Buongiorno,
questa
storia originale si intreccia con una mia storia già scritta
precedentemente, ovvero Choices. Per chi l'avesse letta,
riconoscerà
subito il personaggio di Bee. Per chi non l'avesse ancora letta, ALT!
Consiglio la lettura SOLO dei primi tre capitoli e non del quarto
poiché contiene spoiler per questa originale.
Non
sono solita fare
grandi premesse, ma vorrei ringraziare Jadis per avermi accompagnata
nel coming out della mia splendida Sam.
Ringrazio
con il cuore LadyMoon89 per aver intrapreso con me questo percorso in
veste di Beta Reader!
Rating
capitolo:
arancione per presenza di scene di natura sessuale
esplicite
Personaggi
capitolo:
Brent, sergente Gamble, Sam
Capitolo
6
Quando
mio padre morì, mi trovai innanzi ad un bivio: avrei potuto
tornare
nella mia vecchia scuola e proseguire i miei studi nella mia
città
natale; oppure, avrei potuto riprendere in mano quello sprazzo di
sole che mi aveva baciato negli ultimi mesi e tornare in accademia.
Seppur possa sembrare una scelta molto difficile, per me fu quasi
scontato decidere quale strada intraprendere.
Guardai
quelle quattro mura che per anni furono
testimoni di mille avvenimenti, cene imbarazzanti, litigate furiose
e, perché no, pianti, sorrisi e rinascite. Quella casa aveva
accolto
ogni mio cambiamento, scoprendo ogni lato del mio carattere e
accogliendo ogni sfumatura del mio umore altalenante. Non era un
addio, ma, chiudere quel portone alle mie spalle, fu quasi
struggente. Sapevo di uscire da lì per non tornarci
più, per lo
meno non a breve.
Appoggiai
una mano su quella ruvida superficie legnosa dipinta di verde scuro,
serrando gli occhi e volendo quasi rinchiudere al suo interno ogni
mio ricordo legato a questa casa -addio- sussurrai flebilmente. La
mia mano scivolò lungo l'intera facciata in mattone dello
stabile,
come a volerla accarezzare, fino a distaccarsi da essa mantenendo
però vivo il ricordo di tale tatto. Diedi le spalle alla
casa che mi
aveva accolto praticamente da sempre, per poi incamminarmi verso la
stazione, pronto a riprendere la mia vita in mano. Destinazione
U.K.M. School!
Quando
rientrai nei dormitori le cose non erano particolarmente cambiate.
Anche quest'anno, esattamente come il precedente, ero in camera con
Sam. Mi salutò come al suo solito, lanciandomi un forte
pugno sulla
spalla -bentornato, straniero- mi disse -ti vedo un tantino deperito,
devi recuperare-.
Sorrisi.
Non poteva sapere che dietro al mio falso sorriso si celava un evento
tanto nefasto.
-Ti
vedo bene- le dissi di rimando, appoggiando il mio borsone sul letto.
-Ho
detto tutto ai miei...- sussurrò lentamente per poi voltare
lo
sguardo verso di me vittoriosa e dire -sanno tutto-.
Mi
passai una mano sul volto e poi sui folti capelli -dici sul serio?
Proprio tutto?!-.
Lei
ridacchiò divertita -hai capito bene!-.
-E
come l'hanno presa?- le domandai incuriosito accostandomi a lei.
-Meglio
del previsto. A quanto pare sono di larghe vedute- rispose lei
portandosi entrambe le mani ai lati -fortunatamente tengono
più alla
mia felicità, che a salvare le apparenze-.
-E'
incredibile, Sam!- risposi contento per lei.
Mi
voltai di spalle e mi rabbuiai. In quell'istante capì che
avevo
appena perso l'unica persona su cui potevo contare all'interno di
quel posto. Tutto ciò che avevo creato in accademia era
basato sulla
menzogna di poter stare con Samantha Elliots, una delle ragazze
più
sexy della scuola.
