ink
Ink memories
Racconta la tua nascita e i primi anni della tua infanzia,
fino all’ingresso alle scuole elementari.
Leggo ancora quella dannata frase che ho ricopiato dalla
lavagna e picchietto la punta della penna sul banco. Forse sarebbe stato meglio
se oggi me ne fossi rimasto a casa.
Ma del resto non potevo sapere che il maestro Redding ci
avrebbe fatto fare un tema così idiota: prima di tutto non posso raccontare la
mia storia ai quattro venti col rischio che mandino via la mia famiglia
dall’America a calci in culo – o, peggio ancora, che mettano i miei fratelli in
galera –, e poi che senso ha raccontare qualcosa che non possiamo ricordarci? E
se un alunno fosse orfano e non sapesse nulla della sua nascita?
Faccio giocare la lingua col dentino che mi si sta per
staccare – forse è un incisivo o un canino, non lo so, questi nomi mi
confondono sempre – e lo sento dondolare sempre più forte, sta cominciando a
darmi sui nervi. Fa un po’ schifo che ai bambini della mia età cadano i denti.
Sbircio ancora una volta il mio foglio, poi ci poggio sopra
la penna con un sospiro; basta, ci rinuncio. Detesto l’idea che, siccome siamo
bambini, dobbiamo per forza sputtanare i fatti nostri agli insegnanti, cosa
gliene frega del mio passato? Consegnerò il compito in bianco, pazienza.
Con la coda dell’occhio osservo Sammy, il mio compagno di
banco, che ha già cominciato a scrivere veloce sul suo foglio con la testa
bassa e una cascata di capelli ricci e rosso acceso che gli copre il viso.
Sammy mi fa ridere perché durante i temi si concentra e si impegna tantissimo,
ma non riesce a mettere in fila due parole senza fare qualche errore di
grammatica e si becca un’insufficienza tutte le volte.
È più probabile che io prenda un voto più alto di lui, anche
se consegno il foglio vuoto.
Anzi, chi lo dice che rimarrà del tutto in bianco? Potrei
sempre decorarlo, almeno il maestro Redding avrebbe qualcosa da guardare.
Sposto lo sguardo sull’insegnante, impegnato a sfogliare un
libro – forse sta preparando qualche lezione – e poi lo porto nuovamente sul
mio foglio. Afferro la penna nera e comincio a disegnare la prima cosa che mi
viene in mente: un drago.
I draghi sono fighi, mi fanno pensare a qualcosa di potente
e mi piace il fatto che sputino fuoco. Non che io sia un grande esperto, ma mi
è capitato di vederne qualcuno in qualche stupido cartone animato. Comunque
sono belli da disegnare.
Traccio con attenzione la testa, il corpo ricoperto di
squame, le ali, le zampe… e tante fiamme tutte intorno, deve proprio andare a
fuoco. Peccato che il maestro non ci permetta di prendere i colori o la penna
rossa, altrimenti sarebbe un capolavoro!
A ben pensarci potrei fare un disegno del genere sul mio
skate, che è troppo anonimo e per niente figo. Oh sì, in stile graffito, magari
anche un po’ impreciso…
Smetto di giocherellare col dentino che dondola e mi volto
appena verso destra. “Sammy?”
Il mio compagno di banco sobbalza sorpreso, poi mi guarda
stralunato, come se fosse appena tornato alla realtà. “Dimmi” bisbiglia.
“Questo pomeriggio mi servirebbe della vernice… ce la
procuriamo?”
Lui sgrana gli occhi. “Vernice? A cosa ti serve? E dove
pensi di prenderla?”
“Voglio fare un disegno sul mio skate. Però non so ancora di
preciso che colori mi servono…”
“Ethan, Samuel! Vi sembra questo il momento di
chiacchierare? Vi ricordo che siamo nel bel mezzo di un tema per cui riceverete
un voto!” ci interrompe Redding cercando di usare il suo tono più autoritario.
Ma la verità è che non ce la fa proprio a rimproverarci.
Il maestro Redding è un uomo sulla quarantina troppo buono e
dolce per essere finito a insegnare nel ghetto, si vede che è una persona
perbene e non capisco proprio cosa ci faccia nella nostra scuola. A differenza
degli altri maestri e delle altre maestre, che sono tutti pervertiti e puttane,
lui ci tiene davvero a noi e si impegna per fare le lezioni, per coinvolgerci e
insegnarci le cose. Per esempio a me dice sempre che sono molto bravo a
scrivere e disegnare, che imparo in fretta e sono un ragazzino sveglio.
Pure troppo, visto quanto lo faccio dannare.
