Salve!
Qui la vostra Leslie Willis!
Sono
stata scelta per questa introduzione al nuovo capitolo, non
pagata, sottolineiamo,
per dire a tutti voi che vi apprestate a leggere che questa robaccia
è lunghissima! Ed è ironico
se pensiamo che succede davvero pochissimo; la maggior parte del
tempo lo si passa sedute a fare salotto, è incredibile. Beh,
tenete
d'occhio i dettagli, non li ripeteremo per nessuno. No, proprio
nessuno, intendo, non si fanno favoritismi e, se dovete andare in
bagno, correte ora o ve la dovrete fare addosso.
Dalla
regia mi dicono di ricordarvi di tenere a mente il passaggio dei
tempi verbali! Dal presente, tipo La
principessa si
svegliò
in un mondo di fiabe;
al passato, La
principessa si
era svegliata
in un mondo di fiabe ma era l'lsd.
Dovete perché, sembrerebbe, noi protagoniste avremo
parecchio
da
ricordare e partiranno i filmini in stile flashback.
Ricordatevi
di me, che se non ci fossi queste starebbero a girarsi i pollici.
Grazie
per l'ascolto, è stato quasi un piacere.
Leslie
Era
stato inaspettato. Aveva sentito il cellulare vibrare accanto al
piatto e Alex aveva chiesto scusa, alzandosi per andare a rispondere.
Avevano lasciato Jamie dai nonni e, seduto davanti a loro, Charlie
Kweskill rideva sereno. Tutto sommato, la cena stava proseguendo
meglio di come si era immaginata.
«Posso
prendere altre polpette?», aveva chiesto lui con l'acquolina
in
bocca ed entrambe le mani già al centrotavola.
Maggie
gli aveva dato il permesso, alzandosi per andare a riempire il
boccale d'acqua. Nessuno dei due era pronto per vedere Alex tornare
da quella telefonata con la pistola puntata verso il giovane
poliziotto.
Lui
aveva spalancato la bocca, portando le mani in alto. «Okay,
le
lascio».
Alex
riempì le guance d'aria ripensando a quella notte, quella
cena, due
giorni fa. Aveva appena parcheggiato l'auto e stava raggiungendo la
boutique a piedi, chiave magnetica già in mano.
«Che
cosa succede?», le aveva chiesto Maggie, lasciando il boccale
sulla
penisola del cucinino. Guardava la sua compagna e lui, che sembrava
spaesato almeno quanto lei.
«John
è in ospedale, lo hanno saputo adesso. Qualcuno gli ha
sparato».
«Cosa?
John… Come- Come sta? È terribile».
«Ohi,
okay… Non è…», lui aveva
cambiato espressione di colpo. «Mi
metterò in piedi, okay? Non sparare… Noi non
c'entriamo niente con
questa storia! È la prima volta che lo sento».
La
prima volta che lo sentiva, ripensò Alex. Dal suo volto
pallido
sembrava dire la verità, ma come poteva fidarsi? Diede
un'occhiata
al cielo anche oggi soleggiato fin dalle prime luci del mattino e
passò la chiave magnetica, con un movimento automatico.
Spinse la
porta per entrare e ci sbatté contro la fronte. Non si era-
Passò
la chiave magnetica di nuovo e la spia si fece rossa. La
passò
ancora, e ancora, sempre rossa. «Oh, e cosa ti prende,
adesso…?».
Ci appoggiò la fronte sopra, sconfitta.
L'Angel
Children's Memorial. Kara girò su se stessa per ammirarla
appieno:
non aveva mai considerato quanto fosse grande quella piazza, non
passava spesso da quelle parti. Sorrise, osservando gli uccellini che
volavano da un albero all'altro, dopo innumerevoli cinguettii. Era
bella. Fermò la mano sopra una delle fontanelle, lasciandosi
schizzare, così si strinse la camicia grigia a quadri legata
in
vita, cercando di visualizzare il punto dell'incontro.
Aveva
avuto così paura. Quando Alex le aveva telefonato per dirle
di John,
le era mancato il respiro ed era tornata alla cena che quasi tremava.
Sua zia le aveva chiesto cos'era successo e lei aveva sentito
l'irrefrenabile impulso di fissarla torva, andando direttamente verso
di lei, col cuore che palpitava frettoloso in mano. «Siete
stati
voi?». Lei diceva di non capire e Kara si stava spazientendo,
stringendo un pugno. «Siete stati voi? Dimmelo! Qualcuno ha
cercato
di uccidere John», si era voltata verso Lena di scatto, che
tra le
altre voci le chiedeva cosa stesse succedendo. La cena non stava
andando poi così male, erano riuscite a trovare argomenti di
discussione che non includessero lei e Kara era quasi tentata di
darle in futuro una possibilità, ma quella telefonata aveva
spezzato
la serenità conquistata, mettendo tutte nel panico. Astra
compresa.
Si erano fiondate all'ospedale e avevano raggiunto il reparto. Megan
le era corsa incontro per un abbraccio, in lacrime.
«Non
mi fanno entrare perché non sono parente», era
riuscita a dire tra
i singhiozzi.
Alex
e Kara si erano scambiate uno sguardo e la seconda si era avvicinata,
con l'amica ancora tra le braccia, al vetro che affacciava alla sua
cuccetta: l'uomo respirava attaccato a un tubo, le condizioni
sembravano stabili. Gli avevano indotto il coma, aveva precisato
Alex, lì da qualche minuto prima di lei. Gli avevano sparato
a
Marsington dopo che se n'erano andate ed era stato soccorso
lì, il
padre gli era stato vicino ma non avevano avvertito nessuno, neppure
la sua ex moglie. Alex non sapeva neppure che avesse una ex moglie.
Il trasferimento all'ospedale con le cure all'avanguardia di National
City era stato scelto come ultima spiaggia, le aveva spiegato la
sorella, e solo qui i medici avevano avvertito loro. Era tutto
così
incredibile, surreale, e sbagliato. Lo avevano salvato per miracolo,
ma dovevano tenerlo sotto stretta osservazione per dichiararlo fuori
pericolo.
Astra
aveva dato un'occhiata all'uomo e si era poi voltata verso il
ragazzo, preoccupata. «Kweskill».
Lui
aveva annuito, cellulare in mano. «Chiamo il
Generale».
Kara
sorrise, correndo verso un chiosco in particolare della piazza.
«Cosa
fai già qui? Non avevi il turno in boutique,
stamattina?».
Affacciata
con le braccia a conserte sul corrimano in ferro, Alex
sospirò con
pesantezza, facendo dondolare la testa. «Avevo…
Mi hanno licenziata», mormorò con delusione.
«A quanto pare non
andava a genio che avessi mentito sull'università
nascondendo il mio
primo lavoro».
Kara
girò il chiosco, circondato da piccole aiuole, per trovare
le scale
ora all'ombra. «E lo hanno saputo solo adesso?».
«No»,
Alex si voltò per aspettarla. «Ma prima faceva
comodo avermi lì,
ora hanno assunto una sostituta. E addio salario extra».
«Mi
spiace, sorellona». Le andò incontro per un
abbraccio e si sentì
annusare i capelli.
«Sei
stata all'ospedale anche ieri tutta la notte?».
«Sì…»,
si staccò, fissandola con sdegno, «Ma mi sono
lavata! Sono andata
al campus a farmi una doccia e… a dare da mangiare a
Nana».
Appena
aperta la porta, dovette fare i salti mortali per non far abbaiare la
cagnolina o coprire i versi pestando qualcosa. Aveva raggiunto i
croccantini con mosse che avrebbero fatto impallidire Roberto Bolle e
così, proprio come un tesoro mistico, toccando la scatola
tutto si
era placato: Nana si era messa a sedere e l'aveva guardata con occhi
languidi, girando la coda come una trottola e la testa per percepire
al meglio quando quelli sarebbero finiti nella ciotola. Aveva messo
la testa nell'armadio per cercare il cambio per la doccia e se l'era
ritrovata ai piedi, seduta che la fissava, e la ciotola vuota.
«Ma
davvero quel cane non fa rumore quando voi non ci siete?».
«Dorme»,
chiosò, gettando a terra il suo zainetto.
«E
com'è andata con nostra madre, a proposito?», le
sorrise, «Non ho
avuto un attimo per chiedertelo prima».
«Beh,
sono state ore estenuanti», la scusò, scrollando
le spalle e
sorridendo anche lei. «Bene. Forse anche troppo
bene».
Era
stata all'ospedale un'oretta, ascoltando con Lena, Indigo e Megan
accanto, da una parte sua zia Astra e Charlie Kweskill che parlavano
di ciò che era successo e di come neanche il Generale, che
aveva
detto di stare arrivando, ne sapesse niente, e dall'altra Alex e
Maggie che interrogavano e sgridavano il signor Jonzz per aver voluto
tenere nascoste le condizioni del figlio. Che razza di chiusura
mentale girava per Marsington? Un agente del D.A.O. era stato sparato
e a nessuno era venuto in mente di fare una telefonata? Alex aveva
scambiato quattro parole al cellulare anche con i dottori che si
erano occupati di lui in paese e Kara l'aveva vista esausta, quasi
sul punto di litigare con un'infermiera avvicinata per dirle di non
urlare in reparto. Megan aveva la testa appoggiata su una sua spalla
di Kara; aveva smesso di piangere, ma sembrava un corpo vuoto senza
volontà e lei si era scambiata uno sguardo con Lena. Poi
ricevette
un messaggio da parte di Eliza. «Megs», l'aveva
chiamata, «Devo
tornare a casa… mh, di mia madre, casa di mia madre, per-per
recuperare la mia roba e dopo tornerò qui, okay?».
«Non
devi tornare-».
Kara
aveva interrotto i suoi sussurri spenti, intanto che si alzava dalla
sedia: «Voglio tornare». Poi si era rivolta a Lena:
«Se vuoi puoi
stare qui con lei, prenderò le cose di tutte e
tre».
«E
chi ti riaccompagnerà a casa?».
Zia
Astra era a due passi da loro, chiavi in mano.
Eliza
l'aveva abbracciata calorosamente. Le aveva già spiegato
cosa sapeva
di John per telefono e la donna l'aveva aiutata a recuperare le sue
cose e quelle di Lena e Indigo. Con fretta, aveva detto che sarebbe
tornata in ospedale anche per non lasciare Megan da sola e la donna
si era di nuovo spesa in buone parole per lei, che se lo aspettava da
parte sua perché Kara si sforzava sempre di fare la cosa
giusta. Ma
lei era una persona normale e come tale sbagliava: stressata dalla
situazione, in un attimo aveva sbottato, sentendo i passi di Lillian
e Astra avvicinarsi alla porta della camera. Le aveva detto tutto in
un pasticcio di parole confuse, con occhi lucidi: delle pillole e di
come si era comportata, di come aveva cercato di tenere nascosto
tutto e di come, per quello, aveva perso la squadra e l'impiego alla
CatCo. Poco importava come avesse cercato di rimediare evitando la
diffusione e vendita delle pillole, non sempre lei prendeva le
decisioni giuste. Voleva riaffrontare la vita con positività
e il
sorriso, con la speranza di rimettere a posto le cose, ma voleva
farlo come la persona che era, non come quella figlia perfetta che la
sua madre adottiva credeva che fosse. Ma la donna l'aveva sorpresa di
nuovo e, dopo aver pianto e averla abbracciata perché non le
era
stata vicino quando aveva bisogno di lei, le aveva spiegato come
quello non l'avrebbe mai cambiata ai suoi occhi.
«Non
ho mai pensato che fossi priva di difetti, Kara…»,
le aveva preso
il volto con le mani, passandole i pollici sulle guance accaldate.
«Non è l'assenza di sbagli a determinare quanto
una persona sia
eccezionale, piccola mia, ma come si ha intenzione di
rimediare».
Dietro
Eliza, sulla porta, zia Astra aveva assistito alla scena e Kara, per
un momento, l'aveva fissata: il suo sorriso era freddo, bastava poco
per spezzarlo.
«Oh,
questo non mi sorprende», Alex roteò gli occhi,
mettendo le braccia
a conserte. «Avessi fatto io la stessa cosa, mi avrebbe
cacciato di
casa».
«Qualcuna
è gelosa», le fece la linguaccia. «O non
si sente abbastanza
eccezionale».
«Hai
solo avuto la fortuna di essere più piccola», le
fece il verso,
distogliendo lo sguardo. «Quindi eri con Astra?
Com'è stato?».
«Oh,
beh…».
Astra
stava guidando. Sul sedile del passeggero, Kara guardava fuori dal
finestrino. Sulla radio canzonette locali e interruzione.
«Kara-».
«No»,
l'aveva freddata lei. «Non ora».