La
guardai con quell'aria solare, felice come mai. Ero piuttosto
convinto di non averla mai vista così spensierata. Faticavo
quasi a
riconoscerla. Tra l'altro aveva tagliato i capelli quasi a caschetto
e quell'aria così sbarazzina le donava molto. La trovai
attraente
come non mai, forse anche più di prima.
-Ti
va di scopare sul retro?- mi domandò con nonchalance dopo
aver
gettato alla bene-meglio il suo borsone sotto il letto e portandosi
le braccia sui fianchi.
Sgranai
gli occhi e scoppiai a ridere.
No,
dopotutto non era poi così tanto cambiata.
Rientrai
con circa una settimana di anticipo anche per poter parlare faccia a
faccia con il sergente Gamble in maniera tale da velocizzare la mia
istruzione. Obiettivo finale: diventare un aviatore!
-Ragazzo
mio, che piacere rivederti!- mi disse accogliendomi con una
sorprendente euforia.
Mi
abbracciò come solo un padre poteva fare e, troppo fresco di
lutto,
mi irrigidì sotto il suo tocco. Poggiò le sue
grandi mani su
entrambe le mie spalle allontanandomi un poco e guardandomi dritto
negli occhi -okay, cos'è successo?-.
Sorrisi
disarmato, consapevole di non potergli nascondere nulla.
-Mio
padre è morto- risposi senza veli.
Prima
ancora di subirmi tutto il suo dispiacere e balle varie, aggiunsi -ti
prego, non dire nulla e fa finta che io non ti abbia detto nulla-.
Con
il suo sguardo severo mi esaminò da cima a fondo per poi
dire
semplicemente -dobbiamo riprendere subito gli allenamenti. Ho
già
accennato ad alcuni colleghi che entro la metà dell'anno
prossimo
entrerai in caserma come cadetto-.
Le
mie spalle si rilassarono e sospirai rumorosamente -grazie-.
-Non
farmi fare brutte figure, mi sto esponendo per te- rispose dandomi le
spalle per poi aggiungere -ora vatti a lavare che puzzi come un cane
morto, domattina sveglia alle cinque e cento giri di campo per
iniziare-.
Il
petto mi si gonfiò velocemente. Avvicinai immediatamente la
mano
alla fronte e, mettendomi in posa, urlai un forte -sì,
signore!-
prima di uscire dalla stanza.
***
Mi
guardo le braccia piene di tatuaggi. Poi, con un frammento di vetro
rotto in mano, mi rispecchio al suo interno allungando di un poco il
collo a sinistra fino a sfoderare un altro splendido tatuaggio che si
dirama lungo tutta la carotide di destra. Con la mano accarezzo il
petto, non volendo scordarmi neanche di tutto l'inchiostro impresso
sui miei addominali in ogni direzione. Il mio corpo è la mia
anima e
su di esso ho scolpito indelebilmente ogni ricordo importante della
mia vita. Ecco perché il mio primo tatuaggio è
stato proprio una
farfalla monarca, a livello dell'avambraccio sinistro. Negli anni mi
sono sentito dire che era troppo femminile, che avrei dovuto
toglierlo o coprilo con un teschio o simili. La verità
è che
neanche sotto tortura lo cambierei. È molto bello.
Immaginatevi sì
una farfalla monarca, ma quasi astratta, dai colori abbozzati e dai
lineamenti soffusi. Perché io l'associo esattamente ad una
utopia,
per me è importante il concetto che vi è dietro,
un ricordo
infantile che negli anni ho coltivato fino a trasformarlo nella mia
attuale professione.
Mi
guardo allo specchio ancora una volta, soddisfatto del risultato
finale. Con la mano destra accarezzo la farfalla che giace beata
sull'avambraccio sinistro. Mi sistemo meglio gli occhialini da
aviatore sul capo e sorrido alla mia figura ormai matura. Forza,
è
ora di partire ancora una volta per una nuova avventura, senza
scordare mai che questo presente mi è stato concesso solo
perché il
passato è stato ciò che è stato.
