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Autore: Ghen    27/06/2020    0 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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Salve! Qui la vostra Leslie Willis!
Sono stata scelta per questa introduzione al nuovo capitolo, non pagata, sottolineiamo, per dire a tutti voi che vi apprestate a leggere che questa robaccia è lunghissima! Ed è ironico se pensiamo che succede davvero pochissimo; la maggior parte del tempo lo si passa sedute a fare salotto, è incredibile. Beh, tenete d'occhio i dettagli, non li ripeteremo per nessuno. No, proprio nessuno, intendo, non si fanno favoritismi e, se dovete andare in bagno, correte ora o ve la dovrete fare addosso.
Dalla regia mi dicono di ricordarvi di tenere a mente il passaggio dei tempi verbali! Dal presente, tipo La principessa si svegliò in un mondo di fiabe; al passato, La principessa si era svegliata in un mondo di fiabe ma era l'lsd. Dovete perché, sembrerebbe, noi protagoniste avremo parecchio da ricordare e partiranno i filmini in stile flashback.
Ricordatevi di me, che se non ci fossi queste starebbero a girarsi i pollici.
Grazie per l'ascolto, è stato quasi un piacere.
Leslie










64. Angel Children's Memorial


Era stato inaspettato. Aveva sentito il cellulare vibrare accanto al piatto e Alex aveva chiesto scusa, alzandosi per andare a rispondere. Avevano lasciato Jamie dai nonni e, seduto davanti a loro, Charlie Kweskill rideva sereno. Tutto sommato, la cena stava proseguendo meglio di come si era immaginata.
«Posso prendere altre polpette?», aveva chiesto lui con l'acquolina in bocca ed entrambe le mani già al centrotavola.
Maggie gli aveva dato il permesso, alzandosi per andare a riempire il boccale d'acqua. Nessuno dei due era pronto per vedere Alex tornare da quella telefonata con la pistola puntata verso il giovane poliziotto.
Lui aveva spalancato la bocca, portando le mani in alto. «Okay, le lascio».
Alex riempì le guance d'aria ripensando a quella notte, quella cena, due giorni fa. Aveva appena parcheggiato l'auto e stava raggiungendo la boutique a piedi, chiave magnetica già in mano.
«Che cosa succede?», le aveva chiesto Maggie, lasciando il boccale sulla penisola del cucinino. Guardava la sua compagna e lui, che sembrava spaesato almeno quanto lei.
«John è in ospedale, lo hanno saputo adesso. Qualcuno gli ha sparato».
«Cosa? John… Come- Come sta? È terribile».
«Ohi, okay… Non è…», lui aveva cambiato espressione di colpo. «Mi metterò in piedi, okay? Non sparare… Noi non c'entriamo niente con questa storia! È la prima volta che lo sento».
La prima volta che lo sentiva, ripensò Alex. Dal suo volto pallido sembrava dire la verità, ma come poteva fidarsi? Diede un'occhiata al cielo anche oggi soleggiato fin dalle prime luci del mattino e passò la chiave magnetica, con un movimento automatico. Spinse la porta per entrare e ci sbatté contro la fronte. Non si era- Passò la chiave magnetica di nuovo e la spia si fece rossa. La passò ancora, e ancora, sempre rossa. «Oh, e cosa ti prende, adesso…?». Ci appoggiò la fronte sopra, sconfitta.
L'Angel Children's Memorial. Kara girò su se stessa per ammirarla appieno: non aveva mai considerato quanto fosse grande quella piazza, non passava spesso da quelle parti. Sorrise, osservando gli uccellini che volavano da un albero all'altro, dopo innumerevoli cinguettii. Era bella. Fermò la mano sopra una delle fontanelle, lasciandosi schizzare, così si strinse la camicia grigia a quadri legata in vita, cercando di visualizzare il punto dell'incontro.
Aveva avuto così paura. Quando Alex le aveva telefonato per dirle di John, le era mancato il respiro ed era tornata alla cena che quasi tremava. Sua zia le aveva chiesto cos'era successo e lei aveva sentito l'irrefrenabile impulso di fissarla torva, andando direttamente verso di lei, col cuore che palpitava frettoloso in mano. «Siete stati voi?». Lei diceva di non capire e Kara si stava spazientendo, stringendo un pugno. «Siete stati voi? Dimmelo! Qualcuno ha cercato di uccidere John», si era voltata verso Lena di scatto, che tra le altre voci le chiedeva cosa stesse succedendo. La cena non stava andando poi così male, erano riuscite a trovare argomenti di discussione che non includessero lei e Kara era quasi tentata di darle in futuro una possibilità, ma quella telefonata aveva spezzato la serenità conquistata, mettendo tutte nel panico. Astra compresa. Si erano fiondate all'ospedale e avevano raggiunto il reparto. Megan le era corsa incontro per un abbraccio, in lacrime.
«Non mi fanno entrare perché non sono parente», era riuscita a dire tra i singhiozzi.
Alex e Kara si erano scambiate uno sguardo e la seconda si era avvicinata, con l'amica ancora tra le braccia, al vetro che affacciava alla sua cuccetta: l'uomo respirava attaccato a un tubo, le condizioni sembravano stabili. Gli avevano indotto il coma, aveva precisato Alex, lì da qualche minuto prima di lei. Gli avevano sparato a Marsington dopo che se n'erano andate ed era stato soccorso lì, il padre gli era stato vicino ma non avevano avvertito nessuno, neppure la sua ex moglie. Alex non sapeva neppure che avesse una ex moglie. Il trasferimento all'ospedale con le cure all'avanguardia di National City era stato scelto come ultima spiaggia, le aveva spiegato la sorella, e solo qui i medici avevano avvertito loro. Era tutto così incredibile, surreale, e sbagliato. Lo avevano salvato per miracolo, ma dovevano tenerlo sotto stretta osservazione per dichiararlo fuori pericolo.
Astra aveva dato un'occhiata all'uomo e si era poi voltata verso il ragazzo, preoccupata. «Kweskill».
Lui aveva annuito, cellulare in mano. «Chiamo il Generale».
Kara sorrise, correndo verso un chiosco in particolare della piazza. «Cosa fai già qui? Non avevi il turno in boutique, stamattina?».
Affacciata con le braccia a conserte sul corrimano in ferro, Alex sospirò con pesantezza, facendo dondolare la testa. «Avevo… Mi hanno licenziata», mormorò con delusione. «A quanto pare non andava a genio che avessi mentito sull'università nascondendo il mio primo lavoro».
Kara girò il chiosco, circondato da piccole aiuole, per trovare le scale ora all'ombra. «E lo hanno saputo solo adesso?».
«No», Alex si voltò per aspettarla. «Ma prima faceva comodo avermi lì, ora hanno assunto una sostituta. E addio salario extra».
«Mi spiace, sorellona». Le andò incontro per un abbraccio e si sentì annusare i capelli.
«Sei stata all'ospedale anche ieri tutta la notte?».
«Sì…», si staccò, fissandola con sdegno, «Ma mi sono lavata! Sono andata al campus a farmi una doccia e… a dare da mangiare a Nana».
Appena aperta la porta, dovette fare i salti mortali per non far abbaiare la cagnolina o coprire i versi pestando qualcosa. Aveva raggiunto i croccantini con mosse che avrebbero fatto impallidire Roberto Bolle e così, proprio come un tesoro mistico, toccando la scatola tutto si era placato: Nana si era messa a sedere e l'aveva guardata con occhi languidi, girando la coda come una trottola e la testa per percepire al meglio quando quelli sarebbero finiti nella ciotola. Aveva messo la testa nell'armadio per cercare il cambio per la doccia e se l'era ritrovata ai piedi, seduta che la fissava, e la ciotola vuota.
«Ma davvero quel cane non fa rumore quando voi non ci siete?».
«Dorme», chiosò, gettando a terra il suo zainetto.
«E com'è andata con nostra madre, a proposito?», le sorrise, «Non ho avuto un attimo per chiedertelo prima».
«Beh, sono state ore estenuanti», la scusò, scrollando le spalle e sorridendo anche lei. «Bene. Forse anche troppo bene».
Era stata all'ospedale un'oretta, ascoltando con Lena, Indigo e Megan accanto, da una parte sua zia Astra e Charlie Kweskill che parlavano di ciò che era successo e di come neanche il Generale, che aveva detto di stare arrivando, ne sapesse niente, e dall'altra Alex e Maggie che interrogavano e sgridavano il signor Jonzz per aver voluto tenere nascoste le condizioni del figlio. Che razza di chiusura mentale girava per Marsington? Un agente del D.A.O. era stato sparato e a nessuno era venuto in mente di fare una telefonata? Alex aveva scambiato quattro parole al cellulare anche con i dottori che si erano occupati di lui in paese e Kara l'aveva vista esausta, quasi sul punto di litigare con un'infermiera avvicinata per dirle di non urlare in reparto. Megan aveva la testa appoggiata su una sua spalla di Kara; aveva smesso di piangere, ma sembrava un corpo vuoto senza volontà e lei si era scambiata uno sguardo con Lena. Poi ricevette un messaggio da parte di Eliza. «Megs», l'aveva chiamata, «Devo tornare a casa… mh, di mia madre, casa di mia madre, per-per recuperare la mia roba e dopo tornerò qui, okay?».
«Non devi tornare-».
Kara aveva interrotto i suoi sussurri spenti, intanto che si alzava dalla sedia: «Voglio tornare». Poi si era rivolta a Lena: «Se vuoi puoi stare qui con lei, prenderò le cose di tutte e tre».
«E chi ti riaccompagnerà a casa?».
Zia Astra era a due passi da loro, chiavi in mano.
Eliza l'aveva abbracciata calorosamente. Le aveva già spiegato cosa sapeva di John per telefono e la donna l'aveva aiutata a recuperare le sue cose e quelle di Lena e Indigo. Con fretta, aveva detto che sarebbe tornata in ospedale anche per non lasciare Megan da sola e la donna si era di nuovo spesa in buone parole per lei, che se lo aspettava da parte sua perché Kara si sforzava sempre di fare la cosa giusta. Ma lei era una persona normale e come tale sbagliava: stressata dalla situazione, in un attimo aveva sbottato, sentendo i passi di Lillian e Astra avvicinarsi alla porta della camera. Le aveva detto tutto in un pasticcio di parole confuse, con occhi lucidi: delle pillole e di come si era comportata, di come aveva cercato di tenere nascosto tutto e di come, per quello, aveva perso la squadra e l'impiego alla CatCo. Poco importava come avesse cercato di rimediare evitando la diffusione e vendita delle pillole, non sempre lei prendeva le decisioni giuste. Voleva riaffrontare la vita con positività e il sorriso, con la speranza di rimettere a posto le cose, ma voleva farlo come la persona che era, non come quella figlia perfetta che la sua madre adottiva credeva che fosse. Ma la donna l'aveva sorpresa di nuovo e, dopo aver pianto e averla abbracciata perché non le era stata vicino quando aveva bisogno di lei, le aveva spiegato come quello non l'avrebbe mai cambiata ai suoi occhi.
«Non ho mai pensato che fossi priva di difetti, Kara…», le aveva preso il volto con le mani, passandole i pollici sulle guance accaldate. «Non è l'assenza di sbagli a determinare quanto una persona sia eccezionale, piccola mia, ma come si ha intenzione di rimediare».
Dietro Eliza, sulla porta, zia Astra aveva assistito alla scena e Kara, per un momento, l'aveva fissata: il suo sorriso era freddo, bastava poco per spezzarlo.
«Oh, questo non mi sorprende», Alex roteò gli occhi, mettendo le braccia a conserte. «Avessi fatto io la stessa cosa, mi avrebbe cacciato di casa».
«Qualcuna è gelosa», le fece la linguaccia. «O non si sente abbastanza eccezionale».
«Hai solo avuto la fortuna di essere più piccola», le fece il verso, distogliendo lo sguardo. «Quindi eri con Astra? Com'è stato?».
«Oh, beh…».
Astra stava guidando. Sul sedile del passeggero, Kara guardava fuori dal finestrino. Sulla radio canzonette locali e interruzione.
«Kara-».
«No», l'aveva freddata lei. «Non ora».
«Bene», rispose alla sorella, vedendo oltre al corrimano e senza interesse le persone illuminate dal sole che passavano per la piazza. «Beh, aspettiamo Lena prima di cominciare? Mi ha detto che stava arrivando. Devi spiegarci perché hai scelto proprio questa piazza».
«Perché- mh». Entrambe si affacciarono dal chiosco sentendo la sua voce, ritrovando Lena a due passi, ferma per bere da una tazza da viaggio. Sotto il braccio portava un cestino da pic-nic. «Scusate, ho dovuto parcheggiare lontano e ho la gola secca», bevve di nuovo, sotto il suo cappello di paglia. «Dicevo. Perché questa piazza è stata costruita dai Luthor».
Kara s'imbrunì e Alex la aspettò davanti alle scale, prendendo parola: «Lo sapevi?».
Lei scosse la testa e, vicino a Kara, si scambiò con lei un veloce bacio a stampo, coperte dall'ombra del chiosco, dal cappello e dagli alberi intorno. «Me lo ha detto mia madre quando le ho chiesto di quel nome che mi avevi dato, Louie Luthor. Cosa fai qui, non dovevi essere al lavoro, a quest'ora?». Poggiò il cestino, lanciandole uno sguardo.
«Sì, beh, è lungo da spiegare».
«È stata licenziata», rivelò Kara e Alex serrò le labbra, indispettita.
«Non così lungo», ribatté, vedendola alzare le spalle. «Quindi è così che facciamo adesso? Abbiamo fatto pace, noi due?».
Lena chiese se volessero da bere e Kara si fiondò sul thermos dell'acqua, prendendo un bicchiere. Ne passò uno anche ad Alex che, allungando la mano, domandò se avesse portato con sé anche dell'alcol. «Pace… momentanea? Anche se non ho dell'alcol?».
Alex fece una smorfia, annuendo e sospirando appena, scocciata. «Giusto perché dobbiamo collaborare, Luthor… Sono a corto di alleati, dopotutto», rispose amaramente.
«Non direi», aggiunse velocemente Kara, facendole l'occhiolino. Quella giornata lo avrebbe dimostrato.
Il giorno prima, arrivate in ospedale per andare a trovare John Jonzz e per far compagnia a Megan che era spesso lì, le tre ne avevano approfittato per rifugiarsi in bagno, senza borsa né cellulare, per far il punto della situazione. Indigo era una di loro? Lena era certa che non le avrebbe tradite, Kara voleva fidarsi, Alex sposava un altro pensiero:
«Continuiamo», aveva guardato una e l'altra. «È una grande cosa che siate riuscite ad abbattere le sue difese, ma se facciamo un passo falso ora avremo perso il vantaggio su di lei. E sul suo garante. Sa che abbiamo cancellato quei dati, che la cosa ha creato dissapori tra noi, qualche complicazione, spingiamo su questo, lasciamo che le cose facciano il loro corso. Dobbiamo assicurarci che Indigo passi al garante le informazioni che noi vogliamo fargli arrivare e nient'altro. Mi sta bene che sia con noi, ma ho avuto a che fare con fin troppi bugiardi, quindi», aveva alzato le mani, «andiamoci caute, un passetto per volta».
Lena si era costretta ad accettare, ma sperava proprio che continuare su quella strada non le avrebbe portate, prima o poi, a vanificare il traguardo raggiunto nel loro rapporto con la ragazza.
Alex era uscita dal bagno per prima e Kara aveva stretto un braccio di Lena, destandola dai pensieri. «Tutto bene?», le aveva chiesto, prima di un lungo sorriso. «Lo so che la situazione non ti piace, ma credo in fondo che Alex abbia ragione… O avremo fatto tutto questo per niente». L'aveva vista annuire sforzandosi di sorridere, ritrovando di nuovo quella domanda che da giorni avrebbe voluto farle, da quando avevano iniziato a contrattaccare. «Lena, posso-?».
«Sì», aveva poggiato una mano su quella di Kara, «Credo anch'io che potrebbe aver ragione… Ti aspetto fuori». Le aveva lasciato un bacio su una guancia ed era uscita.
Kara aveva deglutito, abbassando lo sguardo e uscendo anche lei.
Lena rimise tutto nel cestino e picchiettò una mano di Kara, inchinata, che si era messa a sbirciarci dentro. Le sorrise quando la vide assottigliare gli occhi e così cercò di scansarsi subito: Kara l'avvolse per la vita e la spinse addosso a lei a terra, facendola ridere e gridare.
«Oh, ma tranquille… Come se non ci fossi», Alex arrossì, dando un'occhiata al suo cellulare e andando a recuperare la sua borsa che aveva lasciato sui mattoncini, «Continuate pure», proseguì sentendole ridere mentre era girata di spalle, «Io comincio a mettermi a lavoro. Senza fretta, eh?».
Interrompendo le risa, Lena riuscì a scansarsi, adocchiando Alex che tirava dei documenti dalla borsa e sfogliandoli. Le chiesero scusa in coro e si riportarono in piedi. Lena tirò fuori dal cestino una tovaglia per sistemarla sui mattoncini a terra per i documenti e a quel punto si posizionarono in cerchio. Lena ne usò un'altra per sedersi, piegata, mettendo le gambe da un lato.
«Comincio io», annunciò Alex, portandosi un ciuffo rosso dietro un orecchio, «Visto che ho la mattina libera e ho un po' di tempo in più prima che vada a Marsington questo pomeriggio…», le guardò. «Questi sono ciò che mi ha dato Maxwell Lord a proposito di questa piazza. Progetto ACM-63», mostrò loro dei fogli pinzati. «Angel Children's Memorial, commissionata dalla famiglia Luthor e costruita nel millenovecentosessantatré; la Lord Technologies si è occupata di disegnare e sostituire, nel duemilacinque, il vecchio impianto idrico che aveva da allora. Max dice-», si fermò quando Kara sottolineò il modo con cui l'aveva chiamato, «Max dice di aver avuto a che fare nel periodo solo con i Gand, che erano stati loro, come portavoce del gruppo, a commissionare il progetto. Da allora mi sono chiesta spesso che tipo di interesse potesse avere l'organizzazione per questa piazza, finché John non mi ha portato questi», mise più avanti dei fascicoli, aprendone uno. Lena e Kara lo girarono dalla loro parte, leggendo distrattamente diversi fogli e scrutando le foto.
«Dunque lui è Louie Luthor…», sussurrò Lena, arcuando le sopracciglia. In quella foto era bambino e lo sorreggeva una stampella: aveva lo sguardo impacciato e i riccioli che gli ricadevano sugli occhi. «Il mio prozio, padre di zia Lorna. Non sapevo della sua esistenza. Voglio dire», rimise la foto all'interno del fascicolo, che Kara stava ancora sfogliando, «che anche zia Lorna avesse avuto dei genitori era indubbio, ma nessuno ha mai parlato specificatamente di lui. Nemmeno la stessa zia Lorna».
Kara strinse le labbra, continuando a leggere. «Aveva otto anni quando il padre è morto… Neanche io parlo spesso dei miei genitori e li ho persi a dieci».
«Il fatto che ci tengano a curare questa piazza nel corso degli anni», intervenne Alex, «significa che non lo hanno mai dimenticato. John stava lavorando a questo, era convinto che le radici dell'organizzazione risiedessero nella famiglia Luthor», guardò Lena, «e che Louie ne fosse un ingranaggio importante».
Quest'ultima sospirò, formando un flebile sorriso. «Mio nonno Levi era uno dei fondatori», confessò. «Mio fratello lo ha confermato, era stato nostro padre a dirglielo. Io non l'ho mai conosciuto, si era ammalato ed è morto quando Lex aveva nove anni. Immagino», mosse le spalle un momento, «che avesse lasciato tutto in mano ai miei genitori».
«Aveva ragione John», Alex posò lo sguardo sui fascicoli.