«Bene»,
rispose alla sorella, vedendo oltre al corrimano e senza interesse le
persone illuminate dal sole che passavano per la piazza.
«Beh,
aspettiamo Lena prima di cominciare? Mi ha detto che stava arrivando.
Devi spiegarci perché hai scelto proprio questa
piazza».
«Perché-
mh».
Entrambe si affacciarono dal chiosco sentendo la sua voce, ritrovando
Lena a due passi, ferma per bere da una tazza da viaggio. Sotto il
braccio portava un cestino da pic-nic. «Scusate, ho dovuto
parcheggiare lontano e ho la gola secca», bevve di nuovo,
sotto il
suo cappello di paglia. «Dicevo. Perché questa
piazza è stata
costruita dai Luthor».
Kara
s'imbrunì e Alex la aspettò davanti alle scale,
prendendo parola:
«Lo sapevi?».
Lei
scosse la testa e, vicino a Kara, si scambiò con lei un
veloce bacio
a stampo, coperte dall'ombra del chiosco, dal cappello e dagli alberi
intorno. «Me lo ha detto mia madre quando le ho chiesto di
quel nome
che mi avevi dato, Louie Luthor. Cosa fai qui, non dovevi essere al
lavoro, a quest'ora?». Poggiò il cestino,
lanciandole uno sguardo.
«Sì,
beh, è lungo da spiegare».
«È
stata licenziata», rivelò Kara e Alex
serrò le labbra,
indispettita.
«Non
così lungo», ribatté, vedendola alzare
le spalle. «Quindi è così
che facciamo adesso? Abbiamo fatto pace, noi due?».
Lena
chiese se volessero da bere e Kara si fiondò sul thermos
dell'acqua,
prendendo un bicchiere. Ne passò uno anche ad Alex che,
allungando
la mano, domandò se avesse portato con sé anche
dell'alcol. «Pace…
momentanea? Anche se non ho dell'alcol?».
Alex
fece una smorfia, annuendo e sospirando appena, scocciata.
«Giusto
perché dobbiamo collaborare, Luthor… Sono a corto
di alleati,
dopotutto», rispose amaramente.
«Non
direi», aggiunse velocemente Kara, facendole l'occhiolino.
Quella
giornata lo avrebbe dimostrato.
Il
giorno prima, arrivate in ospedale per andare a trovare John Jonzz e
per far compagnia a Megan che era spesso lì, le tre ne
avevano
approfittato per rifugiarsi in bagno, senza borsa né
cellulare, per
far il punto della situazione. Indigo era una di loro? Lena era certa
che non le avrebbe tradite, Kara voleva fidarsi, Alex sposava un
altro pensiero:
«Continuiamo»,
aveva guardato una e l'altra. «È una grande cosa
che siate riuscite
ad abbattere le sue difese, ma se facciamo un passo falso ora avremo
perso il vantaggio su di lei. E sul suo garante. Sa che abbiamo
cancellato quei dati, che la cosa ha creato dissapori tra noi,
qualche complicazione, spingiamo su questo, lasciamo che le cose
facciano il loro corso. Dobbiamo assicurarci che Indigo passi al
garante le informazioni che noi vogliamo fargli arrivare e
nient'altro. Mi sta bene che sia con noi, ma ho avuto a che fare con
fin troppi bugiardi, quindi», aveva alzato le mani,
«andiamoci
caute, un passetto per volta».
Lena
si era costretta ad accettare, ma sperava proprio che continuare su
quella strada non le avrebbe portate, prima o poi, a vanificare il
traguardo raggiunto nel loro rapporto con la ragazza.
Alex
era uscita dal bagno per prima e Kara aveva stretto un braccio di
Lena, destandola dai pensieri. «Tutto bene?», le
aveva chiesto,
prima di un lungo sorriso. «Lo so che la situazione non ti
piace, ma
credo in fondo che Alex abbia ragione… O avremo fatto tutto
questo
per niente». L'aveva vista annuire sforzandosi di sorridere,
ritrovando di nuovo quella domanda che da giorni avrebbe voluto
farle, da quando avevano iniziato a contrattaccare. «Lena,
posso-?».
«Sì»,
aveva poggiato una mano su quella di Kara, «Credo anch'io che
potrebbe aver ragione… Ti aspetto fuori». Le aveva
lasciato un
bacio su una guancia ed era uscita.
Kara
aveva deglutito, abbassando lo sguardo e uscendo anche lei.
Lena
rimise tutto nel cestino e picchiettò una mano di Kara,
inchinata,
che si era messa a sbirciarci dentro. Le sorrise quando la vide
assottigliare gli occhi e così cercò di scansarsi
subito: Kara
l'avvolse per la vita e la spinse addosso a lei a terra, facendola
ridere e gridare.
«Oh,
ma tranquille… Come se non ci fossi», Alex
arrossì, dando
un'occhiata al suo cellulare e andando a recuperare la sua borsa che
aveva lasciato sui mattoncini, «Continuate pure»,
proseguì
sentendole ridere mentre era girata di spalle, «Io comincio a
mettermi a lavoro. Senza fretta, eh?».
Interrompendo
le risa, Lena riuscì a scansarsi, adocchiando Alex che
tirava dei
documenti dalla borsa e sfogliandoli. Le chiesero scusa in coro e si
riportarono in piedi. Lena tirò fuori dal cestino una
tovaglia per
sistemarla sui mattoncini a terra per i documenti e a quel punto si
posizionarono in cerchio. Lena ne usò un'altra per sedersi,
piegata,
mettendo le gambe da un lato.
«Comincio
io», annunciò Alex, portandosi un ciuffo rosso
dietro un orecchio,
«Visto che ho la mattina libera e ho un po' di tempo in
più prima
che vada a Marsington questo pomeriggio…», le
guardò. «Questi
sono ciò che mi ha dato Maxwell Lord a proposito di questa
piazza.
Progetto ACM-63», mostrò loro dei fogli pinzati.
«Angel Children's
Memorial, commissionata dalla famiglia Luthor e costruita nel
millenovecentosessantatré; la Lord Technologies si
è occupata di
disegnare e sostituire, nel duemilacinque, il vecchio impianto idrico
che aveva da allora. Max dice-», si fermò quando
Kara sottolineò
il modo con cui l'aveva chiamato, «Max
dice di aver avuto a che fare nel periodo solo con i Gand, che erano
stati loro, come portavoce del gruppo, a commissionare il progetto.
Da allora mi sono chiesta spesso che tipo di interesse potesse avere
l'organizzazione per questa piazza, finché John non mi ha
portato
questi», mise più avanti dei fascicoli, aprendone
uno. Lena e Kara
lo girarono dalla loro parte, leggendo distrattamente diversi fogli e
scrutando le foto.
«Dunque
lui è Louie Luthor…»,
sussurrò Lena, arcuando le sopracciglia.
In quella foto era bambino e lo sorreggeva una stampella: aveva lo
sguardo impacciato e i riccioli che gli ricadevano sugli occhi.
«Il
mio prozio, padre di zia Lorna. Non sapevo della sua esistenza.
Voglio dire», rimise la foto all'interno del fascicolo, che
Kara
stava ancora sfogliando, «che anche zia Lorna avesse avuto
dei
genitori era indubbio, ma nessuno ha mai parlato specificatamente di
lui. Nemmeno la stessa zia Lorna».
Kara
strinse le labbra, continuando a leggere. «Aveva otto anni
quando il
padre è morto… Neanche io parlo spesso dei miei
genitori e li ho
persi a dieci».
«Il
fatto che ci tengano a curare questa piazza nel corso degli
anni»,
intervenne Alex, «significa che non lo hanno mai dimenticato.
John
stava lavorando a questo, era convinto che le radici
dell'organizzazione risiedessero nella famiglia Luthor»,
guardò
Lena, «e che Louie ne fosse un ingranaggio
importante».
Quest'ultima
sospirò, formando un flebile sorriso. «Mio nonno
Levi era uno dei
fondatori», confessò. «Mio fratello lo
ha confermato, era stato
nostro padre a dirglielo. Io non l'ho mai conosciuto, si era ammalato
ed è morto quando Lex aveva nove anni. Immagino»,
mosse le spalle
un momento, «che avesse lasciato tutto in mano ai miei
genitori».
«Aveva
ragione John», Alex posò lo sguardo sui fascicoli.
Indigo
era dall'altra parte della piazza, in quel momento. Scorgeva il
chiosco ma dovevano essere sedute e non le vedeva. Era in ritardo ma
se ne restava lì impalata invece di raggiungerle, seduta
sullo
schienale di una panchina dipinta di blu. Passò una mano sui
capelli
raccolti in una treccia bionda, portandosela in avanti. Era nervosa.
Avrebbe potuto ascoltare cosa dicevano attraverso i cellulari, ma non
ne aveva il coraggio. Loro si fidavano di lei e il pensiero le
metteva mal di pancia. Quella era stata una conseguenza naturale al
gioco che stavano vivendo, e di certo non voleva ricadere ancora una
volta nel circolo vizioso sui sentimenti o altre idiozie. Aveva
smesso di pensarci. Accettava di provarne, ma non per questo avrebbe
basato la sua vita su di loro. Lei non aveva bisogno di punti deboli
come quelli.
«Brainer,
eh?».
Indigo
si era girata di scatto, nei suoi ricordi, prima di quella cena.
Si
stava lavando le mani per un tempo indefinito poiché Astra
Inze era
appena arrivata e loro si conoscevano da Fort Rozz, si era messa
addosso una strana agitazione. Doveva pregare che quella donna non
dicesse qualcosa di lei alle madri di Lena e Kara. Troppo tardi per
sperare che la sua copertura non saltasse: Lillian l'aveva sorpresa,
sguardo tirato e sinistro.
«Avevi
un so che di già visto, ora mi è tutto
più chiaro». Indigo si era
fatta pallida e la donna le aveva chiuso il rubinetto.
«Quante belle
storie ci avete raccontato. E ora riprova: com'è che un
avanzo di
galera come te ha conosciuto le nostre figlie? Sono sicura che
sarà
una storia più affascinante».
Per
fortuna lei era una che pensava in fretta e stava già per
riprendere
in mano la situazione, ciò che l'aveva sorpresa davvero era
che non
ce ne sarebbe stato bisogno:
«In
fila da Bitter
and Music».
Lillian si era voltata, ghiacciandosi, intanto che Kara si
affacciava. «Lena era distratta e le ha dato una gomitata, il
cappuccino era… beh, per metà sulla sua
maglietta», aveva riso,
adocchiando Indigo. «Così gliene abbiamo offerto
uno e-», aveva
deglutito, «ci siamo andate a sedere insieme. Abbiamo
scoperto che
lei è molto brava con i computer e-e il resto,
sì…».
«E
perché non ci avete detto subito la
verità?».
«Pff,
perché è stata in prigione e ancora non si
è sistemata, pensavamo…
beh», lo sguardo freddo di Lillian metteva ansia anche a lei,
«beh-beh, che vi preoccupaste di-di chi accoglievamo in
casa».
Lillian
aveva sorriso, guardando una e l'altra. «È la
seconda volta che
escono fuori bugie sul conto di questa ragazza, non fatemi tenere il
conto. Non voglio dare l'impressione di essere arrabbiata con te,
Kara, ma mettiamo caso che ci sia una tabella con dei punti,
figurativa,
si intende», aveva sorriso e loro deglutito, «ora
ne avete perso qualcuno.
Direte voi a Eliza la verità, va bene?!». Stava
per andarsene ma
l'avevano vista voltarsi all'ultimo momento: «Anche tuo padre
era in
prigione, non è vero? È stato rilasciato anni fa,
quando erano
stati riaperti i casi di Non O'Halloran a causa del suo arresto, il
marito di», si era lasciata scappare un fine sorriso,
indicando
verso il salotto da cui provenivano le voci, «Astra Inze.
Qual
coincidenza».
Se
n'era andata e Indigo, per un attimo, aveva sentito le ginocchia
farsi deboli. Suo padre… Suo padre era libero da anni?
Com'era
possibile?
«Non
lo sapevi?», Kara l'aveva guardata, «Di tuo
padre?».
Lei
aveva deglutito, slanciandosi per asciugarsi le mani. «Lena
distratta mi ha dato una gomitata?».
Kara
aveva messo su una smorfia soddisfatta, tirando gli occhiali sul
naso: «Storia mia, svolgimento mio».
Il
viso di Indigo si corrugò, mordendosi un labbro. Suo padre,
Peter
Brainer… No, no, non doveva pensarci, era fuori discussione,
non
gli sarebbe entrato nella sua testa proprio adesso, non poteva
permetterselo. Strinse un pugno. Per quale diamine di motivo suo
padre, che era l'unica persona di cui si fidava da ragazzina, non
l'aveva mai cercata nonostante fosse fuori di prigione da anni? Si
alzò di scatto, tirando in spalla il suo zainetto.
