[Istanbul,
18 Luglio 1963]
Napoleon
sta preparando la cena e la cucina, ora, profuma di un intenso odore
di carote.
Illya
siede a tavola. Lavora ad un nuovo prototipo, una cimice
così
piccola che l'altro, questa volta, non sarà in grado di
scovare.
Le
ultime è riuscito a trovarle tutte. Adesso, spesso, Illya si
sveglia
nel mezzo della notte solo per scoprire che Napoleon non è
più
nella sua stanza; lo irrita non avere un modo per rintracciarlo. La
prima volta che è successo, si è giustamente
preoccupato e ha
svegliato Gaby perché temeva che qualcosa fosse andato
storto con la
missione. Solo è tornato poco dopo e Gaby non ne
è stata affatto
contenta. Così, le volte successive, si è ben
riguardato dal
chiamarla, ma lui non riesce mai a calmarsi e resta sveglio fino a
quando non sente la porta aprirsi e i passi di Napoleon scomparire
nella stanza di fianco alla sua. È irrazionale, ma non sa
come
convincersi altrimenti. Senza contare che spesso, alla preoccupazione
che l'altro possa essersi cacciato nei guai, si aggiunge anche
l'irrequietudine che gli suscita la consapevolezza di quanto sia
facile, per Solo, riuscire a scivolare via. Torna sempre, ma non
riesce a non pensare che se volesse, potrebbe benissimo non farlo.
Il
dubbio gli si è arrovellato nel cervello così
tanto che a volte,
anche quando Solo passa tutta la notte nella sua stanza, Illya non
riesce a prendere sonno. Non sa perché, poi, gli importi
così
tanto, ma per la sua sanità mentale, ha deciso di provare
almeno a
fare un po' di chiarezza.
«Perché
sei ancora qui?»
Napoleon,
intento a mescolare con una paletta il brodo nella pentola sul fuoco,
si acciglia confuso.
«Perché
sto ancora cucinando, Peril.»
«Non
è quello che volevo dire.»
«Che
volevi dire, allora?»
Gli
lancia uno sguardo curioso. È qualcosa che fa spesso, come
se Illya
fosse un pezzo d'arte da studiare o una cassaforte di cui non ha
ancora compreso gli ingranaggi. È lo stesso sguardo che gli
ha
rivolto quella notte, quando i loro occhi si sono incrociati per la
prima volta attraverso il parabrezza di un'auto in corsa.
Illya
mette a punto gli ultimi ritocchi al suo lavoro. La cimice è
di
forma ovale, delle dimensioni poco più grandi di un bottone
sul
vestito di una bambola. Ora deve solo trovare la giusta occasione per
provarla. Napoleon, sospettando a ragione di diventare il suo primo
soggetto di prova, le lancia uno sguardo circospetto. Illya si
affretta a distoglierne l'attenzione.
«Volevo
dire: sei ladro costretto a fare lavoro di spia, perché non
hai
provato a scappare?»
Una
pausa di silenzio. Napoleon stringe un momento gli occhi e assume
un'espressione guardinga, ma poi distoglie lo sguardo e torna a
concentrarsi sul contenuto della pentola.
«Sei
stato tu a dirlo, no? Ho un guinzaglio al collo. Se provassi a
scappare, non ci vorrebbe molto prima che la CIA inizi a tirare la
presa.»
Illya
emette un mugolio di assenso. Immagina che quella sia una buona
ragione; se scappasse, dovrebbe continuare a guardarsi alle spalle
per il resto della sua vita e probabilmente teme che lo stress gli
faccia venire i capelli bianchi.
Eppure
non ne è del tutto convinto. Decide di insistere.
«Se
si presentasse occasione, però, scapperesti,
sì?»
Dalla
sua posizione può solo scorgere di profilo il volto
dell'altro, ma
la mano che tiene la paletta incespica per una frazione di secondo,
andando a dirompere il continuo volteggiare che ormai aveva mantenuto
per più di mezz'ora. Napoleon socchiude le labbra, forse con
l'intenzione di dargli una risposta, qualunque essa sia, ma prima che
possa farlo vengono interrotti da un insistente bussare alla porta.