Indigo era dall'altra parte della piazza, in quel momento. Scorgeva il chiosco ma dovevano essere sedute e non le vedeva. Era in ritardo ma se ne restava lì impalata invece di raggiungerle, seduta sullo schienale di una panchina dipinta di blu. Passò una mano sui capelli raccolti in una treccia bionda, portandosela in avanti. Era nervosa. Avrebbe potuto ascoltare cosa dicevano attraverso i cellulari, ma non ne aveva il coraggio. Loro si fidavano di lei e il pensiero le metteva mal di pancia. Quella era stata una conseguenza naturale al gioco che stavano vivendo, e di certo non voleva ricadere ancora una volta nel circolo vizioso sui sentimenti o altre idiozie. Aveva smesso di pensarci. Accettava di provarne, ma non per questo avrebbe basato la sua vita su di loro. Lei non aveva bisogno di punti deboli come quelli.
«Brainer, eh?».
Indigo si era girata di scatto, nei suoi ricordi, prima di quella cena.
Si stava lavando le mani per un tempo indefinito poiché Astra Inze era appena arrivata e loro si conoscevano da Fort Rozz, si era messa addosso una strana agitazione. Doveva pregare che quella donna non dicesse qualcosa di lei alle madri di Lena e Kara. Troppo tardi per sperare che la sua copertura non saltasse: Lillian l'aveva sorpresa, sguardo tirato e sinistro.
«Avevi un so che di già visto, ora mi è tutto più chiaro». Indigo si era fatta pallida e la donna le aveva chiuso il rubinetto. «Quante belle storie ci avete raccontato. E ora riprova: com'è che un avanzo di galera come te ha conosciuto le nostre figlie? Sono sicura che sarà una storia più affascinante».
Per fortuna lei era una che pensava in fretta e stava già per riprendere in mano la situazione, ciò che l'aveva sorpresa davvero era che non ce ne sarebbe stato bisogno:
«In fila da Bitter and Music». Lillian si era voltata, ghiacciandosi, intanto che Kara si affacciava. «Lena era distratta e le ha dato una gomitata, il cappuccino era… beh, per metà sulla sua maglietta», aveva riso, adocchiando Indigo. «Così gliene abbiamo offerto uno e-», aveva deglutito, «ci siamo andate a sedere insieme. Abbiamo scoperto che lei è molto brava con i computer e-e il resto, sì…».
«E perché non ci avete detto subito la verità?».
«Pff, perché è stata in prigione e ancora non si è sistemata, pensavamo… beh», lo sguardo freddo di Lillian metteva ansia anche a lei, «beh-beh, che vi preoccupaste di-di chi accoglievamo in casa».
Lillian aveva sorriso, guardando una e l'altra. «È la seconda volta che escono fuori bugie sul conto di questa ragazza, non fatemi tenere il conto. Non voglio dare l'impressione di essere arrabbiata con te, Kara, ma mettiamo caso che ci sia una tabella con dei punti, figurativa, si intende», aveva sorriso e loro deglutito, «ora ne avete perso qualcuno. Direte voi a Eliza la verità, va bene?!». Stava per andarsene ma l'avevano vista voltarsi all'ultimo momento: «Anche tuo padre era in prigione, non è vero? È stato rilasciato anni fa, quando erano stati riaperti i casi di Non O'Halloran a causa del suo arresto, il marito di», si era lasciata scappare un fine sorriso, indicando verso il salotto da cui provenivano le voci, «Astra Inze. Qual coincidenza».
Se n'era andata e Indigo, per un attimo, aveva sentito le ginocchia farsi deboli. Suo padre… Suo padre era libero da anni? Com'era possibile?
«Non lo sapevi?», Kara l'aveva guardata, «Di tuo padre?».
Lei aveva deglutito, slanciandosi per asciugarsi le mani. «Lena distratta mi ha dato una gomitata?».
Kara aveva messo su una smorfia soddisfatta, tirando gli occhiali sul naso: «Storia mia, svolgimento mio».
Il viso di Indigo si corrugò, mordendosi un labbro. Suo padre, Peter Brainer… No, no, non doveva pensarci, era fuori discussione, non gli sarebbe entrato nella sua testa proprio adesso, non poteva permetterselo. Strinse un pugno. Per quale diamine di motivo suo padre, che era l'unica persona di cui si fidava da ragazzina, non l'aveva mai cercata nonostante fosse fuori di prigione da anni? Si alzò di scatto, tirando in spalla il suo zainetto.
«Dobbiamo saperne il più possibile», la voce di Kara. «E se andassimo a parlare con zia Lorna?».
«Non ho un grande rapporto con lei», rifletté Lena. «È sempre stata presente alle feste familiari, ma parla a stento anche con mia madre. Potremo tentare, ma non garantisco».
«John ci è stato», Alex sorprese entrambe. «Questo ci porta al secondo fascicolo, era compreso di registrazione. L'ho già sentita… la possiamo riascolta-», si fermò, sentendo passi vicini, e si affacciarono: Indigo si fermò davanti alle scale del chiosco, riportando la treccia su una spalla.
«Era ora!», sbottò Kara, accigliandosi. «Dov'eri finita? Abbiamo iniziato senza di te».
Lei fece una smorfia, piegando le labbra. «Ora che sapete che lui non mi sta cercando, sarò anche libera di farmi una passeggiata per i motivi miei o il mondo gira intorno a te, Kara Danvers?».
Lena fermò Kara per i polsi quando la vide scattare per mettersi in piedi.
Altri passi vicini e una voce squillante e inspiegabilmente allegra interruppero la chiacchierata. «Buona, gente». Valigetta sotto braccio, fine giacca piegata sulle maniche con un motivo bianco e nero che creava un'illusione ottica, degli stivaletti con tacchi che la facevano sembrare molto più alta del solito, Leslie Willis sorrise da orecchio a orecchio. «Scusate il ritardo, ho portato da bere».
«Non sei in ritardo, avevi detto per le dieci e mezza e sono appena le dieci e dieci», le fece sapere Lena, intanto che Alex esultava timidamente.
«Oh, beh, dev'essere l'abitudine», mantenne il sorriso, spostando lo sguardo a Indigo accanto a lei. «Non mi avevano detto che ci sarebbe stata anche Elsa».

