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028. YOU ARE MY ONLY
HOPE (OBI-WAN)
DATA:
8 NOVEMBRE
2038
ORA:
09:14
MIDTOWN,
ERSKIN STREET
Nova
atterra in piedi sulla neve intonsa e gli stivali grigi affondano fino
a metà polpaccio. Quando ha deciso di avventurarsi fuori dal
suo appartamento, non immaginava che la mattina avrebbe
compreso staccionate da scavalcare e proprietà
private da violare; adesso, è contenta di
aver comunque inghiottito un paio di pasticche di antidolorifici prima
di uscire. Si guarda attorno, cauta: è nel cortile sul
retro. L’erba lungo la staccionata è
così alta da spuntare dalla neve. Raggiunge la veranda e
sale i tre gradini di ferro. Conosce la casa: la porta sul retro
dà accesso alla cucina e, di solito, Walty non aveva
l’abitudine di chiuderla quando era in casa.
Nova si appiattisce contro il muro, immobile, in ascolto dei suoni
dietro la porta: sportelli che sbattono, un acciottolio di stoviglie,
poi colpetti deboli e distanti; forse passi attutiti dalla moquette
sulle
scale. Lei rimane ferma. Attende. E attende, ancora. Fino a quando non
è assolutamente sicura di non udire più alcun
rumore. Allunga la mano verso la porta e trattiene il respiro tra i
denti, pregando che Paszek non sia più guardingo di Walty.
La serratura scatta.
Nova sospinge la porta. Sbircia all’interno.
Nessuno.
Batte piano i piedi contro lo stipite, per liberarsi della neve
attaccata alle suole di gomma nera, e poi sgattaiola dentro mentre
i cardini cigolano stanchi dietro di lei.
La cucina è spartana, e virilmente in disordine;
c’è odore di qualcosa rimasto a friggere
più del necessario e il linoleum screziato è
appiccicoso come il pavimento del John’s Coffee alle sette di
sera. Un arco incornicia uno scorcio del soggiorno: pareti ardesia e
senza quadri, un caminetto elettrico, un divano color ocra, una lampada
con il paralume storto, e nessuna traccia di Paszek.
Dev’essere al piano superiore.
Nova attraversa il soggiorno, raggiunge le scale, le sale in punta di
piedi.
Inchioda sul penultimo gradino: voci. Due uomini discutono.
E lei è così agitata da impiegare qualche secondo
in
più del normale per capire che le voci non
appartengono a
persone in carne e ossa, lì, in casa. La prima porta, a una
falcata di distanza dalla scale,
è accostata. È la stanza di Paszek. Ha acceso la
TV e qualcuno sta commentando la vittoria della sera
prima dei Dallas Cowboy.
Nova guarda in fondo al breve corridoio. Prende fiato e, svelta e
silenziosa, marcia verso una porta bianca con un tondo pomello color
ottone.
La
finestra è chiusa, ma il grigiastro chiarore del mattino
filtra tra le
lamelle e disegna linee bianche e spettrali sulla moquette
del pavimento. La polvere luccica nell’aria ferma.
C’è comunque luce a sufficienza per distinguere le
sagome che affollano la camera: un caos pari a
quello della stanza di un adolescente, la cui madre non fa altro che
gridargli dietro di mettere in ordine.
Nova preme l’interruttore della luce. Il cuore
è diventato due volte più grosso, e
più pesante. Vede l’esistenza di Walty nella
bottiglia di soda ancora mezza piena sul comodino, nella parola pausa
che lampeggia pigramente sul display dello stereo, nel
mosaico di post-it della bacheca di sughero sopra il letto: liste di
cose da fare che non verranno mai fatte, che non hanno più
nessuna importanza. Che fine farà adesso la lava lamp vicino
al letto? E la
collezione di action-figures di
Star Wars sopra la cassettiera? E il
poster dei Blind Foxes,
firmato dal frontman? Walty diceva che i Blind Foxes
– due anoressici ometti di Kansas City e un androide con un
look degno di un manga ambientato in un futuro
distopico – erano la punta
più alta mai raggiunta dal synth-pop. L’opinione
di Nova è sempre stata meno generosa: a parer suo, un gatto
zoppo a passeggio un sintetizzatore scassato sarebbe in grado di
comporre musica migliore. Ma darebbe qualsiasi cosa, adesso, per vedere
Walty sdraiato sull’informe pouf ai piedi del letto ad
ascoltare Set Me Free a
tutto volume.
Nova solleva la schiena dalla porta, passa una mano sul viso e fa
sparire le
lacrime.