«Dobbiamo
saperne il più possibile», la voce di Kara.
«E se andassimo a
parlare con zia Lorna?».
«Non
ho un grande rapporto con lei», rifletté Lena.
«È sempre stata
presente alle feste familiari, ma parla a stento anche con mia madre.
Potremo tentare, ma non garantisco».
«John
ci è stato», Alex sorprese entrambe.
«Questo ci porta al secondo
fascicolo, era compreso di registrazione. L'ho già
sentita… la
possiamo riascolta-», si fermò, sentendo passi
vicini, e si
affacciarono: Indigo si fermò davanti alle scale del
chiosco,
riportando la treccia su una spalla.
«Era
ora!», sbottò Kara, accigliandosi.
«Dov'eri finita? Abbiamo
iniziato senza di te».
Lei
fece una smorfia, piegando le labbra. «Ora che sapete che lui
non mi
sta cercando, sarò anche libera di farmi una passeggiata per
i
motivi miei o il mondo gira intorno a te, Kara Danvers?».
Lena
fermò Kara per i polsi quando la vide scattare per mettersi
in
piedi.
Altri
passi vicini e una voce squillante e inspiegabilmente allegra
interruppero la chiacchierata. «Buona, gente».
Valigetta sotto
braccio, fine giacca piegata sulle maniche con un motivo bianco e
nero che creava un'illusione ottica, degli stivaletti con tacchi che
la facevano sembrare molto più alta del solito, Leslie
Willis
sorrise da orecchio a orecchio. «Scusate il ritardo, ho
portato da
bere».
«Non
sei in ritardo, avevi detto per le dieci e mezza e sono appena le
dieci e dieci», le fece sapere Lena, intanto che Alex
esultava
timidamente.
«Oh,
beh, dev'essere l'abitudine», mantenne il sorriso, spostando
lo
sguardo a Indigo accanto a lei. «Non mi avevano detto che ci
sarebbe
stata anche Elsa».
Leslie
Willis salì per prima e lasciò la sua valigetta
vicino al muretto
del chiosco, aprendola. Tra i vari documenti al suo interno
tirò
fuori una fiaschetta e due bicchieri ripiegabili, chiedendo chi altri
ne volesse, con Alex già accanto che le diceva, a bassa
voce, di
essere la sua nuova migliore amica. Quest'ultima sapeva di non poter
esagerare, doveva essere in servizio tra qualche ora, ma un
bicchierino per digerire il licenziamento dalla boutique non glielo
avrebbe tolto nessuno. Indigo le stava raggiungendo che Kara fu
veloce ad afferrare la fiaschetta e tirarla verso di lei, facendo
storcere il naso alle altre. Ecco, pensò Alex, glielo
avrebbero tolto.
«Mi
spiace, ma dobbiamo essere lucide», obiettò,
custodendola nel
cestino da pic-nic di Lena, «Ed è quasi
metà mattina».
«Ottima
deduzione, fiorellino! E io come ci arrivo all'altra metà,
eh?»,
brontolò Leslie, adocchiando poi Alex in cerca di aiuto:
«Ma lo può
fare?». Lei sollevò le spalle, già
arresa. «A proposito… ma tu
non dovevi essere a lavoro?».
«Ragazze»:
Lena attirò l'attenzione di tutte, mettendo le braccia a
conserte.
«È bello ritrovarci tutte insieme in questa
bellissima mattinata
del trenta giugno; fa caldo, ognuna di noi ha cose per la testa o
vorrebbe solo rilassarsi, lo capisco… Ma se ci siamo
ritrovate oggi
è per un altro motivo». Si sedette di nuovo sulla
tovaglia,
piegando la gonna sotto le cosce, e le altre si guardarono.
Indigo
le andò subito vicino mentre Leslie, dietro Alex, mostrava i
palmi
delle mani, appoggiandosi alla ringhiera in ferro.
«Ineccepibile»,
commentò, sospirando.
Alex
si mangiò la tentazione di rinfacciare il momento in cui lei
e Kara
stavano giocando a rotolarsi sui mattoncini e si andò a
sedere,
riprendendo il suo posto. La sorella le mostrò il
registratore e,
riconquistato il silenzio, le diede il via.
Zia
Lorna non era mai stata persona da grandi chiacchierate,
ricordò
Lena. Anche quando lei era bambina era fredda, distaccata, e non
perdeva occasione di punzecchiare la vecchia zia Lara, impedendole di
fare qualunque cosa che, secondo lei, l'avrebbe messa in ridicolo. Ma
alla piccola Lena non era sembrata che si comportasse in modo tanto
lontano da sua madre. Aveva avuto dei figli ma anche lei, come
Luthor, aveva faticato a portare a termine le gravidanze: Lydia ora
aveva ventisette anni, e Liam, che di anni ne aveva otto, era il suo
miracolo. Ora che Lena ci faceva caso, era curioso quanto poco
conoscesse i suoi lontani cugini: se zia Lorna alle feste partecipava
spesso, se non necessario non era solita portarsi dietro anche loro.
«Vedo
il bambino correre per portare un pallone da calcio dentro l'auto di
famiglia»,
aveva commentato John Jonzz al registratore in mano. «La
vedo, sta uscendo da casa. Dubito parlerà, ma se Louie
Luthor è
tanto importante come credo per la nascita dell'organizzazione, ogni
cosa può fare la differenza».
Lorna
Luthor aveva subito aggrottato la fronte, ordinando al figlio di
entrare in auto. «Com'è entrato?».
«Il
cancello era aperto; ho suonato, ma…».
«È
un giornalista? Cosa vuole?».
«No».
John allora le aveva mostrato il distintivo e la donna aveva cambiato
espressione, scocciandosi.
«Non
ho nulla da dire».
«Non
sa neanche per cosa sono qui».
Lei
aveva emesso un verso di scherno. «Per i Luthor, suppongo.
È
l'unico motivo per cui- Liam,
torna in macchina. Subito»,
ordinò gelida, indicando la portiera al figlio,
«L'unico motivo per
cui continuano a tormentare me e la mia famiglia. Senta, io non so
niente», si era fermata davanti a lui, fregandosi le mani.
«Non
siamo noi quelli sotto ai riflettori: se Lex ne ha combinata un'altra
a Metropolis o Lillian ha divorziato e si è risposata ancora
non
deve seccare me; sono fuori al loro mondo, non so cosa facciano, come
e perché. Ho sposato un Wright, le dice niente? No?
È perché noi
non siamo nessuno. Se vuole scusarmi…».
Lui
aveva notato la sua agitazione dietro le parole usate per cercare di
scacciarlo. L'aveva bloccata a un passo dal suw: «Veramente
volevo
chiederle di suo padre».
Lei
si era voltata lentamente, con occhi sgranati e la bocca semiaperta.
Le ci era voluto un po' per riprendersi. «Cosa…
Cosa c'entra mio
padre, signor…?».
«Jonzz.
Agente Jonzz».
«Bene,
agente Jonzz», si era avvicinata e gli aveva puntato un dito
al
petto, «Le dirò solo una cosa: lasci mio padre
riposare in pace».
«Era
un brav'uomo, vero? Non voglio mancarle di rispetto, né
farlo a suo
padre».
Lei
si era intristita ma aveva cercato con ogni mezzo di restare in
piedi, deglutendo. «Se ne vada. Sa dov'è il
cancello».
«Si
tormentava le mani, parlare dei Luthor non la faceva sentire
chiaramente a suo agio»,
aveva registrato John dopo l'incontro. «E
quando ho nominato suo padre ha finito per chiudersi. Non posso fare
a meno di chiedermi se sto percorrendo la strada giusta. Devo
spostarmi, i Luthor non sono gli unici interessanti».
Lena
abbassò gli occhi, dopo che la registrazione si concluse e
Kara le
strinse una mano, adocchiata da Indigo dall'altro lato.
«Quando ho
parlato con mio fratello in cerca di risposte, ha detto una cosa che
mi è rimasta impressa: che la nostra famiglia era
malvagia»,
ingurgitò sonoramente, con la bocca socchiusa.
«Non lo avevo preso
troppo sul serio, che i Luthor siano scostanti e freddi non
è una
novità per nessuno, ma da come zia Lorna si teneva
distante… Non
ci ho mai fatto caso. Sembra quasi che ci odi».
Ci
fu un attimo di silenzio: Kara aumentò la stretta e Lena
ricambiò,
Alex scorse le foto di Lorna Luthor sul fascicolo, la sua casa e
quella dove abitava da bambina con i genitori, Leslie adocchiava gli
uccellini sugli alberi e Indigo serrò le labbra, fissando
Lena.
«Sembra
che siamo vicine», Kara spezzò il silenzio.
«Non è quello che
vuole il tuo garante?».
Indigo
fissò lei, a quel punto, lasciandosi a una debole scrollata
d'occhi.
«Ed
è quello che voglio anch'io», aggiunse Lena con un
sospiro. «Non
ho cambiato idea, al contrario, ora sono più motivata a
farlo».
«Sveglia,
fanciulle!», Leslie Willis gridò e
batté le mani, avvicinandosi al
gruppo con due larghi passi. «È chiaro o
no?», guardò una per
una, «I Luthor sono i fondatori di quella dannata
organizzazione».
«Il
nonno di Lena era uno di loro, lo abbiamo già
chiarito», intervenne
Kara, «Se ti fosse possibile non
urlare…».
«No,
non mi è possibile»,
le fece il verso, «perché sono qui non pagata e mi
hai tolto
l'alcol», spalancò le braccia. «Okay,
prima che miss perfettina mi
interrompesse, intendevo dire che lo sono loro,
chi erano? Questo Louie, il padre di tua zia, chi è
l'altro?».
Prese il fascicolo dalle mani di Alex, leggendo rapidamente e tenendo
il segno con un dito. «Ecco, ecco, qui: erano tre fratelli,
giusto?
C'è la foto», la mostrò. «Il
piccolo è il Louie di cui la figlia
non vuole parlare, Levi che è tuo nonno, quello di mezzo, e
questa
spilungona qui, la maggiore. Ci scommetto» .
Kara
si rabbuiò: «Se zia Lorna odia suo padre e odia i
Luthor, perché
ha chiamato i suoi figli con la lettera l?».
«Le
piaceva? Hai mai fatto caso che i nomi più belli iniziano
con la
l?».
«C'è
anche da tener conto che Louie Luthor è morto giovane, nel
millenovecentosettantacinque.
Avrà avuto il tempo? Quando sarà nata
l'organizzazione, più o
meno?», osservò Alex.
«Non
aveva mica l'età per la tetta quando è passato a
miglior vita, non
sappiamo nulla con precisione».
Anche
Lena era scettica, scuotendo la testa. «Zia Lara
nell'organizzazione? Non riesco a immaginarla».
Leslie
roteò gli occhi. «Sì, ricordo cosa mi
hai raccontato di lei, ma
sappi che prima di pagare qualcuno che le cambiasse i pannoloni,
aveva anche lei una personalità e tu non eri lì
per conoscerla».
«Tu
non hai peli sulla lingua, eh?», fu l'unico commento di
Indigo e
Leslie gliela mostrò, sfacciata.
«Dacci
anche tu il tuo pensiero se ne hai uno, Let
it go».
Si buttò a terra, riguardando le altre. «Beh, io
ho risolto il caso
e voi pensate al resto, non posso mica fare tutto da sola.
Mangiamo?».
C'era
qualcosa che sfuggiva ai loro pensieri. Forse Lena non riusciva a
ragionare lucidamente perché si trattava della sua famiglia,
persone
che conosceva. Lo aveva messo in conto, ammettendo finalmente
qualcosa che aveva tenuto per sé per quasi un anno: aveva
trovato
dei collegamenti al nome Luthor, riconducibili a suo padre e non solo
ai Gand, quando copiarono quella lista di nomi su chi era stato
arrestato per l'omicidio degli El. Allora pensava davvero che tenere
segreto il coinvolgimento della sua famiglia fosse la cosa migliore
per tutti. Magari zia Lorna non odiava suo padre ed era davvero un
brav'uomo come aveva detto John e Leslie Willis si sbagliava, ma
c'era qualcosa che sfuggiva ai loro pensieri.
«Allontanate
il vostro naso dagli affari dell'organizzazione». Lillian era
stata
chiara quando il giorno prima era tornata in paese solo per parlare
con lei, dopo essere stata in ospedale. Neppure il tempo di nominarle
Louie Luthor che era partita in quarta. «Mi prendete per
stupida?
