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Autore: Digihuman    29/05/2020    6 recensioni
[IN CORSO]
Mi chiamo Brent Smith, ho trent'anni e voglio raccontarvi la mia storia. […]
A dirla tutta il mio certificato di nascita indica Tokyo come mia città natale, ma la città in cui ho vissuto per la maggior parte della mia infanzia e adolescenza è Exeter. […] E niente, la maggior parte dei miei ricordi sono proprio legati a questa città. Ricordi, che tra le tante cose, mi riportano a lei, alla mia dolce Yoshiko. […]
Spesso mi ritrovo a pensare a quando, temporaneamente parlando, potrei collocare il momento esatto in cui mi sono innamorato di lei. Avevo sentito le farfalle allo stomaco già la prima volta che la vidi. […] L'unica certezza che ho è che il mio amore è nato con lei e che morirà ciecamente con lei.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Buongiorno,
questa storia originale si intreccia con una mia storia già scritta precedentemente, ovvero Choices. Per chi l'avesse letta, riconoscerà subito il personaggio di Bee. Per chi non l'avesse ancora letta, ALT! Consiglio la lettura SOLO dei primi tre capitoli e non del quarto poiché contiene spoiler per questa originale.

Non sono solita fare grandi premesse, ma vorrei ringraziare Jadis per avermi accompagnata nel coming out della mia splendida Sam.

Ringrazio con il cuore LadyMoon89 per aver intrapreso con me questo percorso in veste di Beta Reader!

Rating capitolo: arancione per presenza di scene di natura sessuale esplicite
Personaggi capitolo: Brent, sergente Gamble, Sam

Capitolo 6



Quando mio padre morì, mi trovai innanzi ad un bivio: avrei potuto tornare nella mia vecchia scuola e proseguire i miei studi nella mia città natale; oppure, avrei potuto riprendere in mano quello sprazzo di sole che mi aveva baciato negli ultimi mesi e tornare in accademia. Seppur possa sembrare una scelta molto difficile, per me fu quasi scontato decidere quale strada intraprendere.
Guardai quelle quattro mura che per anni furono testimoni di mille avvenimenti, cene imbarazzanti, litigate furiose e, perché no, pianti, sorrisi e rinascite. Quella casa aveva accolto ogni mio cambiamento, scoprendo ogni lato del mio carattere e accogliendo ogni sfumatura del mio umore altalenante. Non era un addio, ma, chiudere quel portone alle mie spalle, fu quasi struggente. Sapevo di uscire da lì per non tornarci più, per lo meno non a breve.
Appoggiai una mano su quella ruvida superficie legnosa dipinta di verde scuro, serrando gli occhi e volendo quasi rinchiudere al suo interno ogni mio ricordo legato a questa casa -addio- sussurrai flebilmente. La mia mano scivolò lungo l'intera facciata in mattone dello stabile, come a volerla accarezzare, fino a distaccarsi da essa mantenendo però vivo il ricordo di tale tatto. Diedi le spalle alla casa che mi aveva accolto praticamente da sempre, per poi incamminarmi verso la stazione, pronto a riprendere la mia vita in mano. Destinazione U.K.M. School!