Lo guardo dritto nei suoi occhi grigi e paterni e metto su
un sorrisetto innocente. “Lo sappiamo, maestro. Ma veramente io avrei finito.”
“Non prendermi in giro, Ethan: sono passati solo venti
minuti” ribatte lui aggrottando le sopracciglia.
“Non sto scherzando.” Passo la mano per l’ultima volta sul
disegno del mio bellissimo drago, poi mi alzo e lo porto alla cattedra; lo
poggio sul piano ancora vuoto e incrocio le braccia al petto con orgoglio.
Redding strabuzza gli occhi per un istante e impallidisce,
poi mi regala un’occhiata severa e per niente divertita.
Chiunque abbasserebbe il capo e smetterebbe di sorridere
sotto i baffi a questo punto, ma non io: sostengo il suo sguardo senza battere
ciglio.
“E questo cosa dovrebbe significare? Vuoi essere per caso
sospeso, ragazzino?” sbotta il maestro. Magari questa è la volta buona che lo
faccio incazzare davvero.
“Non ho niente da scrivere per questo tema” mi giustifico.
“Sai cos’è questo?” Indica il foglio con un ampio gesto
della mano. Sta cercando di mantenere la calma, ma mi rendo conto che sta
facendo fatica per via della vena del collo che ha cominciato a pulsargli.
“Un drago” affermo senza esitazione.
“Un’insufficienza! Anzi, questo compito non è nemmeno
qualificabile! Siamo solo a ottobre e tu stai cominciando l’anno nel modo
sbagliato, ma non pensare di poterla passare liscia…”
Ma io ho smesso di ascoltarlo: a furia di torturare quel
dentino, ha finito per staccarsi e adesso me lo sono ritrovato in bocca insieme
a un disgustoso sapore di sangue. Cazzo, è successo proprio nel momento
peggiore…
O forse no?
Senza nessun preavviso sputo il dente proprio sopra il
foglio, macchiandolo di sangue e saliva, poi mi lascio sfuggire un sorriso.
Intorno a me si scatena il finimondo: alcuni miei compagni urlano
disgustati, altri scoppiano a ridere e il maestro Redding batte con forza un
pugno sulla cattedra per riportare la classe all’ordine; dopo qualche secondo,
vedendo che i suoi sforzi non servono a niente, torna a concentrarsi su di me e
mi incenerisce con un’occhiata ostile, come non aveva mai fatto prima.
Forse stavolta ho esagerato un po’. Ah, fanculo, è troppo
divertente!
“Ethan AraÚjo, io
non so nemmeno con che parole definirti” ringhia, la voce gelida.
“Ehm… maestro, posso
andare a sciacquarmi la bocca?” gli chiedo con fare da finto tonto, senza
smettere di sorridere.
“Esci da questa
stanza e non tornarci fino alla fine dell’ora! E non credere che sia finita
qui, stavolta mi vedrò costretto a prendere provvedimenti seri. Hai tirato
troppo la corda, signorino!”
Mi avvio tranquillo
verso l’uscita: in un modo o nell’altro alla fine sono riuscito a saltare
questo compito.
“Ehi, Ethan!” mi
richiama la voce di Mitchell – un mio amico del quartiere – in mezzo a tutto il
casino della classe.
Mi volto verso di
lui, seduto all’ultimo banco, e gli faccio segno di parlare.
“Posso prendere io il tuo dente? Magari la fatina dei denti
mi porta qualcosa!” sputacchia lui col suo solito atteggiamento impertinente.
Non per niente è uno dei miei compagni di scorribande preferiti.
Gli strizzo l’occhio. “Per i miei denti non passano fatine,
soltanto fattoni!”
“Ho detto fuori!” sbraita Redding sempre più incazzato.
Va bene, è il caso che la pianti.
Esco in corridoio e mi dirigo in bagno continuando a
ridacchiare tra me.
La campanella suona, annunciando la fine delle lezioni.
Getto a casaccio dentro il mio zaino sudicio e stracciato
quelle due cose che avevo sul banco e me lo getto in spalla, pronto a uscire.
Io e Sammy dobbiamo andare a cercare della vernice per il mio skate.
“Io però non ho tantissimi soldi, questa settimana papà mi
ha dato giusto il tanto per comprare la merenda” afferma Sammy mentre ci
avviamo fuori dalla classe, frugandosi nelle tasche dei pantaloni e portando
fuori solo qualche spicciolo.
“Dovrei avere qualcosa io. E se non basta, possiamo sempre
rubarla.” Mi stringo nelle spalle.