È
Gaby. Entra e brontola affamata e Illya, alla sua domanda, non riceve
più risposta.
[Polonia,
1 Aprile 1968]
Spagna,
Madrid, un furto al Museo del Prado; Francia, Parigi, il
Musée Rodin
perde di vista la sua intera collezione di Van Gogh; poi ancora
Austria, Germania, Polonia. Illya non sa neanche come Napoleon ci sia
arrivato, in Europa, quando ha tutta la CIA alle calcagna, tanto meno
di come sia riuscito, in un tempo così breve, ad organizzare
e
succedere in una manciata di furti di alta classe come quelli. Non
che gli interessi davvero sapere il come quanto più il
perché.
Dopotutto un fuggitivo, per logica, dovrebbe mantenere un basso
profilo.
«Tutto
questo non ha senso!» sbotta Gaby, una bottiglia di vodka in
una
mano e un bicchiere nell'altra. Si lascia cadere scomposta sulla
poltroncina di fianco al divano dove Illya è seduto. Tra
loro, su un
tavolino da caffè, una mappa sulla quale sono stati segnati
con un
pennarello rosso e piccoli cerchi tutti i luoghi colpiti dallo
sfrenato impulso criminale di Napoleon, un impulso che sembra averlo
colto nel momento stesso in cui U.N.C.L.E. ha perso la presa,
già
allentata di molto, sul quel guinzaglio che la CIA gli aveva stretto
attorno al collo e si era poi vista costretta a passare oltre.
«Non
ha senso, non ha senso per niente!» ripete Gaby, sbuffando.
Si versa
una generosa dose di vodka. Indossa già il pigiama, ha le
gote
infiammate e punta il dito sulla mappa, andando a mancare del tutto
il centro del cerchio rosso che aveva mirato.
«Si
sta prendendo gioco di noi, ecco cosa sta facendo!»
Non
lo crede davvero. Gaby dopotutto è stata la prima, prima
anche di
Illya, ad accorrere in difesa di Napoleon. È una fiducia che
non ha
ancora abbandonato, ma i giorni continuano a passare e sono entrambi
stanchi, dormono poco, e non sono per niente più vicini a
catturarlo
di quando lo erano stati due mesi prima.
Gaby
si lascia poi sprofondare nel cuscino alle sue spalle, come se
l'animosità che ha colorato le sue parole fino ad un secondo
prima
l'abbia all'improvviso abbandonata.
«No,
no, non è questo» mormora, il freddo del bicchiere
contro la fronte
accaldata, gli occhi chiusi. Illya si consola col fatto che per
quella notte, almeno, uno di loro riuscirà a dormire come si
deve
«Cosa sta facendo, Illya?» gli chiede in un
sussurro desolato.
Illya
guarda la mappa, corruccia la fronte di fronte al sentiero che ne
è
descritto. Non c'è uno schema, non c'è nulla.
«Non
lo so.»
Gaby
sospira e butta giù il resto della vodka, tutto d'un fiato.
«Me
ne vado a letto.»
Si
alza, barcolla, ma riesce lo stesso a schioccargli un bacio umido
contro la fronte, prima di scomparire nella sua stanza.
Illya
la ascolta mentre si mette a letto, la ascolta fino a quando non
sente il suo respiro farsi più profondo. Contempla poi
l'idea di
versarsi anche lui un bicchiere, ma la scaccia molto velocemente. Le
probabilità che quella notte accada qualcosa sono quasi
inesistenti,
ma vuole farsi trovare preparato in ogni caso. Mette a posto la
mappa, controlla che la porta e le finestre siano ben chiuse e la
pistola al sicuro sotto il cuscino, poi si corica. Riuscirà
forse a
dormire un paio d'ore, prima che si volti nel sonno e si svegli di
soprassalto quando le sue braccia cercheranno di stringersi attorno a
un corpo che non è più lì, a qualcuno
che adesso, invece, è solo
un ricordo a pesargli nel petto.
[Atene,
8 Aprile 1968]
Sono
di nuovo in volo, questa volta diretti in Grecia, ad Atene. Non si sa
come, ma dal museo archeologico nazionale è scomparsa
un'intera
statua di bronzo. Così come le volte scorse, la flebile
traccia che
Napoleon si è lasciato alle spalle, al momento del loro
arrivo, si è
freddata ormai da ore.