***
In
quell'ultimo anno scolastico mi ritrovai a scendere dal piedistallo
di belloccio della scuola, per far fronte a doveri ben più
ingenti.
La mia priorità assoluta era entrare nell'aeronautica
militare. Il
sergente Gamble, in tutto ciò, giocava un ruolo
più che
fondamentale. Dopo avermi studiato ed analizzato per l'intero primo
anno, aveva finalmente deciso di sfoderare ogni sua arma,
concentrando ogni energia su di me e sul mio apprendimento. A scuola
venni in parte preso in giro per questo. In tanti alludevano ad una
tresca tra me e lui, non comprendendo seriamente ciò che
più ci
legava. Non eravamo due fanatici militari, non c'era alcun legame
sentimentale tra di noi, né l'allenamento e il duro lavoro
fungevano
da collante in questa nostra strana relazione – se
così la si
poteva definire. Tra di noi vi era un un'unica cosa in comune:
l'amore per gli aerei. Ebbene sì, a fare
da padrone nella nostra storia erano sempre quegli splendidi giganti
volanti.
Fu
proprio per questo motivo che ad un paio di mesi di distanza dal mio
primo tatuaggio, me ne feci un secondo che raffigurava la tavola
prospettica di un Fokker F.VII, il monoplano trimotore con cui Amelia
Earhart sorvolò per la prima volta l'Oceano Atlantico.
Ovviamente il
mio ricordo andò a quel lontano pomeriggio di tanti anni
addietro,
in cui rivelai a Yoshiko del mio amore incondizionato per
quell'aviatrice detentrice di tanti record mondiali.
In
ogni caso, al vociare circa il mio rapporto stretto con il sergente
Gamble, si aggiunse anche il fattore Sam. Già,
perché le notizie,
in luoghi così accalcati e piccoli come quello, corrono in
fretta.
Presto tutti seppero dell'omosessualità di Sam. Vorrei
raccontarvi
una di quelle storie a lieto fine. La sua famiglia l'aveva
già
accettata per quello che era, perciò vi aspetterete che i
suoi
coetanei facessero
altrettanto. Ebbene no, per una volta i ruoli si invertirono e ad
avere una vecchia e squallida mentalità, non erano tanto i
genitori
conservatori di lei, bensì i nostri stessi compagni di
scuola.
Non
mi importava davvero di quello che si diceva su di me e lei, ma non
potevo negare che quell'ambiente così tossico, facesse star
male
Sam.
La
famosa Cassandra Blake, quando seppe dell'omosessualità di
Sam, le
tolse persino il saluto. Una cattiveria, direte voi. In effetti
così
fu, ma concesse anche a Sam di conoscere la gente per chi realmente
era.
Nonostante
fosse assodata ormai la sua predilezione per il corpo femminile, Sam
si intrufolava ancora sotto le mie coperte a notte inoltrata per
poter trovare conforto e per poter sfogare ogni suo desiderio
proibito.
In
realtà io trassi parecchio vantaggio da quella relazione
malsana.
Grazie a Sam iniziai a conoscere e comprendere il corpo femminile in
maniera impeccabile, riscoprendomi quasi capace di amare una donna.
Dico quasi perché, seppur io sia stato legato a Sam da un
sentimento
molto profondo, non sono convinto che ciò fosse amore vero.
Ormai
conoscevo ogni centimetro della sua pelle e potevo interpretare ogni
sua espressione e voglia anche senza farle aprire bocca. Sotto le
lenzuola Sam era un'altra donna. Seppur alla luce del sole potesse
apparire impavida, sicura di sé e particolarmente tosta,
sotto
l'impallidire della luna si richiudeva a riccio e mostrava una certa
timidezza che probabilmente solo io avevo potuto conoscere fino a
quel momento.