“Vuoi disegnare lo stesso drago di oggi?” mi chiede il mio
amico curioso, mettendo su il suo solito sorrisone entusiasta.
“Sì. E ho anche scelto i colori, quello schizzo di sangue mi
ha ispirato molto.”
“Non così in fretta, Ethan.”
Stiamo per lasciare l’aula quando la voce del maestro
Redding mi giunge alle orecchie. Ecco, un po’ me l’aspettavo.
Mi volto e lo osservo, lasciandomi sfuggire un sospiro. Non
vedo l’ora di uscire da questa gabbia, ci manca solo che mi trattenga ancora.
“E non fare quella faccia, se c’è una persona che dovrebbe
essere infastidita qui sono io. Vieni qui, dobbiamo fare una bella
chiacchierata.” È in piedi accanto alla cattedra, tiene le braccia incrociate
al petto e le sopracciglia aggrottate.
“Aspettami fuori” borbotto rivolto a Sammy, poi raggiungo il
maestro e mi piazzo davanti a lui a testa alta.
“Ragazzo mio, tu ti devi ritenere molto fortunato. Il gesto
di stamattina è stato talmente oltraggioso che, se al mio posto ci fosse stato
qualsiasi altro insegnante, saresti già finito dal preside, i tuoi genitori sarebbero
stati convocati e probabilmente rischieresti l’espulsione. Non solo hai
pasticciato e consegnato un compito in classe, un documento ufficiale,
ma ci hai pure sputato sopra, mancando di rispetto a me, ai tuoi compagni e
all’intera scuola. Del resto questa non è nemmeno la prima volta che ti rendi
protagonista di qualche azione illecita e ingiustificabile, nonostante gli
sforzi della scuola non accenni a cambiare e a riconoscere i tuoi errori.”
Evito di sbadigliargli in faccia solo perché sono già
abbastanza nei casini. Tutto molto interessante, ma quand’è che arriva al
punto? Io voglio tornarmene a casa.
“Tuttavia io ti conosco da tre anni e so che c’è del
potenziale in te: i tuoi temi sono sempre eccellenti, hai un gran talento per
la scrittura e per l’inglese e voglio sperare che quello di oggi sia un evento
isolato. Perciò, al solo scopo di incoraggiarti, voglio darti una seconda
possibilità, fiducioso che stavolta non la sprecherai.” Fa una pausa a effetto
e il suo viso si illumina appena, sembra quasi che stia per sorridere ma non lo
fa. “Entro domani voglio il tuo tema sulla traccia che ho dato oggi in classe.
Domani, non un giorno di più.”
Sgrano gli occhi. “Ma, maestro…”
“Senza se e senza ma!” mi interrompe. “Se
entro domattina non avrò il tuo tema, convocherò i tuoi genitori e racconterò
il fatto di oggi al preside. Rischi la sospensione, Ethan.”
Ecco, ora sto cominciando a incazzarmi.
“Io non ho nessuna intenzione di fare un compito così
stupido e raccontare i cazzi miei a tutto il mondo” ruggisco, mantenendo
comunque una certa calma. Non è da me strillare e pestare i piedi.
“Innanzitutto modera i termini: un’altra parolaccia e ti
spedisco dal preside seduta stante, senza seconde possibilità” mi rimprovera.
“Io non ho niente da scrivere” ribatto.
“Bene, la scelta sta a te. io ti ho dato le mie condizioni,
ora è tutto nelle tue mani” conclude, recuperando la sua cartella da sopra la
cattedra.
“Questa è un’ingiustizia. Ma dico, si rende conto delle
tracce idiote che ci porta? Non poteva inventarsi qualcosa tipo descrivi il
tuo compagno di banco o cose così?” protesto ancora, ma lui sembra non
ascoltarmi più.
“Ciao Ethan, a domani. Puoi andare. E, mi raccomando,
pensaci.” Detto questo, indica la porta con un cenno.
Ah, ma che cazzo! Tanto è impossibile negoziare con lui, è
un pezzo di merda.
E io mi sono messo nei casini.
Sbuffo e mi dirigo verso il cortile della scuola, dove Sammy
mi sta ancora aspettando appollaiato su un gradino. Non appena mi vede
arrivare, si mette in piedi e mi sorride.
Invece io vorrei soltanto prendere a pugni qualcuno. Che
giornata di merda.
“Allora, andiamo dal signor Jeffries a comprare la vernice?”
“Col cazzo. Devo tornare a casa e fare questo fottuto
compito.”
Vorrei solo salire sul mio skate e correre per la strada
come un matto, liberare la testa da tutto.