Indigo Brainer è finita in prigione per crimini informatici.
Ricordo
di averti già chiesto, Lena, di starci lontano ma, come al
solito,
le mie parole vengono puntualmente ignorate».
«Sarebbe
più facile se ci dicessi tu ciò che vogliamo
sapere».
La
donna aveva sorriso, arricciando la fronte. «E
cos'è ciò che
volete sapere? Chi ha ucciso gli El? La mandante era Rhea Gand, caso
chiuso. Chi ha ucciso tuo padre?», l'aveva fissata,
«Ho sempre
pensato fossero stati loro, ma non ho un nome da darti. Forse ho
commesso un errore».
Lo
diceva in quel modo così naturale, così
come… «Stai mentendo».
Lillian
aveva scrollato un sopracciglio, impassibile. «Può
darsi. Voglio
che ci passi sopra».
«Per
proteggermi da chiunque sia stato?», aveva scosso la testa,
«È
ridicolo. Tu non hai mai cercato di-».
«Proteggerti,
certo, perché tu sei sempre convinta che io faccia di tutto
per
farmi odiare da te. Non ti è mai passato per la mente che mi
abbia
fraintesa? Il nome che ho in mente non è chi penseresti e
non ho
prove. Non voglio nemmeno lontanamente pensare di accusare questa
persona e assistere a ciò che scatenerei», la sua
voce si era fatta
più sottile. «Non è da lui che ti
dovresti vedere le spalle, Lena,
ma dall'organizzazione. Perché se il suo nome salta fuori,
vero o no
che sia colpevole, ci passeremo tutti. È un castello di
carte,
figlia mia», si era avvicinata con sguardo duro.
«Per questo motivo
l'organizzazione ha rischiato di sparire dodici anni fa con l'arresto
di un singolo commercialista. Per questo motivo mi sono impegnata a
occultare l'omicidio di tuo padre. Togli una carta e stai a vedere
cosa succede».
Lena
passò una mano su quei fascicoli, assorta.
«Ed
è per questo che ho chiesto aiuto a una persona»,
esordì Kara con
un pronto sorriso. «Sarà tra noi verso ora di
pranzo, prima non
poteva e al tardo pomeriggio dovrò allontanarmi anch'io,
quindi…
Geneanologia». Kara non badò all'espressione
annoiata di Leslie che
buttava la testa da un lato con la bocca aperta, continuando:
«Ha
fatto l'Albero genealogico sulla famiglia di un mio amico e»,
lanciò
uno sguardo a Indigo, «tu potresti aiutarla a cercare
materiale per
fare quello sui Luthor».
«È
una buona idea», si complimentò Lena e sentirono
Alex alzarsi per
sgranchirsi le gambe, e così controllare l'ora.
«Dopo
pranzo devo andare, posso lasciare a voi i fascicoli che mi ha fatto
avere John? Non potrei, ma… Li riprenderà
Maggie», vide sua
sorella annuire. «Non è stato solo da Lorna
Luthor, magari qualcosa
può tornare utile».
Leslie
Willis le picchiettò un piede con uno dei suoi, attirando
l'attenzione. «Quindi non ci sarai quando esporrò
cosa ho portato
io? È una vera chicca, vi tremeranno tutti i
peli».
Ridacchiò
e le altre con lei. «Se sarai
sintetica…».
«Ci
proverò solo se riavrò il mio alcol».
Jamie
non smise di parlare da quando andò a prenderla dalla
babysitter,
contenta che avesse più tempo da passare insieme. Ma Maggie
la
ascoltava a stento, mano nella mano con lei. Si fermarono per
aspettare che il semaforo tornasse verde per i pedoni e
sospirò,
pensando a ripensando a quella mattina. Jamie saltò quando
scattò
il verde e Maggie la strinse più forte, sentendo la manina
sudata.
«Possho
reshtare con mamma Alex quando torni a lavoro? Eh? Possho
reshtare?»,
le tirò la mano e Maggie tornò in sé,
scuotendo brevemente la
testa e raggiungendo l'Angel Children's Memorial dall'altra parte
della strada. «Quanto è grandisshima, eh, guarda,
il parchetto dove
gioco io con miei amici non è così grande, eh,
non lo è no», la
tirò tanto che finì per sfuggirle e correre sugli
ultimi scalini e
incontro a una delle fontanelle, ridendo, mettendo subito le mani
nell'acqua. «C'è l'acqua qui, guarda, mamma, nel
parchetto dove
andiamo noi shempre non c'è quesht'acqua, eh, non
c'è no».
Lei
sorrise, fermandosi per ammirarla intenta a saltellare, facendo
volare su e giù la sua gonnellina arcobaleno in raso,
cercando di
acchiappare l'acqua che schizzava verso l'alto. Le scattò
qualche
foto, inviando quelle meglio riuscite ad Alex con scritto che erano
arrivate un po' prima perché… Arrivate
prima:
Maggie chiuse così il messaggio, inviando.
Jamie
riprese a correre verso un'altra fontanella e Maggie la
seguì,
sentendo il cellulare che vibrava.
Da
Danvers♡
a Me
È
bellissima! Sono già qui anch'io, raggiungeteci. Come mai?
Non
finivi il turno a mezzogiorno?
Da
Me a Danvers♡
Sì,
ti racconto questa notte, abbiamo staccato prima. E tu non dovevi
stare in boutique?
Maggie
sospirò, richiamando Jamie che si stava allontanando verso
un gruppo
di bambini. Le fece la mano, indicandole dove doveva andare. Il
cellulare vibrò ancora e Maggie sorrise, scuotendo la testa
nel
vedere la foto che le aveva mandato: sedute sugli scalini del chiosco
davanti a lei, Kara teneva tra le braccia Lena, uno scalino
più in
basso. «Lasciale in pace», rise, leggendo la
didascalia: Anche
io immortalo momenti.
Ricordo
con rammarico quando si odiavano.
Lena
teneva la testa poggiata sulla sua spalla destra e, di tanto in
tanto, chiudeva gli occhi. Ciò che le aveva detto Lillian
aveva
riacceso in lei il desiderio di cancellare quei dati dalla chiavetta
usb che avevano salvato. Sposta una carta dal castello, toglila.
Voleva davvero vedere cosa succedeva? Lillian doveva cadere con loro?
Sentì un bacio di Kara sulla fronte e sorrise, destandosi.
«Cosa ne
penseresti di un ipotetico week-end in una casa che affaccia su un
lago?».
Il
volto di Kara si increspò, pensandoci.
«… Hai una casa sul
lago?», indagò subito, sentendola ridere.
«Sì,
Kara. È della famiglia, non propriamente mia. Sono anni che
non
passiamo là una vacanza».
«C'è
qualche altra struttura di cui dovrei essere a conoscenza? Saresti
capace di dirmi che possiedi uno zoo e farlo costruire in una notte
solo per farmelo vedere il giorno dopo».
Lena
rise ancora, portandosi una mano sul viso. «È un
quadro piuttosto
accurato di cosa potrebbe accadere», puntò in aria
un indice e si
allontanò il tanto per guardarla negli occhi. «Ci
verresti?».
«In
uno zoo?».
«In
uno zoo?!»,
le picchiettò una coscia, «Kara Danvers, parlo sul
serio! Ci
verresti? Alla casa su-».
«Sì.
Sul lago. Mi piacerebbe», si sorrisero e Lena
tornò ad appoggiarsi.
«Hai notato anche tu come prima di conoscerci vivevamo una
vita
tutto sommato tranquilla?!».
«È
vero. Il nostro incontro ha scatenato i precisi eventi che ci hanno
portato fin qui», rifletté, stringendo i denti.
«Sarà stato il
destino», sussurrò sprezzante con un sorriso,
sentendola ridere a
sua volta intanto che la chiudeva tra le braccia.
«Lena?».
«Sì?».
«Pensavo
a una cosa… Se tuo non-», si fermò
quando scorse Jamie correre
verso di loro: «Ehi, guarda chi c'è».
La
bambina saltò tra le braccia di Alex, alzata dagli scalini
per
acchiapparla, e dopo corse a salutare loro, mostrando la gonnellina
nuova con uno speciale orgoglio negli occhi. Salì
all'interno del
chiosco sapendo che Indigo si trovava lì e loro due la
sentirono
chiederle, pressante, perché fosse da sola. Maggie e Alex ne
approfittarono per baciarsi fugaci.
«Mi
avresti avvertita, accidenti! Leslie è andata a prendere i
panini
per me e per lei e…», diede un'occhiata
all'orologio al polso, «se
non torna entro cinque minuti mi toccherà pure andarla a
cercare».
«Non
preoccuparti: Jamie ha già mangiato e io… ho
mangiato qualcosa.
Allora, come mai sei qui-».
«Te
l'ha detto?», Kara per poco non gridò,
«Non si può licenziare
qualcuno in questo modo».
Maggie
allungò lo sguardo verso Alex, intenta a fulminare sua
sorella con
gli occhi. «Sono stata licenziata»,
sospirò scrollando le spalle,
sentendo in sottofondo Lena che, a bassa voce, redarguiva Kara nel
dire che era possibile e così iniziare un piccolo
battibecco.
«Ouch»,
lei serrò le labbra, dispiaciuta, e pensò di
circondarle il collo
con le braccia. «Non importa. Odiavi quel lavoro. Prima
pensiamo
alla casa, avremo tempo per la moto». Si baciarono ancora
finché
non udirono un sonoro verso indisposto e Jamie correre a separarle.
Poco
più tardi si sedettero tutte di nuovo sugli scalini appena
battuti
dal sole, tenendo d'occhio Jamie che, in fondo, giocava a rincorrersi
con altri bambini. Mordendo e masticando i loro panini, tappandosi la
bocca, ascoltavano Iris West in videochiamata sul laptop di Lena dire
loro che aveva già provato a fare le prime ricerche sulla
famiglia
Luthor e capire così con cosa aveva a che fare.
«Non
ve lo nascondo, ragazze, sarà un lavoraccio»,
ammise, prendendosi un minuto per bevicchiare il suo latte macchiato.
Videro la ragazza delle ordinazioni passarle alle spalle, un momento.
«Fortunatamente
so a chi rivolgermi per una mano, un mio professore. È stato
lui ad
aiutarmi con quello di Barry, è un vero esperto del
settore»,
informò, inquadrando una di loro dallo schermo. «Se
poi avrò l'aiuto di Indigo per quanto concerne il lato
informatico,
conto di fare un buon lavoro».
Indigo
si limitò a un breve cenno del capo e Kara, due scalini
sotto, finì
di masticare prima di prendere parola: «Ti ringraziamo, Iris.
Il tuo
è un aiuto prezioso».
«Non
sai quanto rappresenti per me», proseguì Lena.
«Per
noi», aggiunse Alex, dall'altro lato.
«Oh
no, io ringrazio voi»,
sorrise estasiata. «Questo
progetto è una vera sfida per me, non vedo l'ora di
mettermici!
Senza contare che mi farà fare bella figura col mio
professore, il
che non è proprio da buttare».
Il
suo entusiasmo le contagiò e si scambiarono qualche altra
battuta;
infine, dopo averle detto di salutare Barry, chiusero la
videochiamata e Lena recuperò il suo laptop.
L'unica
a essersi quasi esclusa, a quel punto, parve Leslie Willis. La
reporter ciucciò dalla fiaschetta e, come suo solito,
gridò invece
di parlare, ammutolendo le altre: «Perfetto, ne sapremo di
più
sulla famiglia ricca e saremo tutte felici e soddisfatte»,
gesticolò, scrollando le braccia, «ma mi permetto
di avanzare una
critica». Si alzò, appoggiando la schiena al
muretto del chiosco e
indicando Maggie Sawyer più in basso: «Lei.
Non siamo forse tutte d'accordo che il suo capo è anche il
capo
dell'organizzazione? Ehilà, dov'è il suo
contributo? Siamo tutte
serene nel parlare di alberi genealogici e professori e crediti che
stiamo dimenticando di dare attenzione a quella che qui più
di tutte
può dare informazioni utili», enunciò
d'un fiato, pensando di
provocare qualche reazione: «Oppure è qui solo per
riferire a lui
cosa sappiamo?!».
Alex
si alzò come una molla. «Emh. Mi permetto di
ricordarti che vai a
letto con uno di loro».
«Sì,
ma
emh,
lui non conta», si portò le braccia a conserte,
gonfiando gli
occhi. «Io sfrutto lui e non il contrario. Qui stiamo
parlando del
capo, ti è chiaro? Larry può fare il capo solo in
un determinato
contesto, se afferrate cosa intendo», si lasciò
sfuggire di
proposito, a labbra strette, ottenendo diverse reazioni: Alex e Kara
fecero una smorfia disgustata chiedendole di smetterla, Indigo
nascose il viso tra le braccia a peso morto, Lena piegò le
labbra e
scosse la testa ma Maggie, invece, Maggie no, lei era presa da altri
pensieri. «Oh, lo so cosa avete pensato, razza di maniache!
