Carpe Diem
«Cosa
cazzo prende adesso a questo coso?!» sbottò
Nickel, guardando sconfortata la schermata blu del suo datapad munito
di
tastiera olografica.
La
povera minicon iniziò a scuotere
il dispositivo sperando in un miracolo che risolvesse il suo problema.
Era
andato tutto benissimo durante le lezioni del mattino, ma adesso che aveva
riacceso
il datapad per studiare i suoi testi e i suoi appunti sui tessuti
connettivi
tecnorganici -oltre ad approfondirli con varie ricerche così
da ottenere un
buon voto all’esame che avrebbe dovuto dare a giorni-
riusciva a vedere solo la
dannata schermata blu, per quante volte avesse provato a spegnere e
riaccendere.
Sempre
più sconsolata, poggiò la
testa sopra il datapad con uno sbuffo. Si trovava in un luogo pubblico,
per la
precisione nel bar di quello che in termini terrestri sarebbe stato un
grande
campus universitario, ma non si curava di nascondere la frustrazione:
quel
tavolino ormai le era diventato familiare quanto la sua stanzetta
singola nel
dormitorio, e comunque era normale veder aggirarsi nel campus persone
infinitamente più isteriche di quanto lei fosse mai stata.
Sentì
qualcuno schiarirsi la voce a
pochissima distanza da lei.
«A
volte i datapad fanno scherzi poco
simpatici, ne so qualcosa anche io».
Dopo
aver aggrottato un attimo la
fronte, Nickel sollevò rapidamente la testa dal tavolo e
alzò lo sguardo,
trovandosi a incrociare i due candidi ovali fatti interamente di pixel
che
erano al posto dei sensori ottici del suo interlocutore; un dettaglio
bizzarro,
al punto che impiegò qualche istante prima di riuscire a
distogliere le ottiche
e vedere il resto.
Di
altezza considerevole, accentuata
dalla postura dritta di spalle e schiena, il minicon che le aveva
parlato
presentava un design carino, estremamente semplice e
perlopiù rotondeggiante.
Il corpo bianco era parzialmente coperto dal grembiule con il logo del
bar e,
mentre un braccio era ripiegato dietro la schiena, l’altro
sorreggeva un
vassoio con sopra il cubo di energon liscio che lei aveva ordinato poco
prima.
Nickel notò solo di sfuggita la targhetta - recitava
“Bustin”- appuntata al
lato sinistro del grembiule, perché in breve tempo la sua
attenzione venne
catturata nuovamente dal volto, che comprese essere del tutto celato da
una
maschera. Ciononostante non era inespressivo, anzi, grazie ai pixel le
stava sorridendo.
«Credo
che il caso peggiore che ho
visto sia stato quello di un pad “finito in mano a delle
scimmie elettriche che
lo hanno usato per andare in siti sadomaso discutibili”: mai
visti tanti virus
in un solo sistema. Dovevano essere bestiole davvero terribili... o una
scusa pessima»
proseguì il minicon, poggiando sul tavolino un tovagliolo di
carta e poi il
cubo di energon.
«Probabilmente
era la seconda» disse
Nickel, con la sensazione che la lingua si fosse mossa prima di
interpellare il
suo processore «A meno che le scimmie elettriche si stiano
segretamente
organizzando per conquistare Prion a colpi di frustino e astronavi
ignoranti e
cercassero ispiraz… ma che sto dicendo?!»
esclamò, coprendosi il viso con una
mano mentre Bustin rideva di gusto «Ignorami, è lo
stress da esame imminente,
non so quello che-»
«Questa
cosa delle scimmie malvagie
armate di frustino va dritta nel prossimo capitolo della mia fanfiction
su
Wallop Prion Ranger, te lo dico».
«Fanfiction
su Wallop? Sei serio?!»
esclamò Nickel, sgranando le ottiche.
Quella
conversazione era diventata abbastanza
strana, eppure non aveva voglia di concluderla e anzi, dopo
l’impatto iniziale
si sentiva curiosamente più a suo agio di quanto avrebbe
dovuto sentirsi nel
parlare di scimmie sadomaso e fanfiction con un semi sconosciuto in un
luogo
pubblico.
«Ha
una trentina di recensioni a
capitolo» annuì Bustin «Si chiama
“Le nuove avventure di Wallop”, la trovi
facilmente in rete».
«Col
titolo non hai avuto molta
fantasia ma se il tono della storia permette di infilare le scimmie hai
compensato con la trama, immagino» commentò Nickel
«Quindi… se ho capito bene
tu forse sai sistemare questo coso?» domandò a
Bustin indicando il datapad «Sei
nella facoltà di tecnica?»
«Quinto
livello su sette» confermò
lui «Tu?»