Leslie Willis salì per prima e lasciò la sua valigetta vicino al muretto del chiosco, aprendola. Tra i vari documenti al suo interno tirò fuori una fiaschetta e due bicchieri ripiegabili, chiedendo chi altri ne volesse, con Alex già accanto che le diceva, a bassa voce, di essere la sua nuova migliore amica. Quest'ultima sapeva di non poter esagerare, doveva essere in servizio tra qualche ora, ma un bicchierino per digerire il licenziamento dalla boutique non glielo avrebbe tolto nessuno. Indigo le stava raggiungendo che Kara fu veloce ad afferrare la fiaschetta e tirarla verso di lei, facendo storcere il naso alle altre. Ecco, pensò Alex, glielo avrebbero tolto.
«Mi spiace, ma dobbiamo essere lucide», obiettò, custodendola nel cestino da pic-nic di Lena, «Ed è quasi metà mattina».
«Ottima deduzione, fiorellino! E io come ci arrivo all'altra metà, eh?», brontolò Leslie, adocchiando poi Alex in cerca di aiuto: «Ma lo può fare?». Lei sollevò le spalle, già arresa. «A proposito… ma tu non dovevi essere a lavoro?».
«Ragazze»: Lena attirò l'attenzione di tutte, mettendo le braccia a conserte. «È bello ritrovarci tutte insieme in questa bellissima mattinata del trenta giugno; fa caldo, ognuna di noi ha cose per la testa o vorrebbe solo rilassarsi, lo capisco… Ma se ci siamo ritrovate oggi è per un altro motivo». Si sedette di nuovo sulla tovaglia, piegando la gonna sotto le cosce, e le altre si guardarono.
Indigo le andò subito vicino mentre Leslie, dietro Alex, mostrava i palmi delle mani, appoggiandosi alla ringhiera in ferro. «Ineccepibile», commentò, sospirando.
Alex si mangiò la tentazione di rinfacciare il momento in cui lei e Kara stavano giocando a rotolarsi sui mattoncini e si andò a sedere, riprendendo il suo posto. La sorella le mostrò il registratore e, riconquistato il silenzio, le diede il via.
Zia Lorna non era mai stata persona da grandi chiacchierate, ricordò Lena. Anche quando lei era bambina era fredda, distaccata, e non perdeva occasione di punzecchiare la vecchia zia Lara, impedendole di fare qualunque cosa che, secondo lei, l'avrebbe messa in ridicolo. Ma alla piccola Lena non era sembrata che si comportasse in modo tanto lontano da sua madre. Aveva avuto dei figli ma anche lei, come Luthor, aveva faticato a portare a termine le gravidanze: Lydia ora aveva ventisette anni, e Liam, che di anni ne aveva otto, era il suo miracolo. Ora che Lena ci faceva caso, era curioso quanto poco conoscesse i suoi lontani cugini: se zia Lorna alle feste partecipava spesso, se non necessario non era solita portarsi dietro anche loro.
«Vedo il bambino correre per portare un pallone da calcio dentro l'auto di famiglia», aveva commentato John Jonzz al registratore in mano. «La vedo, sta uscendo da casa. Dubito parlerà, ma se Louie Luthor è tanto importante come credo per la nascita dell'organizzazione, ogni cosa può fare la differenza».
Lorna Luthor aveva subito aggrottato la fronte, ordinando al figlio di entrare in auto. «Com'è entrato?».
«Il cancello era aperto; ho suonato, ma…».
«È un giornalista? Cosa vuole?».
«No». John allora le aveva mostrato il distintivo e la donna aveva cambiato espressione, scocciandosi.
«Non ho nulla da dire».
«Non sa neanche per cosa sono qui».
Lei aveva emesso un verso di scherno. «Per i Luthor, suppongo. È l'unico motivo per cui- Liam, torna in macchina. Subito», ordinò gelida, indicando la portiera al figlio, «L'unico motivo per cui continuano a tormentare me e la mia famiglia. Senta, io non so niente», si era fermata davanti a lui, fregandosi le mani. «Non siamo noi quelli sotto ai riflettori: se Lex ne ha combinata un'altra a Metropolis o Lillian ha divorziato e si è risposata ancora non deve seccare me; sono fuori al loro mondo, non so cosa facciano, come e perché. Ho sposato un Wright, le dice niente? No? È perché noi non siamo nessuno. Se vuole scusarmi…».
Lui aveva notato la sua agitazione dietro le parole usate per cercare di scacciarlo. L'aveva bloccata a un passo dal suw: «Veramente volevo chiederle di suo padre».
Lei si era voltata lentamente, con occhi sgranati e la bocca semiaperta. Le ci era voluto un po' per riprendersi. «Cosa… Cosa c'entra mio padre, signor…?».
«Jonzz. Agente Jonzz».
«Bene, agente Jonzz», si era avvicinata e gli aveva puntato un dito al petto, «Le dirò solo una cosa: lasci mio padre riposare in pace».
«Era un brav'uomo, vero? Non voglio mancarle di rispetto, né farlo a suo padre».
Lei si era intristita ma aveva cercato con ogni mezzo di restare in piedi, deglutendo. «Se ne vada. Sa dov'è il cancello».
«Si tormentava le mani, parlare dei Luthor non la faceva sentire chiaramente a suo agio», aveva registrato John dopo l'incontro. «E quando ho nominato suo padre ha finito per chiudersi. Non posso fare a meno di chiedermi se sto percorrendo la strada giusta. Devo spostarmi, i Luthor non sono gli unici interessanti».
Lena abbassò gli occhi, dopo che la registrazione si concluse e Kara le strinse una mano, adocchiata da Indigo dall'altro lato. «Quando ho parlato con mio fratello in cerca di risposte, ha detto una cosa che mi è rimasta impressa: che la nostra famiglia era malvagia», ingurgitò sonoramente, con la bocca socchiusa. «Non lo avevo preso troppo sul serio, che i Luthor siano scostanti e freddi non è una novità per nessuno, ma da come zia Lorna si teneva distante… Non ci ho mai fatto caso. Sembra quasi che ci odi».
Ci fu un attimo di silenzio: Kara aumentò la stretta e Lena ricambiò, Alex scorse le foto di Lorna Luthor sul fascicolo, la sua casa e quella dove abitava da bambina con i genitori, Leslie adocchiava gli uccellini sugli alberi e Indigo serrò le labbra, fissando Lena.
«Sembra che siamo vicine», Kara spezzò il silenzio. «Non è quello che vuole il tuo garante?».
Indigo fissò lei, a quel punto, lasciandosi a una debole scrollata d'occhi.
«Ed è quello che voglio anch'io», aggiunse Lena con un sospiro. «Non ho cambiato idea, al contrario, ora sono più motivata a farlo».
«Sveglia, fanciulle!», Leslie Willis gridò e batté le mani, avvicinandosi al gruppo con due larghi passi. «È chiaro o no?», guardò una per una, «I Luthor sono i fondatori di quella dannata organizzazione».
«Il nonno di Lena era uno di loro, lo abbiamo già chiarito», intervenne Kara, «Se ti fosse possibile non urlare…».
«No, non mi è possibile», le fece il verso, «perché sono qui non pagata e mi hai tolto l'alcol», spalancò le braccia. «Okay, prima che miss perfettina mi interrompesse, intendevo dire che lo sono loro, chi erano? Questo Louie, il padre di tua zia, chi è l'altro?». Prese il fascicolo dalle mani di Alex, leggendo rapidamente e tenendo il segno con un dito. «Ecco, ecco, qui: erano tre fratelli, giusto? C'è la foto», la mostrò. «Il piccolo è il Louie di cui la figlia non vuole parlare, Levi che è tuo nonno, quello di mezzo, e questa spilungona qui, la maggiore. Ci scommetto» .
Kara si rabbuiò: «Se zia Lorna odia suo padre e odia i Luthor, perché ha chiamato i suoi figli con la lettera l?».
«Le piaceva? Hai mai fatto caso che i nomi più belli iniziano con la l?».
«C'è anche da tener conto che Louie Luthor è morto giovane, nel millenovecentosettantacinque. Avrà avuto il tempo? Quando sarà nata l'organizzazione, più o meno?», osservò Alex.
«Non aveva mica l'età per la tetta quando è passato a miglior vita, non sappiamo nulla con precisione».
Anche Lena era scettica, scuotendo la testa. «Zia Lara nell'organizzazione? Non riesco a immaginarla».
Leslie roteò gli occhi. «Sì, ricordo cosa mi hai raccontato di lei, ma sappi che prima di pagare qualcuno che le cambiasse i pannoloni, aveva anche lei una personalità e tu non eri lì per conoscerla».
«Tu non hai peli sulla lingua, eh?», fu l'unico commento di Indigo e Leslie gliela mostrò, sfacciata.
«Dacci anche tu il tuo pensiero se ne hai uno, Let it go». Si buttò a terra, riguardando le altre. «Beh, io ho risolto il caso e voi pensate al resto, non posso mica fare tutto da sola. Mangiamo?».
C'era qualcosa che sfuggiva ai loro pensieri. Forse Lena non riusciva a ragionare lucidamente perché si trattava della sua famiglia, persone che conosceva. Lo aveva messo in conto, ammettendo finalmente qualcosa che aveva tenuto per sé per quasi un anno: aveva trovato dei collegamenti al nome Luthor, riconducibili a suo padre e non solo ai Gand, quando copiarono quella lista di nomi su chi era stato arrestato per l'omicidio degli El. Allora pensava davvero che tenere segreto il coinvolgimento della sua famiglia fosse la cosa migliore per tutti. Magari zia Lorna non odiava suo padre ed era davvero un brav'uomo come aveva detto John e Leslie Willis si sbagliava, ma c'era qualcosa che sfuggiva ai loro pensieri.
«Allontanate il vostro naso dagli affari dell'organizzazione». Lillian era stata chiara quando il giorno prima era tornata in paese solo per parlare con lei, dopo essere stata in ospedale. Neppure il tempo di nominarle Louie Luthor che era partita in quarta. «Mi prendete per stupida? Indigo Brainer è finita in prigione per crimini informatici. Ricordo di averti già chiesto, Lena, di starci lontano ma, come al solito, le mie parole vengono puntualmente ignorate».
«Sarebbe più facile se ci dicessi tu ciò che vogliamo sapere».
La donna aveva sorriso, arricciando la fronte. «E cos'è ciò che volete sapere? Chi ha ucciso gli El? La mandante era Rhea Gand, caso chiuso. Chi ha ucciso tuo padre?», l'aveva fissata, «Ho sempre pensato fossero stati loro, ma non ho un nome da darti. Forse ho commesso un errore».
Lo diceva in quel modo così naturale, così come… «Stai mentendo».
Lillian aveva scrollato un sopracciglio, impassibile. «Può darsi. Voglio che ci passi sopra».
«Per proteggermi da chiunque sia stato?», aveva scosso la testa, «È ridicolo. Tu non hai mai cercato di-».
«Proteggerti, certo, perché tu sei sempre convinta che io faccia di tutto per farmi odiare da te. Non ti è mai passato per la mente che mi abbia fraintesa? Il nome che ho in mente non è chi penseresti e non ho prove. Non voglio nemmeno lontanamente pensare di accusare questa persona e assistere a ciò che scatenerei», la sua voce si era fatta più sottile. «Non è da lui che ti dovresti vedere le spalle, Lena, ma dall'organizzazione. Perché se il suo nome salta fuori, vero o no che sia colpevole, ci passeremo tutti. È un castello di carte, figlia mia», si era avvicinata con sguardo duro. «Per questo motivo l'organizzazione ha rischiato di sparire dodici anni fa con l'arresto di un singolo commercialista. Per questo motivo mi sono impegnata a occultare l'omicidio di tuo padre. Togli una carta e stai a vedere cosa succede».
Lena passò una mano su quei fascicoli, assorta.
«Ed è per questo che ho chiesto aiuto a una persona», esordì Kara con un pronto sorriso. «Sarà tra noi verso ora di pranzo, prima non poteva e al tardo pomeriggio dovrò allontanarmi anch'io, quindi… Geneanologia». Kara non badò all'espressione annoiata di Leslie che buttava la testa da un lato con la bocca aperta, continuando: «Ha fatto l'Albero genealogico sulla famiglia di un mio amico e», lanciò uno sguardo a Indigo, «tu potresti aiutarla a cercare materiale per fare quello sui Luthor».
«È una buona idea», si complimentò Lena e sentirono Alex alzarsi per sgranchirsi le gambe, e così controllare l'ora.
«Dopo pranzo devo andare, posso lasciare a voi i fascicoli che mi ha fatto avere John? Non potrei, ma… Li riprenderà Maggie», vide sua sorella annuire. «Non è stato solo da Lorna Luthor, magari qualcosa può tornare utile».
Leslie Willis le picchiettò un piede con uno dei suoi, attirando l'attenzione. «Quindi non ci sarai quando esporrò cosa ho portato io? È una vera chicca, vi tremeranno tutti i peli».
Ridacchiò e le altre con lei. «Se sarai sintetica…».
«Ci proverò solo se riavrò il mio alcol».