Quando rientrai nei dormitori le cose non erano particolarmente cambiate. Anche quest'anno, esattamente come il precedente, ero in camera con Sam. Mi salutò come al suo solito, lanciandomi un forte pugno sulla spalla -bentornato, straniero- mi disse -ti vedo un tantino deperito, devi recuperare-.
Sorrisi. Non poteva sapere che dietro al mio falso sorriso si celava un evento tanto nefasto.
-Ti vedo bene- le dissi di rimando, appoggiando il mio borsone sul letto.
-Ho detto tutto ai miei...- sussurrò lentamente per poi voltare lo sguardo verso di me vittoriosa e dire -sanno tutto-.
Mi passai una mano sul volto e poi sui folti capelli -dici sul serio? Proprio tutto?!-.
Lei ridacchiò divertita -hai capito bene!-.
-E come l'hanno presa?- le domandai incuriosito accostandomi a lei.
-Meglio del previsto. A quanto pare sono di larghe vedute- rispose lei portandosi entrambe le mani ai lati -fortunatamente tengono più alla mia felicità, che a salvare le apparenze-.
-E' incredibile, Sam!- risposi contento per lei.
Mi voltai di spalle e mi rabbuiai. In quell'istante capì che avevo appena perso l'unica persona su cui potevo contare all'interno di quel posto. Tutto ciò che avevo creato in accademia era basato sulla menzogna di poter stare con Samantha Elliots, una delle ragazze più sexy della scuola.
La guardai con quell'aria solare, felice come mai. Ero piuttosto convinto di non averla mai vista così spensierata. Faticavo quasi a riconoscerla. Tra l'altro aveva tagliato i capelli quasi a caschetto e quell'aria così sbarazzina le donava molto. La trovai attraente come non mai, forse anche più di prima.
-Ti va di scopare sul retro?- mi domandò con nonchalance dopo aver gettato alla bene-meglio il suo borsone sotto il letto e portandosi le braccia sui fianchi.
Sgranai gli occhi e scoppiai a ridere.
No, dopotutto non era poi così tanto cambiata.

Rientrai con circa una settimana di anticipo anche per poter parlare faccia a faccia con il sergente Gamble in maniera tale da velocizzare la mia istruzione. Obiettivo finale: diventare un aviatore!
-Ragazzo mio, che piacere rivederti!- mi disse accogliendomi con una sorprendente euforia.
Mi abbracciò come solo un padre poteva fare e, troppo fresco di lutto, mi irrigidì sotto il suo tocco. Poggiò le sue grandi mani su entrambe le mie spalle allontanandomi un poco e guardandomi dritto negli occhi -okay, cos'è successo?-.
Sorrisi disarmato, consapevole di non potergli nascondere nulla.
-Mio padre è morto- risposi senza veli.
Prima ancora di subirmi tutto il suo dispiacere e balle varie, aggiunsi -ti prego, non dire nulla e fa finta che io non ti abbia detto nulla-.
Con il suo sguardo severo mi esaminò da cima a fondo per poi dire semplicemente -dobbiamo riprendere subito gli allenamenti. Ho già accennato ad alcuni colleghi che entro la metà dell'anno prossimo entrerai in caserma come cadetto-.
Le mie spalle si rilassarono e sospirai rumorosamente -grazie-.
-Non farmi fare brutte figure, mi sto esponendo per te- rispose dandomi le spalle per poi aggiungere -ora vatti a lavare che puzzi come un cane morto, domattina sveglia alle cinque e cento giri di campo per iniziare-.
Il petto mi si gonfiò velocemente. Avvicinai immediatamente la mano alla fronte e, mettendomi in posa, urlai un forte -sì, signore!- prima di uscire dalla stanza.

***

Mi guardo le braccia piene di tatuaggi. Poi, con un frammento di vetro rotto in mano, mi rispecchio al suo interno allungando di un poco il collo a sinistra fino a sfoderare un altro splendido tatuaggio che si dirama lungo tutta la carotide di destra. Con la mano accarezzo il petto, non volendo scordarmi neanche di tutto l'inchiostro impresso sui miei addominali in ogni direzione. Il mio corpo è la mia anima e su di esso ho scolpito indelebilmente ogni ricordo importante della mia vita. Ecco perché il mio primo tatuaggio è stato proprio una farfalla monarca, a livello dell'avambraccio sinistro. Negli anni mi sono sentito dire che era troppo femminile, che avrei dovuto toglierlo o coprilo con un teschio o simili. La verità è che neanche sotto tortura lo cambierei. È molto bello. Immaginatevi sì una farfalla monarca, ma quasi astratta, dai colori abbozzati e dai lineamenti soffusi. Perché io l'associo esattamente ad una utopia, per me è importante il concetto che vi è dietro, un ricordo infantile che negli anni ho coltivato fino a trasformarlo nella mia attuale professione.
Mi guardo allo specchio ancora una volta, soddisfatto del risultato finale. Con la mano destra accarezzo la farfalla che giace beata sull'avambraccio sinistro. Mi sistemo meglio gli occhialini da aviatore sul capo e sorrido alla mia figura ormai matura. Forza, è ora di partire ancora una volta per una nuova avventura, senza scordare mai che questo presente mi è stato concesso solo perché il passato è stato ciò che è stato.