C'erano
molte cose di lei che amavo per davvero, come il mordersi il labbro
inferiore quando voleva che io aumentassi il ritmo delle mie spinte;
oppure l'inclinare la testa leggermente indietro e a destra per
supplicarmi di scendere in basso per poter baciare e accarezzare la
sua femminilità; oppure l'inarcare la schiena come a voler
chiedere
spinte più lente ma allo stesso tempo energiche; o ancora il
contrarre le natiche sotto il mio tocco, chiedendomi di prenderla
dalle spalle. Ed in quei momenti le piaceva il tocco rude, di colui
che quasi approfittava del suo corpo per raggiungere un piacere
veramente etereo. Eppure non l'ho mai usata,
né l'ho
mai amata
in quei momenti.
Le
prime volte erano imbarazzanti, lei doveva prendermi la mano nella
sua e guidarmi in ogni mia mossa perché non sapevo davvero
dove
andare o cosa fare per poterle procurare un minimo di piacere. Ma con
il tempo imparai davvero a giocare con lei e con la sua
femminilità,
tanto da anticipare le sue voglie e le sue pensate. I suoi orgasmi si
fecero sempre più sentiti e più eccitanti di
volta in volta. Mi
accorsi con estremo piacere che mi bastava anche solo guardarla
godere del mio tocco. Non mi importava dover entrare realmente in
lei, mi importava quasi più recarle piacere. Fu allora che
capì di
volerle comunque molto bene. Okay, non era amore e non lo era mai
stato. Ma le volevo davvero tanto bene. E il poter soddisfare le sue
voglie, assecondare i suoi desideri e far avverare ogni suo sogno
erotico, per me era un po' come regalarle l'unica cosa che ero in
grado di darle davvero. Non era amore, ma forse un po' lo era, anche
se in una versione molto differente rispetto a ciò che
generalmente
si può pensare.
-Sai,
Brent- mi disse una sera Sam guardando la fioca luna -credo di
piacere ad Annah-.
Ero
sdraiato sulla sabbia, con entrambe le braccia sotto il capo,
rilassato come non mai. Quella rivelazione mi scosse nel profondo.
-Annah,
huh? Parli della ragazza nuova, quella biondina con le lentiggini?-
le domandai sdraiandomi sul fianco.
-Sì,
proprio lei- mi disse Sam senza distogliere lo sguardo dal nostro
satellite luminoso -secondo te se ci provo, ci sta?-.
Sorrisi
divertito, tornando in posizione supina.
In
quel preciso istante avrei voluto mentirle, dicendo che probabilmente
non avrebbe accettato un invito ad uscire da parte sua. Ma la
verità
era che Sam era una bella persona e per me meritava il meglio. In
quel preciso istante capì che meritava di prendere il volo e
di
staccarsi dal passato, in un certo senso necessitava di svecchiarsi.
Io ero solo una stupida ancora a cui lei si era aggrappata per tanto,
troppo tempo. Io le davo sicurezza, io c'ero sempre per lei e sempre
ci sarei stato. Perciò le dissi l'unica cosa che mi venne
spontaneo
dirle in quel momento -io fossi in lei ci
starei-.
Lei
mi tirò un pugno al braccio -scemo, tu già ci
stai!-.
-Brent,
non ti fa strano farti tua sorella?- mi domandò tutto d'un
tratto
come era suo solito fare.
-Sam,
ma cosa diavolo stai dicendo!- imprecai quasi strozzandomi con la mia
stessa saliva.
-Sì,
insomma, tu per me sei come un fratello, perciò io sono tua
sorella-
mi disse lei sorridendomi -abbiamo un rapporto incestuoso io e te-.
Mi
portai una mano sul viso divertito, senza in realtà aver
nulla da
contestare. Lei scherzava ed io lo sapevo bene. Eppure amore fraterno
era il modo più corretto per descrivere ciò che
provavo per lei.
-Però...
sì, insomma, se hai bisogno di capire meglio come funziona
il
clitoride femminile, puoi sempre chiedere a me che ti mostro meglio
dove cercarlo- rispose vaga Sam gesticolando al vento e lasciandosi
trasportare da una risata piuttosto genuina.