Jamie non smise di parlare da quando andò a prenderla dalla babysitter, contenta che avesse più tempo da passare insieme. Ma Maggie la ascoltava a stento, mano nella mano con lei. Si fermarono per aspettare che il semaforo tornasse verde per i pedoni e sospirò, pensando a ripensando a quella mattina. Jamie saltò quando scattò il verde e Maggie la strinse più forte, sentendo la manina sudata.
«Possho reshtare con mamma Alex quando torni a lavoro? Eh? Possho reshtare?», le tirò la mano e Maggie tornò in sé, scuotendo brevemente la testa e raggiungendo l'Angel Children's Memorial dall'altra parte della strada. «Quanto è grandisshima, eh, guarda, il parchetto dove gioco io con miei amici non è così grande, eh, non lo è no», la tirò tanto che finì per sfuggirle e correre sugli ultimi scalini e incontro a una delle fontanelle, ridendo, mettendo subito le mani nell'acqua. «C'è l'acqua qui, guarda, mamma, nel parchetto dove andiamo noi shempre non c'è quesht'acqua, eh, non c'è no».
Lei sorrise, fermandosi per ammirarla intenta a saltellare, facendo volare su e giù la sua gonnellina arcobaleno in raso, cercando di acchiappare l'acqua che schizzava verso l'alto. Le scattò qualche foto, inviando quelle meglio riuscite ad Alex con scritto che erano arrivate un po' prima perché… Arrivate prima: Maggie chiuse così il messaggio, inviando.
Jamie riprese a correre verso un'altra fontanella e Maggie la seguì, sentendo il cellulare che vibrava.
Da Danvers a Me
È bellissima! Sono già qui anch'io, raggiungeteci. Come mai? Non finivi il turno a mezzogiorno?
Da Me a Danvers
Sì, ti racconto questa notte, abbiamo staccato prima. E tu non dovevi stare in boutique?
Maggie sospirò, richiamando Jamie che si stava allontanando verso un gruppo di bambini. Le fece la mano, indicandole dove doveva andare. Il cellulare vibrò ancora e Maggie sorrise, scuotendo la testa nel vedere la foto che le aveva mandato: sedute sugli scalini del chiosco davanti a lei, Kara teneva tra le braccia Lena, uno scalino più in basso. «Lasciale in pace», rise, leggendo la didascalia: Anche io immortalo momenti. Ricordo con rammarico quando si odiavano.
Lena teneva la testa poggiata sulla sua spalla destra e, di tanto in tanto, chiudeva gli occhi. Ciò che le aveva detto Lillian aveva riacceso in lei il desiderio di cancellare quei dati dalla chiavetta usb che avevano salvato. Sposta una carta dal castello, toglila. Voleva davvero vedere cosa succedeva? Lillian doveva cadere con loro? Sentì un bacio di Kara sulla fronte e sorrise, destandosi. «Cosa ne penseresti di un ipotetico week-end in una casa che affaccia su un lago?».
Il volto di Kara si increspò, pensandoci. «… Hai una casa sul lago?», indagò subito, sentendola ridere.
«Sì, Kara. È della famiglia, non propriamente mia. Sono anni che non passiamo là una vacanza».
«C'è qualche altra struttura di cui dovrei essere a conoscenza? Saresti capace di dirmi che possiedi uno zoo e farlo costruire in una notte solo per farmelo vedere il giorno dopo».
Lena rise ancora, portandosi una mano sul viso. «È un quadro piuttosto accurato di cosa potrebbe accadere», puntò in aria un indice e si allontanò il tanto per guardarla negli occhi. «Ci verresti?».
«In uno zoo?».
«In uno zoo?!», le picchiettò una coscia, «Kara Danvers, parlo sul serio! Ci verresti? Alla casa su-».
«Sì. Sul lago. Mi piacerebbe», si sorrisero e Lena tornò ad appoggiarsi. «Hai notato anche tu come prima di conoscerci vivevamo una vita tutto sommato tranquilla?!».
«È vero. Il nostro incontro ha scatenato i precisi eventi che ci hanno portato fin qui», rifletté, stringendo i denti. «Sarà stato il destino», sussurrò sprezzante con un sorriso, sentendola ridere a sua volta intanto che la chiudeva tra le braccia.
«Lena?».
«Sì?».
«Pensavo a una cosa… Se tuo non-», si fermò quando scorse Jamie correre verso di loro: «Ehi, guarda chi c'è».
La bambina saltò tra le braccia di Alex, alzata dagli scalini per acchiapparla, e dopo corse a salutare loro, mostrando la gonnellina nuova con uno speciale orgoglio negli occhi. Salì all'interno del chiosco sapendo che Indigo si trovava lì e loro due la sentirono chiederle, pressante, perché fosse da sola. Maggie e Alex ne approfittarono per baciarsi fugaci.
«Mi avresti avvertita, accidenti! Leslie è andata a prendere i panini per me e per lei e…», diede un'occhiata all'orologio al polso, «se non torna entro cinque minuti mi toccherà pure andarla a cercare».
«Non preoccuparti: Jamie ha già mangiato e io… ho mangiato qualcosa. Allora, come mai sei qui-».
«Te l'ha detto?», Kara per poco non gridò, «Non si può licenziare qualcuno in questo modo».
Maggie allungò lo sguardo verso Alex, intenta a fulminare sua sorella con gli occhi. «Sono stata licenziata», sospirò scrollando le spalle, sentendo in sottofondo Lena che, a bassa voce, redarguiva Kara nel dire che era possibile e così iniziare un piccolo battibecco.
«Ouch», lei serrò le labbra, dispiaciuta, e pensò di circondarle il collo con le braccia. «Non importa. Odiavi quel lavoro. Prima pensiamo alla casa, avremo tempo per la moto». Si baciarono ancora finché non udirono un sonoro verso indisposto e Jamie correre a separarle.
Poco più tardi si sedettero tutte di nuovo sugli scalini appena battuti dal sole, tenendo d'occhio Jamie che, in fondo, giocava a rincorrersi con altri bambini. Mordendo e masticando i loro panini, tappandosi la bocca, ascoltavano Iris West in videochiamata sul laptop di Lena dire loro che aveva già provato a fare le prime ricerche sulla famiglia Luthor e capire così con cosa aveva a che fare.
«Non ve lo nascondo, ragazze, sarà un lavoraccio», ammise, prendendosi un minuto per bevicchiare il suo latte macchiato. Videro la ragazza delle ordinazioni passarle alle spalle, un momento. «Fortunatamente so a chi rivolgermi per una mano, un mio professore. È stato lui ad aiutarmi con quello di Barry, è un vero esperto del settore», informò, inquadrando una di loro dallo schermo. «Se poi avrò l'aiuto di Indigo per quanto concerne il lato informatico, conto di fare un buon lavoro».
Indigo si limitò a un breve cenno del capo e Kara, due scalini sotto, finì di masticare prima di prendere parola: «Ti ringraziamo, Iris. Il tuo è un aiuto prezioso».
«Non sai quanto rappresenti per me», proseguì Lena.
«Per noi», aggiunse Alex, dall'altro lato.
«Oh no, io ringrazio voi», sorrise estasiata. «Questo progetto è una vera sfida per me, non vedo l'ora di mettermici! Senza contare che mi farà fare bella figura col mio professore, il che non è proprio da buttare».
Il suo entusiasmo le contagiò e si scambiarono qualche altra battuta; infine, dopo averle detto di salutare Barry, chiusero la videochiamata e Lena recuperò il suo laptop.
L'unica a essersi quasi esclusa, a quel punto, parve Leslie Willis. La reporter ciucciò dalla fiaschetta e, come suo solito, gridò invece di parlare, ammutolendo le altre: «Perfetto, ne sapremo di più sulla famiglia ricca e saremo tutte felici e soddisfatte», gesticolò, scrollando le braccia, «ma mi permetto di avanzare una critica». Si alzò, appoggiando la schiena al muretto del chiosco e indicando Maggie Sawyer più in basso: «Lei. Non siamo forse tutte d'accordo che il suo capo è anche il capo dell'organizzazione? Ehilà, dov'è il suo contributo? Siamo tutte serene nel parlare di alberi genealogici e professori e crediti che stiamo dimenticando di dare attenzione a quella che qui più di tutte può dare informazioni utili», enunciò d'un fiato, pensando di provocare qualche reazione: «Oppure è qui solo per riferire a lui cosa sappiamo?!».
Alex si alzò come una molla. «Emh. Mi permetto di ricordarti che vai a letto con uno di loro».
«Sì, ma emh, lui non conta», si portò le braccia a conserte, gonfiando gli occhi. «Io sfrutto lui e non il contrario. Qui stiamo parlando del capo, ti è chiaro? Larry può fare il capo solo in un determinato contesto, se afferrate cosa intendo», si lasciò sfuggire di proposito, a labbra strette, ottenendo diverse reazioni: Alex e Kara fecero una smorfia disgustata chiedendole di smetterla, Indigo nascose il viso tra le braccia a peso morto, Lena piegò le labbra e scosse la testa ma Maggie, invece, Maggie no, lei era presa da altri pensieri. «Oh, lo so cosa avete pensato, razza di maniache! Ma io parlavo del-».
«Ha ragione», se ne uscì Maggie di punto in bianco, notando poco distante lo sguardo appagato che Leslie le riservava. Non riusciva a fare a meno di dare attenzione alla sua tachicardia che, da aver saputo di John Jonzz, aumentata esponenzialmente quella mattina, non riusciva a liberarsene. Prese un bel respiro: «Dru Zod è uno dei fondatori».
Erano appena arrivati all'ospedale e si erano precipitati a sapere delle condizioni di John. Avevano parlato con un primario e con diversi medici. Vedere John Jonzz disteso su quel letto bianco le aveva fatto mancare il respiro e, per un attimo, la terra sotto ai piedi. Tutto quel tempo che stava passando con Charlie Kweskill e a lasciarlo entrare nella sua vita, quel suo abbassare la guardia con Dru Zod in centrale, il suo abituarsi a stare con loro; era stato John Jonzz ad affidarle quell'incarico che, forse, stava tradendo senza accorgersene. Lei voleva mollare e ora John stava in un letto d'ospedale. Lui non avrebbe mollato, era certo, per quello qualcuno lo aveva punito.
«Lo giuro, Mags… Lo giuro», Charlie non aveva fatto che ripeterlo. «Non siamo stati noi».
«Se non voi, allora chi?», aveva digrignato i denti, cercando di non alzare la voce in corridoio. Alex si era allontanata solo qualche metro per chiamare Megan e Kara al telefono e l'aveva vista guardarla, incuriosita.
«Non ne ho idea. Hanno avuto una discussione di recente, ma è tutto a posto».
«Ti sembra a posto?».
«Ma-», si era tirato indietro, alzando le braccia muscolose in segno di resa, «Calmiamoci, okay? Non è stato il Generale, non potrebbe farlo di testa sua senza avvertire i beta e io so che non sono stati avvertiti».
I beta, i beta… non era la prima volta che sentivano questa parola: la gerarchia.
Erano tornate all'interno del chiosco: Alex seguiva la bambina dall'alto intanto che Maggie raccontava cos'era successo quella notte, seduta a gambe incrociate davanti ai fascicoli, uno dei quali già aperto; Kara era in piedi con le braccia a conserte tra la sorella e Lena che, seduta con le gambe piegate sulla tovaglia, appoggiava la schiena al muretto; Indigo era invece rimasta seduta all'entrata, distendendo una gamba; infine Leslie Willis, che batté le mani soddisfatta che servisse il suo intervento, seduta sul corrimano sopra il muretto reggendosi a uno dei quattro pilastri in cemento.