«Secondo
livello di medicina».
«Capisco.
Quella è bella tosta, la
maggioranza di studenti stressati che capitano qui ha un esame di
medicina in
ballo».
«Come
me tra pochi giorni, e il mio
pad si è rimbecillito» sbuffò Nickel
«Ora immagino che farai uno dei vostri
strani numeri da tecnici inaccessibili ai comuni mortali?»
Parole
che erano uscite fuori in modo
molto più acido di quanto avrebbe voluto, e se ne
rammaricò un po’: nonostante
il mettersi in mostra degli studenti di tecnica fosse una tendenza
reale -e
abbastanza fastidiosa- all’interno del campus,
l’atteggiamento di Bustin non
era stato da “spostati e lascia fare al genio”.
“Per
fortuna però non sembra
essersela presa… anche se forse in realtà da
sotto la maschera mi sta guardando
malissimo” pensò la minicon.
«Credo
che sia sufficiente dirti di
spegnere il datapad, rimuovere il disco di archiviazione esterna che
noto
essere inserito e poi riaccenderlo» disse lui, con perfetta
calma, per poi
attendere che lei seguisse quelle semplici istruzioni «Questo
modello ha un
difetto di fabbrica che, se c’è un supporto
esterno inserito, lo porta a
cercare lì il sistema
operativo nel
momento dell’accensione, solo che il sistema operativo nel
supporto esterno non
c’è, dunque dà la schermata blu di
errore. Non è niente di grave, perché non
succeda più basta ricordarsi di inserire
l’archiviazione esterna dopo aver
acceso il datapad».
«O
cambiare datapad direttamente»
aggiunse Nickel, osservando lo schermo del dispositivo che era tornato
a essere
perfettamente funzionante.
Bustin
fece una breve risata. «Anche,
ma forse è un po’drastico».
«Sì.
Già. Grazie per l’aiuto» disse
la minicon «Non ero sicura che avresti… sai, dopo
ciò che ho detto prima su
quelli di tecnica…»
«La
tendenza a mettersi in mostra ce
l’hanno in tanti, è la verità. Io
comunque ho pensato che dicendoti come
risolvere il problema ti avrei lasciato qualcosa di più
concreto rispetto a uno
“U-A-U! Chissà come ha fatto”. Se mai
dovesse servirti una mano in futuro,
tieni a mente che da oggi sarò sempre di turno a
quest’ora. Prima ero qui di
sera».
“Ecco
perché non l’avevo mai visto”
comprese Nickel. «Anch’io. Ehm. Non nel senso che
sono di turno qui, nel senso
che a quest’ora sono sempre qui anche io, di solito per
studiare».
«Quindi
ti vedrò spesso. Ne sono felice,
ragazza di cui non conosco ancora il nome!»
«Nickel».
«Nickel»
ripeté il minicon «Adesso so
che nome devo mettere nelle note dell’autore del prossimo
capitolo. Per l’idea
delle scimmie, sai».
«NO!
No, non c’è bisogno, te la regalo,
davvero… e non ridere!» esclamò,
restando
inascoltata.
«Va
bene, diventerai famosa un’altra
volta. Se serve qualcosa chiamami, Nickel» concluse lui
«Il cartellino col nome
l’hai letto».
“Direi
che abbia notato che l’ho
squadrato da capo a piedi” pensò la minicon.
«Va bene» disse, osservandolo
girare sui tacchi per tornare verso il bancone «…
una volta finito il turno che
programmi hai?»
Ancora
una volta la lingua era
partita da sola ma, contrariamente a prima, in quel caso
scoprì che il suo
processore era del tutto d’accordo. In fin dei conti
perché non avrebbe dovuto?
Il design della corazza di Bustin era carino e lui sembrava un tipo
particolare, dunque non c’era niente di male a cogliere
l’attimo e chiedergli
di uscire: era un semi sconosciuto, ma uscire serviva proprio per
conoscersi.
Se
poi lui avesse detto di no, pace…
ma il modo in cui si era comportato le faceva dubitare che la risposta
sarebbe
potuta essere negativa.
«Nulla
di cui non possa fare a meno»
disse infatti Bustin «Stacco tra un paio
d’ore».
«E
io me ne sarei andata tra un paio
d’ore una volta finito qui» sorrise Nickel,
indicando il datapad.
«Perfetto
direi!»
Rimasti
d’accordo così, Nickel poté
iniziare a concentrarsi sui tessuti connettivi tecnorganici mentre
beveva dal
cubo di energon con una lunga cannuccia. Le due ore passarono molto in
fretta,
talmente in fretta che le parve che fossero passati solo venti minuti.
A volte
il tempo diventava proprio una cosa strana.