-Sei
incorreggibile- le dissi divertito e non dando eccessivo peso alle
sue parole. Ormai sapevo perfettamente quando non dover dar conto a
ciò che diceva.
-Ho
un'idea ancora più allettante- mi disse lei balzandomi sul
petto e
portando il suo viso a due centimetri dal mio volto.
-Ti
prego, lascia che indovini- dissi mantenendo una certa calma, ma
focalizzandomi sul suo sguardo. Poi lo notai, quel sopracciglio
destro leggermente alzato, l'angolino della bocca inarcato verso
l'alto, quello scintillio negli occhi che preannunciava un pensiero
osé.
Sorrisi,
avevo intuito il suo pensiero -appena avrai una fidanzata vera,
faremo una cosa a tre-.
Lei
spalancò gli occhi e si portò una mano al volto
-Brent Smith,
cazzo!- imprecò alzandosi in piedi e cominciando a
saltellare qua e
là in preda ad una strana danza della pioggia -come ci sei
riuscito?-.
Scoppiai
a ridere e, alzandomi in piedi e dandole le spalle, mi allontanai
verso il nostro bungalow senza darle alcuna risposta. Non era
necessario. Ve l'ho detto, ormai riuscivo
ad interpretare ogni suoi pensiero.
Il
sergente Gamble in quel periodo mi diede filo da torcere, ma non vi
nego che questo suo imporsi su di me, il volermi allenare fino allo
sfinimento – mio e suo tra l'altro – mi
aiutò molto a tenere la
mente lontana dal pensiero di mio padre. Non che volessi scordarmi di
lui. Ma la sua perdita era ancora viva in me e doleva come fosse una
ferita aperta. Impossibile da rimarginare, sapevo bene che neanche
con gli anni avrei potuto convivere con quel dolore. Ma il tenere
corpo e mente impegnati mi aiutava, perché alla fin fine ero
talmente focalizzato sul mio obiettivo prossimo, da non aver tempo
né
forze di concentrarmi su altro.
Con
l'arrivo del primo Natale senza mio padre, però, quella
sensazione
sfumò. Vi erano ben due settimane di vacanze in cui
inesorabilmente
mi sarei ritrovato a pensare a lui, al nostro primo Natale separati.
Per fortuna però non ero solo al mondo e Sam, con un gesto
del tutto
altruista, mi invitò a trascorrere le festività a
casa sua.
Oxford,
una delle mete più ambite di tutti i turisti. Credetemi se
vi dico
che ha letteralmente rapito il mio cuore.
Samantha
mi presentò ai suoi genitori senza filtri, dicendo che io
ero quello
con cui fingeva di stare per non far notare agli altri la sua
omosessualità. Un gran bel biglietto da visita, soprattutto
tenendo
conto che suo padre era un reverendo.
-Piacere-
dissi ormai immerso nell'imbarazzo più totale allungando un
braccio
e stringendo la sua fredda mano.
L'uomo
non disse una parola, mi squadrò dall'alto in basso
– seppur lui
fossi una spanna più basso di me – e strinse la
presa sulla mia
mano.
La
madre imbarazzata lo scostò leggermente fino a stringermi
anch'ella
la mano e invitarmi ad entrare in casa.
-Samantha
ci ha detto che hai appena perso il padre, quanto mi dispiace- mi
disse con quella vocina acuta e fastidiosa, completamente priva di
empatia.
Non
avevo parole da porgli dopo quella frase, perciò mio limitai
ad
annuire e distogliere lo sguardo da lei.
-Mamma!-
la rimproverò subito Sam allargando le braccia e sospirando
-ma ti
pare!-.
Il
padre abbozzò un sorriso osservando le due donne
intraprendere un
lungo ed estenuante litigio su quali fossero i modi più
carini di
porgere le condoglianze ad uno che aveva appena perso il padre.