Oppure suonare la mia adorata chitarra fino a farmi
sanguinare le dita.
Entro in casa e il solito odore di umidità mi entra fin
nelle ossa. Quando comincia la stagione fresca, in questa topaia c’è sempre
puzza di umidità.
Vado in camera mia come una furia e scaravento lo zaino sul
letto, poi mi sposto in cucina. La rabbia mi fa sempre venire fame, se ho
fortuna trovo qualche pacco di biscotti o qualche altra cosa in frigo.
Quando entro nella stanza, quasi vado a sbattere contro
Olivia, che sta mettendo a posto la spesa nel frigo e nella credenza. Lei
sobbalza e lancia un piccolo grido, poi si rende conto che sono io e si
rilassa.
“Ethan! Non si avvisa quando si rientra? Mi hai fatto
spaventare!” esclama con una risata, ma quando mi osserva meglio si rende conto
della mia espressione e allora anche lei si acciglia. “Come mai quella faccia?
E come mai sei già rientrato?”
“Non è successo niente” rispondo in tono piatto, sbirciando
dentro una busta della spesa ancora piena poggiata sul tavolo.
“Puoi raccontare balle a tutti, ma non a me.”
“E lasciami in pace!” sbotto.
Dentro questa busta c’è solo verdura, che palle. Io voglio
mangiare.
“Ethan.” Sento Olivia afferrarmi per un braccio; mi trascina
fino al divano mezzo sfondato, mi ci fa sedere e si accomoda accanto a me.
Cerco di liberarmi dalla sua presa per potermene andare, ma
lei non molla nemmeno per un secondo.
“Guardami, dai” mormora mia sorella con dolcezza, posandomi
due dita sotto il mento per farmi sollevare la testa.
Ah, Olivia… è sempre così paziente. Meno male che c’è lei.
“Il maestro Redding è uno stronzo” ammetto infine.
“Non è vero, l’ho conosciuto ed è pure troppo buono. Cosa è
successo?”
“Oggi avevamo un compito in classe, il tema chiedeva di
raccontare la nostra nascita e la nostra infanzia fino alle elementari. Io ho
consegnato il foglio in bianco, anzi, veramente ci ho disegnato un drago,
perché non sapevo che cosa scrivere. Non posso raccontare la mia storia vera,
altrimenti finiamo tutti a marcire in prigione! Ho cercato di spiegargli che
non mi va di sputtanare i fatti miei, ma mi ha detto che se non gli porto il
tema finito entro domani mi manda dal preside e convocherà anche i miei
genitori… cioè, insomma, te e Davi. Quindi io adesso dovrei fare questo
merdoso tema, e cosa cazzo dovrei scrivere?”
Olivia mi ascolta assorta, mi osserva con attenzione con i
suoi grandi e dolci occhi neri e ogni tanto giocherella con una ciocca di
capelli mossi.
Alla fine del mio discorso, piega la testa di lato e
sorride. “Apri la bocca.”
“Perché?”
“Ti è caduto un dentino, vero?”
Cazzo, mi ero dimenticato dell’enorme e orribile buco nella
mia dentatura. Annuisco.
“E dove è andato a finire?”
“Stai cambiando discorso! Cosa scrivo io nel tema?” sbotto,
liberandomi finalmente dalle sue dita e incrociando le braccia al petto.
“Okay… non è necessario raccontare tutta la verità.
Inventati qualcosa, l’importante è che consegni un tema. Come può il maestro
sapere se dici la verità?” mi consiglia in tono calmo.
“Ma io non ne ho voglia! Oggi volevo uscire, avevo altri
programmi…”
“Stai in giro tutti i giorni, cosa cambia se fai
un’eccezione?”
“Cambia per me!”
“Ethan, per favore.” Olivia si fa di colpo seria e mi guarda
dritto negli occhi. “Lo sai che io e Davi non possiamo essere convocati,
abbiamo altro da fare durante il giorno e non è il caso che il preside o
l’insegnante conoscano nel dettaglio la nostra famiglia. Ti prego, fallo per
me…” mi supplica.
In fondo lo so che ha ragione, ho promesso loro che non
avrei combinato casini e non devono correre rischi per colpa mia.
“Dai, fratellino…” Olivia mi prende per mano e mi trascina
fuori dalla cucina, fino in camera mia. La osservo mentre libera la scrivania
dal casino che ho lasciato, recupera un foglio e una penna dal mio zaino e li
appoggia sul piano di legno.
Io rimango fermo sulla porta finché lei non mi rivolge
un’occhiata speranzosa. “Vuoi almeno provarci?”