Si avvicina alla scrivania: il piano è pulito e spoglio;
troppo pulito e troppo spoglio, contrasta con il disordine del resto
della camera. Lei la ricorda occupata da due computer e almeno un paio
di datapad. È sparito tutto. Dunque, Paszek sembra aver
detto la verità: la polizia ha scoperto
l’attività di Walty e sequestrato i computer.
Hanno individuato un nesso diretto l’omicidio? E quale?
Poco
più di un’ora fa, a Wade
Street, Nova si è chiesta se Walty non abbia semplicemente mentito a Malone.
Se fosse riuscito a superare i sistemi di sicurezza dalla Cyberlife, se
avesse trovato informazioni che, per qualche motivo, non ha voluto
consegnare allo Zenosyne? Ed è possibile che la polizia
abbia avuto lo stesso sospetto? Ma la polizia non conosce Walty
come lo conosce lei. Era generoso, non
sprovveduto. Non avrebbe lasciato nulla di compromettente sui propri
computer e, come hacker, doveva sapere quanto la rete sia
vulnerabile.
Nova apre i cassetti della scrivania; trova un block-notes pulito
ma con qualche foglio mancante, una biro senza il cappuccio, fazzoletti
appallottolati, un sacchetto di Gummy Bears; poi rovista nella
cassettiera, tra le t-shirt e le camicie, tasta il fondo dei cassetti,
cerca nelle tasche dei jeans piegati alla bell’e meglio. Alla
fine, richiude l’ultimo cassetto e si ritrova a scambiare
un’occhiata afflitta con il Darth Vader bidimensionale nella
locandina de L’Impero
colpisce attaccata sopra la
cassettiera. Scuote la testa: non sa
nemmeno lei cosa sta cercando esattamente. Avanti, se fossi Walty,
cerca
di ragionare, oltre le stilettate del mal di testa, se avessi davvero
in mano informazioni importanti, dove le nasconderei?
Guarda di nuovo
la locandina; poi, il poster accanto: un altro film Robots of Shadow,
e il successivo, Assassinio
al centro della Terra. Osserva la piccola
folla di action-figures e ritrova qualcuno di sua
conoscenza: ci sono due R2-D2, ma quello più grosso, delle
dimensioni di una lattina di birra e con la pittura blu tutta
scheggiata, non è una vera action-figures da collezione;
è un portaoggetti di latta che Nova scovò per
caso in un mercatino delle pulci a Saline Road, più di dieci
anni fa. Lo regalò a Walty, per il suo sedicesimo compleanno.
Nova prende tra le mani l’astro-droide in miniatura. Tamburella
le dita sulla testolina semisferica; e sorride: una smorfia distorta
dalla nostalgia. Scuote il portaoggetti, piano: non c’è
niente dentro. E per
assicurarsene, ne ruota la testa fino a sfilarla dal
corpo. Vuoto. Lo richiude.
Quasi.
All’ultimo istante, qualcosa cattura il suo sguardo.
Nova volta il
tappo. È all’interno della calotta: un piccolo
aggeggio,
nero, rettangolare, fermato da un pezzetto di nastro adesivo
trasparente.
Lei lo stacca con religiosa cautela. Sul lato
dell’oggettino rivolto contro il tappo,
c’è un’etichetta.
«Che cazzo stai facendo?»
Nova sussulta.
Mette giù il droide, lascia
scivolare l’oggettino nero in tasca e si volta, calma.
Paszek è nella stanza, con una pistola.
«Tobias, quella non è necessaria, lo
sai.»
«Lo so? Lo so?» strepita Paszek. Stringe la pistola in una
mano sola e gliela agita contro, come l’ultimo arrivato nella
gang delle
Testepiatte.
Nova indietreggia, ma la cassettiera la blocca e la sua calma si incrina.
Teme che Paszek sia il genere di persona a cui piace sentire una
pistola tra le mani, e ancora di più gli piace avere
l’occasione di puntarla contro qualcuno.
«Che cazzo ne so, io, di quello che vuoi tu, eh? Sei entrata
di nascosto, in casa mia!»
«E adesso me ne vado. Non c’è bisogno
di—»
«No, tu non ti muovi da qui, stronza. Te l’ho detto
che avrei chiamato la polizia.»
/
/
DATA:
8 NOVEMBRE 2038
ORA: 10:02
DPD
CENTRAL STATION
Errato.
C’è qualcosa di errato. Qualcosa che il software,
dietro le lente pulsazioni del LED, sta cercando di diagnosticare
mentre Connor, in silenzio, sorveglia la conversazione tra il tenente
Anderson e la giornalista. Una conversazione che, l’androide
se
ne rende conto, ha la conformazione di un monologo da parte dell’umano
di fianco a lui.