Rimasi
inebetito in piedi in salotto, domandandomi perché avevo
accettato
l'invito a trascorrere quel Natale insieme alla famiglia Elliots.
Il
padre di Sam, che si chiamava Klaus, mi porse una mano sulla spalla,
invitandomi poi a seguirlo nel giardino sul retro della villetta.
-Samantha
mi ha detto che hai fatto per lei- mi disse appena chiusa la porta
alle sue spalle.
Klaus
Elliots era sicuramente un personaggio molto singolare. Era molto
alto, seppur meno di me, con una gran massa di capelli biondo
ossigenato e due occhi talmente azzurri da far quasi impressione.
Feci
per contestare la sua frase, ma l'uomo subito esordì dicendo
-mia
figlia è sempre stata diversa
dagli altri-.
Seppur
non abbia apprezzato il termine da lui usato, nel suo tono non vi era
disprezzo per tutto ciò. Si vedeva però che
faticava ad accettare
la sua omosessualità.
-Ti
sbagli- disse ad un tratto.
Lo
guardai confuso non capendo a cosa potesse alludere.
-So
benissimo cosa stai pensando, Brent- mi disse distogliendo lo sguardo
e fissando per un istante il cielo -non fatico ad accettare la sua
scelta sessuale-.
Inarcai
subito un sopracciglio stupito dalla sua perspicacia.
-La
verità che ho paura del mondo e non di lei- mi
spiegò mettendosi
entrambe le mani nella tasca dei jeans -di come il mondo
potrà
trattarla d'ora in avanti e di come tenterà di emarginarla-.
Sorrisi
e mi avvicinai a lui piuttosto convinto di me -lo sa, signor Elliots,
anche io ho paura del mondo, ma sa una cosa, non ho mai conosciuto
una ragazza più in gamba di sua figlia!-.
Lui
mi guardò con occhi colmi di paura.
***
Quello
era uno sguardo che non ho mai dimenticato. Lo sguardo di un padre
che si strugge per il possibile futuro della figlia in una
società
ancora emotivamente arretrata e non in grado di affrontare
così
apertamente l'omosessualità. Lo stesso identico sguardo di
terrore
che aveva mio padre in procinto di morte, quando mi confessò
di non
essere pronto a lasciarmi solo. Probabilmente uno di quegli sguardi
che solo quando si diventa padri si può veramente capire.
***
Nonostante
mi aspettassi chissà quale stranezza in casa Elliots,
dovetti
ammettere che il Natale trascorso da loro fu piuttosto piacevole. Sua
madre si rivelò una cuoca eccezionale, mentre suo padre mi
accolse
come un figlio raccontandomi vecchi aneddoti sulla sua vita religiosa
aprendomi le porte ad un credo che non conoscevo di avere.
Il
rientro in accademia
fu piuttosto brusco poiché il sergente non si
risparmiò con gli
allenamenti. A detta sua, vi erano ben due settimane di pacchia da
recuperare; ma in verità ero consapevole che lui ci stava
mettendo
faccia e reputazione, perciò
ci teneva particolarmente al mio buon successo.
A
Marzo dovetti affrontare i tanto temuti test di ingresso in accademia
a Shawbury. In realtà non conoscevo questo passaggio, ero
convinto
che accettassero chiunque nell'esercito e, con mia grande sorpresa,
scoprì che non era affatto così. Persino i decimi
di vista potevano
fare la differenza.
Ad
accompagnarmi in questo salto nel buio vi era ovviamente il sergente
Gamble.
-Mi
aspettavo di dover frequentare prima l'accademia di smistamento, non
pensavo di poter far domanda direttamente per l'aviazione- dissi
dubbioso rivolto al mio mentore.
Lui
allargò le braccia e mi rispose -che vuoi che ti dica, mio
caro
Brent, le vie del Signore sono infinite-.
Scoppiai
a ridere ormai sicuro che ci fosse il suo zampino in tutto
ciò.