«E qui vi beccate la mia prima chicca per voi, bimbe belle», alzò una mano, «So per cosa stanno i beta».
Tutte si fecero più interessate e Alex si voltò verso l'interno, spronandola a continuare.
«Suonano le trombe», enunciò con un largo sorriso da orecchio a orecchio, «rullano i tamburi».
«Leslie!», la richiamò Lena mentre Kara si portava una mano in faccia.
Lei perse il sorriso. «E va bene, come volete, questa volta rinuncerò al pathos. Come suggerisce il nome, i beta sono la classe punta dell'organizzazione, quelli che stanno in alto; i nuovi ricchi se dovessimo vederla come una società. E, per certi versi, la nostra organizzazione sembra proprio una società. Piccola piccola e quatta quatta. Aggiungiamo, scontato, che l'alpha equivale al presidente: il caro capo della polizia, in questo caso», le guardò, soffermandosi su Maggie. «I tuoi nuovi amici non te lo hanno spiegato, tutto questo, per prepararti al magico mondo di Oz, Dorothy?».
Lei sospirò. «Non so cosa immagini, ma», scosse la testa, inclinandola, «quando sto con loro sto lavorando».
«Per la polizia, per il povero agente Jonzz o per… il Generale?», virgolettò non mancando di sorridere, spazientendo lei e in particolare Alex.
«Se hai qualcosa contro di me, non fare la preziosa, dimmela e basta. Il tuo ragazzo ha avuto qualcosa da ridire sul mio conto, per caso?».
«Basta, Willis», la rimproverò invece Alex. «Siamo tutte dalla stessa parte, qui, e se hai qualcosa da dire dilla, ma smettiamola di accusarci a vicenda».
Lena la tenne d'occhio mentre gonfiava le guance e guardava altrove, un momento, così scambiò uno sguardo con Kara, che si fece curiosa a sua volta.
«Va bene. Non toccare la ragazza del boss…», bisbigliò. «I beta sono quelli che comandano, dicevo. Congratulazioni a tua zia per la promozione, comunque», indicò Kara e sia lei che Indigo deglutirono. «Mi piace questa cosa: essendo un gruppo non esiste l'ognuno per sé, la mia fonte lo ha detto chiaramente», arricciò la lingua, «votano. Per ogni cosa vanno a votazione. E solo i beta e l'alpha possono votare, sono gli unici ad avere voce in capitolo sulle sorti dell'organizzazione e i suoi membri. È così che ci ha lasciato quella sfortunata di Faora Hui: la maggioranza dei beta ha votato esattamente per seccarla», abbassò l'indice destro e Alex serrò le labbra, dando un'occhiata all'orologio e di nuovo a Jamie, fuori.
«E la tua fonte sarebbe…?», Alex già conosceva la risposta e Leslie sollevò le spalle.
Kara si morse un labbro. «Avevamo ipotizzato qualcosa del genere. Faora voleva diventare una beta, se i beta sono quelli che comandano… beh, ha senso. E mia zia… lei è proprio come loro». Si sentì osservata e si voltò un attimo, ma Indigo puntava ora lo sguardo agli alberi. Perché la stava…?
«Va bene», prese parola Lena, «Dunque quel Kweskill è uno dei beta?! Per questo sapeva che non erano stati avvertiti, perché lui non era stato interrogato a proposito?».
«Non esattamente», riprese parola.
Aveva creduto a Charlie. Non era riuscita a non credergli e… ed era uscita dall'ospedale. Si era girata e aveva sceso le scale fino al portone aperto, sentendo i suoi passi che l'avevano seguita fino al parcheggio. Le aveva chiesto perché era scappata e lei si era girata con gli occhi gonfi di lacrime per urlargli che non stava scappando in quell'istante, ma che forse lo avrebbe fatto: «Voglio chiudere con tutta questa storia». Non aveva aspettato il suo secondo perché: «Perché sento di non esserne in grado, Charlie», aveva abbassato appena la testa, scuotendola e così guardarlo con stanchezza. «Mi sei amico e io devo trovare il modo di incastrarti. Lo capisci?», gli si era avvicinata e lui, dal suo mezzo metro in più d'altezza, l'aveva guardata senza battere ciglio. «Sei gentile e mi guardi come se potessi davvero darti ciò che stai-», si era trattenuta, riformulando, «Dovremo essere nemici, noi due, Charlie. Dovresti smetterla… E Dru Zod… io devo poter arrestare quell'uomo! Devo poter arrestare lui, e te, e chiunque altro ci sia in mezzo. Ma sento di non potercela fare e questo», aveva stretto gli occhi, «mi impedisce di fare il mio lavoro e ora John… Mi sono sopravvalutata. Lui è intubato e io non so fare il mio lavoro». Un messaggio da parte di Alex che le chiedeva dove fosse andata aveva interrotto il suo sfogo, tornando dentro.
Leslie Willis le guardò con estrema soddisfazione.
«Gamma?», Lena trattenne un sorriso, «Hanno usato tutto l'alfabeto greco?».
Lei fece una smorfia. «Nah, solo alcuni. Poca fantasia, suppongo».
«E i gamma per cosa dovrebbero stare?», domandò Kara, interrotta da un verso di Alex che, guardando prima fuori e poi Maggie, sembrò allarmata:
«Jamie sta tirando i capelli a una bambina! Vado io, tranquilla», la fermò, vedendola alzarsi, «Pensavo si sarebbero fermate alle parole, ma… Torno subito, continuate pure». Fece spostare a Indigo una gamba e sparì di corsa, urlando il nome della bimba. «Lasciala, Jamie, lasciala».
«Ha iniziato lei», udirono la voce della piccola, stridula, sotto l'altra che gridava.
Maggie, Kara e Lena, e dopo Leslie, si affacciarono con curiosità e commentarono la scena: la bambina a cui Jamie stringeva i capelli aveva iniziato a tirare pugni, ma era Alex a prenderli quasi tutti, intenta a convincere l'altra a lasciarla, forzandole le manine che erano diventate tenaglie.
«Dovrei andare ad aiutarla», Maggie si sentì in colpa all'ennesimo pugno inferto vicino al naso.
«Alex è sempre stata brava a incassare», considerò Kara, stringendo i denti.
«C'è una concreta possibilità che non ci riesca», aggiunse Lena, tirandosi indietro.
«Scommetto cinque dollari che si aggiungerà alla rissa il bimbo a destra: sta puntando Danvers troppo a lungo», incalzò Leslie, tentando di indicarlo. «La sa lunga quello lì, eh-eh. Oh! Che slancio, sapevo non mi avrebbe deluso». Il terzo bimbo si era attaccato a una gamba di Alex per liberare le amichette.
Indigo seguì solo distrattamente la scena dietro ad alcuni alberi lontani. Lontani come lo erano state le auto di quel parcheggio: Charlie Kweskill aveva aspettato il Generale davanti gli scalini d'ingresso quando gli aveva scritto di essere vicino ad arrivare. Qualcosa lo stava tormentando, ma non era il tentato omicidio di John Jonzz: «La prego, Generale, devo sapere: ha detto a Sawyer della mia sorellina morta? Lo ha fatto? Ha… usato la mia storia per avvicinarla a me?».
Lui aveva sospirato appena, serio. «Potrei… averle detto qualcosa. Siete uniti o mi sbaglio, forse?».
Charlie Kweskill aveva esitato. «Beh… sì. Avrebbe dovuto coinvolgermi, Generale».
«Non era necessario. Stavi male per Faora e ho pensato che il tuo dolore avrebbe potuto avvicinare Sawyer a te e, di conseguenza, a noi. Bisogna sapersi aprire e lasciar andare un po' di umanità per raggiungere i propri obiettivi, Charlie».
Indigo aveva ascoltato con attenzione la sua lezione secondo cui l'empatia poteva davvero rivelarsi un'arma, se usata a dovere. I sentimenti sfruttati come punti deboli ma, secondo Dru Zod, erano da celebrare e non condannare.
«Levi Luthor era convinto che l'empatia fosse un pericolo per gli affari, ma io sono di un altro avviso», gli aveva battuto un braccio in modo amicale, «L'empatia unisce».
Stava per superarlo ed entrare che lui lo aveva fermato: «Ma ha sbagliato un calcolo, Generale: Maggie Sawyer vuole lasciare, rischiamo di perderla».
L'uomo era rimasto fermo forse per un momento in più, pensando. «No, non lo farà. Accelera. Includila, sai di cosa parlo. Non permettiamoglielo».
Lui si era messo agli ordini ed erano entrati, così Indigo si era spostata, rientrando anche lei prima che Lena fosse andata a cercarla nei bagni o che Kara Danvers fosse tornata in auto con quella Inze.
Maggie sfogliò alcune delle foto nel fascicolo, con cura. John Jonzz aveva seguito la figlia di Dru Zod, Melanie, per tre giorni a Metropolis prima di tentare un approccio: l'aveva fotografata intenta a portare il figlioletto all'asilo, era la dirigente in un centro benessere e l'aveva tenuta d'occhio in un incontro con i colleghi, sorpresa a fumare una sigaretta all'esterno, a baciare il marito non distanti da una finestra della loro abitazione in centro, in un palazzo. Era per questo che lui e Zod dovevano aver discusso, pensò. John aveva pedinato sua figlia per accertarsi che non facesse niente di sospetto e dopo si era avvicinato a lei per chiederle di suo padre. Non sembra sapere nulla della doppia vita di quell'uomo, aveva scritto John sul fascicolo, è pulita. Adrian Zod non doveva aver apprezzato l'intrusione.
«Da quel che ho capito, i gamma svolgono quasi un lavoro di segreteria», proseguì Leslie. «E sono numericamente inferiori a tutte le altre classi. Il gamma di spicco, neanche a dirlo, è il vostro Charlie».
Maggie alzò lo sguardo e Alex rientrò nel chiosco dopo aver lasciato Jamie fare pace.
«Charlie Kweskill è il segretario di Zod?!», quella di Lena non sembrò proprio una domanda.
«Non mi sorprende», sindacò Alex, massaggiandosi sotto un occhio. «Spiega perché è sempre appresso a lui», scambiò uno sguardo con la compagna.
«I gamma sono gli occhi e le orecchie di quell'organizzazione, se volete il mio parere», precisò Leslie, scivolando a terra dal muretto e allungando le gambe. «Il mio uomo li ha definiti i guardiani», ridacchiò, ma fu l'unica a farlo, sotto lo sguardo interessato di Kara e Lena.
«E lui ti ha raccontato tutto questo?», domandò la prima, stringendo gli occhi e vedendola annuire.
«È un gran chiacchierone, in special modo se sai toccare i punti giusti».
Loro si erano riguardate mentre Alex la pregava di smetterla con le allusioni sul sesso, dando uno sguardo all'orologio e dicendo a Maggie di dover andare, intenta a sfogliare ancora quel fascicolo. Dopo aver abbandonato la pista su Melanie Zod, John Jonzz aveva stretto proprio sul Generale, il presidente dell'organizzazione, fotografandolo, tra le altre cose, a una cena con lo sceriffo della contea e le rispettive famiglie. Oh, questo doveva averlo messo nei guai… L'organizzazione aveva tra gli accoliti lo sceriffo? Più che mai era comprensibile perché Alex, e ancora prima John, non potessero fidarsi dei loro colleghi.