Uscirono
fuori dal locale insieme, e
Nickel concluse che fosse carino anche senza il grembiule.
«Pensavo di fare una
passeggiata…»
«Va
benissimo» sorrise Bustin.
«Non
so se lo sai ma in una strada
qui vicino c’è un chiosco che serve energon
all’azoto liquido, è buonissimo,
potremmo passare da lì se… ehi» Nickel
aggrottò la fronte «Che succede?»
Fino
a un istante prima il rumore del
chiacchiericcio li aveva circondati, ma adesso attorno a loro era
calato un
silenzio tombale, e le persone sembravano essersi immobilizzate,
cristallizzate
nelle azioni che stavano compiendo appena prima che tutto si fermasse.
Da
familiari che erano, i volti dei
minicon che Nickel riusciva a scorgere si stavano trasformando,
diventando
sempre più grotteschi al punto di somigliare a una maschera
di loro stessi;
strade che conosceva a menadito si distorsero e si riempirono di ombre
scure,
le luci artificiali iniziarono a lampeggiare velocemente e gli edifici
ad
alzarsi e incurvarsi, incombendo su tutti loro, mentre i colori di
tutto
l’ambiente circostante degradavano nello loro versioni
più marce e disgustose.
«Bustin,
lo vedi anche tu?!...»
esclamò, voltandosi verso di lui e toccandogli un braccio
«Bus-»
Il
braccio di Bustin cadde a terra
con un rumore sordo, e di seguito il resto del corpo del minicon
iniziò a
tremolare per poi andare a pezzi. A quel punto lei lo vide chiaramente:
le parti
più grandi dei resti dell’altro minicon erano
fatte dello stesso materiale di
cui erano fatti certi giocattoli e bambole particolarmente realistiche.
L’ultima
cosa a cadere fu la testa,
che rotolò andando a cozzare contro un piede di Nickel e
fissandola con un
sorriso vacuo sul visore rovinato da una crepa.
Nickel
gridò.
«Nickel…»
«No,
no, no-»
«Nickel?»
«NO!...»
Totalmente
sveglia ma ancora
perseguitata dalle immagini del suo incubo, Nickel si trovò
seduta sul letto a
tremare leggermente, con gli occhi sgranati dalla paura.
Stavolta,
contrariamente a quando
aveva sognato la creatura mostruosa, Bustin era vicino a lei e la
guardava con
aria preoccupata, ma la cosa la tranquillizzò solo fino a un
certo punto.
«Tu
sei vero, giusto?»
riuscì a farfugliare «Non sei fatto di pezzi di
bambola, giusto?»
«L’ultima
volta che ho controllato
era tutto normale» disse Bustin, accarezzandole la testa
«Qualunque cosa tu
abbia visto era solo un incubo».
«Era
iniziato bene, ho rivissuto il
nostro primo incontro esattamente com’è
andato» raccontò Nickel, ancora agitata
«Poi siamo usciti dal locale, stavamo per andare a fare la
passeggiata e…»
Non
aveva voglia di aggiungere altro,
quindi si zittì e si strinse nelle coperte. Quando Bustin la
abbracciò fu
sollevata di sentire che effettivamente era fatto di metallo vero.
«Questo
conferma quel che avevamo
capito un bel po’di tempo fa: tu, gli horror appena prima di
andare in
ricarica, no» disse il
minicon con
semplicità.
«Con
tutto quello che vedo in clinica
è assurdo che mi facciano un effetto simile!»
sospirò lei «Sono ridicola».
«Non
sei ridicola, ognuno è fatto
com’è fatto» affermò Bustin
«Adesso che abbiamo avuto la conferma, sappiamo
cosa è meglio evitare».
«Sì…
direi» mormorò Nickel «Torniamo
a dormire, o almeno a provarci. Per fortuna che ci sei tu e non sono da
sola»
si lasciò sfuggire addirittura.
«Sicura
che sia una fortuna? Sono
stato parte del tuo incubo».
Borbottando
un “Non dire sciocchezze”
convinto al cento per cento, Nickel si sdraiò e si
raggomitolò contro di lui
sulla cuccetta. Avrebbe impiegato un po’per tornare in
ricarica ma era convinta
che ci sarebbe riuscita: sapeva di essere al sicuro.
Immagino
abbiate che creduto che
questo capitolo fosse senza stranezze. Consolatevi, fino a un certo
punto ci ho
creduto anche io, la mia intenzione era raccontare il loro primissimo
incontro
(cosa che effettivamente ho fatto) e basta, complice il fatto che la
cronologia
di questa storia sia svaccata (…ho davvero scritto svaccata?)
Solo
che poi, che dire, eccoci.
Grazie a chi legge e a
chi recensisce
<3
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