Sospiro e mi siedo davanti al foglio bianco, guardo quelle
maledette righe che non so come riempire. Prendo la penna in mano e sono quasi
tentato di disegnare un altro drago, ma sento ancora gli occhi di Olivia su di
me e allora mi trattengo.
Scrivo il mio nome, la data e la traccia del tema – l’ho
letta e riletta talmente tante volte quando ero in classe che l’ho imparata a
memoria.
“Passo a trovarti più tardi. Buon lavoro!” cinguetta mia
sorella con la sua voce dolce, mi lascia una carezza sulla testa e poi esce
dalla stanza, lasciandomi solo col mio stupido tema.
Accendo la radio e metto un po’ di musica di sottofondo,
spalanco la finestra, poi torno a sedermi e faccio girare un paio di volte il
mappamondo che sta accanto a me. Che palle.
Basta, ho deciso: scriverò e basta. Quello che mi viene, che
sia la verità o no, e vediamo che ne salta fuori.
Riprendo in mano la penna e abbasso il capo, raccogliendo
tutta la concentrazione.
Penso che questo compito sia molto stupido, perché nessuno
si ricorda della sua nascita e quindi non la può raccontare. Non capisco
proprio cosa passa per la mente dei maestri quando portano fuori queste
stronzate!
Ma va bene, lo faccio lo stesso, giusto per non essere
buttato fuori dalla scuola. Anche se è una scuola merdosa e per poveri, ma mio
fratello e mia sorella vogliono che io ci vada perché nel frattempo loro devono
fare un sacco di cose e non potrebbero restare con me. Quindi lo faccio per
loro, anche se non sono molto convinto.
Allora!
Mi chiamo Ethan AraÚjo
e sono nato il 23 giugno 1967 a Bahia, in Brasile.
Quando sono nato io,
c’erano già altri quattro fratelli: Davi, che è il più grande, poi Arthur che
ha due anni in meno di lui, poi Olivia che è stata la prima femmina e poi
Thiago, che aveva solo due anni in più di me. Poi quando avevo tre anni è nata
anche Lília, la mia sorellina minore, e quando ne avevo quattro mia mamma era
di nuovo incinta, ma non so se poi è uscito un maschio o una femmina e se ci
sono altri fratelli venuti dopo.
Il mio nome, Ethan,
è un nome inglese anche se io sono del tutto brasiliano. L’ha scelto mio
fratello Davi per me, perché quando sono nato mia mamma era troppo impegnata a
seguire tutti i figli e mio padre era troppo impegnato a lavorare e ubriacarsi
e scopare per pensarci. Davi voleva che avessi un nome diverso dagli altri,
così ha scelto Ethan.
Anche se quando ero
in Brasile tutti lo pronunciavano ‘etan’ con la ‘e’ e questa cosa mi faceva
incazzare tantissimo. Per fortuna adesso che sono a Los Angeles lo pronunciano
bene.
Mio padre era un
pezzo di merda. O forse lo è ancora, ma io spero che sia morto perché faceva
troppo schifo. Beveva sempre tantissimo e quando tornava a casa era molto
violento, insultava mamma e la picchiava, poi la portava nella loro camera e la
scopava fino a farle male.
Io queste cose le so
perché a casa mia nessuno nascondeva niente, ai miei genitori non gliene
fregava niente se eravamo solo bambini.
Una volta mio padre
ha fatto sesso con mia madre davanti ai miei occhi, io me lo ricordo perché
avevo già quattro anni e penso che quella volta sia rimasta incinta del
fratellino o della sorellina che non ho fatto in tempo a conoscere. C’ero solo
io a casa con loro quel giorno, non hanno nemmeno chiuso la porta e io ero
troppo paralizzato e spaventato per chiuderla. Quella volta ho pianto
tantissimo ed è stata l’ultima volta che ho pianto.
Io non piango mai.
Olivia a volte mi dice che non sono un bambino normale.
Comunque, mio padre
era talmente un pezzo di merda che qualche volta picchiava anche noi. Io veramente
non mi sono mai fatto picchiare e nemmeno Davi, perché io e lui avevamo due
caratteri simili e lo sfidavamo, ci incazzavamo e non lo rispettavamo. Tutti
nella mia famiglia si stupivano quando lui mi sgridava e io per risposta ridevo
e gli sputavo in faccia.
Non mi faceva paura,
era soltanto uno stronzo.
Una sola volta mi
sono fatto picchiare, sempre quando avevo quattro anni, perché lui stava
picchiando Lília troppo forte per farla smettere di piangere e io l’ho difesa. Lília
era piccola, aveva solo un anno, non si picchiano i bambini così piccoli.