Illya
vuole rompere qualcosa e l'agente Rivera, a capo del team al quale
Sanders ha concesso loro di aggregarsi,
è un obiettivo che
diventa sempre più allettante.
È
un uomo alto, magro, i capelli scuri tagliati corti sulla testa.
È
giovane, però. Illya, che si è ovviamente
informato su di lui e sul
resto del team, sa che ha la stessa età che aveva lui quando
si è
unito ad U.N.C.L.E. Non che questo influisca in modo negativo sul suo
giudizio. Illya a quel tempo, dopotutto, era stato il miglior agente
che il KGB avesse da offrire e Rivera, per quanto odi ammetterlo,
è
intelligente e anche piuttosto capace nel suo lavoro. No, il vero
problema sta nel suo comportamento.
Sa
di non essere esattamente nella posizione di poter giudicare, anche
se nel corso degli ultimi anni è riuscito ad acquisire un
maggiore
controllo sulle proprie emozioni grazie all'aiuto di U.N.C.L.E e
soprattutto grazie a quello dei suoi partner, ma Rivera è a
tutto un
altro livello.
È
arrogante, irascibile e si muove costantemente come se fosse sul
punto di saltare fuori dalla propria pelle. Gli unici momenti in cui
Illya lo ha visto calmo, oltre che quando richiesto dalla missione,
sono quando parla al telefono con i suoi superiori e quello,
sospetta, è l'unico motivo per cui gli è stato
anche solo permesso
di diventare un agente in primo luogo.
«Quando
finalmente prenderemo quel figlio di puttana...» borbotta,
entrando
nella camera da albergo che Illya e Gaby condividono.
Non
finisce la frase, ma il pugno che stringe al fianco è un
segno
evidente di ciò che vuole fare a Napoleon
nell'eventualità che
venga catturato e Illya avverte l'impellente desiderio di
scaraventarlo fuori dalla finestra. Napoleon sarà anche un
fuggitivo, ma la missione è di catturarlo e riportarlo negli
Stati
affinché possa affrontare un giusto processo. La violenza
che Rivera
promette, invece, è fine a se stessa, il capriccio di un
uomo
costretto a fare un lavoro che odia.
«Ci
sono novità, agente Rivera?» interviene Gaby,
avendo forse intuito
quanto sottile si stia facendo la sua pazienza.
Rivera
serra la mascella, ma scuote la testa.
«No.
Volevo solo ricordarvi che non avete il permesso di uscire da questa
stanza.»
Illya
apre la bocca per ribattere.
«No,
agente Kuryakin. Siete fortunati che Waverly abbia tanta influenza o
la CIA non vi avrebbe mai permesso di partecipare. Dopotutto
è colpa
di U.N.C.L.E. se Solo è di nuovo a piede libero»
lo interrompe
puntandogli un dito contro. Se non glielo spezza, è solo
perché
Gaby si mette in mezzo e gli lancia uno sguardo di avvertimento.
Rivera, ignaro a quanto sembra delle intenzioni di Illya, continua a
borbottare tra sé e si avvia verso l'ingresso. Quando esce,
lo fa
sbattendosi la porta alle spalle.
Gaby
inarca le sopracciglia e arriccia le labbra.
«Vedo
che tu non sei l'unico qui con un brutto temperamento.»
Sa
che sta solo cercando di sdrammatizzare, ma sa anche che ci sarebbe
dovuto essere qualcun altro lì a dire quelle esatte parole e
il
pensiero di ciò, repentino e non voluto, non fa che
alimentare il
suo malumore. Le lancia uno sguardo torvo.
«Non
dire questo. Non sono niente come lui.»
Prende
la valigia e si chiude in camera. Per non dare ragione a Gaby, si
sforza anche di non sbattere la porta. Poi chiude gli occhi e prende
un respiro profondo; ora si sente anche in colpa, ma ignora questo
come ha ignorato ormai ogni altra cosa che non fosse strettamente
necessaria alla missione.
Non
disfa la valigia, sarebbe solo una perdita di tempo, ma si permette
di fare una doccia, sperando di dissipare un po' dell'energia
irrequieta che lo consuma.