«Le parole violazione di domicilio non ti sono familiari?» domanda Anderson, a braccia
conserte; il suo umore, stando ai rilievi di Connor, oscilla
tra irritazione e diffidenza.
La giornalista, dall’altro lato del pannello antisfondamenta
della cella 1, non risponde ad Anderson. Non lo guarda nemmeno. Siede
sulla panca con i palmi sulle gambe, la schiena un po’ curva,
lo sguardo fisso sulle punte degli stivali grigi.
«Che stavi facendo in quella casa?»
Nessuna risposta.
«Cercavi qualcosa?»
Ancora silenzio.
«E va bene, fa’ come cazzo ti pare»
taglia corto
Anderson. «Goditi la mattinata qui dentro. Magari ti passa la voglia di ficcare il naso dove non ti
riguarda.» Fa cenno
a Connor di seguirlo, ma prima che lui possa obbedire, e prima che
Anderson possa fare più di tre passi, la
voce di Nova raggiunge i suoi sensori audio.
«Aspetti!»
La donna si avvicina alla parete. Anderson, indolente, torna indietro.
«Tenente, io... devo parlarle. In privato. Soltanto io e
lei.»
«Certo. Ti faccio anche portare da bere, già che
ci siamo. Vuoi una birra? O è troppo presto? Meglio un caffè?»
In risposta al sarcasmo del tenente, Connor pronostica
un’energica replica parte della giornalista. Invece, la donna
tace: la bocca pallida è serrata in una linea dura; gli
occhi chiari, fissi su Anderson, appaiono stanchi ma risoluti; scuote
la testa, volta le spalle al tenente e si rimette seduta.
Anderson sibila un’imprecazione. Come poco prima, fa per
tornare alla sala centrale; come poco prima, deve bloccarsi dopo pochi
passi.
Si gira. «Connor!» chiama, spazientito.
«Che stai
facendo?»
Connor è ancora davanti alla cella. Ignora il rischio di
danneggiare la relazione con il tenente, segnalato dal software, e
prosegue nel monitorare il profilo della donna: Nova sta
tenendo i palmi sulle gambe per impedire alle ginocchia di
sobbalzare, ma il nervosismo si trasmette alle mani; lui la vede stringere
piano la mancina attorno al polso destro, per trattenere un
appena percepibile tremore nelle dita.
[ FREQUENZA CARDIACA: 86 BPM
LIVELLO DI STRESS: 79% ]
Connor aggrotta la fronte: ha diagnosticato l’elemento errato. Dal
momento in cui lui e il tenente si sono presentati
davanti alla cella 1, Nova non ha mai, nemmeno una volta,
incrociato il suo sguardo. Non è un comportamento casuale:
sta evitando di proposito di guardarlo.
«Tenente, forse dovrebbe ascoltare che cosa ha da
dirle.»
«Cristo santo, Connor...»
L’androide si volta verso il tenente, distende la fronte,
solleva le sopracciglia.
«Cosa abbiamo da perdere?»
Per un lungo momento, Anderson lo fissa di rimando. Poi, espira a denti
stretti. «Ma porca troia…» Si avvicina alla cella e appoggia il palmo sul monitor tattile. Il
meccanismo di chiusura viene disattivato. «Hai cinque minuti.»
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NdA.
Nuovo
capitolo, altre citazioni. Ah, il bello
delle fan fiction: poterci ficcare dentro riferimenti a qualsiasi
opera, e non preoccuparsi dei diritti. Rimanendo in tema di citazioni:
l’ultima frase di Connor è
volutamente uguale a quella pronunciata da Anderson quando,
all’inizio del gioco, lascia che Connor interroghi
l'androide di Ortiz. Mi piaceva l’idea di fargli giocare la
carta reverse
(+ puppy eyes)
per mostrare come stia
imparando i ‘trucchetti umani’. Si
può considerare canon il fatto che Connor tenda a imitare,
in
una certa misura, i modi di Hank. Ricordo di aver letto una
dichiarazione, fatta dell’interprete di Connor, su come certi
dettagli siano stati inseriti per sottolineare come Connor sia
un’intelligenza artificiale che impara costantemente
dall’ambiente che lo circonda.
On another note, per questo capitolo ho tentato un’impaginazione
diversa. Ma non so, forse è meglio
mantenere il font base del sito. Che dilemmi ఠ_ఠ
Al prossimo aggiornamento! ♥ |
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