***

In quell'ultimo anno scolastico mi ritrovai a scendere dal piedistallo di belloccio della scuola, per far fronte a doveri ben più ingenti. La mia priorità assoluta era entrare nell'aeronautica militare. Il sergente Gamble, in tutto ciò, giocava un ruolo più che fondamentale. Dopo avermi studiato ed analizzato per l'intero primo anno, aveva finalmente deciso di sfoderare ogni sua arma, concentrando ogni energia su di me e sul mio apprendimento. A scuola venni in parte preso in giro per questo. In tanti alludevano ad una tresca tra me e lui, non comprendendo seriamente ciò che più ci legava. Non eravamo due fanatici militari, non c'era alcun legame sentimentale tra di noi, né l'allenamento e il duro lavoro fungevano da collante in questa nostra strana relazione – se così la si poteva definire. Tra di noi vi era un un'unica cosa in comune: l'amore per gli aerei. Ebbene sì, a fare da padrone nella nostra storia erano sempre quegli splendidi giganti volanti.
Fu proprio per questo motivo che ad un paio di mesi di distanza dal mio primo tatuaggio, me ne feci un secondo che raffigurava la tavola prospettica di un Fokker F.VII, il monoplano trimotore con cui Amelia Earhart sorvolò per la prima volta l'Oceano Atlantico. Ovviamente il mio ricordo andò a quel lontano pomeriggio di tanti anni addietro, in cui rivelai a Yoshiko del mio amore incondizionato per quell'aviatrice detentrice di tanti record mondiali.