Poi io mi incazzo
tantissimo quando fanno del male alla mia sorellina. È da almeno tre anni che
non la vedo e non so come sta, mi manca tanto.
Comunque lui se la
prendeva soprattutto con Arthur perché lui era il più timido e debole di tutti
e allora lo riempiva di botte e gli tirava i capelli, a volte lo faceva
sanguinare. Qualche volta Davi cercava di difenderlo, ma non è che Davi poteva
esserci per tutti. Molto spesso era in giro e certe volte portava Arthur con
lui, ma quando Arthur era in casa insieme a papà era il finimondo.
Picchiava anche
Olivia, anche se lei un po’ meno perché era una brava bambina e cercava sempre
di non farlo incazzare. Olivia è davvero brava e dolce, mi fa da mamma adesso
che ce ne siamo andati dal Brasile e ha tantissima pazienza. È la sorella
migliore del mondo.
Thiago invece non lo
toccava nemmeno con un dito. Era il suo figlio preferito. Thiago infatti era un
pezzo di merda come suo padre.
Mamma invece non
faceva niente, era completamente… c’era una parola per dirlo, ma non me la
ricordo, insomma quando uno non riesce a ribellarsi… ecco, lei faceva tutto
quello che voleva papà e a volte sembrava che non ci volesse bene. Non riusciva
mai a difenderci quando lui se la prendeva con noi, piangeva e basta.
Piangeva, cucinava,
puliva e faceva figli. Tutto il giorno e tutti i giorni.
Davi comunque non
stava con le mani in mano, non usciva soltanto per divertirsi. È stato quando
eravamo ancora a Bahia che è diventato uno spacciatore e ha cominciato a
conoscere gente importante e a fare soldi, poi ha coinvolto Arthur che era già
abbastanza grande per capire e fare lo stesso.
Anche io ero sempre
fuori di casa, anche se ero molto piccolo e le strade di Bahia erano
pericolose. Ma tanto non mi controllava nessuno quindi facevo ciò che mi
pareva. Stando in strada ho imparato un sacco di cose, sono diventato furbo e
anche cattivo quando serviva, non mi sono mai lasciato fregare e mettere i
piedi in testa da nessuno.
Una volta sono
finito in mezzo a una sparatoria ma sono riuscito a nascondermi e sopravvivere.
Un’altra volta un
uomo pieno di tatuaggi mi ha fatto prendere un tiro dal suo sigaro che mi ha un
po’ sballato per qualche ora, ma poi è tornato tutto normale.
Si potevano trovare
tutte queste cose nel mio quartiere.
Però odiavo tornare
a casa e stavo pensando di vivere in strada come i barboni o gli artisti di
strada, tanto se fossi scappato di casa non se ne sarebbe accorto nessuno.
Una sera ho sentito
Davi, Arthur e Olivia che parlavano per i fatti loro, come se stessero parlando
di un piano super segreto, allora mi sono messo a spiarli. Ho scoperto che
volevano scappare via, che Davi aveva i contatti con questa persona molto
importante a Los Angeles che li avrebbe aiutati a scappare e Davi poi avrebbe
lavorato per lui per sdebitarsi. Forse c’entrava la Mafia o forse no, ma era
gente potente della droga, di quella piena di soldi che non viene mai scoperta.
Allora mi sono
incazzato tantissimo perché non mi avevano detto niente. Sono entrato nella
stanza tutto incazzato e ho gridato “eh no però! Col cazzo che voi ve ne andate
e mi lasciate qui con questi stronzi di papà, mamma e Thiago!”
“Sei troppo piccolo
per questo viaggio” mi ha detto Davi e mi ha promesso che sarebbe tornato dopo
qualche anno per prendermi.
Ma io non volevo
andare via tra qualche anno, volevo andare via in quel momento! Gli ho detto
che tanto li avrei seguiti, che sono molto più furbo e forte di tutti loro
messi insieme e che avrei detto tutto a papà. Penso di non aver mai urlato così
tanto.
Allora si sono
convinti, ma prima Davi mi ha fatto fare una prova per capire se davvero ero
pronto. Mi ha chiesto di consegnare una dose di cocaina per lui.
Ovviamente io ci
sono riuscito senza farmi beccare, nessuno sospetta mai dei bambini. E poi io
lo so come comportarmi con la gente.
Se dovevano lasciare
uno a casa, era Arthur. È lui quello debole di noi. Io gli voglio molto bene e
sono contento che sia venuto, però non avrei sopportato se lui fosse partito e
io no.
