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Autore: _Blanca_    03/07/2020    4 recensioni
| Contesto → Pacifist Route | ● | Deviant!Connor + Human!OC ♡ | ● | Reporter/Detective relationship tropes |
Nova Barton è una reporter freelance nella Detroit del 2038. La metropoli sa essere un’arena ostile e Nova si arrangia come può per sbarcare il lunario. Non era certo nei suoi piani finire invischiata nelle indagini di un tenente di polizia perennemente di cattivo umore e del suo improbabile collega: un avanzatissimo modello di androide, programmato per dare la caccia ai cosiddetti devianti. Che Nova lo voglia o meno, anche lei dovrà fare i conti con le conseguenze delle proprie scelte.
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{ 06.20 capitoli revisionati » 1 – 21 }
Genere: Science-fiction, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor/RK800, Hank Anderson, Kara/AX400, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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028. YOU ARE MY ONLY HOPE (OBI-WAN)





DATA: 8 NOVEMBRE 2038

ORA: 09:14

MIDTOWN, ERSKIN STREET



Nova atterra in piedi sulla neve intonsa e gli stivali grigi affondano fino a metà polpaccio. Quando ha deciso di avventurarsi fuori dal suo appartamento, non immaginava che la mattina avrebbe compreso staccionate da scavalcare e proprietà private da violare; adesso, è contenta di aver comunque inghiottito un paio di pasticche di antidolorifici prima di uscire. Si guarda attorno, cauta: è nel cortile sul retro. L’erba lungo la staccionata è così alta da spuntare dalla neve. Raggiunge la veranda e sale i tre gradini di ferro. Conosce la casa: la porta sul retro dà accesso alla cucina e, di solito, Walty non aveva l’abitudine di chiuderla quando era in casa.  
Nova si appiattisce contro il muro, immobile, in ascolto dei suoni dietro la porta: sportelli che sbattono, un acciottolio di stoviglie, poi colpetti deboli e distanti; forse passi attutiti dalla moquette sulle scale. Lei rimane ferma. Attende. E attende, ancora. Fino a quando non è assolutamente sicura di non udire più alcun rumore. Allunga la mano verso la porta e trattiene il respiro tra i denti, pregando che Paszek non sia più guardingo di Walty.
La serratura scatta.
Nova sospinge la porta. Sbircia all’interno.
Nessuno.
Batte piano i piedi contro lo stipite, per liberarsi della neve attaccata alle suole di gomma nera, e poi sgattaiola dentro mentre i cardini cigolano stanchi dietro di lei.
La cucina è spartana, e virilmente in disordine; c’è odore di qualcosa rimasto a friggere più del necessario e il linoleum screziato è appiccicoso come il pavimento del John’s Coffee alle sette di sera. Un arco incornicia uno scorcio del soggiorno: pareti ardesia e senza quadri, un caminetto elettrico, un divano color ocra, una lampada con il paralume storto, e nessuna traccia di Paszek. Dev’essere al piano superiore.
Nova attraversa il soggiorno, raggiunge le scale, le sale in punta di piedi.
Inchioda sul penultimo gradino: voci. Due uomini discutono.
E lei è così agitata da impiegare qualche secondo in più del normale per capire che le voci non appartengono a persone in carne e ossa, lì, in casa. La prima porta, a una falcata di distanza dalla scale, è accostata. È la stanza di Paszek. Ha acceso la TV e qualcuno sta commentando la vittoria della sera prima dei Dallas Cowboy. Nova guarda in fondo al breve corridoio. Prende fiato e, svelta e silenziosa, marcia verso una porta bianca con un tondo pomello color ottone.