Ma io
parlavo del-».
«Ha
ragione», se ne uscì Maggie di punto in bianco,
notando poco
distante lo sguardo appagato che Leslie le riservava. Non riusciva a
fare a meno di dare attenzione alla sua tachicardia che, da aver
saputo di John Jonzz, aumentata esponenzialmente quella mattina, non
riusciva a liberarsene. Prese un bel respiro: «Dru Zod
è uno dei
fondatori».
Erano
appena arrivati all'ospedale e si erano precipitati a sapere delle
condizioni di John. Avevano parlato con un primario e con diversi
medici. Vedere John Jonzz disteso su quel letto bianco le aveva fatto
mancare il respiro e, per un attimo, la terra sotto ai piedi. Tutto
quel tempo che stava passando con Charlie Kweskill e a lasciarlo
entrare nella sua vita, quel suo abbassare la guardia con Dru Zod in
centrale, il suo abituarsi a stare con loro; era stato John Jonzz ad
affidarle quell'incarico che, forse, stava tradendo senza
accorgersene. Lei voleva mollare e ora John stava in un letto
d'ospedale. Lui non avrebbe mollato, era certo, per quello qualcuno
lo aveva punito.
«Lo
giuro, Mags… Lo giuro», Charlie non aveva fatto
che ripeterlo.
«Non siamo stati noi».
«Se
non voi, allora chi?», aveva digrignato i denti, cercando di
non
alzare la voce in corridoio. Alex si era allontanata solo qualche
metro per chiamare Megan e Kara al telefono e l'aveva vista
guardarla, incuriosita.
«Non
ne ho idea. Hanno avuto una discussione di recente, ma è
tutto a
posto».
«Ti
sembra a posto?».
«Ma-»,
si era tirato indietro, alzando le braccia muscolose in segno di
resa, «Calmiamoci, okay? Non è stato il Generale,
non potrebbe
farlo di testa sua senza avvertire i beta e io so
che non sono stati avvertiti».
I
beta, i beta… non era la prima volta che sentivano questa
parola:
la gerarchia.
Erano
tornate all'interno del chiosco: Alex seguiva la bambina dall'alto
intanto che Maggie raccontava cos'era successo quella notte, seduta a
gambe incrociate davanti ai fascicoli, uno dei quali già
aperto;
Kara era in piedi con le braccia a conserte tra la sorella e Lena
che, seduta con le gambe piegate sulla tovaglia, appoggiava la
schiena al muretto; Indigo era invece rimasta seduta all'entrata,
distendendo una gamba; infine Leslie Willis, che batté le
mani
soddisfatta che servisse il suo intervento, seduta sul corrimano
sopra il muretto reggendosi a uno dei quattro pilastri in cemento.
«E
qui vi beccate la mia prima chicca per voi, bimbe belle»,
alzò una
mano, «So per cosa stanno i beta».
Tutte
si fecero più interessate e Alex si voltò verso
l'interno,
spronandola a continuare.
«Suonano
le trombe», enunciò con un largo sorriso da
orecchio a orecchio,
«rullano i tamburi».
«Leslie!»,
la richiamò Lena mentre Kara si portava una mano in faccia.
Lei
perse il sorriso. «E va bene, come volete, questa volta
rinuncerò
al pathos. Come suggerisce il nome, i beta sono la classe punta
dell'organizzazione, quelli che stanno in alto; i
nuovi ricchi
se dovessimo vederla come una società. E, per certi versi,
la nostra
organizzazione sembra proprio una società. Piccola piccola e
quatta
quatta. Aggiungiamo, scontato,
che l'alpha
equivale al presidente: il caro capo della polizia, in questo
caso»,
le guardò, soffermandosi su Maggie. «I tuoi nuovi
amici non te lo
hanno spiegato, tutto questo, per prepararti al magico mondo di Oz,
Dorothy?».
Lei
sospirò. «Non so cosa immagini, ma»,
scosse la testa,
inclinandola, «quando sto con loro sto lavorando».
«Per
la polizia, per il povero agente Jonzz o per… il Generale?»,
virgolettò non mancando di sorridere, spazientendo lei e in
particolare Alex.
«Se
hai qualcosa contro di me, non fare la preziosa, dimmela e basta. Il
tuo ragazzo ha avuto qualcosa da ridire sul mio conto, per
caso?».
«Basta,
Willis», la rimproverò invece Alex.
«Siamo tutte dalla stessa
parte, qui, e se hai qualcosa da dire dilla, ma smettiamola di
accusarci a vicenda».
Lena
la tenne d'occhio mentre gonfiava le guance e guardava altrove, un
momento, così scambiò uno sguardo con Kara, che
si fece curiosa a
sua volta.
«Va
bene. Non
toccare la ragazza del boss…»,
bisbigliò. «I beta sono quelli che comandano,
dicevo.
Congratulazioni a tua zia per la promozione, comunque»,
indicò Kara
e sia lei che Indigo deglutirono. «Mi piace questa cosa:
essendo un
gruppo non esiste l'ognuno
per sé,
la mia fonte lo ha detto chiaramente», arricciò la
lingua, «votano.
Per ogni cosa vanno a votazione. E solo i beta e l'alpha possono
votare, sono gli unici ad avere voce in capitolo sulle sorti
dell'organizzazione e i suoi membri. È così che
ci ha lasciato
quella sfortunata di Faora Hui: la maggioranza dei beta ha votato
esattamente per seccarla», abbassò l'indice destro
e Alex serrò le
labbra, dando un'occhiata all'orologio e di nuovo a Jamie, fuori.
«E
la tua fonte sarebbe…?», Alex già
conosceva la risposta e Leslie
sollevò le spalle.
Kara
si morse un labbro. «Avevamo ipotizzato qualcosa del genere.
Faora
voleva diventare una beta, se i beta sono quelli che
comandano…
beh, ha senso. E mia zia… lei è proprio come
loro». Si sentì
osservata e si voltò un attimo, ma Indigo puntava ora lo
sguardo
agli alberi. Perché la stava…?
«Va
bene», prese parola Lena, «Dunque quel Kweskill
è uno dei beta?!
Per questo sapeva che non erano stati avvertiti, perché lui
non era
stato interrogato a proposito?».
«Non
esattamente», riprese parola.
Aveva
creduto a Charlie. Non era riuscita a non credergli e… ed
era
uscita dall'ospedale. Si era girata e aveva sceso le scale fino al
portone aperto, sentendo i suoi passi che l'avevano seguita fino al
parcheggio. Le aveva chiesto perché era scappata e lei si
era girata
con gli occhi gonfi di lacrime per urlargli che non stava scappando
in quell'istante, ma che forse lo avrebbe fatto: «Voglio
chiudere
con tutta questa storia». Non aveva aspettato il suo secondo perché:
«Perché sento di non esserne in grado,
Charlie», aveva abbassato
appena la testa, scuotendola e così guardarlo con
stanchezza. «Mi
sei amico e io devo trovare il modo di incastrarti. Lo
capisci?»,
gli si era avvicinata e lui, dal suo mezzo metro in più
d'altezza,
l'aveva guardata senza battere ciglio. «Sei gentile e mi
guardi come
se potessi davvero darti ciò che stai-», si era
trattenuta,
riformulando, «Dovremo essere nemici, noi due, Charlie.
Dovresti
smetterla… E Dru Zod… io devo poter arrestare
quell'uomo! Devo
poter arrestare lui, e te, e chiunque altro ci sia in mezzo. Ma sento
di non potercela fare e questo», aveva stretto gli occhi,
«mi
impedisce di fare il mio lavoro e ora John… Mi sono
sopravvalutata.
Lui è intubato e io non so fare il mio lavoro». Un
messaggio da
parte di Alex che le chiedeva dove fosse andata aveva interrotto il
suo sfogo, tornando dentro.
Leslie
Willis le guardò con estrema soddisfazione.
«Gamma?»,
Lena trattenne un sorriso, «Hanno usato tutto l'alfabeto
greco?».
Lei
fece una smorfia. «Nah, solo alcuni. Poca fantasia,
suppongo».
«E
i gamma
per cosa dovrebbero stare?», domandò Kara,
interrotta da un verso
di Alex che, guardando prima fuori e poi Maggie, sembrò
allarmata:
«Jamie
sta tirando i capelli a una bambina! Vado io, tranquilla», la
fermò,
vedendola alzarsi, «Pensavo si sarebbero fermate alle parole,
ma…
Torno subito, continuate pure». Fece spostare a Indigo una
gamba e
sparì di corsa, urlando il nome della bimba.
«Lasciala, Jamie,
lasciala».
«Ha
iniziato lei», udirono la voce della piccola, stridula, sotto
l'altra che gridava.
Maggie,
Kara e Lena, e dopo Leslie, si affacciarono con curiosità e
commentarono la scena: la bambina a cui Jamie stringeva i capelli
aveva iniziato a tirare pugni, ma era Alex a prenderli quasi tutti,
intenta a convincere l'altra a lasciarla, forzandole le manine che
erano diventate tenaglie.
«Dovrei
andare ad aiutarla», Maggie si sentì in colpa
all'ennesimo pugno
inferto vicino al naso.
«Alex
è sempre stata brava a incassare»,
considerò Kara, stringendo i
denti.
«C'è
una concreta possibilità che non ci riesca»,
aggiunse Lena,
tirandosi indietro.
«Scommetto
cinque dollari che si aggiungerà alla rissa il bimbo a
destra: sta
puntando Danvers troppo a lungo», incalzò Leslie,
tentando di
indicarlo. «La sa lunga quello lì, eh-eh. Oh! Che
slancio, sapevo
non mi avrebbe deluso». Il terzo bimbo si era attaccato a una
gamba
di Alex per liberare le amichette.
Indigo
seguì solo distrattamente la scena dietro ad alcuni alberi
lontani.
Lontani come lo erano state le auto di quel parcheggio: Charlie
Kweskill aveva aspettato il Generale davanti gli scalini d'ingresso
quando gli aveva scritto di essere vicino ad arrivare. Qualcosa lo
stava tormentando, ma non era il tentato omicidio di John Jonzz:
«La
prego, Generale, devo sapere: ha detto a Sawyer della mia sorellina
morta? Lo ha fatto? Ha… usato
la mia storia per avvicinarla a me?».
Lui
aveva sospirato appena, serio. «Potrei… averle
detto qualcosa.
Siete uniti o mi sbaglio, forse?».
Charlie
Kweskill aveva esitato. «Beh… sì.
Avrebbe dovuto coinvolgermi,
Generale».
«Non
era necessario. Stavi male per Faora e ho pensato che il tuo dolore
avrebbe potuto avvicinare Sawyer a te e, di conseguenza, a noi.
Bisogna sapersi aprire e lasciar andare un po' di umanità
per
raggiungere i propri obiettivi, Charlie».
Indigo
aveva ascoltato con attenzione la sua lezione secondo cui l'empatia
poteva davvero rivelarsi un'arma, se usata a dovere. I sentimenti
sfruttati come punti deboli ma, secondo Dru Zod, erano da celebrare e
non condannare.
«Levi
Luthor era convinto che l'empatia fosse un pericolo per gli affari,
ma io sono di un altro avviso», gli aveva battuto un braccio
in modo
amicale, «L'empatia unisce».
Stava
per superarlo ed entrare che lui lo aveva fermato: «Ma ha
sbagliato
un calcolo, Generale: Maggie Sawyer vuole lasciare, rischiamo di
perderla».
L'uomo
era rimasto fermo forse per un momento in più, pensando.
«No, non
lo farà. Accelera. Includila, sai di cosa parlo. Non
permettiamoglielo».
Lui
si era messo agli ordini ed erano entrati, così Indigo si
era
spostata, rientrando anche lei prima che Lena fosse andata a cercarla
nei bagni o che Kara Danvers fosse tornata in auto con quella Inze.
Maggie
sfogliò alcune delle foto nel fascicolo, con cura. John
Jonzz aveva
seguito la figlia di Dru Zod, Melanie, per tre giorni a Metropolis
prima di tentare un approccio: l'aveva fotografata intenta a portare
il figlioletto all'asilo, era la dirigente in un centro benessere e
l'aveva tenuta d'occhio in un incontro con i colleghi, sorpresa a
fumare una sigaretta all'esterno, a baciare il marito non distanti da
una finestra della loro abitazione in centro, in un palazzo. Era per
questo che lui e Zod dovevano aver discusso, pensò. John
aveva
pedinato sua figlia per accertarsi che non facesse niente di sospetto
e dopo si era avvicinato a lei per chiederle di suo padre. Non
sembra sapere nulla della doppia vita di quell'uomo,
aveva scritto John sul fascicolo, è
pulita.
