanotte avesse di meglio da
fare che stare a sentire le sue pene d'amore nei confronti di una
dannatissima felpa rosa con un'inquietante ciotola di ramen sopra?
«Buonanotte, Sana.»
Riattaccò velocemente, prima che
strazianti lamenti di dolore potessero giungergli dall'altro capo del
telefono.
A volte proprio non riusciva a capire quella
ragazza. E soprattutto non riusciva a capire che cosa ci trovasse di
così interessante in lei. Doveva essere pazzo.
Ore 00:30. Il telefono riprese a squillare.
«Pronto?» gemette allo stremo
delle sue forze.
«Akito, se dovessero esserci altri
colori oltre al rosa... quale sceglieresti?»
Qualcuno
mi aiuti.
«Akito, non hai una bella cera
oggi.»
«Sta' zitto.»
Tsuyoshi si lasciò scappare una
risatina, ma non aggiunse altro. Si limitò a camminare al
suo fianco, come ogni mattina, lungo la strada che li avrebbe portati a
scuola. Sapeva che l'amico stava affrontando per la prima volta in vita
sua uno dei problemi più grandi per il genere maschile:
avere una ragazza e renderla felice. O in questo caso, almeno tenerla a
bada. Sana non aveva un carattere facile, questo l'aveva imparato
persino lui che in passato aveva avuto una cotta per lei. Le occhiaie
sul volto di Akito un po' lo facevano sorridere, un po' gli facevano
tenerezza.
«Non è ancora riuscita a
darsi pace per quella felpa, eh?»
«Non ne avrà
finché non sarà riuscita ad ottenerla.»
Quanto la conosceva bene...
Se avesse potuto permettersela, gliela avrebbe
regalata lui, quella dannatissima felpa. Il problema erano proprio i
soldi: non ne aveva abbastanza e suo padre non glieli avrebbe mai
prestati. In più non poteva nemmeno contare sulla madre di
Sana, che già aveva detto la sua al riguardo. Quindi i casi
erano due: o si metteva il cuore in pace e aspettava pazientemente che
Sana riuscisse con le sue forze a comprarsela – e col lavoro
che faceva, probabilmente non ci avrebbe messo poi così
tanto –, oppure...
«Ci sono!»
Tsuyoshi sussultò.
Akito si bloccò sul posto e
fissò l'amico come se in testa gli fosse appena balenata
l'idea più ovvia di tutte. Di certo non avrebbe retto altre
notti in bianco, perciò doveva fare qualcosa. E sapeva anche
cosa.
«Hai per caso una felpa rosa?»
Tsuyoshi corrugò la fronte.
«Scusa?»
Dopo scuola, Akito corse a casa senza aspettare
nessuno, né Sana né Tsuyoshi. Aveva ben chiaro in
mente quale sarebbe stato il suo obbiettivo della giornata e non aveva
tempo da perdere. Sicuramente Sana quella sera lo avrebbe chiamato
ancora, prima per chiedergli cosa gli fosse successo, poi per decantare
ancora il suo amore per quella felpa oscena. Inoltre, suo padre e sua
sorella Natsumi non erano ancora rientrati. Motivo in più
per correre come se avesse avuto il diavolo alle calcagna.
Appena entrato in casa, lasciò cadere a
terra lo zaino e si fiondò su per la rampa di scale, diretto
verso la stanza di Natsumi. Tsuyoshi non aveva saputo aiutarlo, ma
forse sua sorella – senza saperlo ovviamente –
sì. Lei era una ragazza, in fondo.
«A mali estremi...»
Si avventò sul suo armadio,
perfettamente ordinato e sistemato. La fretta non lo fece pensare:
iniziò ad afferrare abiti a caso e lasciò cadere
disordinatamente sul pavimento quelli che non andavano bene. Tutti.
Perché sì, alla fine dei conti, non esisteva un
singolo indumento di colore rosa lì dentro. Forse solo un
paio di mutande e un reggiseno – che Akito si
vergognò immediatamente di aver toccato, e per poco non li
lanciò fuori dalla finestra aperta, terrorizzato –.