In ogni caso, al vociare circa il mio rapporto stretto con il sergente Gamble, si aggiunse anche il fattore Sam. Già, perché le notizie, in luoghi così accalcati e piccoli come quello, corrono in fretta. Presto tutti seppero dell'omosessualità di Sam. Vorrei raccontarvi una di quelle storie a lieto fine. La sua famiglia l'aveva già accettata per quello che era, perciò vi aspetterete che i suoi coetanei facessero altrettanto. Ebbene no, per una volta i ruoli si invertirono e ad avere una vecchia e squallida mentalità, non erano tanto i genitori conservatori di lei, bensì i nostri stessi compagni di scuola.
Non mi importava davvero di quello che si diceva su di me e lei, ma non potevo negare che quell'ambiente così tossico, facesse star male Sam.
La famosa Cassandra Blake, quando seppe dell'omosessualità di Sam, le tolse persino il saluto. Una cattiveria, direte voi. In effetti così fu, ma concesse anche a Sam di conoscere la gente per chi realmente era.
Nonostante fosse assodata ormai la sua predilezione per il corpo femminile, Sam si intrufolava ancora sotto le mie coperte a notte inoltrata per poter trovare conforto e per poter sfogare ogni suo desiderio proibito.
In realtà io trassi parecchio vantaggio da quella relazione malsana. Grazie a Sam iniziai a conoscere e comprendere il corpo femminile in maniera impeccabile, riscoprendomi quasi capace di amare una donna. Dico quasi perché, seppur io sia stato legato a Sam da un sentimento molto profondo, non sono convinto che ciò fosse amore vero.
Ormai conoscevo ogni centimetro della sua pelle e potevo interpretare ogni sua espressione e voglia anche senza farle aprire bocca. Sotto le lenzuola Sam era un'altra donna. Seppur alla luce del sole potesse apparire impavida, sicura di sé e particolarmente tosta, sotto l'impallidire della luna si richiudeva a riccio e mostrava una certa timidezza che probabilmente solo io avevo potuto conoscere fino a quel momento.
C'erano molte cose di lei che amavo per davvero, come il mordersi il labbro inferiore quando voleva che io aumentassi il ritmo delle mie spinte; oppure l'inclinare la testa leggermente indietro e a destra per supplicarmi di scendere in basso per poter baciare e accarezzare la sua femminilità; oppure l'inarcare la schiena come a voler chiedere spinte più lente ma allo stesso tempo energiche; o ancora il contrarre le natiche sotto il mio tocco, chiedendomi di prenderla dalle spalle. Ed in quei momenti le piaceva il tocco rude, di colui che quasi approfittava del suo corpo per raggiungere un piacere veramente etereo. Eppure non l'ho mai usata, né l'ho mai amata in quei momenti.
Le prime volte erano imbarazzanti, lei doveva prendermi la mano nella sua e guidarmi in ogni mia mossa perché non sapevo davvero dove andare o cosa fare per poterle procurare un minimo di piacere. Ma con il tempo imparai davvero a giocare con lei e con la sua femminilità, tanto da anticipare le sue voglie e le sue pensate. I suoi orgasmi si fecero sempre più sentiti e più eccitanti di volta in volta. Mi accorsi con estremo piacere che mi bastava anche solo guardarla godere del mio tocco. Non mi importava dover entrare realmente in lei, mi importava quasi più recarle piacere. Fu allora che capì di volerle comunque molto bene. Okay, non era amore e non lo era mai stato. Ma le volevo davvero tanto bene. E il poter soddisfare le sue voglie, assecondare i suoi desideri e far avverare ogni suo sogno erotico, per me era un po' come regalarle l'unica cosa che ero in grado di darle davvero. Non era amore, ma forse un po' lo era, anche se in una versione molto differente rispetto a ciò che generalmente si può pensare.