Adrian Zod non doveva aver apprezzato l'intrusione.
«Da
quel che ho capito, i gamma
svolgono quasi un lavoro di segreteria», proseguì
Leslie. «E sono
numericamente inferiori a tutte le altre classi. Il gamma di spicco,
neanche a dirlo, è il vostro Charlie».
Maggie
alzò lo sguardo e Alex rientrò nel chiosco dopo
aver lasciato Jamie
fare pace.
«Charlie
Kweskill è il segretario di Zod?!», quella di Lena
non sembrò
proprio una domanda.
«Non
mi sorprende», sindacò Alex, massaggiandosi sotto
un occhio.
«Spiega perché è sempre appresso a
lui», scambiò uno sguardo con
la compagna.
«I
gamma sono gli occhi e le orecchie di quell'organizzazione, se volete
il mio parere», precisò Leslie, scivolando a terra
dal muretto e
allungando le gambe. «Il mio uomo li ha definiti i guardiani»,
ridacchiò, ma fu l'unica a farlo, sotto lo sguardo
interessato di
Kara e Lena.
«E
lui ti ha raccontato tutto questo?», domandò la
prima, stringendo
gli occhi e vedendola annuire.
«È
un gran chiacchierone, in special modo se sai toccare i punti
giusti».
Loro
si erano riguardate mentre Alex la pregava di smetterla con le
allusioni sul sesso, dando uno sguardo all'orologio e dicendo a
Maggie di dover andare, intenta a sfogliare ancora quel fascicolo.
Dopo aver abbandonato la pista su Melanie Zod, John Jonzz aveva
stretto proprio sul Generale, il presidente dell'organizzazione,
fotografandolo, tra le altre cose, a una cena con lo sceriffo della
contea e le rispettive famiglie. Oh, questo doveva averlo messo nei
guai… L'organizzazione aveva tra gli accoliti lo sceriffo?
Più che
mai era comprensibile perché Alex, e ancora prima John, non
potessero fidarsi dei loro colleghi.
Vicino
a panchine, aiuole e fontanelle, Kara si era messa a rincorrere i
bambini che le sfrecciavano intorno cercando di toccarla, giocando
con loro per distrarre un'inconsolabile Jamie da quando Alex l'aveva
salutata per andare a lavoro. Lena la fissava mentre era seduta su
una panchina blu accanto a Indigo, sopra la spalliera, che non faceva
che fare qualcosa, qualsiasi cosa fosse, col suo cellulare. Si
stavano prendendo una pausa, a breve anche lei avrebbe dovuto
lasciarle per andare alla Luthor Corp. Sentiva i bambini chiamarla
mostro
e alcuni discussero sul piano per attaccarla insieme. Ridevano e
gridavano, controllati a vista dai genitori. Kara ne
acchiappò uno e
lo lasciò andare quando fu accerchiata: Lena sorrise, Kara
sembrava
nel suo habitat.
«Come
sta andando?». Maggie le si sedette accanto con un pronto
sorriso,
guardando lei e dopo Kara, e arrossì appena, sorridendo a
sua volta
e abbassando un poco lo sguardo.
«Bene,
direi», rispose, lasciando la bocca socchiusa.
«Pensiamo che
andremo a vivere insieme».
«Ma
è fantastico», riguardò verso Kara,
«sono contenta per voi».
«Voi
come lo fate funzionare?».
Maggie
ci pensò, prima di rispondere: «Nessun piano. E
credo non servirà
nemmeno a voi, è evidente».
Ci
fu silenzio per un po', passato ad ascoltare gli uccellini che
volavano vicini e le risate dei bambini e quelle di Kara. Lena
lanciò
un'occhiata a Leslie che, vicino al chiosco, era impegnata in una
telefonata; poi a Indigo, immersa nel suo mondo. Con la coda
dell'occhio, vide Maggie farsi improvvisamente seria. «Non
vuoi
farlo, vero?», soffiò a un certo punto,
intravedendola scuotere
tiepidamente la testa. «Sono l'ultima che può
darti lezioni»,
forzò un sorriso. «Ho fatto cancellare quei dati
sulla chiavetta
usb», aggiunse poi. «A volte ho dubbi. Se
farlo… o non farlo,
quale sarebbe stata la migliore opzione».
Maggie
abbassò la nuca, lasciandosi anche lei andare a un tirato
sorriso.
«Capisco… Alex me lo ha detto», la
guardò. «Mi sento stupida.
Non riesco a odiare Zod o a temerlo come la minaccia che dovrebbe
rappresentare. Io penso davvero che lui ritenga di fare del bene per
National City e che poi lo faccia nel modo sbagliato. Perché
so che
è sbagliato, non trascendo su questo,
ma…».
Lena
accennò una risata. «Oh, sì. Mia madre
mi ha disprezzato da quando
sa della mia esistenza, mi ha educato alla sua indifferenza, non mi
è
stata vicina mai, non mi ha mai fatto sentire amata, eppure credo
che, nel suo modo contorto, mi voglia bene. E io gliene voglio a
lei», la voce si fece dura e gli occhi lucidi.
Maggie
le prese una mano con la sua, stringendola; si sorrisero.
«Charlie
mi viene a prendere, tra un'ora. Riporto la bambina dalla babysitter
e… mi ha promesso di mostrarmi alcuni risultati
dell'organizzazione».
«Ci
penserà Kweskill», le aveva detto Zod,
all'ospedale, «Ti mostrerà
le potenzialità dell'organizzazione che Petra ed io abbiamo
aiutato
a fondare».
Lena
la guardò, incuriosita.
«Ho
paura di scoprire che hanno ragione», confidò.
«Non dirlo ad
Alex».
Glielo
promise, ma sembrava il minimo. Non che volesse che lei dicesse a
tutti sul suo voler bene a sua madre. Accidenti, quello non avrebbe
dovuto dirlo.
«Magari
scopro che è tutta una messa in scena, che mi stanno
ingannando»,
proseguì lei; «Che il Charlie che sto imparando a
conoscere è la
maschera di un'organizzazione che vuole da me chissà
cosa».
«Non
credo»: la voce di Indigo spaventò entrambe, non
accorte che le
stava ascoltando. Mostrò loro il suo cellulare, chiarendo di
essere
entrata nel suo profilo Facebook
solo per curiosare e non per crear danni. C'erano più foto
del
ragazzo e di Maggie insieme, con tanto di date dei momenti in cui
erano state scattate. In alcune mangiavano, in altre erano in auto,
in altre ancora davanti alle vetrine, facendo facce buffe.
Maggie
arrossì. «E-E-E… quelle sono state
scattate nelle pause, per
chiarire. Lavoriamo… di solito. Come sei
entrata?».
«CharlieIlMagnifico93:
è la sua password».
Lena
e Maggie rimasero in silenzio per qualche istante.
«Beh…
Non credevo le avesse ancora», riprese parola, guardando il
telefono, «Almeno le ha settate che può vederle
solo lui, perché
organizzazione o meno, se il capitano ne vede anche solo una ci
lascia a casa senza stipendio».
Indigo
grugnì. «Sì, il lavoro è
meglio tenerselo stretto, naturalmente.
Ma permettimi, carina: non sono molti i membri dell'organizzazione
certi ad avere un social e il massimo che fa questo Charlie
è
condividere appelli per animali in adozione, vi risparmio su cosa
mette i like,
l'unica cosa della sua vita che posta sono le sue foto con te.
Private».
«Ricordi»,
commentò Lena.
Non
mancò molto che Leslie andasse da loro per richiamarle
all'appello,
ma non era sola. «L'ho trovata che vagabondava qui intorno e
volevo
chiedere a mammina e papino se posso tenerla»,
indicò la ragazza a
fianco e in cambio ricevette un dito medio. Kara correva in loro
direzione e Leslie sorrise: «Ah, ecco papino». Si
bloccò, fissando
Lena a sottecchi, «Mi correggo… tu sei
papino».
«Siobhan!»,
Kara allungò le braccia, «Sei venuta
davvero».
«Sì,
sì, va bene, ma manteniamo le distanze per il quieto
vivere», la
bloccò, arretrando. «Mi hai chiesto una cosa e
sono qui, ma non
posso trattenermi e dunque sarò breve».
«Cosa?»,
sbottò Leslie, «Hai lasciato a casa un centrino ad
ago e filo a
metà?».
Siobhan
la guardò sinistra. «Allontanati da me o prendo lo
spray al
peperoncino. Sfidami, Willis. Ti prego, fallo». Leslie
scherzò
ancora ma le piacque come di fatto si allontanò per davvero,
fosse
anche solo un passo. «Sono stata a Fort Rozz a trovare Rhea
Gand»,
guardò di nuovo Kara e dopo le altre, che si accigliarono.
«Viaggio
a vuoto: la stronza non vuole parlare».
Rhea
Gand l'aveva guardata dapprima con sconcerto e poi si era messa a
ridere dietro il vetro che le divideva, camminando verso la sedia per
le visite. Probabilmente era l'ultima persona che pensava sarebbe
andata a trovarla. Siobhan l'aveva fissata con disprezzo, indicandole
più volte la cornetta dal suo lato, accartocciando le
labbra.
«Non
vuole parlare con nessuno, che ti dava la certezza di essere
così
speciale?», brontolò Leslie.
«Non
sei in malattia?», le domandò invece Maggie.
«Sì,
sono andata per mia pura soddisfazione personale»,
raccontò con una
luce negli occhi. «Sto cercando di…»,
scosse una mano, «sai,
affrontare i miei demoni e cose del genere, per guarire».
Indigo
non resistette: «Oh, si intende questo con l'affrontare i
propri
demoni?».
«Emh,
scusa, mi pare nessuno ti abbia interpellato, Frozen!
Da dove è uscita questa qui?», si
guardò attorno, arricciando il
naso, «Non c'erano già abbastanza Principesse
Disney
in questa storia?».
«Siobhan»,
la richiamò Kara, «Non ti ha saputo dire proprio
niente? E da come
si comportava…?».
Lei
scrollò le spalle. «Ho provato a dirle
ciò che si sarebbe voluta
sentir dire, a farle sentire… sai, la mia vicinanza, a tirar
fuori
un po' di conforto umano… quelle cose
lì».
«È
che ti manca la materia prima, per quello»,
gracchiò acida Leslie e
lei la ignorò, indicandole la borsa.
«La
odio, ma pensavo che farle sapere di comprenderla e volere da lei un
aiuto per spodestare Zod potesse… ma ha paura. È
una cosa che
riesco a capire perché…», si
fermò per un attimo, abbassando la
voce, «so
come ci si sente.
Non che questo cambi qualcosa: dovesse crepare domani,
stapperò lo
spumante».
«Paura…»,
farfugliò Maggie, per poi alzarsi in piedi e richiamare la
figlia.
«Zod mi ha esplicitamente detto di volere una confessione da
Gand
per la morte di Petra, la sua fidanzata di allora. È
convinto che
lei l'abbia uccisa e se è vero che ha paura, non mi
sorprende».
Richiamò Jamie che fingeva di non sentirla, prima di dare di
nuovo a
loro la sua attenzione: «Dobbiamo saperne di più
su questa Petra».
Kara
lanciò un'occhiata a Indigo, che annuì, seppur
seccata.
Levi
Luthor. Adrian Zod. Petra Taylor.
Levi
Luthor: fratello di mezzo tra Lara, primogenita dotata di cui della
sua giovinezza si era conservato poco, e Louie, nato malato e il cui
unico maggior dettaglio rimasto di lui nel tempo era quella piazza,
costruita in memoria di ragazzi come lui, vite spezzate a causa di un
incidente.
Adrian
Zod e Petra Taylor, fidanzati: lei era morta cadendo dalle scale
prima che potessero sposarsi, sorella maggiore di quella che
conoscevano come Rhea Gand, che lui accusava di averla uccisa.
Pezzi
di storia che galleggiavano per aria senza connessione. Cos'era
avvenuto prima e cosa dopo? In che punto era nata l'organizzazione e
con quale scopo? Come si erano conosciuti i Luthor e i due promessi
sposi?