-Ti
sei allenato duramente per giungere fino a qui. Ti ho accolto a
scuola che eri un pivellino di soli sedici anni con ancora i peli
pubici da far crescere ed ora ti ritrovo a spiccare il volo da solo
come un uomo fatto e finito- mi disse il sergente fronteggiandomi e
poggiando le sue grandi mani su entrambe le mie spalle -sappi che
comunque andrà, sono molto fiero di te, Brent-.
Non
ebbi né modo né tempo di fiatare, che un uomo,
quasi il doppio di
me in quanto stazza, mi si avvicinò e mi invitò a
seguirlo.
Quel
pomeriggio decretò il mio futuro. Scoprì di aver
ottenuto il
massimo dei voti in ogni ambito di valutazione. I miei test
attitudinali risultarono più che brillanti e le mie prove
fisiche
quasi al limite dell'umano. Dissero che avrebbero anticipato
l'iscrizione a Maggio qualora fossi interessato. Mi dissero che non
avevano mai visto un esame di simile portata ma che, con molta
probabilità, tutto ciò era solo merito del mio
mentore. Al sergente
Gamble, dunque,
dovevo veramente molto. Lui mi aveva accolto sotto la sua ala senza
indugio, non trattandomi come il resto della società che mi
vedeva
fragile e problematico.
Lui era riuscito a cogliere la mia emotività, legata
soprattutto
alla mia condizione famigliare assai precaria, ed a trasformarla in
una forza interiore in grado di infondermi le energie necessarie per
poter affrontare il futuro a testa alta.
***
Non
posso dire di dover la vita al sergente Gamble, perché non
mi sarei
comunque suicidato o sciocchezze simili in seguito alla morte di mio
padre. Però se non fosse stata per la sua presenza costante,
probabilmente di lì a pochi mesi mi avrebbero dovuto
raccogliere con
la scopa, perché sicuramente sarei andato in mille pezzi.
Sicuramente
sarei sopravvissuto fino
ad ora, con o senza di lui. La differenza sta nel modo con cui
l'avrei fatto. È grazie a lui se ora posso affermare con
estrema
certezza che ho preso le decisioni giuste nella vita, arruolandomi,
seguendo la mia passione per i velivoli e cercando di volare il
più
in alto possibile.
Quell'uomo
ha impresso nel mio animo un profondo sentimento di gratitudine e mi
ha fatto comprendere l'importanza di non essere mai soli e di aver
sempre qualcuno affianco, soprattutto quando si tratta di prendere
decisioni importanti.
Il
sergente Gamble per un breve periodo della mia vita
rimpiazzò la
figura paterna che avevo perso. Fu proprio per questo che quando
morì, esattamente tre giorni dopo il nostro viaggio a
Shawbury, la
mia vita subì una brusca frenata ancora una volta, per poter
accogliere nel cuore l'ennesimo lutto.
In
quell'istante realizzai una brutta verità: che tutti noi
siamo di
passaggio su questa terra e che nessuno è immune alla falce
dell'oscuro
mietitore.
Sono
sempre stato convinto che il sergente fosse immortale. Forse
perché
fisicamente appariva quasi come un dio greco, dai muscoli ben
scolpiti e quel sorriso smagliante che ammaliava ogni mia compagna di
scuola.
Klaus
quel Natale passato mi disse che il tempo di ciascuna persona
è
limitato al poter raggiungere e centrare l'obiettivo per il quale
è
stata messa al mondo. Questo pensiero mi fa sorridere,
perché il
sergente è morto subito dopo la mia ammissione
nell'esercito, perciò
mi vien quasi da pensare che il suo scopo fosse quello di farmi da
mentore e indirizzarmi verso il mio futuro. Forse sono troppo
precipitoso in questo mio pensiero o forse sono semplicemente
egocentrico, ma mi piace pensare che sia andata davvero così.
Il
mese dopo anticipai la mia partenza e mi arruolai nell'aeronautica
militare presso l'accademia di aviazione a Shawbury.
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