La finestra è chiusa, ma il grigiastro chiarore del mattino filtra tra le lamelle e disegna linee bianche e spettrali sulla moquette del pavimento. La polvere luccica nell’aria ferma. C’è comunque luce a sufficienza per distinguere le sagome che affollano la camera: un caos pari a quello della stanza di un adolescente, la cui madre non fa altro che gridargli dietro di mettere in ordine.
Nova preme l’interruttore della luce. Il cuore è diventato due volte più grosso, e più pesante. Vede l’esistenza di Walty nella bottiglia di soda ancora mezza piena sul comodino, nella parola pausa che lampeggia pigramente sul display dello stereo,
nel mosaico di post-it della bacheca di sughero sopra il letto: liste di cose da fare che non verranno mai fatte, che non hanno più nessuna importanza. Che fine farà adesso la lava lamp vicino al letto? E la collezione di action-figures di Star Wars sopra la cassettiera? E il poster dei Blind Foxes, firmato dal frontman? Walty diceva che i Blind Foxes – due anoressici ometti di Kansas City e un androide con un look degno di un manga ambientato in un futuro distopico – erano la punta più alta mai raggiunta dal synth-pop. L’opinione di Nova è sempre stata meno generosa: a parer suo, un gatto zoppo a passeggio un sintetizzatore scassato sarebbe in grado di comporre musica migliore. Ma darebbe qualsiasi cosa, adesso, per vedere Walty sdraiato sull’informe pouf ai piedi del letto ad ascoltare Set Me Free a tutto volume.
Nova solleva la schiena dalla porta, passa una mano sul viso e fa sparire le lacrime.
Si avvicina alla scrivania: il piano è pulito e spoglio; troppo pulito e troppo spoglio, contrasta con il disordine del resto della camera. Lei la ricorda occupata da due computer e almeno un paio di datapad. È sparito tutto. Dunque, Paszek sembra aver detto la verità: la polizia ha scoperto l’attività di Walty e sequestrato i computer. Hanno individuato un nesso diretto l’omicidio? E quale?
Poco più di un’ora fa, a Wade Street, Nova si è chiesta se Walty non abbia semplicemente mentito a Malone. Se fosse riuscito a superare i sistemi di sicurezza dalla Cyberlife, se avesse trovato informazioni che, per qualche motivo, non ha voluto consegnare allo Zenosyne? Ed è possibile che la polizia abbia avuto lo stesso sospetto? Ma la polizia non conosce Walty come lo conosce lei. Era generoso, non sprovveduto. Non avrebbe lasciato nulla di compromettente sui propri computer e, come hacker, doveva sapere quanto la rete sia vulnerabile.
Nova apre i cassetti della scrivania; trova un block-notes pulito ma con qualche foglio mancante, una biro senza il cappuccio, fazzoletti appallottolati, un sacchetto di Gummy Bears; poi rovista nella cassettiera, tra le t-shirt e le camicie, tasta il fondo dei cassetti, cerca nelle tasche dei jeans piegati alla bell’e meglio. Alla fine, richiude l’ultimo cassetto e si ritrova a scambiare un’occhiata afflitta con il Darth Vader bidimensionale nella locandina de L’Impero colpisce attaccata sopra la cassettiera. Scuote la testa: non sa nemmeno lei cosa sta cercando esattamente. Avanti, se fossi Walty, cerca di ragionare, oltre le stilettate del mal di testa, se avessi davvero in mano informazioni importanti, dove le nasconderei? Guarda di nuovo la locandina; poi, il poster accanto: un altro film Robots of Shadow, e il successivo, Assassinio al centro della Terra. Osserva la piccola folla di action-figures e ritrova qualcuno di sua conoscenza: ci sono due R2-D2, ma quello più grosso, delle dimensioni di una lattina di birra e con la pittura blu tutta scheggiata, non è una vera action-figures da collezione; è un portaoggetti di latta che Nova scovò per caso in un mercatino delle pulci a Saline Road, più di dieci anni fa. Lo regalò a Walty, per il suo sedicesimo compleanno.
Nova prende tra le mani l’astro-droide in miniatura. Tamburella le dita sulla testolina semisferica; e sorride: una smorfia distorta dalla nostalgia. Scuote il portaoggetti, piano: non c’è niente dentro. E per assicurarsene, ne ruota la testa fino a sfilarla dal corpo. Vuoto. Lo richiude.
Quasi.
All’ultimo istante, qualcosa cattura il suo sguardo.
Nova volta il tappo. È all’interno della calotta: un piccolo aggeggio, nero, rettangolare, fermato da un pezzetto di nastro adesivo trasparente.
Lei lo stacca con religiosa cautela. Sul lato dell’oggettino rivolto contro il tappo, c’è un’etichetta.
«Che cazzo stai facendo?»
Nova sussulta.
Mette giù il droide, lascia scivolare l’oggettino nero in tasca e si volta, calma.
Paszek è nella stanza, con una pistola.
«Tobias, quella non è necessaria, lo sai.»
«Lo so? Lo so?» strepita Paszek. Stringe la pistola in una mano sola e gliela agita contro, come l’ultimo arrivato nella gang delle Testepiatte.
Nova indietreggia, ma la cassettiera la blocca e la sua calma si incrina. Teme che Paszek sia il genere di persona a cui piace sentire una pistola tra le mani, e ancora di più gli piace avere l’occasione di puntarla contro qualcuno.
«Che cazzo ne so, io, di quello che vuoi tu, eh? Sei entrata di nascosto, in casa mia!»
«E adesso me ne vado. Non c’è bisogno di—»
«No, tu non ti muovi da qui, stronza. Te l’ho detto che avrei chiamato la polizia.»