Era
Lena quella ad avere la testa per aria insieme a quelle informazioni,
spostandole con la sua mente, trovando agganci, rimuovendole e
gettando qualche supposizione che potesse fare da tramite tra un
punto e un altro. C'erano delle analogie interessanti: il Generale
era convinto di fare del bene per National City, le aveva spiegato
Maggie, di stare dalla parte delle persone bisognose, aveva
assicurato un posto all'asilo per Jamie, Zod stesso le aveva nominato
i disabili e le difficoltà economiche; Louie Luthor era un
disabile
e quando era ragazzo erano morti quelli dell'associazione, disabili
come lui. E se l'associazione avesse avuto bisogno di soldi? Era lei
a inventarsi tutto oppure tra un evento e l'altro c'era una
connessione, seppur labile? L'organizzazione si prendeva ancora cura
di quella piazza, però.
«Dunque
i delta
sono il ceto medio?», domandò Kara, distraendola
dai suoi pensieri.
Morse il suo secondo panino, aggrottando la fronte. «Ribolleganbomi
alla tua betafora bulla bocietà»,
aggiunse, con una mano sulla bocca.
Leslie
annuì, camminando in cerchio dentro il chiosco.
«Vedi che sei
sveglia quando ti applichi, Supergirl»,
la prese in giro e Kara le riservò un'occhiataccia,
ascoltando
quella Indigo lamentarsi che, quando era lei a fare delle battute,
volavano le penne. «Mi ha spiegato che i delta
sono i membri comuni: partecipano alle riunioni se aperte a tutti, da
quel che ho capito, ed è tutto. Infine, gli omega».
«I
soldati», intervenne Lena e loro si voltarono, mentre la
ragazza la
indicava orgogliosa.
«Ecco
la prima della classe», rise. «I più
numerosi, gli omega
sono l'esercito
dell'organizzazione; eseguono gli ordini per un mondo più
pulito.
Potrebbero essere ovunque! Il mio uomo è uno di
loro». Recuperò la
valigetta, sorseggiando dalla sua fiaschetta. «Beh, ora devo
andare,
aggiornate le altre. È stato un piacere, belle, alla
prossima
riunione. Ah…», fermò i passi,
«Se poteste non divulgare queste
informazioni, ve ne sarei grata: gli ho promesso di non dirle a
nessuno. Ops!»,
estrasse un sorriso a trentadue denti. «Beh, diamo almeno
questa
idea prima che possa scriverci su un articolo, no?».
Uscì
e Lena e Kara si scambiarono uno sguardo, mettendosi di fretta in
piedi. «Leslie, aspetta», Lena si
affacciò, «Devo andare
anch'io».
Quegli
occhioni verdi non l'avrebbero ingannata, ma tanto valeva togliersi
il dente e scoprire cosa voleva. «Mi dai un passaggio,
Luthor?».
«Certo».
Tornando un passo indietro, colse il volto di Kara con il palmo delle
mani e scambiò con lei un bacio, sotto lo sguardo
imbarazzato di
Indigo e quello infastidito di Leslie dall'altra parte, che la
incitò
a darsi una mossa. «Ci vediamo questa sera?». Kara
le disse
qualcosa a un orecchio e, dopo uno sguardo, si baciarono ancora,
spazientendo una e facendosi richiamare dall'altra. Leslie
schizzò
le braccia verso l'alto quando Lena si staccò, ma non troppo
in
fretta, continuarono a fissarsi, occhi grandi e sospiri. «Non
uccidetevi voi due, mi raccomando! Oh, Kara! Il cestino». Lo
aveva
dimenticato.
«Lo
prendo io! Lo riporto a casa… da-da
te,
quando accompagno Indigo». Si sorrisero e Leslie
tirò via Lena.
«Sul
serio, ma ci date dentro abbastanza?», le domandò
Leslie con
schiettezza, camminando verso le strisce pedonali. «Temevo
che a un
certo punto, a furia di fecondarvi con gli occhi, una delle due
avrebbe iniziato ad ansimare».
Lena
trattenne un sorriso imbarazzato, aprendo la portiera del guidatore e
limitandosi a dirle di salire. Chiusero e allora prese fiato, nel
silenzio. «Posso chiederti-».
«Eccola…
Neanche il tempo di mettere in moto».
«Cosa
hai evitato di dire a Maggie Sawyer?», si voltò
verso di lei. «Ti
conosco da troppi anni, Willis, per per non capire che hai
volutamente omesso dei particolari dal tuo resoconto».
Lei
perse lentamente il sorriso, scuotendo la testa. «Larry se lo
è
lasciato sfuggire… non era voluto». Sentiva lo
sguardo pesante
dell'altra addosso e normalmente lo avrebbe ignorato, ma non
riusciva. Forse era una banalità, o forse… No.
Dalla faccia di
Larry, non poteva essere una banalità.
Erano
a letto e lui si era avvicinato per tenerla stretta a sé,
dopo aver
lamentato di sentire i brividi. «Non vorrei proprio ma devo
andare,
mia principessa dai capelli d'argento», le aveva lasciato un
bacio
sulla base del collo, continuando con le mani a massaggiarle la
schiena. «Il dovere mi chiama».
Leslie
Willis aveva emesso un verso contrariato. «Non puoi
trattenerti
altri dieci minuti? Sei caldo».
«Non
ho dieci minuti, picci, mi stanno aspettando».
«Gli
altri omega?».
«No,
oggi…», si era fermato, sollevando il lenzuolo,
comprendendo dal
tono della sua voce scocciato che non era una spiegazione
ciò che
voleva da lui. «Io sono contento che tu mi abbia dato una
seconda
possibilità dopo aver saputo dell'organizzazione, e ti ho
detto ciò
che volevi affinché tu la vedessi in altro modo
perché… beh,
perché mi piaci davvero e non voglio rovinare… ma
ho come
l'impressione che tu non accetti lo stesso ciò che faccio
con loro».
«Un'impressione,
eh?», aveva rimarcato con tono sdegnato, alzandosi dal suo
lato e
rivestendosi. Lui era rimasto in silenzio per un po' e Leslie,
dandogli le spalle, aveva chiaramente sentito come un fastidio non
indifferente al centro del petto, che l'aveva forzata a dire qualcosa
subito: «Oh, ascolta…», si era voltata,
«Non posso nascondere il
mio astio per-».
«Quello
che rappresento?». Il giovane le aveva forzato un sorriso e,
sedendo
di nuovo sul materasso, si era infilato le scarpe. «Non sono
arrabbiato», si era riavvicinato a lei, infilando la camicia
sotto i
pantaloni. «Vorrei tanto dirti e mostrarti di più
perché tu possa
capire, dolce cuore mio, ma non mi è permesso… Mi
sono, sì, mi
sono già sbottonato abbastanza», aveva scosso la
testa e
ridacchiato, «mi metterei nei guai. Ma presto ci
sarà un gran
cambiamento se Sawyer verrà inserita come erede del Generale
e-»,
aveva spalancato gli occhi e Leslie altrettanto, fissandolo con
sconcerto. «Oh, io…», si era tirato
indietro e aveva sbattuto
contro il letto, un ginocchio aveva ceduto e aveva rotolato da
lì
fino ad accovacciarsi sul pavimento con le mani, rialzandosi svelto.
«Tu questo… Non la conosci, vero?»,
aveva chiesto con panico e
Leslie aveva alzato un sopracciglio. «Devo andare! Ti prego,
non…»,
aveva aperto la bocca e infine richiusa con scatto, correndo da lei
per darle un bacio e uscire di casa.
Le
due si erano scambiate uno sguardo pensieroso e Leslie Willis,
così,
aveva scrollato le spalle. «Cercavo di capire da che parte
stesse,
chiaro? Perché non so esattamente che diavolo significhi per
l'organizzazione, Luthor, ma la parola erede
non si piega a interpretazioni».
«Dobbiamo
dirlo a Maggie».
«No-»,
si zittì di scatto e poco dopo, senza che le dicesse nulla,
si gettò
sul sedile e allargò le gambe con resa.
«Sì… Sì, nel senso, se
lo ritieni…».
Lena
la scrutò con curiosità e, pian piano, sorrise.
«Riguardo
quell'articolo, Leslie…».
«So
dove vuoi arrivare», sbottò allora, voltandosi,
«Ma è il mio
lavoro e lui dovrebbe aspettarselo».
«Ci
sono cose più importanti».
«Oooh,
non parlarmi dell'amore, ti prego! Non sono innamorata di lui, okay?
E metti in moto: ho la pasticceria di fronte che mi sta facendo la
corte».
Brontolò
e Lena rise, infilando le chiavi nel quadro.
Nel
frattempo, all'Angel
Children's Memorial,
il chiosco dove avevano deciso di sistemarsi le ragazze era ormai
coperto dall'ombra e gli uccellini, nell'albero più vicino,
sembravano avere molto più da dire di loro. La piazza si
stava
riempendo di gente e molti locali nelle vie limitrofe stavano aprendo
preparandosi per la sera. Affacciata, Kara si sforzava per
raggiungere a vista la scultura al centro, raffigurante i piccoli
angeli su sedie a rotelle. Si immaginava come doveva essersi sentito
quel Louie Luthor, a sedici anni, dopo aver saputo dell'incidente
dove erano morti tutti i suoi amici. E come dopo aver fatto costruire
quella piazza per tenerli nel cuore di National City. Si era sentito
in colpa? Lui non era con loro. Proprio come lei, non era con la sua
famiglia quando erano morti. Si doveva essere sentito in colpa per
essere stato ancora vivo?
«Non
molto in più di ciò che avevo trovato in una
precedente ricerca per
Lena su Rhea Gand».
Indigo
interruppe il flusso dei suoi pensieri e si fregò gli occhi,
sedendo
vicino a lei.
«Forse
con un'attrezzatura più adatta, magari… Petra
Taylor, nata nel
millenovecentocinquantacinque a National City, ha
frequentato…
aspetta, mi è sfuggito qualcosa». Sentiva Kara
Danvers che la
fissava, quasi più concentrata in quello che a
ciò che stava
facendo. Che fastidio, la deconcentrava. Era decisamente irritante.
«L'avevo già visto, ma non lo ritenevo importante.
È così che si
sono conosciuti», le indicò qualcosa sullo schermo
del laptop di
Lena e Kara si avvicinò per leggere.
«Petra
e Zod nella stessa università…»,
mormorò, continuando a
sfogliare e- oh,
vide una foto e fece segno a Indigo di zoomare. «La
didascalia della
foto dice che…».
«Già».
«Quello
è Levi Luthor».
In
completo con tanto di cravatta e in mezzo agli studenti, tra cui i
giovani Adrian Zod e Petra Taylor, Levi Luthor sembrava a suo agio,
lì in università per sostenere una lezione sul
progresso
scientifico. Tre dei fondatori certi dell'organizzazione in un'unica
foto.
«Fai
lo screen», le ordinò Kara in un primo momento,
per poi spingerla
di lato e farlo lei, con fretta. «Invio un messaggio a Lena
per
dirle che abbiamo trovato qualcosa. Non so a che ora ci rivedremo
questa sera, sono da mia zia».
Indigo
deglutì, spegnendo il laptop. «Non… Non
hai intenzione di…»,
si fermò non trovando le parole e Kara la guardò,
accigliata, «Con
tua zia, intendo».
«No»,
si spostò un ciuffo dagli occhi, «Credo?
Se ho capito di cosa parli. Mia zia fa parte dell'organizzazione,
è
una beta,
andare da lei e parlarle è la cosa più logica che
mi venga in
mente, ma questo non significa che io la perdoni o… cose del
genere. Parleremo. Vedrò di capire se… se
è sì, beh, se c'è
ancora un po' della zia che ricordo».
Continuò
a digitare un messaggio e Indigo strinse un pugno. Anche lei aveva
dei ricordi di quella notte che al contrario non avrebbe condiviso.
Dopo l'arrivo di Astra Inze. Dopo la discussione con Lillian
Luthor-Danvers e l'intromissione di Kara. Dopo aver mangiato il primo
piatto della cena quasi sforzandosi, sentendo la bocca dello stomaco
chiudersi. Dopo. Dopo era andata in bagno, più per scappare
da loro
che per lavarsi le mani. Aveva sentito dei passi ed era rimasta in
allerta, sbirciando
attraverso la porta spinta a metà, davanti allo specchio
sopra il
lavabo.
«Occupato?»,
la donna aveva messo una mano sulla porta e l'aveva aperta.
«Posso
permettermi? Speravo proprio di poter scambiare due parole con
te…
Linda».
Indigo
si era stretta nelle spalle. «Vuoi che ti ringrazi per non
aver
detto nulla? Puoi sognartelo, Inze: se pensi che mi sentirò
in
debito, ti sbagli di grosso».
«Oh
no, non sono stata zitta sulla tua identità per te, non mi
devi
nulla». L'aveva spinta all'interno del bagno per farsi
spazio,
socchiudendo di nuovo la porta e aprendo il rubinetto per
risciacquarsi le mani. «Ma la tua presenza qui con loro mi
dà
parecchio da pensare. Sapevo che eri fuori grazie a un garante e a un
lavoro misterioso. Chi non ama i misteri…? Allora, quanto di
quel
lavoro
c'è nella tua presenza qui?».