Vicino a panchine, aiuole e fontanelle, Kara si era messa a rincorrere i bambini che le sfrecciavano intorno cercando di toccarla, giocando con loro per distrarre un'inconsolabile Jamie da quando Alex l'aveva salutata per andare a lavoro. Lena la fissava mentre era seduta su una panchina blu accanto a Indigo, sopra la spalliera, che non faceva che fare qualcosa, qualsiasi cosa fosse, col suo cellulare. Si stavano prendendo una pausa, a breve anche lei avrebbe dovuto lasciarle per andare alla Luthor Corp. Sentiva i bambini chiamarla mostro e alcuni discussero sul piano per attaccarla insieme. Ridevano e gridavano, controllati a vista dai genitori. Kara ne acchiappò uno e lo lasciò andare quando fu accerchiata: Lena sorrise, Kara sembrava nel suo habitat.
«Come sta andando?». Maggie le si sedette accanto con un pronto sorriso, guardando lei e dopo Kara, e arrossì appena, sorridendo a sua volta e abbassando un poco lo sguardo.
«Bene, direi», rispose, lasciando la bocca socchiusa. «Pensiamo che andremo a vivere insieme».
«Ma è fantastico», riguardò verso Kara, «sono contenta per voi».
«Voi come lo fate funzionare?».
Maggie ci pensò, prima di rispondere: «Nessun piano. E credo non servirà nemmeno a voi, è evidente».
Ci fu silenzio per un po', passato ad ascoltare gli uccellini che volavano vicini e le risate dei bambini e quelle di Kara. Lena lanciò un'occhiata a Leslie che, vicino al chiosco, era impegnata in una telefonata; poi a Indigo, immersa nel suo mondo. Con la coda dell'occhio, vide Maggie farsi improvvisamente seria. «Non vuoi farlo, vero?», soffiò a un certo punto, intravedendola scuotere tiepidamente la testa. «Sono l'ultima che può darti lezioni», forzò un sorriso. «Ho fatto cancellare quei dati sulla chiavetta usb», aggiunse poi. «A volte ho dubbi. Se farlo… o non farlo, quale sarebbe stata la migliore opzione».
Maggie abbassò la nuca, lasciandosi anche lei andare a un tirato sorriso. «Capisco… Alex me lo ha detto», la guardò. «Mi sento stupida. Non riesco a odiare Zod o a temerlo come la minaccia che dovrebbe rappresentare. Io penso davvero che lui ritenga di fare del bene per National City e che poi lo faccia nel modo sbagliato. Perché so che è sbagliato, non trascendo su questo, ma…».
Lena accennò una risata. «Oh, sì. Mia madre mi ha disprezzato da quando sa della mia esistenza, mi ha educato alla sua indifferenza, non mi è stata vicina mai, non mi ha mai fatto sentire amata, eppure credo che, nel suo modo contorto, mi voglia bene. E io gliene voglio a lei», la voce si fece dura e gli occhi lucidi.
Maggie le prese una mano con la sua, stringendola; si sorrisero. «Charlie mi viene a prendere, tra un'ora. Riporto la bambina dalla babysitter e… mi ha promesso di mostrarmi alcuni risultati dell'organizzazione».
«Ci penserà Kweskill», le aveva detto Zod, all'ospedale, «Ti mostrerà le potenzialità dell'organizzazione che Petra ed io abbiamo aiutato a fondare».
Lena la guardò, incuriosita.
«Ho paura di scoprire che hanno ragione», confidò. «Non dirlo ad Alex».
Glielo promise, ma sembrava il minimo. Non che volesse che lei dicesse a tutti sul suo voler bene a sua madre. Accidenti, quello non avrebbe dovuto dirlo.
«Magari scopro che è tutta una messa in scena, che mi stanno ingannando», proseguì lei; «Che il Charlie che sto imparando a conoscere è la maschera di un'organizzazione che vuole da me chissà cosa».
«Non credo»: la voce di Indigo spaventò entrambe, non accorte che le stava ascoltando. Mostrò loro il suo cellulare, chiarendo di essere entrata nel suo profilo Facebook solo per curiosare e non per crear danni. C'erano più foto del ragazzo e di Maggie insieme, con tanto di date dei momenti in cui erano state scattate. In alcune mangiavano, in altre erano in auto, in altre ancora davanti alle vetrine, facendo facce buffe.
Maggie arrossì. «E-E-E… quelle sono state scattate nelle pause, per chiarire. Lavoriamo… di solito. Come sei entrata?».
«CharlieIlMagnifico93: è la sua password».
Lena e Maggie rimasero in silenzio per qualche istante.
«Beh… Non credevo le avesse ancora», riprese parola, guardando il telefono, «Almeno le ha settate che può vederle solo lui, perché organizzazione o meno, se il capitano ne vede anche solo una ci lascia a casa senza stipendio».
Indigo grugnì. «Sì, il lavoro è meglio tenerselo stretto, naturalmente. Ma permettimi, carina: non sono molti i membri dell'organizzazione certi ad avere un social e il massimo che fa questo Charlie è condividere appelli per animali in adozione, vi risparmio su cosa mette i like, l'unica cosa della sua vita che posta sono le sue foto con te. Private».
«Ricordi», commentò Lena.
Non mancò molto che Leslie andasse da loro per richiamarle all'appello, ma non era sola. «L'ho trovata che vagabondava qui intorno e volevo chiedere a mammina e papino se posso tenerla», indicò la ragazza a fianco e in cambio ricevette un dito medio. Kara correva in loro direzione e Leslie sorrise: «Ah, ecco papino». Si bloccò, fissando Lena a sottecchi, «Mi correggo… tu sei papino».
«Siobhan!», Kara allungò le braccia, «Sei venuta davvero».
«Sì, sì, va bene, ma manteniamo le distanze per il quieto vivere», la bloccò, arretrando. «Mi hai chiesto una cosa e sono qui, ma non posso trattenermi e dunque sarò breve».
«Cosa?», sbottò Leslie, «Hai lasciato a casa un centrino ad ago e filo a metà?».
Siobhan la guardò sinistra. «Allontanati da me o prendo lo spray al peperoncino. Sfidami, Willis. Ti prego, fallo». Leslie scherzò ancora ma le piacque come di fatto si allontanò per davvero, fosse anche solo un passo. «Sono stata a Fort Rozz a trovare Rhea Gand», guardò di nuovo Kara e dopo le altre, che si accigliarono. «Viaggio a vuoto: la stronza non vuole parlare».
Rhea Gand l'aveva guardata dapprima con sconcerto e poi si era messa a ridere dietro il vetro che le divideva, camminando verso la sedia per le visite. Probabilmente era l'ultima persona che pensava sarebbe andata a trovarla. Siobhan l'aveva fissata con disprezzo, indicandole più volte la cornetta dal suo lato, accartocciando le labbra.
«Non vuole parlare con nessuno, che ti dava la certezza di essere così speciale?», brontolò Leslie.
«Non sei in malattia?», le domandò invece Maggie.
«Sì, sono andata per mia pura soddisfazione personale», raccontò con una luce negli occhi. «Sto cercando di…», scosse una mano, «sai, affrontare i miei demoni e cose del genere, per guarire».
Indigo non resistette: «Oh, si intende questo con l'affrontare i propri demoni?».
«Emh, scusa, mi pare nessuno ti abbia interpellato, Frozen! Da dove è uscita questa qui?», si guardò attorno, arricciando il naso, «Non c'erano già abbastanza Principesse Disney in questa storia?».
«Siobhan», la richiamò Kara, «Non ti ha saputo dire proprio niente? E da come si comportava…?».
Lei scrollò le spalle. «Ho provato a dirle ciò che si sarebbe voluta sentir dire, a farle sentire… sai, la mia vicinanza, a tirar fuori un po' di conforto umano… quelle cose lì».
«È che ti manca la materia prima, per quello», gracchiò acida Leslie e lei la ignorò, indicandole la borsa.
«La odio, ma pensavo che farle sapere di comprenderla e volere da lei un aiuto per spodestare Zod potesse… ma ha paura. È una cosa che riesco a capire perché…», si fermò per un attimo, abbassando la voce, «so come ci si sente. Non che questo cambi qualcosa: dovesse crepare domani, stapperò lo spumante».
«Paura…», farfugliò Maggie, per poi alzarsi in piedi e richiamare la figlia. «Zod mi ha esplicitamente detto di volere una confessione da Gand per la morte di Petra, la sua fidanzata di allora. È convinto che lei l'abbia uccisa e se è vero che ha paura, non mi sorprende». Richiamò Jamie che fingeva di non sentirla, prima di dare di nuovo a loro la sua attenzione: «Dobbiamo saperne di più su questa Petra».
Kara lanciò un'occhiata a Indigo, che annuì, seppur seccata.