Purtroppo
non sembra funzionare e due ore dopo è ancora sveglio.
Supino sul
letto, fissa contrito il soffitto e si sforza di non pensare,
perché
pensare in quel momento significa porsi domande alle quali non vuole
davvero rispondere. Dopo altri trenta minuti a rincorrere uno stato
di incoscienza che continua invece a sfuggirgli, decide di alzarsi.
Ha
bisogno di uscire. Ha bisogno di schiarirsi le idee.
Lascia
a Gaby un biglietto e poi, per la prima volta in due mesi,
disobbedisce agli ordini ed esce a prendere una boccata d'aria, da
solo, senza stupidi cani da guardia a fiatargli sul collo.
Percorre
per ore le strade di una città ancora addormentata, fino a
quando il
cielo non inizia a schiarirsi dal manto scuro di una notte calda e
ricca della luce di stelle che a New York trova sempre così
difficile da scorgere. C'è una tranquillità
particolare che coglie
le prime ore del mattino e ne respira a pieni polmoni la freschezza e
l'illusorio senso di libertà che porta con sé,
prima che le strade
inizino a riempirsi del chiacchiericcio indistinto di uomini, donne e
bambini pronti all'inizio di un nuovo giorno, bello o brutto che esso
si presenti.
Non
avrebbe dovuto distrarsi a quel modo.
Un
uomo gli viene addosso. Indossa un lungo cappotto scuro e un cappello
dello stesso colore premuto sugli occhi. Illya si scusa, pensando, in
un primo momento, che la colpa sia sua per essersi lasciato andare
così tanto da non avere nemmeno più senso di dove
stia mettendo i
piedi, ma non ci mette molto per accorgersi della mancanza di un peso
familiare. Alza sotto gli occhi il polso della mano sinistra:
l'orologio di suo padre è scomparso.
Non
parla, non urla, non emette un suono. Si volta per afferrare il
ladro, ma l'uomo si scosta con un agile balzo e dopo una frazione di
secondo in cui Illya avrebbe giurato di vederlo sorridere, inizia a
correre via. Illya scuote via la sorpresa e gli è subito
dietro. È
veloce, agile, corre da una parte all'altra per disorientarlo; dietro
l'angolo della strada, giù per la discesa, attraverso i
primi
allestimenti di un mercato nella piazza centrale di un piccolo rione;
ci sono persone che urlano e cesti di frutta che cadono a terra, ma
Illya li schiva e guadagna terreno, sempre di più, fino a
quando,
alla bocca di un vicolo deserto, lo raggiunge il tanto che basta per
colpirlo alle spalle con tutto il suo peso, scaraventando
così
entrambi per terra. Lo sente grugnire di dolore per l'impatto. Lo
prende per le spalle e lo costringe a voltarsi; gli stringe le
ginocchia attorno ai fianchi e gli immobilizza le braccia sopra la
testa. Nel cadere, l'uomo ha perso il cappello.
Ora,
sotto di lui, Napoleon ricambia il suo sguardo esterrefatto con un
sorriso sfacciato.
«Ehi,
Peril! Contento di vedermi?»
Note del testo
1.
Nei credits alla fine del film, si vede che il rapporto per la missione
di Instanbul reca la data 13
Settembre 1963 (che come hanno notato su tumblr,
è anche il compleanno di Gaby xD). Dal momento che il trio
parte per Instanbul subito dopo il film, ambientato a Giugno secondo
questa pagina qui,
immagino che la missione sia durata all'incirca tre mesi, tra Giugno e
Settembre per l'appunto.
Beta:
il capitolo è stato betato dalla gentilissima Nais
Credits:
le texture utilizzate nella copertina appartengono a RavenOrlov
e a SpringSabila
Note
d'autore: Salve *-* Questa sarà una minilong,
di cinque, massimo sei capitoli. E' basata su un prompt di Fuuma
che mi è stato lasciato già un po' di tempo fa
sul gruppo C'era
una volta un prompt..., ma il prompt ve lo trascrivo alla
fine, perchè è un po' spoiler U.U. Spero che il
primo capitolo vi abbia incuriosito e ci vediamo al prossimo! Baci.