-Sai, Brent- mi disse una sera Sam guardando la fioca luna -credo di piacere ad Annah-.
Ero sdraiato sulla sabbia, con entrambe le braccia sotto il capo, rilassato come non mai. Quella rivelazione mi scosse nel profondo.
-Annah, huh? Parli della ragazza nuova, quella biondina con le lentiggini?- le domandai sdraiandomi sul fianco.
-Sì, proprio lei- mi disse Sam senza distogliere lo sguardo dal nostro satellite luminoso -secondo te se ci provo, ci sta?-.
Sorrisi divertito, tornando in posizione supina.
In quel preciso istante avrei voluto mentirle, dicendo che probabilmente non avrebbe accettato un invito ad uscire da parte sua. Ma la verità era che Sam era una bella persona e per me meritava il meglio. In quel preciso istante capì che meritava di prendere il volo e di staccarsi dal passato, in un certo senso necessitava di svecchiarsi. Io ero solo una stupida ancora a cui lei si era aggrappata per tanto, troppo tempo. Io le davo sicurezza, io c'ero sempre per lei e sempre ci sarei stato. Perciò le dissi l'unica cosa che mi venne spontaneo dirle in quel momento -io fossi in lei ci starei-.
Lei mi tirò un pugno al braccio -scemo, tu già ci stai!-.
-Brent, non ti fa strano farti tua sorella?- mi domandò tutto d'un tratto come era suo solito fare.
-Sam, ma cosa diavolo stai dicendo!- imprecai quasi strozzandomi con la mia stessa saliva.
-Sì, insomma, tu per me sei come un fratello, perciò io sono tua sorella- mi disse lei sorridendomi -abbiamo un rapporto incestuoso io e te-.
Mi portai una mano sul viso divertito, senza in realtà aver nulla da contestare. Lei scherzava ed io lo sapevo bene. Eppure amore fraterno era il modo più corretto per descrivere ciò che provavo per lei.
-Però... sì, insomma, se hai bisogno di capire meglio come funziona il clitoride femminile, puoi sempre chiedere a me che ti mostro meglio dove cercarlo- rispose vaga Sam gesticolando al vento e lasciandosi trasportare da una risata piuttosto genuina.
-Sei incorreggibile- le dissi divertito e non dando eccessivo peso alle sue parole. Ormai sapevo perfettamente quando non dover dar conto a ciò che diceva.
-Ho un'idea ancora più allettante- mi disse lei balzandomi sul petto e portando il suo viso a due centimetri dal mio volto.
-Ti prego, lascia che indovini- dissi mantenendo una certa calma, ma focalizzandomi sul suo sguardo. Poi lo notai, quel sopracciglio destro leggermente alzato, l'angolino della bocca inarcato verso l'alto, quello scintillio negli occhi che preannunciava un pensiero osé.
Sorrisi, avevo intuito il suo pensiero -appena avrai una fidanzata vera, faremo una cosa a tre-.
Lei spalancò gli occhi e si portò una mano al volto -Brent Smith, cazzo!- imprecò alzandosi in piedi e cominciando a saltellare qua e là in preda ad una strana danza della pioggia -come ci sei riuscito?-.
Scoppiai a ridere e, alzandomi in piedi e dandole le spalle, mi allontanai verso il nostro bungalow senza darle alcuna risposta. Non era necessario. Ve l'ho detto, ormai riuscivo ad interpretare ogni suoi pensiero.