Sconvolto dal fatto che sua sorella non avesse
niente di rosa, per puro caso, si ritrovò a fissare la sua
immagine riflessa nello specchio dell'armadio. Aveva i capelli
arruffati, l'espressione stranita, i vestiti di Natsumi tra i piedi
e... una felpa rossa addosso. Anzi, non proprio rossa, ma arancione
– era molto vecchia e scolorita –.
Qualcuno, lassù, gli voleva bene.
«Com'è?»
«Akito, non so come
dirtelo...» Tsuyoshi fece un respiro profondo.
«È la cosa più brutta che abbia mai
visto.»
Akito si avvicinò quasi ringhiando allo
schermo del computer. «Questo perché tu non hai
visto l'originale!»
Era in videochiamata con l'amico dal portatile di
suo padre. Per fortuna, altrimenti dal vivo lo avrebbe morso sul serio.
Fra le mani stringeva il lavoro che lo aveva impegnato per l'ultima ora
e mezza: la sua felpa e il disegno che aveva cercato di fare a mano con
un pennarello nero al centro del petto. Perché ci aveva
impiegato così tanto tempo? Perché lui e il
disegno erano due cose completamente incompatibili.
«Ma davvero è così
male?» chiese forse più a se stesso che a lui,
guardando la sua opera da vicino.
«Il sorriso è strano... Poi
non è nemmeno rosa.»
«Oh, al diavolo!»
Chiuse lo schermo del portatile bruscamente,
interrompendo la videochiamata. Uscì dallo studio di suo
padre strisciando la felpa sul pavimento, mentre la sua testa iniziava
soltanto in quel momento a rimuginare su alcuni dettagli.
Il
rosso scolorito, quasi arancione, è una variante del rosa
salmone... Giusto? Guardò meglio e si rispose
da solo. Forse no.
In quel momento, qualcuno suonò al
campanello. Akito si bloccò confuso a metà del
corridoio che portava alla sua stanza. Chi poteva essere a quell'ora?
Era troppo presto perché suo padre e sua sorella fossero
già tornati e probabilmente Tsuyoshi era a casa a
preoccuparsi di aver ferito i suoi sentimenti, non avendo apprezzato il
suo duro lavoro. L'unica opzione possibile gli fece sbarrare gli occhi
terrorizzato e correre il più velocemente possibile verso la
sua stanza. Nascose frettolosamente la sua orribile felpa sotto il
cuscino della sedia davanti alla sua scrivania, per poi precipitarsi
giù per la rampa di scale fino alla porta d'entrata: se
l'avesse fatta aspettare troppo, probabilmente si sarebbe insospettita.
Quanto la conosceva bene...
Ed infatti era proprio lei: Sana. Sul volto aveva
un'espressione pensierosa e a tratti preoccupata.
«Akito... stai bene?»
Ansimando, la invitò ad entrare
facendosi da parte e iniziando a pregare che non prendesse l'iniziativa
di andare in camera sua. Cosa assai improbabile, perché loro
andavano sempre
in camera sua.
«Che ti è successo? Sei
scappato alla fine delle lezioni senza dire niente.» Lei lo
scrutò, soffermandosi soprattutto sui suoi capelli
arruffati. «E anche il tuo aspetto non è dei
migliori.»
E intanto salivano le scale verso il piano di
sopra, verso la stanza di Akito, proprio come previsto. La faccenda
iniziò a farsi pericolosa nel momento in cui Sana
varcò la soglia e andò a sedersi proprio sulla
sedia di fronte alla scrivania, sul cuscino che nascondeva l'oggetto
della sua vergogna. Pregò con tutto se stesso che non si
accorgesse di niente e si andò a sedere sul proprio letto.
«Io avevo... bisogno di andare di corsa
in bagno», esordì a quel punto, forse tradendosi
con il suo stesso tono di voce.
Infatti Sana lo fissò confusa.
«Ma non potevi usare i bagni della scuola, scusa?»
«Non mi sentivo bene e non ci ho
pensato.»
«Non ti sentivi bene?»
esclamò lei, guardandolo preoccupata e dimenandosi sulla
sedia in preda all'ansia.
Dannazione,
Kurata. Stai ferma!