Levi Luthor. Adrian Zod. Petra Taylor.
Levi Luthor: fratello di mezzo tra Lara, primogenita dotata di cui della sua giovinezza si era conservato poco, e Louie, nato malato e il cui unico maggior dettaglio rimasto di lui nel tempo era quella piazza, costruita in memoria di ragazzi come lui, vite spezzate a causa di un incidente.
Adrian Zod e Petra Taylor, fidanzati: lei era morta cadendo dalle scale prima che potessero sposarsi, sorella maggiore di quella che conoscevano come Rhea Gand, che lui accusava di averla uccisa.
Pezzi di storia che galleggiavano per aria senza connessione. Cos'era avvenuto prima e cosa dopo? In che punto era nata l'organizzazione e con quale scopo? Come si erano conosciuti i Luthor e i due promessi sposi?
Era Lena quella ad avere la testa per aria insieme a quelle informazioni, spostandole con la sua mente, trovando agganci, rimuovendole e gettando qualche supposizione che potesse fare da tramite tra un punto e un altro. C'erano delle analogie interessanti: il Generale era convinto di fare del bene per National City, le aveva spiegato Maggie, di stare dalla parte delle persone bisognose, aveva assicurato un posto all'asilo per Jamie, Zod stesso le aveva nominato i disabili e le difficoltà economiche; Louie Luthor era un disabile e quando era ragazzo erano morti quelli dell'associazione, disabili come lui. E se l'associazione avesse avuto bisogno di soldi? Era lei a inventarsi tutto oppure tra un evento e l'altro c'era una connessione, seppur labile? L'organizzazione si prendeva ancora cura di quella piazza, però.
«Dunque i delta sono il ceto medio?», domandò Kara, distraendola dai suoi pensieri. Morse il suo secondo panino, aggrottando la fronte. «Ribolleganbomi alla tua betafora bulla bocietà», aggiunse, con una mano sulla bocca.
Leslie annuì, camminando in cerchio dentro il chiosco. «Vedi che sei sveglia quando ti applichi, Supergirl», la prese in giro e Kara le riservò un'occhiataccia, ascoltando quella Indigo lamentarsi che, quando era lei a fare delle battute, volavano le penne. «Mi ha spiegato che i delta sono i membri comuni: partecipano alle riunioni se aperte a tutti, da quel che ho capito, ed è tutto. Infine, gli omega».
«I soldati», intervenne Lena e loro si voltarono, mentre la ragazza la indicava orgogliosa.
«Ecco la prima della classe», rise. «I più numerosi, gli omega sono l'esercito dell'organizzazione; eseguono gli ordini per un mondo più pulito. Potrebbero essere ovunque! Il mio uomo è uno di loro». Recuperò la valigetta, sorseggiando dalla sua fiaschetta. «Beh, ora devo andare, aggiornate le altre. È stato un piacere, belle, alla prossima riunione. Ah…», fermò i passi, «Se poteste non divulgare queste informazioni, ve ne sarei grata: gli ho promesso di non dirle a nessuno. Ops!», estrasse un sorriso a trentadue denti. «Beh, diamo almeno questa idea prima che possa scriverci su un articolo, no?».
Uscì e Lena e Kara si scambiarono uno sguardo, mettendosi di fretta in piedi. «Leslie, aspetta», Lena si affacciò, «Devo andare anch'io».
Quegli occhioni verdi non l'avrebbero ingannata, ma tanto valeva togliersi il dente e scoprire cosa voleva. «Mi dai un passaggio, Luthor?».
«Certo». Tornando un passo indietro, colse il volto di Kara con il palmo delle mani e scambiò con lei un bacio, sotto lo sguardo imbarazzato di Indigo e quello infastidito di Leslie dall'altra parte, che la incitò a darsi una mossa. «Ci vediamo questa sera?». Kara le disse qualcosa a un orecchio e, dopo uno sguardo, si baciarono ancora, spazientendo una e facendosi richiamare dall'altra. Leslie schizzò le braccia verso l'alto quando Lena si staccò, ma non troppo in fretta, continuarono a fissarsi, occhi grandi e sospiri. «Non uccidetevi voi due, mi raccomando! Oh, Kara! Il cestino». Lo aveva dimenticato.
«Lo prendo io! Lo riporto a casa… da-da te, quando accompagno Indigo». Si sorrisero e Leslie tirò via Lena.
«Sul serio, ma ci date dentro abbastanza?», le domandò Leslie con schiettezza, camminando verso le strisce pedonali. «Temevo che a un certo punto, a furia di fecondarvi con gli occhi, una delle due avrebbe iniziato ad ansimare».
Lena trattenne un sorriso imbarazzato, aprendo la portiera del guidatore e limitandosi a dirle di salire. Chiusero e allora prese fiato, nel silenzio. «Posso chiederti-».
«Eccola… Neanche il tempo di mettere in moto».
«Cosa hai evitato di dire a Maggie Sawyer?», si voltò verso di lei. «Ti conosco da troppi anni, Willis, per per non capire che hai volutamente omesso dei particolari dal tuo resoconto».
Lei perse lentamente il sorriso, scuotendo la testa. «Larry se lo è lasciato sfuggire… non era voluto». Sentiva lo sguardo pesante dell'altra addosso e normalmente lo avrebbe ignorato, ma non riusciva. Forse era una banalità, o forse… No. Dalla faccia di Larry, non poteva essere una banalità.
Erano a letto e lui si era avvicinato per tenerla stretta a sé, dopo aver lamentato di sentire i brividi. «Non vorrei proprio ma devo andare, mia principessa dai capelli d'argento», le aveva lasciato un bacio sulla base del collo, continuando con le mani a massaggiarle la schiena. «Il dovere mi chiama».
Leslie Willis aveva emesso un verso contrariato. «Non puoi trattenerti altri dieci minuti? Sei caldo».
«Non ho dieci minuti, picci, mi stanno aspettando».
«Gli altri omega?».
«No, oggi…», si era fermato, sollevando il lenzuolo, comprendendo dal tono della sua voce scocciato che non era una spiegazione ciò che voleva da lui. «Io sono contento che tu mi abbia dato una seconda possibilità dopo aver saputo dell'organizzazione, e ti ho detto ciò che volevi affinché tu la vedessi in altro modo perché… beh, perché mi piaci davvero e non voglio rovinare… ma ho come l'impressione che tu non accetti lo stesso ciò che faccio con loro».
«Un'impressione, eh?», aveva rimarcato con tono sdegnato, alzandosi dal suo lato e rivestendosi. Lui era rimasto in silenzio per un po' e Leslie, dandogli le spalle, aveva chiaramente sentito come un fastidio non indifferente al centro del petto, che l'aveva forzata a dire qualcosa subito: «Oh, ascolta…», si era voltata, «Non posso nascondere il mio astio per-».
«Quello che rappresento?». Il giovane le aveva forzato un sorriso e, sedendo di nuovo sul materasso, si era infilato le scarpe. «Non sono arrabbiato», si era riavvicinato a lei, infilando la camicia sotto i pantaloni. «Vorrei tanto dirti e mostrarti di più perché tu possa capire, dolce cuore mio, ma non mi è permesso… Mi sono, sì, mi sono già sbottonato abbastanza», aveva scosso la testa e ridacchiato, «mi metterei nei guai. Ma presto ci sarà un gran cambiamento se Sawyer verrà inserita come erede del Generale e-», aveva spalancato gli occhi e Leslie altrettanto, fissandolo con sconcerto. «Oh, io…», si era tirato indietro e aveva sbattuto contro il letto, un ginocchio aveva ceduto e aveva rotolato da lì fino ad accovacciarsi sul pavimento con le mani, rialzandosi svelto. «Tu questo… Non la conosci, vero?», aveva chiesto con panico e Leslie aveva alzato un sopracciglio. «Devo andare! Ti prego, non…», aveva aperto la bocca e infine richiusa con scatto, correndo da lei per darle un bacio e uscire di casa.
Le due si erano scambiate uno sguardo pensieroso e Leslie Willis, così, aveva scrollato le spalle. «Cercavo di capire da che parte stesse, chiaro? Perché non so esattamente che diavolo significhi per l'organizzazione, Luthor, ma la parola erede non si piega a interpretazioni».
«Dobbiamo dirlo a Maggie».
«No-», si zittì di scatto e poco dopo, senza che le dicesse nulla, si gettò sul sedile e allargò le gambe con resa. «Sì… Sì, nel senso, se lo ritieni…».
Lena la scrutò con curiosità e, pian piano, sorrise. «Riguardo quell'articolo, Leslie…».
«So dove vuoi arrivare», sbottò allora, voltandosi, «Ma è il mio lavoro e lui dovrebbe aspettarselo».
«Ci sono cose più importanti».
«Oooh, non parlarmi dell'amore, ti prego! Non sono innamorata di lui, okay? E metti in moto: ho la pasticceria di fronte che mi sta facendo la corte».
Brontolò e Lena rise, infilando le chiavi nel quadro.