Il sergente Gamble in quel periodo mi diede filo da torcere, ma non vi nego che questo suo imporsi su di me, il volermi allenare fino allo sfinimento – mio e suo tra l'altro – mi aiutò molto a tenere la mente lontana dal pensiero di mio padre. Non che volessi scordarmi di lui. Ma la sua perdita era ancora viva in me e doleva come fosse una ferita aperta. Impossibile da rimarginare, sapevo bene che neanche con gli anni avrei potuto convivere con quel dolore. Ma il tenere corpo e mente impegnati mi aiutava, perché alla fin fine ero talmente focalizzato sul mio obiettivo prossimo, da non aver tempo né forze di concentrarmi su altro.
Con l'arrivo del primo Natale senza mio padre, però, quella sensazione sfumò. Vi erano ben due settimane di vacanze in cui inesorabilmente mi sarei ritrovato a pensare a lui, al nostro primo Natale separati. Per fortuna però non ero solo al mondo e Sam, con un gesto del tutto altruista, mi invitò a trascorrere le festività a casa sua.
Oxford, una delle mete più ambite di tutti i turisti. Credetemi se vi dico che ha letteralmente rapito il mio cuore.
Samantha mi presentò ai suoi genitori senza filtri, dicendo che io ero quello con cui fingeva di stare per non far notare agli altri la sua omosessualità. Un gran bel biglietto da visita, soprattutto tenendo conto che suo padre era un reverendo.
-Piacere- dissi ormai immerso nell'imbarazzo più totale allungando un braccio e stringendo la sua fredda mano.
L'uomo non disse una parola, mi squadrò dall'alto in basso – seppur lui fossi una spanna più basso di me – e strinse la presa sulla mia mano.
La madre imbarazzata lo scostò leggermente fino a stringermi anch'ella la mano e invitarmi ad entrare in casa.
-Samantha ci ha detto che hai appena perso il padre, quanto mi dispiace- mi disse con quella vocina acuta e fastidiosa, completamente priva di empatia.
Non avevo parole da porgli dopo quella frase, perciò mio limitai ad annuire e distogliere lo sguardo da lei.
-Mamma!- la rimproverò subito Sam allargando le braccia e sospirando -ma ti pare!-.
Il padre abbozzò un sorriso osservando le due donne intraprendere un lungo ed estenuante litigio su quali fossero i modi più carini di porgere le condoglianze ad uno che aveva appena perso il padre.
Rimasi inebetito in piedi in salotto, domandandomi perché avevo accettato l'invito a trascorrere quel Natale insieme alla famiglia Elliots.
Il padre di Sam, che si chiamava Klaus, mi porse una mano sulla spalla, invitandomi poi a seguirlo nel giardino sul retro della villetta.
-Samantha mi ha detto che hai fatto per lei- mi disse appena chiusa la porta alle sue spalle.
Klaus Elliots era sicuramente un personaggio molto singolare. Era molto alto, seppur meno di me, con una gran massa di capelli biondo ossigenato e due occhi talmente azzurri da far quasi impressione.
Feci per contestare la sua frase, ma l'uomo subito esordì dicendo -mia figlia è sempre stata diversa dagli altri-.
Seppur non abbia apprezzato il termine da lui usato, nel suo tono non vi era disprezzo per tutto ciò. Si vedeva però che faticava ad accettare la sua omosessualità.
-Ti sbagli- disse ad un tratto.
Lo guardai confuso non capendo a cosa potesse alludere.
-So benissimo cosa stai pensando, Brent- mi disse distogliendo lo sguardo e fissando per un istante il cielo -non fatico ad accettare la sua scelta sessuale-.
Inarcai subito un sopracciglio stupito dalla sua perspicacia.
-La verità che ho paura del mondo e non di lei- mi spiegò mettendosi entrambe le mani nella tasca dei jeans -di come il mondo potrà trattarla d'ora in avanti e di come tenterà di emarginarla-.
Sorrisi e mi avvicinai a lui piuttosto convinto di me -lo sa, signor Elliots, anche io ho paura del mondo, ma sa una cosa, non ho mai conosciuto una ragazza più in gamba di sua figlia!-.
Lui mi guardò con occhi colmi di paura.