«Prima
non stavo bene! Adesso mi sento molto meglio.»
Una manica della felpa uscì fuori dal
cuscino, spenzolandosi verso il pavimento e attirando l'attenzione di
Sana in un batter d'occhio. «Ma che cos'è?
Perché sei sempre così disordinato?»
commentò scocciata, alzandosi e sollevando il cuscino.
«Ferma!» urlò
Akito, gettandosi su di lei e cercando di portarle via dalle mani la
felpa.
Ma ormai era troppo tardi. Sana non era stupida e
non c'era dubbio sul fatto che fosse molto più agile di lui:
si liberò come se niente fosse dalla sua presa, e una volta
che fu lontana dalle sue grinfie, aprì la felpa davanti ai
suoi occhi. Quegli occhi grandi che divennero ancora più
grandi quando realizzò di cosa si trattasse.
Akito sbuffò e guardando altrove si
grattò la nuca, pronto a sentire le grasse risate di Sana da
un momento all'altro. «Non è niente, è
solo... una prova, ma la stavo buttando via»,
provò a giustificarsi.
Sana in quel momento gli stava dando le spalle, ma
se avesse potuto vederla in faccia avrebbe notato i suoi occhi brillare
e la sua bocca tremare leggermente.
«Lo so che fa schifo, ok? Non
c'è bisogno-»
Venne interrotto dalle braccia di Sana, che gli
avvolsero il collo, e dai suoi capelli rossi e profumati sulle labbra.
In una mano stringeva ancora la felpa. Riusciva persino a percepire il
suo cuore contro il proprio petto, tanto batteva forte, e non sapeva
nemmeno come sentirsi.
«È per me?»
mugugnò lei, il viso sepolto nel collo di Akito e la voce
che tremava.
«Se la vuoi...»
Forse solo in quel momento Sana
realizzò quanto lo avesse infastidito negli ultimi giorni
per una sciocchezza del genere. Eppure lui, non potendola accontentare,
aveva comunque cercato un modo per farlo. E come sempre quando Akito
faceva qualcosa per lei, la lasciava senza parole, con qualcosa di
unico, che non avrebbe trovato in nessun tipo di negozio. Qualcosa che
poteva avere soltanto lei. Sentì gli occhi farsi
improvvisamente umidi.
«Non merito tutto ciò che fai
per me», singhiozzò commossa.
Akito sbuffò, lasciandosi scappare un
sorriso. Sei una
stupida, Kurata.
«Sì, invece.»
Portò una mano dietro alla sua testa e
la strinse a sé. Chi più di Sana, chi
più di lei, avrebbe meritato tutto ciò che lui
poteva dare? Anche se lo faceva impazzire dalla mattina alla sera,
anche se era il suo esatto opposto... Avrebbe fatto qualsiasi cosa per
lei.
«Stanotte sei riuscito a dormire? Quindi
Sana è riuscita a comprare quella felpa?»
Lungo la strada che percorrevano insieme tutte le
mattine per andare a scuola, Akito poteva finalmente tirare un sospiro
di sollievo. Quella notte aveva dormito come un bambino, senza che
nessuno lo chiamasse ad orari impossibili per osannare capi di
abbigliamento di dubbio gusto. L'unica pecca era stato il pugno
nell'occhio che sua sorella Natsumi gli aveva tirato non appena era
tornata a casa e aveva trovato il suo armadio completamente devastato.
Ancora gli faceva male lo zigomo, se ci ripensava.
«Beh...»
«Buongiorno, ragazzi!»
Una folata d'aria potentissima, quasi disumana, li
investì da dietro, superandoli e lasciandoli interdetti.
Sana, con la sua solita energia, si voltò a guardarli
qualche metro più avanti e con un grosso sorriso sulle
labbra li salutò, sventolando in aria un braccio. Addosso
aveva la divisa della scuola e sopra...
«Ma quella...» Tsuyoshi
guardò sconcertato quella scena.
Akito sorrise.
Sana continuò a sventolare in aria la
mano, il viso radioso e la ciotola di ramen con il sorriso sghembo
sulla felpa rossa consumata, che assieme a lei dava loro il buongiorno.
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