Quindi nell’estate
del 1972 siamo scappati da Bahia, io avevo appena compiuto cinque anni. Davi ne
aveva diciotto, Arthur ne aveva quindici (ma quell’anno doveva compierne
sedici) e Olivia ne aveva undici. Lei era quella incaricata di badare a me, che
ero il piccolo. Infatti, prima di darmi il permesso di partire, Davi ha chiesto
a lei se se la sentiva di accudirmi.
Certo che Olivia ha
detto di sì. È troppo dolce, Olivia! Non mi avrebbe mai lasciato a casa.
Siamo usciti di casa
di notte e Thiago ci ha visti. Lui lo sapeva di questo piano, ma non ha detto
niente a papà perché non ci voleva più tra i piedi, diceva che senza di noi
aveva più spazio in casa e stava meglio.
Certo, tanto lui era
il figlio preferito e stronzo. Mica gliene fotteva qualcosa che quattro dei
suoi fratelli se ne andavano!
Del viaggio non mi
ricordo quasi niente, abbiamo viaggiato su camion e altri mezzi scassati e
puzzolenti. Non avevamo quasi mai da mangiare e faceva caldissimo. Io mi
chiedevo sempre quanto cazzo era lontana questa Los Angeles, ma non mi
lamentavo mai.
Però avevamo un
bottiglione di vino e una volta ne ho assaggiato un sorso. Mi è bastato quello
per sbronzarmi per la mia prima volta… e anche ultima per adesso. Non sono
stupido, lo so che l’alcol fa male ai bambini.
Quando siamo
arrivati a Los Angeles, l’amico di Davi ci ha dato una casa piccola in questo
quartiere e adesso ci siamo ancora. Ci ha dato anche dei permessi contraffatti
che però sembrano veri, perché siamo scappati clandestinamente (che difficile
scrivere questa parola) e altrimenti non potevamo stare qui.
Davi andava a
lavorare per questo tizio e anche Arthur, mentre invece io e Olivia andavamo a
scuola e Olivia si occupava anche della casa e tutte quelle cose. Poi l’anno
scorso Arthur ci ha traditi, cioè se n’è andato e si è allontanato per sempre
perché non ce la faceva più e voleva una vita migliore. Che si fotta,
traditore! Lo sapevo io che era un cagasotto e non poteva sopportare tutto
questo.
Però a volte ci
penso perché comunque è mio fratello e gli voglio bene. Non è colpa sua se è
così debole.
Quindi siamo rimasti
solo io, Olivia e Davi. Però va bene lo stesso, perché Davi sta salendo di
livello e fa sempre più soldi.
Io non lo so bene
come funziona questa cosa della droga e dello spaccio. A volte la coca e l’ero
le ho anche viste, ma Davi vuole tenermi fuori per proteggermi.
Che stronzata, io
sono abbastanza sveglio per capire. Forse non ha ancora capito con chi ha a che
fare.
Quando siamo
arrivati a Los Angeles, io non parlavo molto bene l’inglese. Lo conoscevo
perché Davi e Arthur avevano molti dischi rock in inglese, ma a parte quello
quasi niente. Infatti Davi mi ha detto di non uscire e di non andare per la
strada, che era un quartiere malfamato e che era pericoloso per un bambino di
cinque anni che non capiva un cazzo e non poteva rispondere, ma io me ne sono
fregato e ho passato tutto il tempo in strada. Ho conosciuto un sacco di
bambini del quartiere e ho imparato benissimo l’inglese.
Anche grazie alla
scuola ho imparato l’inglese.
Poi quando ho
imparato a leggere, ho cominciato a leggere tantissimo per imparare ancora
meglio e perché leggere mi piace. Ma non le fiabe o quelle altre stronzate dei
bambini! Mi piacciono i libri per adulti, quelli dove ci sono le puttane e il
traffico di droga e i drogati. Così imparo un sacco di cose che mi servono per
vivere.
E adesso sono qui e
ho otto anni.
E ho finito.
Però adesso che ho
scritto tutta la verità non posso consegnare il compito al maestro, così ci
sbattono in galera. Che palle, cosa gli dico domani?
Quando sollevo lo sguardo
dal foglio, fuori dalla finestra il sole è già tramontato. Mi fa male il polso
per quanto ho scritto.
Mi viene quasi da
sbattere la testa al muro quando mi rendo conto che non è servito a niente, è
fuori discussione che io consegni questo tema al maestro Redding.
Ho sprecato un
pomeriggio che avrei potuto trascorrere fuori insieme a Sammy, Mitchell e gli
altri ragazzini a divertirmi.