***

Quello era uno sguardo che non ho mai dimenticato. Lo sguardo di un padre che si strugge per il possibile futuro della figlia in una società ancora emotivamente arretrata e non in grado di affrontare così apertamente l'omosessualità. Lo stesso identico sguardo di terrore che aveva mio padre in procinto di morte, quando mi confessò di non essere pronto a lasciarmi solo. Probabilmente uno di quegli sguardi che solo quando si diventa padri si può veramente capire.

***

Nonostante mi aspettassi chissà quale stranezza in casa Elliots, dovetti ammettere che il Natale trascorso da loro fu piuttosto piacevole. Sua madre si rivelò una cuoca eccezionale, mentre suo padre mi accolse come un figlio raccontandomi vecchi aneddoti sulla sua vita religiosa aprendomi le porte ad un credo che non conoscevo di avere.
Il rientro in accademia fu piuttosto brusco poiché il sergente non si risparmiò con gli allenamenti. A detta sua, vi erano ben due settimane di pacchia da recuperare; ma in verità ero consapevole che lui ci stava mettendo faccia e reputazione, perciò ci teneva particolarmente al mio buon successo.
A Marzo dovetti affrontare i tanto temuti test di ingresso in accademia a Shawbury. In realtà non conoscevo questo passaggio, ero convinto che accettassero chiunque nell'esercito e, con mia grande sorpresa, scoprì che non era affatto così. Persino i decimi di vista potevano fare la differenza.
Ad accompagnarmi in questo salto nel buio vi era ovviamente il sergente Gamble.
-Mi aspettavo di dover frequentare prima l'accademia di smistamento, non pensavo di poter far domanda direttamente per l'aviazione- dissi dubbioso rivolto al mio mentore.
Lui allargò le braccia e mi rispose -che vuoi che ti dica, mio caro Brent, le vie del Signore sono infinite-.
Scoppiai a ridere ormai sicuro che ci fosse il suo zampino in tutto ciò.
-Ti sei allenato duramente per giungere fino a qui. Ti ho accolto a scuola che eri un pivellino di soli sedici anni con ancora i peli pubici da far crescere ed ora ti ritrovo a spiccare il volo da solo come un uomo fatto e finito- mi disse il sergente fronteggiandomi e poggiando le sue grandi mani su entrambe le mie spalle -sappi che comunque andrà, sono molto fiero di te, Brent-.
Non ebbi né modo né tempo di fiatare, che un uomo, quasi il doppio di me in quanto stazza, mi si avvicinò e mi invitò a seguirlo.
Quel pomeriggio decretò il mio futuro. Scoprì di aver ottenuto il massimo dei voti in ogni ambito di valutazione. I miei test attitudinali risultarono più che brillanti e le mie prove fisiche quasi al limite dell'umano. Dissero che avrebbero anticipato l'iscrizione a Maggio qualora fossi interessato. Mi dissero che non avevano mai visto un esame di simile portata ma che, con molta probabilità, tutto ciò era solo merito del mio mentore. Al sergente Gamble, dunque, dovevo veramente molto. Lui mi aveva accolto sotto la sua ala senza indugio, non trattandomi come il resto della società che mi vedeva fragile e problematico. Lui era riuscito a cogliere la mia emotività, legata soprattutto alla mia condizione famigliare assai precaria, ed a trasformarla in una forza interiore in grado di infondermi le energie necessarie per poter affrontare il futuro a testa alta.

***

Non posso dire di dover la vita al sergente Gamble, perché non mi sarei comunque suicidato o sciocchezze simili in seguito alla morte di mio padre. Però se non fosse stata per la sua presenza costante, probabilmente di lì a pochi mesi mi avrebbero dovuto raccogliere con la scopa, perché sicuramente sarei andato in mille pezzi.
Sicuramente sarei sopravvissuto fino ad ora, con o senza di lui. La differenza sta nel modo con cui l'avrei fatto. È grazie a lui se ora posso affermare con estrema certezza che ho preso le decisioni giuste nella vita, arruolandomi, seguendo la mia passione per i velivoli e cercando di volare il più in alto possibile.
Quell'uomo ha impresso nel mio animo un profondo sentimento di gratitudine e mi ha fatto comprendere l'importanza di non essere mai soli e di aver sempre qualcuno affianco, soprattutto quando si tratta di prendere decisioni importanti.
Il sergente Gamble per un breve periodo della mia vita rimpiazzò la figura paterna che avevo perso. Fu proprio per questo che quando morì, esattamente tre giorni dopo il nostro viaggio a Shawbury, la mia vita subì una brusca frenata ancora una volta, per poter accogliere nel cuore l'ennesimo lutto.
In quell'istante realizzai una brutta verità: che tutti noi siamo di passaggio su questa terra e che nessuno è immune alla falce dell'oscuro mietitore.
Sono sempre stato convinto che il sergente fosse immortale. Forse perché fisicamente appariva quasi come un dio greco, dai muscoli ben scolpiti e quel sorriso smagliante che ammaliava ogni mia compagna di scuola.
Klaus quel Natale passato mi disse che il tempo di ciascuna persona è limitato al poter raggiungere e centrare l'obiettivo per il quale è stata messa al mondo. Questo pensiero mi fa sorridere, perché il sergente è morto subito dopo la mia ammissione nell'esercito, perciò mi vien quasi da pensare che il suo scopo fosse quello di farmi da mentore e indirizzarmi verso il mio futuro. Forse sono troppo precipitoso in questo mio pensiero o forse sono semplicemente egocentrico, ma mi piace pensare che sia andata davvero così.

Il mese dopo anticipai la mia partenza e mi arruolai nell'aeronautica militare presso l'accademia di aviazione a Shawbury.
  
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