Lei
aveva forzato una risata, mettendo le braccia a conserte.
«Puoi
chiederlo direttamente al tuo capo. L'organizzazione non sa sempre
tutto?».
«Ma
io lo sto chiedendo a te», aveva chiuso e, con le dita che
gocciolavano, si era girata per squadrarla. «Puoi essere
così
gentile da informare una vecchia amica di prigione?».
«Non
sei mai stata amica mia. Ma non preoccuparti, non è Kara a
interessargli», le aveva risposto e Astra aveva annuito,
asciugandosi le mani.
«Che
sia. Non vorreste averci contro».
«Come
se avessi paura di te. Di voi. Non me ne importa niente». Le
era
passata alle spalle per uscire, sorridendo ancora una volta. Aveva
bloccato i suoi passi a un palmo dalla porta solo quando aveva
sentito una mano fredda adagiarsi sulla spalla destra.
«Cosa
ne pensi, andiamo?»: Kara le sorrise, alzandosi.
«Ci mangiamo un
gelato mentre andiamo in villa?». Recuperarono le proprie
cose e si
scambiarono uno sguardo: il gelato sarebbe andato bene. Kara
incastrò
il cestino da pic-nic sottobraccio e lasciò che Indigo
tenesse il
laptop, guardandola ancora, si rendeva conto, con una certa
insistenza. «Lui ne fa parte?».
«Chi?».
«Il
tuo garante. Fa parte dell'organizzazione?».
Lei
mise su un'espressione scocciata poiché non ne poteva
più di certe
domande e insinuazioni. «Non vuoi proprio credermi quando
dico che
non so chi sia, vero? Non ne hai intenzione?».
Kara
serrò le labbra e, di botto, sospirò.
«Sei molto sveglia, Indigo,
non puoi non saperlo, ti consumeresti nelle ricerche», scosse
la
testa. «Ma non vuoi dircelo. E se non vuoi, avrai le tue
ragioni.
Okay, non dirlo, Lena ed io ci arriveremo da sole, ma almeno rispondi
perché è importante: è membro dei
quell'organizzazione?».
Si
guardarono per qualche secondo, in completo silenzio: si stava
mettendo vento che sbatteva sul corrimano in ferro, intanto gli
uccellini sugli alberi erano sempre più chiassosi, volando
da una
parte all'altra, padroni della piazza.
«No»,
deglutì e la vide ansimare, «Non
più».
Kara
sapeva che non avrebbe ottenuto di più da parte sua.
«Grazie».
Sapere che non faceva parte dell'organizzazione era già
un'informazione preziosa, ancor di più lo era sapere che non
ne
faceva parte al
momento.
Cosa gli era successo nel frattempo?
Scesero
le scalette e Kara non credette ai suoi occhi, alzando le mani e le
braccia per attirare l'attenzione della sua amica Megan che si girava
attorno spaesata, con la yorkshire color miele al guinzaglio. Neanche
a pensarlo, fu la cagnolina ad accorgersi di lei per prima, tirando
per raggiungerla.
«Avete
già finito? Com'è andata?». Si
abbracciarono subito e Kara le
chiese come stesse.
«Hai
avuto difficoltà a uscire con lei?», si
abbassò per coccolare
Nana, che cercava di arrivarle sul viso per leccarla.
«No…
Credo tu avessi ragione: quello ha una cotta per me».
Indigo
le sentì ridere appena e fece qualche passo in avanti,
cercando di
mettere a fuoco delle persone in particolare, tra quelle che giravano
in piazza. Dei volti conosciuti.
«Io
non penso sia vero. Penso che tutta questa maschera del non
me ne importa niente
sia solo un modo per proteggerti piuttosto primitivo, Indigo Brainer.
Pensi davvero sia meglio non provare niente, forse, è dolce
da parte
tua, ma io ricordo come ti nascondevi sotto ai letti per non farti
trovare. Sei stata ferma a farti colpire, ma ti leccavi le ferite in
bagno. Pensavi non ti notassi, cara ragazza? Lionel Luthor mi aveva
parlato di te, credo ti sopravvalutasse», le aveva rivelato
Astra
Inze, accostandosi per parlarle all'orecchio. «Sai cosa?
Avrebbe
voluto averti. Nell'organizzazione. Avrebbe voluto offriti un lavoro
così come ha fatto quel garante per cui ora tanto ti
prodighi. Così
come avrebbe voluto l'FBI. Non te lo hanno detto? Il tuo profilo
psichiatrico lo sconsigliava e la proposta è stata bocciata.
Inaffidabile e instabile. Lui lo saprà, no? Il tuo garante.
Cosa
avrà usato per tenerti al guinzaglio? Quale paura ti
avrà
inculcato?».
Indigo
si immobilizzò e affannò il respiro. Loro
l'avevano vista, si
stavano avvicinando. No, no, non l'avevano vista ora,
sapevano che era lì, erano lì per lei. Non
riusciva ad
allontanarsi. Guardò indietro Kara che, parlando con quella
Megan,
accarezzava la cagnolina. E anche se si fosse allontanata, che senso
avrebbe avuto? L'avrebbero trovata. L'avrebbero trovata sempre.
«Indi»,
Carol si tirò dietro un orecchio i capelli e
l'abbracciò, mentre
lei restava ferma come una tavola di legno. «Quanto tempo,
cara, mi
sei mancata».
Dopo
fu il turno del marito Noah, che la strinse. «Non fare
niente», le
sussurrò lui, «Niente panico».
«Cosa
fate qui?». Non c'era l'ombra dei loro figli, non li avevano
portati: non poteva essere un buon segno.
«Oh,
una passeggiata, cara», le sorrise radiosa.
«E…», guardò Noah,
«un avvertimento, temiamo».
L'uomo
aveva cinto la vita della moglie, facendosi più stretti.
«Si è un
po' risentito per via del piano che hai escogitato da sola e per come
le cose si sono evolute, Indi, ti avevo avvertito. Ma gli
passerà,
non dargli motivo di dubitare della tua fedeltà
e… continua. In
fondo stai ottenendo dei risultati ed è ciò che
conta».
Entrambi
insieme gli avevano sorriso, ma Indigo non riusciva a stare
tranquilla con loro lì. Di peggio, poteva esserci solo che
Kara
Danvers li notasse e li raggiungesse. Oh…
andava male, la guardò. Molto male.
«Piacere»,
Carol allungò la mano verso Kara e dopo Noah.
«Sono un'amica di
vecchia data della mamma di Indigo. Che tragedia, poverina, cosa
è
successo…».
Parlarono
un po': Indigo sentiva che lo facevano, ma si era estraniata, non
riusciva a concentrarsi per capire il significato delle parole. Si
sentiva vuota, e piccola. Dalle facce di Kara, non riusciva neppure a
capire se lei ci credesse o meno a tutte quelle fandonie.
Perché il
suo angelo custode le aveva fatto questo, perché?
«La
parte divertente, Indigo Brainer», Astra l'aveva guardata di
nuovo,
«è che in prigione avevi tutti i motivi per avere
paura, ma nel
mondo qui fuori nessuno potrebbe davvero tenerti al guinzaglio, se
volessi. Se non riesci a comprenderlo è solo
perché è davvero
riuscito in ciò in cui noi e l'FBI non avevamo voglia di
applicarci.
Tanto di cappello a lui, chiunque sia. Credo davvero che Lionel ti
sopravvalutasse, povera ragazza». Era uscita dal bagno prima
di lei
e Indigo aveva stretto i denti fino a farle male la mandibola.
«Posso
dirtelo?», Carol aveva preso una mano di Kara, stringendola.
«Hai
un viso così angelico, sono contenta che Indigo abbia
trovato delle
amiche, finalmente. Tiene a voi, ne sono sicurissima. Per questo
andrà tutto bene». La guardò e Indigo
si paralizzò.
Andrà
tutto bene…
o le avrebbe uccise.
Ouch,
più che un avvertimento, pare proprio una minaccia!
Bentrovate
e bentrovati. Come vi aveva anticipato Leslie Willis, questo
è un
capitolo davvero lungo ma succede molto poco, o quasi.
Quasi
perché alla fine ci sono state fornite un mucchio di
informazioni,
sia ricavate da John Jonzz prima che finisse steso in un letto
d'ospedale, sia dai resoconti delle ragazze.
C'è
una parte che vi ha colpito di più? Vi siete fatti un'idea
di cosa è
successo nel passato, che avrà inevitabilmente influenzato
il
presente?
A
questa domanda darà grande risposta il prossimo capitolo,
uno stand
alone che… no, beh, in realtà i
prossimi,
perché di fatto il prossimo capitolo, che è uno
stand alone,
dicevo, è diventato così lungo e pieno di eventi
che ho dovuto
spezzarlo e dividerlo in sei
minicapitoli!
Alcuni di questi minicapitoli sono lunghi quanto veri e propri
capitoli; non lunghi come questo, ma fanno la loro bella figura.
Scrivendo
questo e il prossimo capitolo, che si dividerà tra parti nel
presente ambientate in questa stessa giornata e parti nel passato, mi
sono resa conto di quanto la storia stia svolgendo i propri nodi, e
come ora ogni cosa è importante per la corsa verso la fine.
Che è
ancora “distante”, in realtà, ma non
più così tanto. Più che
altro perché ci metterò tanto a scriverla XD
Ebbene,
fatemi sapere cosa ne pensate :) Vi do appuntamento a sabato 18
luglio con il minicapitolo 65.1 che si intitola Riscatto:
Perdita.
Sì, Riscatto
è il titolo del capitolo 65 e Perdita
è il titolo del minicapitolo. Qualche idea basata sui
titoli? ~
Buon
pomeriggio! Era forse questa la news che stavate aspettando? Chi lo sa,
considerato che abbiamo una notizia buona e una cattiva...
Partiamo
con la buona: Our home sta per tornare! Quando? Questo sabato: sabato
13 febbraio 2021.
La
notizia cattiva? Sono di nuovo bloccata con la scrittura; è
un periodo di alti e bassi e scrivo quando sono dell'umore giusto, ho
l'ispirazione buona e così via, quindi tornerò in
pausa dopo qualche capitolo. Ma ci ho pensato e magari pubblicare
ciò che ho mi aiuterà a continuare, o magari
farà l'opposto, chi lo sa, lo scopriremo vivendo...
Quindi
nulla, vi lascio alla piccola prefazione e… ci rileggiamo
presto ;)
Ho sempre
sostenuto che, se si comincia a delineare una trama complessa, o se si
scrivono i personaggi in un dato modo, ci dev'essere un
perché, un percome, e un inizio. Non mi piacciono i
personaggi che si comportano in un certo modo perché
sì, né che ci possa essere un'organizzazione
criminale nata dal nulla perché deve fare da sfondo alla
storia d'amore delle protagoniste e metterle in difficoltà.
Poi che ci possa o meno riuscire è un altro paio di maniche,
ma non siamo qui per disquisire su questo u_u Dal momento che sono
partita a scrivere Our home avevo in mente una trama più
complicata e articolata e una più base, e ammetto che
quest'ultima mi avrebbe semplificato il mondo, avrei avuto
più commenti per capitolo lungo il percorso, e me la sarei
sbrigata molto prima, ma ho seguito l'istinto e altre cose, e me la
gioco così. Mi rendo conto che molte persone leggono la mia
fan fiction solo per la supercorp (e ci mancherebbe, ahahah) e potrebbe
non interessare il resto, ma ho un dovere verso questa storia e devo
farlo a discapito di tutto. Questa piccola prefazione è per
preparavi ai capitoli che verranno! Ricordate che il capitolo 65
sarebbe stato uno stand alone? Non sarà uno stand alone
qualsiasi, ma sarà uno stand alone particolare, diviso in
sei “minicapitoli” dove potrete leggere l'inizio,
passo dopo passo: l'inizio dell'organizzazione. Perché per
me non è solo sfondo ma parte integrante di questa fan
fiction, proprio come la storia d'amore delle protagoniste.
Cosa
posso dire di più? Considerato il tempo trascorso, vi
consiglierei di rileggere il capitolo precedente Angel Children's
Memorial perché avrà modo di prepararvi a
ciò che leggerete ora, non solo per questo stand alone
diviso in sei appuntamenti, ma proprio per i capitoli da qui in avanti.
Faremo
la conoscenza di personaggi nuovi e altri li conosceremo sotto una
nuova luce.
Capire
il passato ci aiuta a comprendere e cambiare, chissà, il
presente.
Buona
lettura!
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