In preda alla
rabbia, prendo il foglio – che ormai è diventato un mucchio di fogli – e lo
straccio, lo appallottolo, lo trasformo in mille coriandoli bianchi che cadono
sul pavimento.
Mi fa incazzare pure
tutto quello che ci ho scritto. Io non volevo nemmeno ricordarmi tutto quello
che ho vissuto a Bahia, forse è anche per questo che stamattina non ho nemmeno
iniziato il tema. Sono cose che voglio dimenticarmi e tenere per me, nessuno
dovrebbe leggere questo schifo.
Prendo l’ennesimo
foglio bianco, ci scarabocchio data e nome e poi mi invento qualche stronzata
giusto per riempirlo.
Mi ha portato la
cicogna, come tutti i bambini del mondo. La mia cicogna era brasiliana e volava
a ritmo di samba, per quello sono venuto fuori così.
Da piccolo ero
uguale a come sono adesso, solo un po’ più piccolo. Mi mettevo le dita nel
naso, mangiavo solo latte e piangevo tutto il giorno come tutti i poppanti. Poi
ho cominciato a fare scherzi, a distruggere i giocattoli e dire parolacce.
Una volta ho avuto
la febbre alta, talmente tanto che avevo le allucinazioni e mi è apparso Elvis
Prestley sul soffitto che mi salutava ridendo.
Poi sono entrato a
scuola, ho imparato l’alfabeto e sono diventato molto intelligente, anche se
non mi ricordo di preciso i nomi dei denti. Infatti ho ancora il dubbio se
quello che ho sputato stamattina era un molare o un incisivo o quell’altro tipo
di dente che non mi ricordo. Comunque adesso ho il sorriso bucato e sembro uno
di quei tossici che perdono i denti.
Adesso è
soddisfatto, maestro Redding?
Infilo tutto dentro
lo zaino, spengo la radio e prendo finalmente la mia chitarra tra le braccia.
Ho aspettato questo momento per tutto il giorno.
Ho proprio bisogno
di suonare per sfogarmi un po’, oggi mi sento molto nervoso e non so nemmeno io
perché.
E così suono e
suono, anche se le dita mi fanno male perché la penna mi ha fatto venire i
calli sui polpastrelli. Ma non fa niente: anche le corde della chitarra li
fanno venire.
E domani finalmente
potrò verniciare il mio skate!
♠ ♠ ♠
Ragazziiiii, voi non
avete idea di quanto sono CONTENTA di essere riuscita ad approfondire il
passato di Ethan *___*
MI piaceva troppo l’idea di scrivere una shot di lui da bambino e che fosse lui
stesso a raccontare il suo passato, proprio con gli occhi dell’Ethan bambino!
Il tema
dell’immigrazione clandestina negli Stati Uniti da parte dei sudamericani è un
tema ancora attuale e piuttosto delicato, su cui – lo ammetto candidamente –
non so tantissimo, ma ho cercato di trattarlo nel modo più credibile e corretto
possibile; mi scuso se ci sono delle imprecisioni e vi invito a farmelo
eventualmente notare ^^
Comunque il tutto è
filtrato dagli occhi di un bimbo di otto anni, che ovviamente capisce ciò che
gli sta intorno ed è anche molto sveglio, ma che comunque non sa tutto, anche
perché i fratelli maggiori cercano di proteggerlo e tenerlo all’oscuro di
alcuni fatti ^^
Inoltre spero che la
numerosissima famiglia di Ethan non vi abbia confuso XD
Ho da fare due
piccolissime note, poi vi lascio in pace!
Ovviamente il fatto
che ci siano delle imprecisioni nel tema di Ethan è voluto, essendo un bambino
di terza elementare. Tuttavia mi piace l’idea che sappia scrivere bene (perché
legge anche tanto) e non gli ho fatto fare chissà quali obbrobri letterari XD
Poi, riguardo al
posto in cui è nato… Bahia è una città del Brasile che però ufficialmente si
chiama Salvador, capitale dello Stato di Bahia; è però chiamata così da tutti i
suoi abitanti ^^ ed è anche vero che è un posto in cui bisogna tenere gli occhi
ben aperti, soprattutto in certe zone!
E niente, credo sia
tutto. Penso che la storia sia comprensibile anche senza aver letto l’intera
serie di cui fa parte, ma se manca qualcosa fatemelo pure notare :)
Grazie di cuore a
tutti coloro che sono giunti fin qui, spero di non avervi turbato troppo e che
questo nuovo tassello della vita di Ethan vi sia piaciuto :3
Alla prossima!!! ♥
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