/ /

DATA: 8 NOVEMBRE 2038
ORA: 10:02


DPD CENTRAL STATION


Errato. C’è qualcosa di errato. Qualcosa che il software, dietro le lente pulsazioni del LED, sta cercando di diagnosticare mentre Connor, in silenzio, sorveglia la conversazione tra il tenente Anderson e la giornalista. Una conversazione che, l’androide se ne rende conto, ha la conformazione di un monologo da parte dell
’umano di fianco a lui.
«Le parole violazione di domicilio non ti sono familiari?» domanda Anderson, a braccia conserte; il suo umore, stando ai rilievi di Connor, oscilla tra irritazione e diffidenza.
La giornalista, dall’altro lato del pannello antisfondamenta della cella 1, non risponde ad Anderson. Non lo guarda nemmeno. Siede sulla panca con i palmi sulle gambe, la schiena un po’ curva, lo sguardo fisso sulle punte degli stivali grigi.
«Che stavi facendo in quella casa?»
Nessuna risposta.
«Cercavi qualcosa?»
Ancora silenzio.
«E va bene, fa’ come cazzo ti pare» taglia corto Anderson. «Goditi la mattinata qui dentro. Magari ti passa la voglia di ficcare il naso dove non ti riguarda.» Fa cenno a Connor di seguirlo, ma prima che lui possa obbedire, e prima che Anderson possa fare più di tre passi, la voce di Nova raggiunge i suoi sensori audio.
«Aspetti!»
La donna si avvicina alla parete. Anderson, indolente, torna indietro.
«Tenente, io... devo parlarle. In privato. Soltanto io e lei.»
«Certo. Ti faccio anche portare da bere, già che ci siamo. Vuoi una birra? O è troppo presto? Meglio un caffè?»
In risposta al sarcasmo del tenente, Connor pronostica un’energica replica parte della giornalista. Invece, la donna tace: la bocca pallida è serrata in una linea dura; gli occhi chiari, fissi su Anderson, appaiono stanchi ma risoluti; scuote la testa, volta le spalle al tenente e si rimette seduta.
Anderson sibila un’imprecazione. Come poco prima, fa per tornare alla sala centrale; come poco prima, deve bloccarsi dopo pochi passi. Si gira. «Connor!» chiama, spazientito. «Che stai facendo?»
Connor è ancora davanti alla cella. Ignora il rischio di danneggiare la relazione con il tenente, segnalato dal software, e prosegue nel monitorare il profilo della donna: Nova sta tenendo i palmi sulle gambe per impedire alle ginocchia di sobbalzare, ma il nervosismo si trasmette alle mani; lui la vede stringere piano la mancina attorno al polso destro, per trattenere un appena percepibile tremore nelle dita.
     
    [ FREQUENZA CARDIACA: 86 BPM
      LIVELLO DI STRESS: 79% ]


Connor aggrotta la fronte: ha diagnosticato l
’elemento errato. Dal momento in cui lui e il tenente si sono presentati davanti alla cella 1, Nova non ha mai, nemmeno una volta, incrociato il suo sguardo. Non è un comportamento casuale: sta evitando di proposito di guardarlo.
«Tenente, forse dovrebbe ascoltare che cosa ha da dirle.»
«Cristo santo, Connor...»
L’androide si volta verso il tenente, distende la fronte, solleva le sopracciglia.
«Cosa abbiamo da perdere?»
Per un lungo momento, Anderson lo fissa di rimando. Poi, espira a denti stretti. «Ma porca troia…» Si avvicina alla cella e appoggia il palmo sul monitor tattile. Il meccanismo di chiusura viene disattivato. «Hai cinque minuti.»




NdA.
Nuovo capitolo, altre citazioni. Ah, il bello delle fan fiction: poterci ficcare dentro riferimenti a qualsiasi opera, e non preoccuparsi dei diritti. Rimanendo in tema di citazioni: l’ultima frase di Connor è volutamente uguale a quella pronunciata da Anderson quando, all’inizio del gioco, lascia che Connor interroghi l'androide di Ortiz. Mi piaceva l’idea di fargli giocare la carta reverse (+ puppy eyes) per mostrare come stia imparando i ‘trucchetti umani’. Si può considerare canon il fatto che Connor tenda a imitare, in una certa misura, i modi di Hank. Ricordo di aver letto una dichiarazione, fatta dell’interprete di Connor, su come certi dettagli siano stati inseriti per sottolineare come Connor sia un’intelligenza artificiale che impara costantemente dall’ambiente che lo circonda.
On another note, per questo capitolo ho tentato un
’impaginazione diversa. Ma non so, forse è meglio mantenere il font base del sito. Che dilemmi ఠ_ఠ  
Al prossimo aggiornamento!
   
 
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