***


Nel frattempo, all'Angel Children's Memorial, il chiosco dove avevano deciso di sistemarsi le ragazze era ormai coperto dall'ombra e gli uccellini, nell'albero più vicino, sembravano avere molto più da dire di loro. La piazza si stava riempendo di gente e molti locali nelle vie limitrofe stavano aprendo preparandosi per la sera. Affacciata, Kara si sforzava per raggiungere a vista la scultura al centro, raffigurante i piccoli angeli su sedie a rotelle. Si immaginava come doveva essersi sentito quel Louie Luthor, a sedici anni, dopo aver saputo dell'incidente dove erano morti tutti i suoi amici. E come dopo aver fatto costruire quella piazza per tenerli nel cuore di National City. Si era sentito in colpa? Lui non era con loro. Proprio come lei, non era con la sua famiglia quando erano morti. Si doveva essere sentito in colpa per essere stato ancora vivo?
«Non molto in più di ciò che avevo trovato in una precedente ricerca per Lena su Rhea Gand».
Indigo interruppe il flusso dei suoi pensieri e si fregò gli occhi, sedendo vicino a lei.
«Forse con un'attrezzatura più adatta, magari… Petra Taylor, nata nel millenovecentocinquantacinque a National City, ha frequentato… aspetta, mi è sfuggito qualcosa». Sentiva Kara Danvers che la fissava, quasi più concentrata in quello che a ciò che stava facendo. Che fastidio, la deconcentrava. Era decisamente irritante. «L'avevo già visto, ma non lo ritenevo importante. È così che si sono conosciuti», le indicò qualcosa sullo schermo del laptop di Lena e Kara si avvicinò per leggere.
«Petra e Zod nella stessa università…», mormorò, continuando a sfogliare e- oh, vide una foto e fece segno a Indigo di zoomare. «La didascalia della foto dice che…».
«Già».
«Quello è Levi Luthor».
In completo con tanto di cravatta e in mezzo agli studenti, tra cui i giovani Adrian Zod e Petra Taylor, Levi Luthor sembrava a suo agio, lì in università per sostenere una lezione sul progresso scientifico. Tre dei fondatori certi dell'organizzazione in un'unica foto.
«Fai lo screen», le ordinò Kara in un primo momento, per poi spingerla di lato e farlo lei, con fretta. «Invio un messaggio a Lena per dirle che abbiamo trovato qualcosa. Non so a che ora ci rivedremo questa sera, sono da mia zia».
Indigo deglutì, spegnendo il laptop. «Non… Non hai intenzione di…», si fermò non trovando le parole e Kara la guardò, accigliata, «Con tua zia, intendo».
«No», si spostò un ciuffo dagli occhi, «Credo? Se ho capito di cosa parli. Mia zia fa parte dell'organizzazione, è una beta, andare da lei e parlarle è la cosa più logica che mi venga in mente, ma questo non significa che io la perdoni o… cose del genere. Parleremo. Vedrò di capire se… se è sì, beh, se c'è ancora un po' della zia che ricordo».
Continuò a digitare un messaggio e Indigo strinse un pugno. Anche lei aveva dei ricordi di quella notte che al contrario non avrebbe condiviso. Dopo l'arrivo di Astra Inze. Dopo la discussione con Lillian Luthor-Danvers e l'intromissione di Kara. Dopo aver mangiato il primo piatto della cena quasi sforzandosi, sentendo la bocca dello stomaco chiudersi. Dopo. Dopo era andata in bagno, più per scappare da loro che per lavarsi le mani. Aveva sentito dei passi ed era rimasta in allerta, sbirciando attraverso la porta spinta a metà, davanti allo specchio sopra il lavabo.
«Occupato?», la donna aveva messo una mano sulla porta e l'aveva aperta. «Posso permettermi? Speravo proprio di poter scambiare due parole con te… Linda».
Indigo si era stretta nelle spalle. «Vuoi che ti ringrazi per non aver detto nulla? Puoi sognartelo, Inze: se pensi che mi sentirò in debito, ti sbagli di grosso».
«Oh no, non sono stata zitta sulla tua identità per te, non mi devi nulla». L'aveva spinta all'interno del bagno per farsi spazio, socchiudendo di nuovo la porta e aprendo il rubinetto per risciacquarsi le mani. «Ma la tua presenza qui con loro mi dà parecchio da pensare. Sapevo che eri fuori grazie a un garante e a un lavoro misterioso. Chi non ama i misteri…? Allora, quanto di quel lavoro c'è nella tua presenza qui?».
Lei aveva forzato una risata, mettendo le braccia a conserte. «Puoi chiederlo direttamente al tuo capo. L'organizzazione non sa sempre tutto?».
«Ma io lo sto chiedendo a te», aveva chiuso e, con le dita che gocciolavano, si era girata per squadrarla. «Puoi essere così gentile da informare una vecchia amica di prigione?».
«Non sei mai stata amica mia. Ma non preoccuparti, non è Kara a interessargli», le aveva risposto e Astra aveva annuito, asciugandosi le mani.
«Che sia. Non vorreste averci contro».
«Come se avessi paura di te. Di voi. Non me ne importa niente». Le era passata alle spalle per uscire, sorridendo ancora una volta. Aveva bloccato i suoi passi a un palmo dalla porta solo quando aveva sentito una mano fredda adagiarsi sulla spalla destra.
«Cosa ne pensi, andiamo?»: Kara le sorrise, alzandosi. «Ci mangiamo un gelato mentre andiamo in villa?». Recuperarono le proprie cose e si scambiarono uno sguardo: il gelato sarebbe andato bene. Kara incastrò il cestino da pic-nic sottobraccio e lasciò che Indigo tenesse il laptop, guardandola ancora, si rendeva conto, con una certa insistenza. «Lui ne fa parte?».
«Chi?».
«Il tuo garante. Fa parte dell'organizzazione?».
Lei mise su un'espressione scocciata poiché non ne poteva più di certe domande e insinuazioni. «Non vuoi proprio credermi quando dico che non so chi sia, vero? Non ne hai intenzione?».
Kara serrò le labbra e, di botto, sospirò. «Sei molto sveglia, Indigo, non puoi non saperlo, ti consumeresti nelle ricerche», scosse la testa. «Ma non vuoi dircelo. E se non vuoi, avrai le tue ragioni. Okay, non dirlo, Lena ed io ci arriveremo da sole, ma almeno rispondi perché è importante: è membro dei quell'organizzazione?».
Si guardarono per qualche secondo, in completo silenzio: si stava mettendo vento che sbatteva sul corrimano in ferro, intanto gli uccellini sugli alberi erano sempre più chiassosi, volando da una parte all'altra, padroni della piazza.
«No», deglutì e la vide ansimare, «Non più».
Kara sapeva che non avrebbe ottenuto di più da parte sua. «Grazie». Sapere che non faceva parte dell'organizzazione era già un'informazione preziosa, ancor di più lo era sapere che non ne faceva parte al momento. Cosa gli era successo nel frattempo?
Scesero le scalette e Kara non credette ai suoi occhi, alzando le mani e le braccia per attirare l'attenzione della sua amica Megan che si girava attorno spaesata, con la yorkshire color miele al guinzaglio. Neanche a pensarlo, fu la cagnolina ad accorgersi di lei per prima, tirando per raggiungerla.
«Avete già finito? Com'è andata?». Si abbracciarono subito e Kara le chiese come stesse.
«Hai avuto difficoltà a uscire con lei?», si abbassò per coccolare Nana, che cercava di arrivarle sul viso per leccarla.
«No… Credo tu avessi ragione: quello ha una cotta per me».
Indigo le sentì ridere appena e fece qualche passo in avanti, cercando di mettere a fuoco delle persone in particolare, tra quelle che giravano in piazza. Dei volti conosciuti.
«Io non penso sia vero. Penso che tutta questa maschera del non me ne importa niente sia solo un modo per proteggerti piuttosto primitivo, Indigo Brainer. Pensi davvero sia meglio non provare niente, forse, è dolce da parte tua, ma io ricordo come ti nascondevi sotto ai letti per non farti trovare. Sei stata ferma a farti colpire, ma ti leccavi le ferite in bagno. Pensavi non ti notassi, cara ragazza? Lionel Luthor mi aveva parlato di te, credo ti sopravvalutasse», le aveva rivelato Astra Inze, accostandosi per parlarle all'orecchio. «Sai cosa? Avrebbe voluto averti. Nell'organizzazione. Avrebbe voluto offriti un lavoro così come ha fatto quel garante per cui ora tanto ti prodighi. Così come avrebbe voluto l'FBI. Non te lo hanno detto? Il tuo profilo psichiatrico lo sconsigliava e la proposta è stata bocciata. Inaffidabile e instabile. Lui lo saprà, no? Il tuo garante. Cosa avrà usato per tenerti al guinzaglio? Quale paura ti avrà inculcato?».
Indigo si immobilizzò e affannò il respiro. Loro l'avevano vista, si stavano avvicinando. No, no, non l'avevano vista ora, sapevano che era lì, erano lì per lei. Non riusciva ad allontanarsi. Guardò indietro Kara che, parlando con quella Megan, accarezzava la cagnolina. E anche se si fosse allontanata, che senso avrebbe avuto? L'avrebbero trovata. L'avrebbero trovata sempre.
«Indi», Carol si tirò dietro un orecchio i capelli e l'abbracciò, mentre lei restava ferma come una tavola di legno. «Quanto tempo, cara, mi sei mancata».
Dopo fu il turno del marito Noah, che la strinse. «Non fare niente», le sussurrò lui, «Niente panico».
«Cosa fate qui?». Non c'era l'ombra dei loro figli, non li avevano portati: non poteva essere un buon segno.
«Oh, una passeggiata, cara», le sorrise radiosa. «E…», guardò Noah, «un avvertimento, temiamo».
L'uomo aveva cinto la vita della moglie, facendosi più stretti. «Si è un po' risentito per via del piano che hai escogitato da sola e per come le cose si sono evolute, Indi, ti avevo avvertito. Ma gli passerà, non dargli motivo di dubitare della tua fedeltà e… continua. In fondo stai ottenendo dei risultati ed è ciò che conta».
Entrambi insieme gli avevano sorriso, ma Indigo non riusciva a stare tranquilla con loro lì. Di peggio, poteva esserci solo che Kara Danvers li notasse e li raggiungesse. Oh… andava male, la guardò. Molto male.
«Piacere», Carol allungò la mano verso Kara e dopo Noah. «Sono un'amica di vecchia data della mamma di Indigo. Che tragedia, poverina, cosa è successo…».
Parlarono un po': Indigo sentiva che lo facevano, ma si era estraniata, non riusciva a concentrarsi per capire il significato delle parole. Si sentiva vuota, e piccola. Dalle facce di Kara, non riusciva neppure a capire se lei ci credesse o meno a tutte quelle fandonie. Perché il suo angelo custode le aveva fatto questo, perché?
«La parte divertente, Indigo Brainer», Astra l'aveva guardata di nuovo, «è che in prigione avevi tutti i motivi per avere paura, ma nel mondo qui fuori nessuno potrebbe davvero tenerti al guinzaglio, se volessi. Se non riesci a comprenderlo è solo perché è davvero riuscito in ciò in cui noi e l'FBI non avevamo voglia di applicarci. Tanto di cappello a lui, chiunque sia. Credo davvero che Lionel ti sopravvalutasse, povera ragazza». Era uscita dal bagno prima di lei e Indigo aveva stretto i denti fino a farle male la mandibola.
«Posso dirtelo?», Carol aveva preso una mano di Kara, stringendola. «Hai un viso così angelico, sono contenta che Indigo abbia trovato delle amiche, finalmente. Tiene a voi, ne sono sicurissima. Per questo andrà tutto bene». La guardò e Indigo si paralizzò.
Andrà tutto bene… o le avrebbe uccise.



























***

Ouch, più che un avvertimento, pare proprio una minaccia!
Bentrovate e bentrovati. Come vi aveva anticipato Leslie Willis, questo è un capitolo davvero lungo ma succede molto poco, o quasi. Quasi perché alla fine ci sono state fornite un mucchio di informazioni, sia ricavate da John Jonzz prima che finisse steso in un letto d'ospedale, sia dai resoconti delle ragazze.
C'è una parte che vi ha colpito di più? Vi siete fatti un'idea di cosa è successo nel passato, che avrà inevitabilmente influenzato il presente?
A questa domanda darà grande risposta il prossimo capitolo, uno stand alone che… no, beh, in realtà i prossimi, perché di fatto il prossimo capitolo, che è uno stand alone, dicevo, è diventato così lungo e pieno di eventi che ho dovuto spezzarlo e dividerlo in sei minicapitoli! Alcuni di questi minicapitoli sono lunghi quanto veri e propri capitoli; non lunghi come questo, ma fanno la loro bella figura.
Scrivendo questo e il prossimo capitolo, che si dividerà tra parti nel presente ambientate in questa stessa giornata e parti nel passato, mi sono resa conto di quanto la storia stia svolgendo i propri nodi, e come ora ogni cosa è importante per la corsa verso la fine. Che è ancora “distante”, in realtà, ma non più così tanto. Più che altro perché ci metterò tanto a scriverla XD

Ebbene, fatemi sapere cosa ne pensate :) Vi do appuntamento a sabato 18 luglio con il minicapitolo 65.1 che si intitola Riscatto: Perdita. Sì, Riscatto è il titolo del capitolo 65 e Perdita è il titolo del minicapitolo. Qualche idea basata sui titoli? ~









Buon pomeriggio! Era forse questa la news che stavate aspettando? Chi lo sa, considerato che abbiamo una notizia buona e una cattiva...
Partiamo con la buona: Our home sta per tornare! Quando? Questo sabato: sabato 13 febbraio 2021.
La notizia cattiva? Sono di nuovo bloccata con la scrittura; è un periodo di alti e bassi e scrivo quando sono dell'umore giusto, ho l'ispirazione buona e così via, quindi tornerò in pausa dopo qualche capitolo. Ma ci ho pensato e magari pubblicare ciò che ho mi aiuterà a continuare, o magari farà l'opposto, chi lo sa, lo scopriremo vivendo...
Quindi nulla, vi lascio alla piccola prefazione e… ci rileggiamo presto ;)


Ho sempre sostenuto che, se si comincia a delineare una trama complessa, o se si scrivono i personaggi in un dato modo, ci dev'essere un perché, un percome, e un inizio. Non mi piacciono i personaggi che si comportano in un certo modo perché sì, né che ci possa essere un'organizzazione criminale nata dal nulla perché deve fare da sfondo alla storia d'amore delle protagoniste e metterle in difficoltà. Poi che ci possa o meno riuscire è un altro paio di maniche, ma non siamo qui per disquisire su questo u_u Dal momento che sono partita a scrivere Our home avevo in mente una trama più complicata e articolata e una più base, e ammetto che quest'ultima mi avrebbe semplificato il mondo, avrei avuto più commenti per capitolo lungo il percorso, e me la sarei sbrigata molto prima, ma ho seguito l'istinto e altre cose, e me la gioco così. Mi rendo conto che molte persone leggono la mia fan fiction solo per la supercorp (e ci mancherebbe, ahahah) e potrebbe non interessare il resto, ma ho un dovere verso questa storia e devo farlo a discapito di tutto. Questa piccola prefazione è per preparavi ai capitoli che verranno! Ricordate che il capitolo 65 sarebbe stato uno stand alone? Non sarà uno stand alone qualsiasi, ma sarà uno stand alone particolare, diviso in sei “minicapitoli” dove potrete leggere l'inizio, passo dopo passo: l'inizio dell'organizzazione. Perché per me non è solo sfondo ma parte integrante di questa fan fiction, proprio come la storia d'amore delle protagoniste.

Cosa posso dire di più? Considerato il tempo trascorso, vi consiglierei di rileggere il capitolo precedente Angel Children's Memorial perché avrà modo di prepararvi a ciò che leggerete ora, non solo per questo stand alone diviso in sei appuntamenti, ma proprio per i capitoli da qui in avanti.
Faremo la conoscenza di personaggi nuovi e altri li conosceremo sotto una nuova luce.
Capire il passato ci aiuta a comprendere e cambiare, chissà, il presente.
Buona lettura!





   
 
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